Federico Pellizzi
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Schema 1 - Morfologia profonda e superficiale del pragmema (b) |
c) Determinazione spaziale e temporale (disposizione, dimensionamento, ordine di successione, durata, frequenza);
È il primo dei pragmemi che definisco interattivi e caratterizzanti. Si tratta di un pragmema concettualmente assai rilevante, perché configura l'ipertesto come entità spazio-temporale dialogica. I pragmemi (c) (d) (e) e (f) sono interattivi perché implicano, come ho detto, una sorta di agone testuale tra i partecipanti alla sessione testuale, qualunque sia il ruolo di ciascuno di essi (autoriale, lettoriale, cibernetico, ecc.). Se i pragmemi strutturali (a) (b) (g) in fondo non scalfiscono in modo decisivo il modello classico della comunicazione, tripartito in mittente-messaggio-destinatario,29 i pragmemi interattivi lo demoliscono definitivamente. Quando sulle interfacce compaiono i pragmemi interattivi è come se si aprisse una comunicazione quadripartita: i testi diventano (almeno) due, e gli operatori (almeno) due. Lo schema potrebbe essere il seguente:
Schema 2 - Modello quadripartito della testualità digitale |
Ogni testo generativo (ogni insieme di dati strutturati) in rete implica il medium digitale come coadiuvante della comunicazione ed è contrapposto a un testo emergente, agito da un operatore. Medium (M) e testo emergente (T-em) si contraddicono come ripetizione e variazione; testo generativo (T-gen) e operatore (O) si contraddicono come stasi e processo (ma si potrebbe anche dire come il testo e la sua interpretazione, come l'identità e l'alterità). Mi sembra che questo schema possa dar conto della differenza dei due processi della lettura e della scrittura perché i termini contrari (T-gen/T-em; M/O) sono interscambiabili. Ossia, in un processo di scrittura O è coadiuvante di T-gen (mentre M è una sorta di antagonista), così come in un processo di lettura M è coadiuvante di T-gen (e O rappresenta, per così dire, la resistenza vivente alla meccanicità di quel patto).
È stato necessario qui dilungarsi in questa chiarificazione di carattere generale perché il pragmema (c) è l'apripista di alcuni pragmemi fondamentali (come si è detto, interattivi e caratterizzanti) che possiedono caratteri essenziali comuni e determinano in massima parte la novità e l'importanza della testualità digitale. Di questo, come degli altri pragmemi interattivi, non si tenterà un'articolazione più dettagliata di quella che si è esposta, perché a differenza dei pragmemi strutturali (a) (b) (g) essi implicano più direttamente una semantica delle relazioni (e anche una sintassi e una pragmatica) che sarebbe arduo affrontare qui.
I pragmemi interattivi sono quindi i pragmemi della compresenza di attività semiotiche differenti nello stesso processo testuale. Ciò non vuol dire che tali attività si mescolano e sono indistinguibili (ad esempio scrittura e lettura); bensì, semmai, che ciascuna attività è potenziata, perché ha un correlato materiale al quale si appoggia e una intrinseca potenzialità dialogica.
I pragmemi interattivi sono anche pragmemi caratterizzanti, perché la loro presenza o predominanza conferisce a un testo o a una sessione digitale un particolare aspetto e una specifica funzionalità. Possiamo designare la specificità del pragmema (c) con il termine "costruire". Va da sé che con questo verbo si intende anche "costituzione del testo". Il pragmema (c) è infatti il pragmema caratterizzante degli ipertesti di edizione.
d) Scelta di opzioni (metapragmemi);
Come si è detto si tratta di un pragmema che consente di controllare il funzionamento di altri pragmemi - e non solo di farsi "portatore" di altre funzioni. Di solito la collocazione naturale del pragmema (d) è sulle cornici, e ciò indica la sua peculiarità riflessiva e metodologica. Spesso controlla pragmemi (f), e diviene in questo caso un pragmema di chiara vocazione autoriale. La sua specificità, che si esprime al meglio in sequenza con pragmemi (c) o (e), può essere indicata dal verbo "ricercare", in quanto la sua presenza implica la possibilità di scegliere modalità di interazione e di interrogazione. Esempio tipico di pragmema (d) è infatti la scelta degli operatori logici con cui interrogare un database.
e) Interrogazione (invio di dati, scambi client-server, login-logout);
Login e logout comportano l'entrata in un sistema, quindi sono portatori anche di una particolare versione del pragmema dell'avvio. Tuttavia la loro funzione primaria è quella di inter-comunicare, di scambiare dati. Anche l'immissione di una password è un'espressione elementare di pragmema (e). Anche in questo caso è la volontarietà che fa di questo pragmema un fatto testuale: la rete di per sé, nella sua materialità interconnessa, non è un macro-testo. La parola che può render conto dell'aspetto saliente di questo pragmema è "condividere".
f) Bricolage (inserimento, correzione, spostamento, copia e incolla, ecc.);
È un altro dei cavalli di battaglia nella nuova testualità digitale. Il "taglia e incolla" (Cut & Paste), insieme al trascinamento, è una delle grandi innovazioni del Macintosh. L'operazione ha poco a che fare in realtà con il «campo metaforico emittente»30 della carta e delle forbici, perché i tagli si ricuciono subito senza lasciar traccia, e l'incollare è farsi spazio in una testualità molle. Sarebbe forse più pertinente usare, come Mark Bernstein, una metafora che avesse a che fare con il giardinaggio, con il percorso sul terreno, una specie di piantumazione del testo.31 In realtà le arti figurative hanno praticato e sperimentato tecniche simili, dal mosaico al collage. E alcuni effetti stranianti - come l'errore di scala, estensibile in senso lato a ogni operazione di "taglia e incolla" - sono stati sperimentati allora, come ha mostrato Levi-Strauss per Poussin e Hokusai.32
Il pragmema (f), in generale, è un grande recettore di metafore riconducibili alla manipolazione. Tutto quello che si fa dentro al testo, nella spazialità minuta e tangibile del suo lato visibile, come cancellare, spostare, copiare, marcare (anche proprio nel senso di inserire un linguaggio di marcatura) è riconducibile a questo pragmema. Rientrano in questa categoria anche i salvataggi in memoria (che non sono altro che un "copia e incolla" su larga scala).
Lo spazio creativo che il pragmema (f) predispone è quello ove si esprime al massimo grado la compresenza operativa di puntatore e cursore, che diviene quasi un gioco tra le due istanze: l'idea e la prova, la riflessione e l'immersione.
La parola che caratterizza questo pragmema è "creare".
g) Uscita (chiusura, sospensione).
Mentre l'avvio apre quasi sempre una finestra, l'uscita la chiude, o meglio la "fa cadere", così come scarica dalla memoria temporanea i processi che sono correlati ad essa e, in un certo senso, vi si affacciano. Il pragmema dell'uscita ha spesso il suo punto di attivazione e di rappresentazione in un angoletto delle finestre. È quindi, come il pragmema dell'avvio, un pragmema prevalentemente peri-testuale, a differenza del pragmema di collegamento, che è intra-testuale. Avvio e uscita delimitano non solo la cosiddetta "sessione di lavoro" nel suo insieme, ma anche singoli processi subordinati, siano essi di scrittura, di lettura o misti. Ciò mette in evidenza come ogni testo digitale sia costitutivamente incorniciato. Ogni processo di lettura o scrittura implica contemporaneamente un'attività testuale (o sub-testuale) e un'attività meta-testuale, e cursore e puntatore sono la prima manifestazione fisica il di questa duplice presenza. Avvio e uscita delimitano quindi ogni unità temporale della seduta ipertestuale. Ma si può dire anche che avvio e uscita delimitano ogni unità topica33 di un ipertesto, intendendo con questo termine uno spazio semantico (in cui può essere rappresentato o comunque compresente qualunque tipo di oggetto) fruibile nella sua integrità senza soluzione di continuità, ossia senza attivare pragmemi di avvio o di uscita.
1.3. Dinamica pragmemica
Sembra a questo punto di poter fare uno schema delle possibili concatenazioni di pragmemi. I pragmemi, come si è visto, sono le elementari unità d'azione del testo digitale, e ne strutturano quindi l'interna drammaticità e narratività.
Abbiamo visto che dei sette pragmemi individuati tre - (a, b, g) - hanno carattere universale: contraddistinguono il testo digitale in quanto tale, ma non ne connotano fortemente la natura e non ne caratterizzano le funzioni prevalenti. Possiamo definirli pragmemi strutturali. Il pragmema (a) dell'avvio potrebbe essere paragonato a un atto illocutivo primario: stabilisce l'apertura della "sessione", quindi del testo digitale come evento comunicativo. È anche il presupposto di ogni altro evento testuale. Il pragmema (b) di collegamento potrebbe essere considerato a sua volta presupposto di ogni altro evento: la connessione, in quanto concatenazione di procedure o aggiunta in coda (append), è il motore della digitalità stessa. Sul piano testuale si perde l'impressione di contiguità (si pensa di saltare da un documento all'altro) ma il procedimento implica in realtà una prossimità logica, una coesistenza programmata. La contiguità distingue innanzitutto il pragmema (b) dal pragmema (e) di interrogazione: in quest'ultimo caso si apre un vero e proprio dialogo tra entità differenti, siano esse umane, testuali, macchiniche o miste. In una connessione caratterizzata dal pragmema (e) sono condivise e stabili solo le regole che permettono il dialogo, ma l'esito non è prevedibile. Il pragmema (b), invece, è, almeno originariamente, orientato a un esito programmato (ottenere uno specifico documento), sancito da una volontà autoriale. L'ultimo dei pragmemi strutturali, infine, cioè il pragmema (g), sospende il processo testuale, chiude l'evento comunicativo.
I pragmemi strutturali implicano una consonanza tra volontà autoriale e volontà lettoriale, o la sospensione di una delle due. Un pragmema (b), ad esempio, è predeterminato, e il cibernauta, attivandolo, sottoscrive un patto con chi ha creato l'ipertesto.
Gli altri quattro pragmemi, (c, d, e, f), possono invece essere definiti interattivi, perché implicano la presenza di almeno due coscienze testuali contrapposte. Potremmo dire, semplificando, che tali coscienze primarie sono simili a un autore implicito e a un lettore implicito a cui in qualche modo viene data vita. Ma sembra ancor più calzante vederle come due attanti in tensione tra loro. L'agone testuale che ne deriva coinvolge facilmente tutte le sfere modali individuate da Greimas, volere, sapere e potere: il desiderio, la comunicazione, il dominio sul desiderio e sulla comunicazione. Ma a differenza di qualunque quadrato semiotico, tale tensione coinvolge anche in sommo grado la casualità. La testualità digitale è anche una rete per catturare il caso. In ciò svolge un ruolo decisivo la presenza della macchina come uno degli attori del processo comunicativo. Altro fattore importante è la struttura a cornice del testo digitale, finestra di finestre, che implica una distanza euristica tra diverse istanze autoriali. Lo stesso operatore (O) va inteso prima di tutto come istanza testuale, piuttosto che come operatore empirico: da una parte come una specie di narratario attivo (il primo avatar del mondo digitale è il cursore); dall'altra come pseudo-narratore (il puntatore). Ecco quindi che la stessa lettura del testo digitale è incorniciata, passa per diverse istanze dotate di relativa autonomia, e l'"imbattersi" in qualcosa di inaspettato (che sia ostacolo o agevolazione) è costitutivo, in un certo senso obbligatorio. Nel gioco tra cursore e puntatore è implicita la prova, il vedere che cosa succede.
Costruire, ricercare, condividere e creare sono tutte, in fondo, metafore dello scrivere, ma forse "ricercare" e "condividere" rendono meglio la novità che caratterizza la scrittura elettronica: il primo termine (ricercare) è una sintesi eccellente della narratività elementare della testualità digitale: entrarvi non è nomadismo né viaggio picaresco, bensì al contempo creazione di un luogo e sua ricognizione; o anche, per restare al significato letterale del termine, un ritorno sui luoghi. Ricerca vuol dire anche coesistenza di esplorazione (ricerca casuale) e interrogazione (ricerca mirata). La seconda metafora (condividere) mostra altrettanto bene l'antisolipsismo e la natura dialogica della testualità digitale, che non sussiste se non nella responsività delle scelte. Nel concetto si mostra bene l'aspetto drammatico della testualità digitale.
Si tratta comunque di compiere un percorso, e da quanto si è mostrato appare chiaro che è anche e in primo luogo un percorso tra pragmemi, e non solo tra "nodi". Nella natura dei pragmemi è inscritta, in una certa misura, anche una progressione specifica: si passa sempre per il pragmema (a) e per il pragmema (b). Quest'ultimo implica il pragmema (c). A questo punto ci sono tre possibilità, che caratterizzano fortemente l'ambiente testuale che si è creato: un ipertesto può dare accesso a uno degli altri tre pragmemi (d, e, f), insistere sul pragmema (c), tornare al pragmema (b) o anche al pragmema (a) aprendo una sotto-sessione, o stabilizzarsi su coppie o su triadi compresenti. Lo schema di base può essere rappresentato in questo modo:
Schema 3 - Modello della dinamica pragmemica nel testo digitale |
Come si è visto, dunque, i quattro pragmemi centrali sono quelli caratterizzanti: la loro prevalenza in un ipertesto può servire a individuare alcune tonalità dominanti e quindi dei generi ipertestuali. Nondimeno, come si vedrà, anche l'inibizione di alcuni pragmemi può connotare un ipertesto e dargli un profilo particolare. Il percorso superiore indica una maggiore strutturazione, mentre il percorso inferiore una maggiore interattività. Se ci si muove tra i pragmemi (c, d) l'ipertesto gravita nell'area del testo generativo, se ci si muove tra i pragmemi (e, f) l'ipertesto gravita nell'area del testo emergente.
Se si sottopone un ipertesto ad analisi pragmemica si può poi tendenzialmente riprodurre il suo diagramma essenziale. Se prendiamo ad esempio LIZ 3.0,34 il suo diagramma potrebbe essere:
dove il tratto caratterizzante è la coppia (d-e), (scelta di opzioni e interrogazione), e sono marginalizzati i pragmemi (b, c, f). In altre parole, come in ogni altro repertorio digitale, il binomio ricerca-condivisione è dominante, e costituisce la marca di genere. L'inibizione dei pragmemi di collegamento (che abbassa il tasso di ipertestualità, si potrebbe dire, del manufatto) e, soprattutto di bricolage (che limita la possibilità di fruizione del lettore), connota in senso preciso la natura di questo prodotto, come si vedrà anche in un'analisi dell'interfaccia.
I principali generi ipertestuali sono contraddistinti spesso da binomi di pragmemi caratterizzanti, o a volte da triadi. In generale, sulla base della predominanza di un singolo pragmema caratterizzante, possiamo già distinguere, grossomodo, alcuni raggruppamenti di generi ipertestuali. I pragmemi (c, f, e), ad esempio, tendono a caratterizzare rispettivamente gli ipertesti basati su una forte connotazione autoriale (didattici, di edizione, di ricerca, argomentativi), gli ipertesti basati su un patto di coinvolgimento emotivo-immersivo con il lettore (ludici, narrativi), e gli ipertesti basati sulla schietta interattività, che possiamo chiamare di condivisione (siano essi fenomeni di autorialità collettiva, come riviste elettroniche, forum, bacheche, ecc., o di distribuzione di risorse, come opac, cartelle condivise, siti bibliografici e database). Ma è possibile articolare con maggiore accuratezza singoli generi secondo i rapporti preferenziali che si stabiliscono tra gruppi di pragmemi. Per fare qualche esempio, tra gli ipertesti di condivisione possiamo distinguere dalla presenza della coppia (c, e) una rivista elettronica da un opac (d, e) o da un newsgroup (e, f). È importante allora anche il modo in cui i pragmemi arredano le interfacce.
2.0. Interfacce
Così come i pragmemi possedevano il loro imprescindibile correlato metaforico, anche le metafore hanno ovviamente una base nei dispositivi materiali e funzionali che caratterizzano la testualità digitale. Perciò non si può prescindere dalle relazioni essenziali che i pragmemi istituiscono tra porzioni di testo e possibili azioni nel prendere in considerazione le interfacce. Esse sono infatti una straordinaria intercapedine tra mondo oggettuale e sociale (con tutti i suoi costrutti di senso) e il mondo delle macchine.
Le interfacce stanno conquistando e arredando la propria spazialità con molta lentezza, esattamente come la pagina, che da nastro di lettura fonetica a poco a poco ha acquistato la sua dimensione luminosa e spaziata. In qualche modo le interfacce stanno guadagnando una riconoscibiltà, con il ricorso a forme e dispositivi ormai acquisiti dalla comunità degli utenti. Lo spazio testuale è in parte plasmato dalla funzionalità e dall'uso, in parte vincolato dalle tecnologie, in parte inventato dalle concezioni estetiche e culturali. Lo spazio testuale è in realtà un campo di battaglia: una battaglia forse incruenta, forse inavvertita, ma soprattutto, lenta e non deterministica. Il nuovo spazio di lettura e scrittura si differenzia da quelli che lo hanno preceduto, si riempie di segni convenzionali, sperimenta una grammatica visiva di simboli, mette a punto una particolare interpunzione iconica. Anche se ci troviamo solo agli albori dell'era digitale credo che alcuni dei caratteri morfologici (pragmemi) qui individuati resteranno sostanzialmente invariati. Le interfacce, invece, probabilmente cambieranno più vistosamente, proprio perché sono terreno di produzione e di sperimentazione metaforica. E tuttavia sono convinto che certi elementi, proprio per una loro rispondenza a criteri funzionali e morfologici, resteranno più o meno simili.
Ci sono tre modelli di interfaccia che, di là dalle limitazioni tecniche, esistono fin dai primi approdi grafici del digitale. Darò ad essi tre nomi di comodo: "modello scatola a bottoni" (SB), "modello buca delle lettere" (BL) e "modello ambiente" (A).
Prototipo del modello «buca delle lettere», può essere considerato l'Iter Italicum,35 versione elettronica, a cura di Luciano Floridi, del celebre repertorio di manoscritti rinascimentali non catalogati a cura di Paul O. Kristeller.
Fig. 1 - L'interfaccia di Iter Italicum |
Il modello «scatola a bottoni» può essere invece ben rappresentato da LIZ 3.0 - Letteratura Italiana Zanichelli,36 a cura di Pasquale Stoppelli ed Eugenio Picchi.
Fig. 2 - L'interfaccia di Liz 3.0 |
Un esempio di contaminazione equilibrata tra i due modelli è Lira, il repertorio bibliografico della letteratura italiana diretto da Benedetto Aschero.37
Fig. 3 - L'interfaccia di ricerca di Lira |
Il modello «ambiente» è un po' più difficile da generalizzare, perché i suoi antecedenti sono la realtà virtuale da una parte, e i giochi interattivi in rete come i MUD dall'altra.38 Possiamo però indicare, per coerenza con i primi tre esempi, l'interfaccia di un altro Cd rom, l'edizione de La Comédie humaine di Balzac a cura di Claude Duchet, Nicole Mozet e Isabelle Tournier.39
Fig. 4 - Interfaccia iniziale di Balzac, La comédie humaine en texte intégral |
SB, BL e A sono ancora, sorprendentemente, tre modelli dominanti di interfaccia digitale, e forse ciò deriva dal fatto che la forte differenziazione funzionale di ciascun modello risponde effettivamente a possibili usi differenziati del testo digitale, ma soprattutto è espressione di precise concezioni del testo digitale tout court. Infatti se il modello BL implica sostanzialmente una concezione del testo digitale come base di dati, il modello SB sottintende una concezione computazionale o cognitivista dello strumento digitale. Il modello A, infine, abbraccia l'idea dell'immersione, dell'essere dentro, senza far poi corrispondere effettivamente alla piacevole partecipazione (e non solo per motivi tecnici) una piena ed efficace accessibilità ai testi. La semplice ibridazione dei due modelli BL e SB (in un repertorio "casereccio" come quello di Lira, diretto da Benedetto Aschero) lascia spazio (con schede «irregolari» e discorsive, e mediante una differenziazione di livelli di scelta) a una concezione meno riduttiva dello strumento.
Se si volesse fare un'analisi pragmemica di queste interfacce si vedrebbe altresì come questi manufatti, fin dal modo in cui si presentano con la loro interfaccia, si fanno portatori di un retaggio metaforico, che deriva direttamente dai modelli estetici cui sono ispirati e dalla concezione della scrittura e del testo di cui si fanno testimoni, di là dal fatto che si tratti di prodotti di diversa natura, ovvero di raccolte di testi o di raccolte di notizie sui testi. Un confronto tra i tre modelli mette in luce non solo la natura dei processi attivabili, ma anche notevoli differenze di concezione.
La LIZ si presenta al lettore recando tracce evidenti delle sue versioni precedenti, che adottavano un registro testuale, un ordine inclusivo a finestre, e i classici percorsi sistematici a menu. Di ciò ci si avvede anche dall'elenco testuale degli autori e delle opere, in posizione centrale, costituito da una finestra fissa che offre al mouse due soli pragmemi piuttosto rigidamente rappresentati: la scelta delle opere (d), e lo scorrimento dell'elenco (c). La lista non è attiva in alcun altro modo:40 non è previsto il collegamento diretto ai testi delle singole opere, né alcun altro tipo di collegamento sensibile al mouse (le voci dell'elenco potrebbero ad esempio essere link alle notizie sui testi di riferimento). È chiara un'idea precisa del mezzo elettronico: esso serve a compiere operazioni di ricerca sui testi, anche molto complesse e raffinate, ma non a leggerli. Ciò rimane evidente nella versione distribuita con «L'Espresso»,41 dove si ha un'integrazione del registro, con una breve presentazione multimediale (parlata e animata) delle funzionalità, e un miglioramento complessivo delle prestazioni, ma ancora rimangono totalmente scollegati l'ambiente «sala di lettura» e l'ambiente «ricerca», ambienti che nella versione originaria in Cd-rom unico erano addirittura inaccessibili dalla stessa interfaccia. Proseguendo la perlustrazione, si offrono al lettore due aree dell'interfaccia occupate da bottoni testuali, con qualche integrazione iconica elementare. Si tratta, per la fascia superiore, di bottoni di collegamento (b) ad altri elenchi testuali, ai fini della selezione (d) per autore, genere, forma, secolo, e prosa/versi. Nella fascia laterale altri cinque bottoni consentono di manovrare ancora l'elenco operando selezioni collettive (d) e scegliendo (d) un diverso grado di analiticità della lista, un bottone dà l'accesso (b) a una ricerca di titoli e nomi (e) nello stesso elenco, uno fornisce notizie (b) sul testo di riferimento della voce selezionata, un altro dà l'accesso (b) a un'interfaccia per la definizione (d) di sotto-corpora, e l'ultimo infine permette di confermare (d) le selezioni effettuate. Insomma, per sintetizzare, l'interfaccia della LIZ è assai poco interattiva e tendenzialmente monofunzionale: offre solo due settori di input nell'interfaccia iniziale, e i pragmemi non sono diretti (ossia portatori di altri pragmemi), bensì preferibilmente dilazionati (per fare un esempio, non si opera direttamente una selezione che comporta ipso facto una ricerca, ma si seleziona, poi si conferma la selezione, poi si accede all'interfaccia per la ricerca, ecc.). Infine, i pragmemi di bricolage (f) sono molto rari, costrittivi e malfunzionanti,42 i pragmemi di determinazione spaziale (c) sono rigidi, influenzati dalla vecchia struttura inclusiva. Se si fa un rapido confronto con l'Iter Italicum in versione digitale, altro manufatto per altro di molto precedente, ci troviamo di fronte a un modello completamente differente, e non solo per il diverso tipo di dati e di obiettivi, ma per la concezione generale dello strumento digitale. I settori di input, nell'interfaccia iniziale, sono diciannove; i menu testuali sono otto, e ci sono poi numerosi bottoni di collegamento e sette bottoni iconici per operazioni quali la stampa, il salvataggio, ecc. Quello che balza agli occhi è la diversa penetrabilità del'interfaccia: nel caso della LIZ è scarsa, l'interfaccia ci sembra, come si è detto, una scatola a bottoni, ed è difficile compiere azioni dirette e immediate. Nel caso dell'Iter Italicum ci sembra di essere davanti a una buca delle lettere, dove è possibile immediatamente inserire le nostre richieste scegliendo sulla stessa interfaccia le opzioni desiderate. Nel caso di LIRA si ha invece a mio parere un'ottima integrazione dei due modelli, attraverso la successione di differenti interfacce. Non è opportuno fare anche in questo caso un'analisi minuta:43 basti dire che in Lira i pragmemi più vicini all'operato del lettore, cioè quelli di interrogazione (e) e di bricolage (f), escluso qualche difetto nei pragmemi di dimensionamento (c), sono numerosi e ben collocati. I primi sono immediati e accessibili dall'interfaccia operativa, i secondi permettono l'uso di blocchi e l'esportazione diretta. Non sembra tanto una questione, come si è detto, di differente natura degli strumenti: sono invece in opera due modelli di lettura. Benché nei repertori non siano contenuti testi, la lettura è concepita come interna al laboratorio digitale; e ci si avvale di finestre a riquadro fisso apparentemente più rigide delle finestre inclusive spostabili della LIZ, ma tutto sommato più funzionali, che mostrano, a lato della ricerca, il contesto della ricerca.
Il web ha molto contribuito alla diffusione di un'idea di leggibilità digitale, che non è certo la trasposizione della lettura tipografica al monitor. Ma è, comunque, lettura: raffronto di contesti, scoperta di testi, magari a partire da una parola. È il "caso" programmato di cui si parlava prima. Leggere elettronicamente è continuo esercizio di scala, come scriveva Richard Lanham: trovare un brano sospeso nel vuoto apparente, solitario, e poi ricollocarlo nel suo humus, nei suoi diversi possibili contesti, nei suoi contesti sbagliati.
3.0. Appunti per una metaforologia
Vorrei cercare a questo punto di distinguere alcuni tipi principali di metafore, tra quelle ricorrenti nella descrizione della testualità e della connettività digitale. Non intendo però seguire il criterio della suddivisione in grandi campi semantici ruotanti intorno alla metafora dell'autostrada dell'informazione, come nel volume curato da Mark Stefik;44 non seguirò nemmeno Jacques Anis, che prende in considerazione l'ipertestualità nel suo sviluppo storico come un organismo generatore di metafore, e ricostruisce, attraverso questa rete di metafore, una mappa intellettuale della contemporaneità. Cercherò di distinguerle, invece, in base alla loro funzionalità adattativa e alla loro forma semantica. Vorrei così raccogliere indizi sulla loro efficacia e produttività nel ripensare l'ipertesto (un po' il percorso inverso rispetto ad Anis).
Seguendo questi criteri, mi pare che dal punto di vista funzionale le metafore correntemente riferite a Internet e al mondo digitale possano essere distinte in almeno sei classi: 1) compensatorie (usano un vecchio termine per designare ciò che non ha un termine proprio); 2) modellizzanti (suggeriscono un modello - estetico, comportamentale, di funzionamento, ecc. - attraverso il richiamo di ambienti o oggetti d'uso); 3) metonimiche o sineddochiche (cercano di rendere conto di un fenomeno descrivendone una parte o un aspetto); 4) iperboliche (alludono a un aspetto o un oggetto amplificandone la portata); 5) apotropaiche (riducono il nuovo a pratiche antiche); 6) archetipiche (si riconnettono a grandi miti o topoi appartenenti al patrimonio dell'umanità).
Se si adotta solo un punto di vista funzionale, tuttavia, si considera solo un aspetto molto parziale del processo metaforico e del suo lavoro all'interno dell'immaginario collettivo, e si viene meno al proposito di misurarne l'efficacia, ossia la capacità di introdurre nuovi punti di vista e nuove pratiche. Affiancherò dunque al criterio della funzionalità adattativa il criterio della forma semantica. Intendo per forma semantica la modalità di gestione del senso di un meccanismo metaforico, e il tipo di referenzialità che agisce al suo interno. Vorrei cercare di misurare la produttività delle metafore, la loro capacità di interpretare i nuovi strumenti e di suggerire nuovi significati e nuovi usi. L'obiettivo, anche se qui puramente abbozzato, sarà cercare di individuare, seguendo alcune metafore campione (una per ogni tipo), a quale livello (e se) esse esercitino questa virtù produttiva.
Va rilevato che spesso le metafore dell'uso comune riferibili a una nuova tecnologia sono riconducibili a molte delle categorie funzionali che si sono indicate. La metafora della biblioteca digitale, ad esempio, che è tra quelle scelte da Stefik, può rientrare, proprio per la sua vastità, in ciascuna di queste categorie. È infatti una catacresi compensatoria, giacché non esiste un concetto unitario che esprima l'aspetto della conservazione e dell'accessibilità ai documenti in rete; è modellizzante, perché si riferisce a un universo strutturato, gremito di personaggi e comportamenti specializzati; è sineddochica, perché sottolinea solo un aspetto delle reti, non necessariamente il più rilevante per tutti; è iperbolica, perché allude al mito della biblioteca universale; è apotropaica, perché riconnette Internet a uno degli emblemi della civiltà moderna, simbolo di stabilità e di razionalità; ed è infine archetipica, perché richiama, almeno a detta di Stefik, la figura del Custode del sapere. La stessa ampiezza funzionale può essere riconosciuta anche alle altre metafore di Stefik (la posta, il mercato, il mondo virtuale). Penso che la piena funzionalità di una metafora, ossia la rispondenza a tutte le funzioni descrittive e cognitive che si sono elencate, sia più che altro un indice del suo alto grado di adattività, e una delle spiegazioni del suo radicamento nell'immaginario collettivo. Bisogna comunque dare atto a Stefik di aver scelto metafore (o temi) di lungo corso, di là dalla loro riconducibilità ad antichi archetipi.45
Qui, invece, secondo l'impostazione di questo intervento, si preferisce non perdere di vista la materialità degli strumenti, la processualità concreta del testo digitale. Si cercherà quindi di restringere lo sguardo alle metafore che si riferiscono più da vicino agli oggetti, alle pratiche e agli ambienti specifici del mondo digitale, cercando di tenere connessi, per dirla con Flichy, «quadro di funzionamento» e «quadro d'uso».46
Come ho detto, dunque, ricorrerò anche a un'altra tipologia, per cercare di cogliere non solo il grado di adattività di una metafora, ma anche il suo grado di produttività semantica e pragmatica. La prospettiva secondo me più utile con cui guardare l'insieme delle metafore riferibili al mondo digitale è la concezione interattiva della metafora introdotta da Richards e Black,47 e non quella classica. Altrimenti saremmo costretti a dire che si tratta in generale di catacresi, e perderemmo di vista ancora una volta il contesto d'arrivo (o, per dirla con Black, la cornice), ossia il mondo digitale. La mia ipotesi è che in presenza di una tecnologia pervasiva si istituisca un interscambio metaforico tra oggetti nuovi e modi di descriverli che modifica tanto il campo emittente quanto il campo ricevente. In parte ciò avviene, come si è visto, in senso adattativo, e in parte in senso creativo, ossia con l'introduzione di significati e comportamenti nuovi tanto nell'universo che accoglie (e a partire dal quale si descrive) una nuova tecnologia, quanto nella nuova tecnologia stessa. Penso cioè che si istituisca un piano di contrattazione metaforica che permette al piano tecnico e al piano sociale di incontrarsi. Chiamo questo piano pragmasfera, perché implica un'interazione non solo concettuale, ma anche materiale. Implica cioè una pratica di «ostensioni multiple» (l'espressione è di Kuhn),48 ma anche l'uso degli oggetti, la mediazione tra gruppi, cose e concezioni. Inutile dire che ritengo che la dimensione "testuale" giochi, nella pragmasfera, una funzione decisiva. La metafora per altro, come è stato detto, è di per sé «un piccolo testo».49
Trovo anche utili, come mi è già capitato di osservare, le prospettive di Blumenberg e di Weinrich. Del primo non tanto l'idea delle metafore assolute, che sarebbe suggestivo ma pericoloso applicare al mondo metaforico in esame, ma l'impostazione tematica nella classificazione delle metafore. Del secondo il metodo semasiologico, per dir così, che rispetta le articolazioni interne di un campo metaforico.
Mi pare infatti importante prendere in considerazione l'estensione del campo metaforico emittente, ossia la ricorrenza di termini differenziati riconducibili a un medesimo universo concettuale.50 Da questo punto di vista tra i campi più estesi sono certamente quello delle pratiche di scrittura (con tutti gli oggetti ad esso legati), quello dell'ufficio, e ancora quello della biblioteca. La costante che mi sembra di ravvisare a questo proposito è che, più è ampio il campo metaforico in comune,51 e più l'arricchimento procede a ritroso dal campo ricevente al campo emittente. Per intenderci, a furia di usare termini bibliotecari per descrivere la rete, sono questi che cambiano di significato, e con essi cambia la biblioteca. Non affermo che le metafore sono la causa di questo cambiamento, ma che lo accompagnano e lo rendono possibile. La contropartita di tale flusso innovatore retrogrado è tendenzialmente, come si vedrà, la riduzione di alcune pratiche nuove del campo ricevente a un universo concettuale pre-esistente.
In base all'estensione del campo metaforico e alla modalità del trasferimento di significato si può costruire, in via provvisoria, la seguente tabella:
Schema 4 - Tipologia delle metafore in base al tipo di trasferimento semantico, all'estensione del campo metaforico, e alla condivisione degli elementi che ne fanno parte. |
Lo schema sintetizza la mia ipotesi, ossia che estensione del campo condiviso e modalità dell'interazione semantica decidano della direzione tendenziale dell'arricchimento di senso. La colonna di sinistra, contrassegnata da una metafora che si riferisce a oggetti o sistemi per somiglianza di funzioni, è caratterizzata dal fenomeno della retroazione del significato, che, come ho detto, è maggiore quanto più estese sono le ricorrenze di termini diversificati (ossia se è applicata non solo l'idea centrale di un campo metaforico, ma anche molti altri oggetti che ne fanno parte, anche indipendentemente). La colonna centrale, contrassegnata da una metafora che si riferisce a oggetti o sistemi nonostante la differenza (sostanziale) di funzione, è caratterizzata invece dal trasferimento di significato al campo ricevente. Chiamo queste metafore "metafore-civetta", in quanto dotate di forte potere evocativo e capaci di instaurare nuovi significati legati ad oggetti specifici (come appunto i browser, il mouse e le finestre). Il termine "navigare", ad esempio, fa parte di un campo metaforico molto ampio, ma di cui è applicata al mondo digitale solo l'idea centrale (non si sente parlare di remi e boccaporti, né tanto meno di porti, semmai di portali): si trasferisce così il significato della fluidità, del viaggio e dell'esplorazione, ma senza che la marineria, salvo errori, ne venga minimamente influenzata. La colonna di destra, contrassegnata da metafore tendenzialmente astratte, è a sua volta caratterizzata dal trasferimento di significato al campo ricevente. Chiamo queste metafore "metafore-spugna", perché grazie alla loro astrattezza sono in grado di convogliare e far convergere sull'oggetto nuovi significati. È una diversa modalità di trasferimento dei significati che interessa in particolare le metafore dlela colonna di destra. Il termine "rete", ad esempio, in quanto metafora-spugna, si porta con sé (e tende a trasferire nel mondo digitale) tutti i significati che il concetto acquisisce in altri contesti d'uso, che, nel caso, potrebbero essere, come si vedrà nei prossimi paragrafi, quelli delle scienze sociali, dell'urbanistica e delle neuroscienze.
3.1. La pragmasfera
Si attua così nella pragmasfera una vera e propria interazione di campi semantici differenti, o, come diceva Richards, una «transazione di contesti»,52 che costituisce un'interpretazione attiva, in fieri, delle nuove tecnologie e del loro uso, ma anche un rimodellamemto del linguaggio e delle nozioni di uso comune. Tutte queste modalità metaforiche, quindi, non sono solo un sintomo di ciò che siamo portati a pensare, ma anche un intervento sul nostro modo di pensare, di significare, e di agire. Anche Stefik afferma che «le metafore, orientando la nostra immaginazione nei riguardi di una nuova invenzione, influenzano ciò che potrà essere prima ancora che esista».53 Tuttavia credo che tale interazione vada compresa più pienamente nel suo aspetto bidirezionale e non deterministico. La pragmasfera è un luogo di contrattazione e di sperimentazione. Ma se la cultura umana ha sempre avuto come fattore costitutivo uno spazio di interazione tra persone, comunità, linguaggi, tecniche e oggetti, la pragmasfera è contraddistinta dalla presenza della tecnologia come contesto dell'interazione umana, e non solo come uno degli elementi in essa implicati.
3.2. Riduzione ed espansione
Più una tecnologia, o un insieme di tecnologie, è pervasivo e determinante per il mondo umano, più è accompagnato e descritto da numerose metafore. Come risulta da un rapido esame del grado di adattività di alcune di esse, la maggior parte delle metafore che accompagnano lo sviluppo del mondo digitale, e probabilmente, in generale, ogni profonda innovazione tecnologica, sembrano avere in primo luogo il compito di ridurne la novità dirompente e di ricondurre alcuni suoi caratteri a un universo già conosciuto. Questa esigenza di riduzione a un orizzonte cognitivo preesistente contraddistingue, come ha mostrato Flichy,54 la prima fase di svluppo di ogni nuova tecnologia. Indubbiamente è anche una necessità del mercato, e i produttori di programmi e di macchine cercano di conquistare i consumatori con un'offerta di prodotti riconoscibili, che dichiarino la propria novità ma al tempo stesso si richiamino a un universo controllabile. Esclusa una rosa di neologismi anglofoni (come cyberspace55 e derivati), i termini e i simboli di internet e di altre risorse informatiche hanno fatto riferimento a lungo, dietro a un reiterato richiamo alla fluidità e ai campi semantici del viaggiare o del navigare, ad attività e oggetti collaudati e familiari. Basti pensare al termine "pagina", ancora oggi universalmente usato in rete, o a certe icone di penne stilografiche di cui si sono fregiati a lungo alcuni programmi concorrenti di scrittura digitale, come WordPerfect e Microsoft Word. Solo alla fine degli anni Novanta qualche produttore ed esperto di marketing ha cominciato a battersi per un'inversione di tendenza,56 e si è avvertita in generale un'esigenza di riferimenti nuovi, nonostante il conservatorismo ormai proverbiale degli stessi utilizzatori di Internet.57 Le stesse "metafore-civetta" che evocano ambienti fluidi, come quella del navigare, hanno spinto i progettisti a sperimentare davvero nuove interfacce dinamiche e liquide, da «Aqua» alle animazioni «Flash», che inducono a riflettere su modalità di archiviazione e accesso ai dati diverse dal modello "scaffale" o "scrivania" a cui siamo abituati. Le metafore, in tal modo, generano altre metafore. È questo un esempio ulteriore della produttività delle metafore caratterizzate dalla differenza di funzione, e una conferma del fatto che il loro impiego induce o stimola, in modo diretto o indiretto, un trasferimento di significato al campo ricevente.58
In ogni caso la dialettica tra riduzione ed espansione non sembra riguardare solo una questione di psicologia del consumatore, o un semplice bisogno di innovazione lessicale: la diffusione di parole e simboli sospesi tra il vecchio e il nuovo diviene anche un veicolo fondamentale del dibattito culturale e dello scontro sul senso e sulla destinazione delle nuove tecnologie. Da una parte, come è avvenuto per il libro e la stampa, denominare vuol dire sperimentare una possibile identificazione degli oggetti, attraverso la selezione e l'amplificazione di alcune loro componenti, o l'aggancio a determinati retaggi; dall'altra sembra coinvolgere direttamente il nostro modo di sentire, di percepire e di pensare, e, in particolare, di concepire certe categorie fondamentali della nostra autoconsapevolezza sociale, come il concetto stesso di conoscenza, o il nostro modo di aver coscienza di noi e dei nostri simili, e della nostra stessa identità.
Se la maggioranza delle metafore secondarie sono limitative e passatiste,59 e tendono a ricondurre il mondo digitale all'orizzonte della scrittura tradizionale, alcune metafore fondamentali, come il concetto stesso di "rete", mantengono già originariamente una notevole complessità critica nel descrivere una compenetrazione di vecchie e nuove tecnologie. Nel caso di "rete" ciò si deve in primo luogo all'appartenenza del concetto a molteplici campi semantici, e in secondo luogo alla sua storia e costituzione teorica. Già parecchi anni fa il matematico Pierre Rosenstiehl, in un tentativo unificatore di trattazione topologica del concetto di "rete",61 affermava che la nostra epoca sarà fortemente segnata dal «fenomeno rete», e aggiungeva che «come ogni fenomeno morfologico profondo, a carattere universale, il fenomeno rete appartiene non soltanto alla scienza ma anche alla vita sociale».61 E che si tratti di un «fenomeno morfologico profondo» è testimoniato proprio dalle scienze sociali, che intorno a tale concetto, da qualche decennio, vanno costruendo la propria teoria e la propria prassi.
"Rete" è una "metafora-spugna", ovvero un termine dotato in realtà di grande capacità d'astrazione descrittiva e di bassa connotazione metaforica (si avvicina a termini come triangolo o cerchio), e tende a caricarsi delle valenze metaforiche acquisite nel contesto d'uso. In altre parole, nel caso di "rete" siamo in presenza di un particolare tipo di catacresi (ossia di cristallizzazione di una metafora): una catacresi attiva, si potrebbe dire, in cui da una parte la metafora si trasforma in antonomasia (per cui la rete finisce per essere, ed essere soltanto, internet), e dove, dall'altra, la banalità d'uso nasconde un mutamento di significati ancora in corso. Il concetto, così, tende a divenire esso stesso luogo di scontro di modelli culturali, influenzati dall'uso teorico che se ne è fatto anche prima che la rete esistesse. Diversi ambiti disciplinari si sono occupati precocemente e in modo significativo del concetto di rete, anche se non va trascurato che esso ha molti legami con diversi aspetti dell'immaginario, del lavoro, della prassi quotidiana e della memoria collettiva: dalla pesca62 ai campi di concentramento. Tre in particolare sono gli ambiti disciplinari che ci interessano qui: l'epistemologia, le neuroscienze, e l'urbanistica. Ognuna di queste aree disciplinari ha esercitato sul concetto un'attrazione metaforica di ritorno, un feed-back metaforico, che ci spinge a pensare la rete attraverso una serie di connotazioni, appunto, enciclopediche, neurali e urbanistiche. Ma la metafora-spugna della rete permette di notare che è proprio in base alla trasformazione semantica dei termini più comuni che si misura il cambiamento, e non tanto nell'introduzione di nuovi termini. Un esempio è proprio la già citata metafora della pagina: il suo uso generalizzato in rete alla fine non si risolve in un'ipoteca passatista sulle neotecnologie, bensì in una messa in discussione del nostro concetto di pagina. E così avviene per altri concetti di grande peso concettuale e pratico, ma banalizzati dalla consuetudine, come testo, autore, scrittura, lettura. Intorno a essi, al loro contenuto semantico, evocativo, metaforico, si svolge la battaglia silenziosa del cambiamento.
3.3. Enciclopedia, cervello, città
Sarebbe assai interessante esaminare comparativamente la storia della metafora della rete all'interno delle tre discipline che si sono menzionate, l'epistemologia, le neuroscienze, e l'urbanistica, non solo perché a mio parere ognuno di questi campi ha una particolare attinenza con lo sviluppo e la costruzione del nuovo "ambiente culturale" delle reti telematiche, ma anche per altre ragioni di complessità interna e di intersezione tematica. Innanzitutto sono tre campi dove in modo esemplare, anche se in modo differente, ha luogo un confronto diretto tra idee, modelli, pratiche sociali e oggetti: quella modalità di interazione ibrida che abbiamo caratterizzato come pragmasfera. Ciò vale per l'epistemologia, che, come hanno mostrato, tra gli altri, studiosi diversi come Leroi-Gourhan, Ludwig Fleck e Bruno Latour, può trovare il suo terreno d'indagine solo nell'intersecarsi delle aspettative di una data società e dei suoi stili di pensiero con gli usi degli oggetti e delle tecnologie. Ma vale anche per le neuroscienze, che elaborano i propri modelli esplicativi a stretto contatto con la chimica, la fisica e la fisiologia dei neuroni, e toccano di continuo i problemi fondamentali della filosofia. E vale infine per l'urbanistica che vorrebbe progettare e costruire gli spazi del vivere collettivo.
Credo che la metaforologia sia particolarmente efficace in queste zone ibride, tipiche della pragmasfera. Ci sarebbe modo - portando per così dire la tematologia dentro alla storia delle scienze - di indagare campi metaforici che sono anche snodi teorici e campi concettuali, e riguardano l'evolversi non solo delle nostre idee di coscienza, di conoscenza e di memoria, ma anche di coabitazione. Un intreccio di temi e di metafore - in una zona di confine tra idee, persone e cose - che contribuirebbe forse a illuminare le basi concrete di quelle «forme dell'abitare» "post-moderne" care ad Alberto Abruzzese.63
Qui non potrò fare altro che prendere da quelle aree disciplinari e da quelle "reti" tematiche qualche spunto utile al nostro discorso, che, ricordo, vuole dedicare un'attenzione particolare alle morfologie.
3.3.1. Prendo spunto, per cominciare, dall'urbanistica, per il legame diretto che essa indaga tra oggetti e spazio, addensamento ed estensione, che mi pare fondamentale per un approccio alle modalità memorative, configurative e comunicative del mondo digitale. Mi pare che la prima rete, in questo campo, sia la città stessa. L'antropologo Marc Augé afferma che mai come oggi è difficile rappresentarsi la città, poiché la crisi urbana è insieme crisi della rappresentazione urbana e anche crisi «delle rappresentazioni della contemporaneità».64 Ma proprio per questo mi pare che la metafora della città prevenga da ogni faciloneria nel rappresentarsi qualsiasi tipo di rete che abbia un fondamento nel reale, come la rete digitale, e non sia mero esercizio di astrazione. Di solito i matematici e i logici amano descrivere la rete, e da ultimo gli ipertesti, in termini di teoria dei grafi.65 Certamente i modelli che ne derivano hanno un certo fascino, ma sembrano appiattire le relazioni a questioni di mera struttura (nodi e spigoli) e di orientamento (archi). Malgrado la ricca differenziazione matematico-topologica, mi sembra che in una applicazione di grafi sfuggano molti fattori, come ad esempio quello temporale, e, addirittura, alcuni tipi di articolazioni di strutture, che presentano strozzature non stocastiche, ma "comandate".66 Inoltre (e soprattutto), non viene presa in considerazione la corporeità dell'oggetto, cioè quel rincorrersi di forma e funzione che produce, nella rete e negli ipertesti reali, residui e dismorfie. Né si può valutare adeguatamente, in un grafo,67 una serie di elementi connotativi e semantici che, di fatto, curvano lo spazio di un ipertesto.68 In realtà è sempre stato presente, negli intenti e nei progetti degli operatori del web, il desiderio di dare conto di questa corporeità, di mapparla in qualche modo, proprio in senso geografico-visuale.69 E, d'altra parte, è sempre stato presente anche il tentativo di rendere espliciti certi fattori connotativi, come si vede, ad esempio, nell'uso di metafore riconducibili alla «casa» e all'«abitare» (Home page), dove si producono effetti volti a stabilire unicità, identità e intimità. Appare chiaro che, se si vuol dire qualcosa sulla natura, sullo stile, sul funzionamento o sul "genere" di un ipertesto bisogna ricorrere a una serie di strumenti integrati, che si sforzino di tenere aperta la connessione tra morfologia e metaforologia.
[...]
4.0. Riflessioni conclusive
Mi sembra di poter dire che la peculiarità del mondo digitale, evidente tanto a livello morfologico quanto a livello metaforologico, è la sua appartenenza a un dominio semantico. Voglio dire che sue caratteristiche sono l'etero-referenzialità (o intenzionalità, nel senso husserliano di un linguaggio che esce da se stesso) e la discorsività. Può sembrare stridente sostenere che il mondo del discreto, del binario e delle codifiche è in realtà il regno della testualità, del simbolico, e della configurazione di intenzionalità. Ma equivale ad accettare la rete come cultura, come uno dei più importanti luoghi della cultura umana. Ciò è difficile, e lo sarà forse per lungo tempo, ma certamente pensare la rete come un mondo "a parte", come un recinto autoreferenziale, come un territorio al tempo stesso della logica e della spazzatura non è un'alternativa efficace. Emile Benveniste, una quarantina di anni fa, poneva la distinzione tra semiotico e semantico,70 mostrando come quest'ultimo sia il dominio della lingua in azione, del particolare, dell'intenzionalità dei locutori, del referente, del «qui-ora», del contesto, del discorso. Credo che si possano comprendere a fondo le potenzialità del digitale accostandovisi con lo spirito della "semantica", più che della "semiotica". In fondo l'aspirazione a un «web semantico» non tradirebbe se stessa se fosse orientata più verso il piano del discorso che verso quello della lingua.
Ancora più radicalmente (e molti anni prima di Benveniste) Michail Bachtin71 aveva elaborato una teoria del linguaggio che poneva l'enunciazione, delimitata dall'alternanza dei parlanti, come unità concreta di analisi del senso (piuttosto che la parola o la frase, già troppo astratte); da queste riflessioni si può trarre il suggerimento di tenere nella più grande considerazione l'intersoggettività della rete, il suo funzionamento come dialogo di istanze discorsive. Ma si può citare anche Ricoeur, per avere, proprio parlando di metafora, messo l'accento sul carattere verbale e non nominativo di un linguaggio che si fa discorso.72 In altre parole la rete non è un mondo di codici, di rapporti logici, ma un mondo pragmatico, connotativo, storico. La rete, in effetti, può essere vista come la materializzazione di ciò che nell'ultimo mezzo secolo si è capito del linguaggio. Siamo oltre la frammentazione del moderno, perché ci troviamo in un'epoca in cui nuovamente l'attenzione si è spostata sull'inizio dei testi, mentre, come ricordava Lotman,73 il moderno concepiva testi con l'enfasi sulla fine. Di là dalla riaffermazione della natura "chiusa" del testo a stampa, questo fattore comporta un diverso rapporto con la memoria. La memoria tardo-moderna in fondo è intimamente spezzata, attinge a testi "congelati" e classificati, e resi perciò frammentari e lontani dietro la loro apparente uniformità. La cultura moderna richiede quindi un continuo esercizio di interpretazione e di ri-testualizzazione. La testualità digitale invece "fonda" i testi, dà loro nuovo inizio. Da quanto abbiamo visto, tuttavia, essa non è inglobante e attualizzante come la testualità della cultura manoscritta, per due ragioni: si pone in un rapporto simulatorio, e non sostitutivo, con la testualità pregressa; possiede nel proprio intimo funzionamento gli strumenti per descrivere e per mostrare la distanza. Sarà preservata e utilizzata questa sua potenzialità? O sarà gradualmente annullata? Siamo in una fase in cui le strade sono aperte. Per ora non mi sembra, in ogni caso, che ci siano elementi per asserire che l'umanità si trova alle soglie di una «civiltà audio-visiva» o neo-orale. L'inclusione semantica del paratesto nel testo, di cui si parlava all'inizio, mi sembra l'indizio di una diversa tendenza. Si tratta di un paratesto che aderisce all'opera individuale, e non diviene un sistema univoco di presentazione del testo. Lo fa agire, piuttosto, secondo la sua necessità interna, progettuale. Quindi è, per così dire, un intensificatore della testualità, ma anche uno strumento che favorisce il riconoscimento individuale dell'opera. Ne potenzia lo spessore incorniciante e l'individualità incorniciata. Si tratta di una nuova entità di senso, e sarà agita, consumata e conservata, probabilmente, in nuovi modi, che saranno messi a punto nella pragmasfera.
Come ho detto, si è costituita una pragmasfera, dove i codici sono discorsi, quindi sono costitutivamente contrattabili, negoziabili. Ma si verifica nella rete un fenomeno forse ancor più interessante: se nel digitale i paradigmi entrano nel discorso, che è il dominio del sintagmatico, si verifica la sorprendente condizione di una comunicazione e di una forma di memoria basate su una sintagmatica di paradigmi.74 Ed essi dichiarano la propria storicità. Forse nemmeno la biologia era arrivata a tanto.
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 1999-2000
<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/1999-ii/Pellizzi.html>
Dicembre 1999, n. 2