Federico Pellizzi
Per una critica del link

 

Torna all'indice completo del numero Togli testata



0. Introduzione
In questo intervento vorrei occuparmi del link da due punti di vista apparentemente molto distanti, ma che a mio parere vanno tenuti insieme. Vorrei tentare da un lato una morfologia del link, e dall'altro, sia pur per sommi capi, una metaforologia del link. Sono due livelli diversi di indagine, che riguardano il link rispettivamente sul piano del suo contesto funzionale e materiale, e sul piano della sua collocazione nell'immaginario collettivo.
Per quanto riguarda il primo punto cercherò di isolare i principali tipi di link.1 Non credo che siano in numero illimitato, ma che siano riconducibili a un numero ristretto di funzioni. D'altra parte credo che la nozione corrente di link sia piuttosto angusta, e che vada ricompresa nel quadro allargato della testualità digitale nel suo complesso: per link qui si intende ogni connessione del testo a un possibile processo. Per classificare i link seguirò un metodo vagamente proppiano, anche se in realtà i riferimenti diretti alle tipologie di Propp2 saranno quasi assenti. Per riflettere sull'organizzazione narrativa dei link e sul ruolo del lettore farò qualche riferimento sotterraneo a Greimas.3 Cercherò poi di individuare, anche in base alla distribuzione e all'uso di queste funzioni, alcuni modelli prevalenti di interfaccia.
Per quanto riguarda le metafore, credo che quelle più diffuse, in particolare quelle che sono state usate (non senza qualche investimento ideologico) per descrivere in senso ampio la connettività digitale (viarie, nautiche, bibliotecarie, ecc.), abbiano avuto la funzione di ridurre il fenomeno e di ricondurlo al già noto, e alla fine abbiano comportato un ritardo nella comprensione dei caratteri più innovativi della testualità digitale. Al contrario altre metafore più banali, a partire dalla metafora centrale della "rete", fino a quella della "finestra", hanno espresso in tutta la sua multiformità alcuni caratteri, anche contraddittori, del mutamento culturale in corso. Altre ancora, come la metafora della "pagina", usate solitamente per ragioni di comodità e in modo del tutto disimpegnato, sono state quasi lo specchio di un mutamento di percezione. E forse proprio osservando come alcune nozioni di uso comune, quali "memoria", "testo", "scrittura", "identità", anche attraverso processi metaforici, cambino di significato e si possano caricare di nuovi interrogativi, si riesce a intravedere l'ampiezza e la natura della trasformazione culturale e antropologica che si è avviata.

1.0 Morfologia
Il mio tentativo di analizzare le connessioni operative del testo digitale e di individuare le funzioni a cui possono essere ricondotte richiede non solo un allargamento della nozione di link,4 ma anche lo sforzo di pensare in modo più ampio la nozione stessa di testualità. Non si propone di abolire il confine tra testi differenti, o di auspicarne la frammentazione, come alcune teorie dell'ipertesto tendono a fare, bensì di includere nella testualità aspetti che correntemente ne vengono esclusi, o sono confinati nella categoria del «paratesto». In altre parole propongo di includere nel quadro anche la cornice. Non la cornice fisica (il monitor, il computer), ma tutti quegli elementi d'interfaccia che rendono possibile la fruizione del testo digitale.
Anche se non privo di conseguenze teoriche importanti, sulle quali torneremo, questo allargamento non è compiuto per negare una differenza funzionale e sostanziale tra cornici e testi, ma per mettere in luce un carattere che solo la testualità digitale possiede realmente, ossia la possibilità di connettere dinamicamente differenti strati del testo.5 Il testo digitale connette, cioè, non solo le parti che lo costituiscono tra loro, ma anche ogni sua parte alle cornici che lo includono, le cornici tra loro, e ogni sua parte alle funzioni disponibili. Connette e si connette, soprattutto, a un fare e a una possibilità di fare. La testualità digitale è costitutivamente processuale, non solo quando si scrive, ma anche quando si legge, si consulta, si cerca, si scarica, si naviga, si lanciano applicazioni, e insomma quando ci si muove al suo interno. Se si tiene presente questa multidimensionalità della testualità digitale risultano più chiare anche le ragioni di un allargamento della nozione di link. La testualità digitale si realizza attraverso la possibilità di collegare, ma in senso molto più ampio di come si intende di solito. Il collegamento ipertestuale tra un documento e un altro, o tra porzioni di documenti, non è che un tipo di legame, già di per sé molto complesso. In realtà ciò che risulta fondamentale per una definizione di testualità digitale è la trama dei collegamenti, molto più fitti e funzionalmente differenziati, di elementi testuali con possibili processi. Bisogna quindi cominciare a pensare alla testualità come a una relazione tra possibili azioni, e non più soltanto come trama di significati e di significanti. Non solo, ma bisogna anche considerare che la manifestazione concreta di tali relazioni, il materializzarsi di quelle funzioni nel testo in forma di dispositivi visibili, è parte integrante, e non accessoria, della nuova testualità.

1.1 Teoria dei link
Raramente si è posta l'attenzione in modo rigoroso sull'insieme di questi fenomeni, proprio per la loro natura ibrida. Gli arredi del testo digitale sono stati presi in considerazione da molti punti di vista (dall'usabilità al design, passando per le innumerevoli poetiche del link), ma sempre in modo eterogeneo e frammentario. In generale è stata privilegiata la fenomenologia della iper-lettura, a scapito dell'osservazione unitaria del modello testuale - perché di questo si tratta - che andava creandosi.6 Inoltre la maggior parte degli studiosi prende in considerazione, come si è detto, solo un tipo di link, ossia il collegamento «tra un nodo e un altro nodo», mentre io credo che tutte le operazioni effettuabili in ambiente digitale siano ipertestuali, e che trascurarle (o relegarle in ambito tecnico o extra-testuale) comporti sostanzialmente l'incomprensione del fenomeno della testualità digitale. Credo che esaminare la morfologia del testo digitale dal punto di vista dei processi che possono essere messi in atto introduca un criterio unitario in grado non solo di rendere conto della natura insieme rappresentativa, simbolica e operativa dei link in senso esteso, e di fornire una teoria coerente del loro funzionamento, ma anche di porre le basi per una nuova teoria della testualità tout court.
I testi di riferimento del futuro presumibilmente saranno digitali, e saranno quindi immersi nella rete. Ciò tuttavia impone un modo diverso di pensare la testualità, non di abolirla. Se è necessario pensare la testualità in modo fluido, ciò non significa affatto che non sarà garantita una relativa stabilità a testi riconoscibili, unitari, e, in definitiva, ancora più profondamente autoriali. Ciò che cambierà radicalmente, oltre al modo di funzionamento interno del testo, è il suo uso. Il testo digitale è un processo, e ci spinge a pensare anche a una nozione diversa di segno: non qualcosa di rappresentativo, bensì di pragmatico, non un segno che sta per qualcosa, ma che fa qualcosa. Per questo motivo bisogna prendere sul serio i molteplici dispositivi dell'ipertesto, nelle loro manifestazioni materiali (i link in senso ampio), e non considerarli un semplice corredo, o di un testo pensato comunque attraverso le categorie tradizionali, o di un fluire comunicativo ormai inconciliabile con ogni delimitazione testuale.
Il modello testuale della modernità tipografica ci sembra inadeguato, ma si sta costruendo ora un altro modello. Non sono tanto gli standard formali7 creati per poter descrivere e differenziare molteplici tipologie di testi digitali a mostrarlo, quanto la pratica stessa di rete, l'uso, lo scambio e la condivisione di oggetti che in sostanza possono essere considerati testi viventi. Se la strategia conoscitiva e discorsiva del modello tipografico sembrava la distinzione tra discipline, saperi, arti e regimi di senso, la strategia del modello digitale sembra la connessione, non solo tra discipline, saperi, arti e regimi, ma tra pratiche simboliche differenziate, tra istituzioni e persone. Anche lettura e scrittura sono messe più strettamente in relazione, e tuttavia non sono confuse. Sono entrambe potenziate, e comunicanti, ma autonome. L'istituzione di un piano materiale di correlazione tra tutti questi mondi, tuttavia, crea un potenziale enorme, che sarebbe inattingibile senza nuovi strumenti di gestione delle unità di senso. I link, nel significato ampliato che qui propongo, sono questi strumenti. Si tratta in fondo di dispositivi neotestuali che permettono la fruizione unitaria, sul piano temporale e spaziale, di processi che altrimenti travolgerebbero la percezione. Essi consentono di testualizzare processi e di fare agire testi. Sono, in un certo senso, i cani pastore della testualità digitale.

1.2 Pragmemi
Ciò che possiamo fare col testo e al testo a partire dal testo stesso in un ambiente digitale è molto complesso e differenziato. Tuttavia il numero delle possibili azioni che si possono compiere, come ho già detto, è limitato. Mi sembra che le azioni possibili siano riconducibili a sette funzioni, che chiamerò pragmemi, comuni a ogni interfaccia e a ogni ambiente digitale. Di solito i pragmemi, per poter svolgere la loro funzione, devono avere un punto di attivazione, che li rappresenti, li descriva e al tempo stesso li renda operativi. Il modo più comune di costituire tale punto di attivazione, dopo l'avvento delle interfacce grafiche, è, come noto, l'inserimento di icone, di bottoni, o di stringhe attivabili attraverso l'uso del mouse.
Molto spesso i pragmemi sono riuniti a grappoli, o concatenati tra loro: se si agisce sul punto di attivazione, rappresentato da bottoni o icone, o anche inserendo le istruzioni da tastiera, si possono compiere più azioni contemporaneamente, o dare luogo a una serie di processi in successione. Ciò non toglie che possiamo individuare i pragmemi nella loro singolarità e distinguerli nella loro funzionalità essenziale. I principali tipi di pragmemi, indicati qui con i termini più comunemente usati per designare le possibili azioni ipertestuali, sono:

  1. avvio (accesso, apertura, lancio, caricamento, entrata);
  2. collegamento (passaggio, focalizzazione, specificazione, inclusione, esclusione, compresenza);
  3. determinazione spaziale e temporale (disposizione, dimensionamento, ordine di successione, durata, frequenza);
  4. scelta di opzioni (metapragmemi8);
  5. interrogazione (invio e recupero di dati, scambi client-server, login-logout);
  6. bricolage (inserimento, correzione, spostamento, copia e incolla, ecc.);
  7. uscita (chiusura, sospensione).

Come vedremo in seguito, il modo in cui i pragmemi sono disposti in un singolo manufatto digitale ci dice molto sui criteri che hanno presieduto alla sua realizzazione, e sul suo funzionamento. Diverse combinazioni di pragmemi possono dare luogo a diversi "generi" ipertestuali,9 perché la loro qualità, quantità, varietà e disposizione determinano la fisionomia generale del testo: ne definiscono la destinazione, l'estetica e la funzionalità. La loro presenza è costitutiva del testo digitale, e contribuisce a determinarne la natura. Prima di esaminare alcuni esempi paradigmatici, occorre descrivere però più dettagliatamente i singoli pragmemi. Ciò che permette di individuarli, distinguendoli in modo chiaro dal magma processuale automatico di ogni ambiente digitale, è innanzitutto la loro dipendenza da una scelta. Occorre cioè un lettore che li attivi volontariamente. Essi hanno carattere responsivo. Questa dipendenza da una scelta pone anche, secondo me, il discrimine tra ciò che in un ambiente digitale è testuale e ciò che non lo è. L'ingaggio materiale del lettore, che quindi diviene una sorta di attante dell'evento testuale, tende a sdoppiarsi col crescere della complessità testuale. La testualità digitale prevede infatti, nella sua forma compiuta, una duplice presenza fisica del lettore, a livello, si potrebbe dire, narrativo e meta-narrativo. Cursore e puntatore sono la migliore esemplificazione di questa doppia partecipazione, che pure si palesa in molte altre manifestazioni come rapporto costitutivo tra cornice ed elemento incorniciato.
Il grado di coinvolgimento del lettore determina anche la distinzione tra pragmemi strutturali (a, b, g) e pragmemi interattivi (c, d, e, f), per una serie di ragioni che saranno chiarite strada facendo.
Va detto anche che ogni pragmema poggia su una rete di metafore, che costituiscono il filtro imprescindibile per la sua percettibilità e distinguibilità. Per questo motivo preferisco, quando possibile, designare i pragmemi e le loro articolazioni con termini dell'uso comune. Questo ricorso alle metafore è coerente con la logica della programmazione orientata agli oggetti ed è il primo gradino della simulazione, il primo legame, costitutivo, del digitale con l'analogico, del computer con il mondo. Ma di questo aspetto, che costituisce uno dei punti di contatto tra piano morfologico e piano metaforologico, avremo modo di parlare in seguito.

a) Avvio (accesso, apertura, lancio, caricamento, entrata).
Si tratta della più elementare operazione - e della prima, in ordine logico - che si compie in un ambiente digitale. Per poter fare qualunque cosa è necessario far eseguire al computer una serie di istruzioni. Trascurando la maggior parte di queste operazioni, che avvengono automaticamente per permettere a una rete o a un singolo computer di funzionare, è, come si è detto, dal momento in cui è necessaria la volontà del lettore (del cibernauta) che il pragmema dell'avvio prende corpo. La scelta del cibernauta si pone tra uno "stato stabile" e un processo che può essere attivato solo volontariamente. Il pragmema dell'avvio si manifesta nel punto di attivazione che il cibernauta sollecita al fine di eseguire quel processo. Tutti gli altri pragmemi in realtà presuppongono o implicano direttamente o indirettamente il pragmema dell'avvio. Per meglio dire, ogni pragmema comporta la scelta dell'avvio - o, mi si permetta qui un gioco di parole, l'avvio di una scelta. Ciò, come si è detto, distingue in ogni ambiente digitale il testuale dal non-testuale: il testo digitale comincia dove si chiede l'intervento del lettore. L'avvio è uno dei confini spazio-temporali della testualità digitale. Perciò non è arbitraria la connessione metaforica dell'avvio con l'accesso e con l'entrata: avviare una "sessione testuale" significa entrare in un processo.10
L'avvio è la soglia di un'esperienza testuale, ma anche uno degli elementi che delimitano un testo digitale nella sua unitarietà di base, nel suo fulcro generativo.
I pragmemi dell'avvio affollano le interfacce grafiche dei sistemi operativi (la famosa scrivania del Mac, il desktop di Windows). Ogni icona nasconde un pragmema dell'avvio, qualunque sia l'oggetto che essa rappresenta. Sull'interfaccia di un sistema operativo le icone possono alludere a oggetti eterogenei, sostanzialmente di tre tipi: programmi (le cosiddette «applicazioni»), documenti (testi, immagini, animazioni, filmati, musiche, ecc.), e luoghi (logici o virtuali). In ogni caso la loro funzione primaria è quella di aprire, entrare, avviare. Quasi sempre i pragmemi dell'avvio sono portatori di altri pragmemi (dell'avvio o di altri tipi). Ad esempio un'icona che allude a un documento avrà una duplice funzione di avvio: aprirà il documento lanciando (avviando) il programma che lo può gestire. Tutti i pragmemi presuppongono o incorporano il pragmema dell'avvio, così come ogni atto linguistico realizza innanzitutto l'atto del parlare.11
Alcuni pragmemi però non solo presuppongono l'avvio, ma comportano altri avvii ulteriori e l'intreccio a catena con altri pragmemi. Ossia possono essere attivati e compiersi nella loro specifica funzionalità solo aprendo contemporaneamente programmi o processi che ne permettano l'esecuzione. Per fare un esempio, in un documento Word può esserci un cosiddetto "collegamento ipertestuale" (poniamo una parola attiva che conduce a un altro documento), e cioè propriamente un pragmema di collegamento (b). È possibile sollecitare volontariamente il punto di attivazione di questo pragmema, che, poniamo, punta a un documento distribuito in rete. In questo caso con un solo atto si avvia (pragmema a) un browser adatto a dialogare in rete (pragmema e) e ottenere il documento voluto (pragmema b). Benché la procedura sia automatica, in questo caso è ovvio che le tre funzioni si esplicano in un solo atto testuale volontario, e il pragmema (b) di collegamento si fa portatore di un pragmema (a) di avvio e di un pragmema (e) di interrogazione.

b) Collegamento (passaggio, focalizzazione, specificazione, inclusione, esclusione, compresenza);
Si tratta del principe dei legami ipertestuali, ossia ciò che si intende generalmente con la parola link: mitico dispositivo che incorpora la funzione di richiamare sullo schermo un altro documento o una specifica porzione di documento. Le modalità e i criteri con i quali e per i quali si collegano due documenti (o due brani, due parole, due oggetti) sono infiniti. Cercare di renderne conto in astratto equivarrebbe a tentare una grammatica del pensiero e del pensabile. La natura di un collegamento è dipendente da molti fattori estrinseci: dalla volontà autoriale, dal genere, dal contesto, dal caso e anche da elementi materiali, tecnologici, spaziali o temporali. Si possono tentare, come è stato fatto molte volte, classificazioni dei collegamenti che si rifanno a griglie retoriche o a teorie dell'intertestualità.12 Per non perdere di vista la funzionalità dell'ipertesto, tuttavia, credo che si debba partire da un'osservazione più elementare delle azioni concrete che un collegamento comporta. Ad esempio si può subito notare che ogni pragmema (b) di collegamento comporta anche un pragmema (c) di determinazione spaziale. Ossia comporta che il documento richiamato compaia in una particolare posizione rispetto al documento di origine.13 Non solo, implica anche un ordine di successione ed eventualmente una durata.14 Come si è già detto, comprendere come i pragmemi si concatenano tra loro aiuta a mettere a fuoco il funzionamento materiale, ergonomico-narrativo,15 della testualità digitale. Come si vedrà, trovare sequenze ricorrenti non solo mette in luce l'intrinseca, per così dire, narratività spaziale dell'ipertesto, ma anche aiuta a differenziarne le tipologie, i generi.
Ai nostri fini, quindi, occorre tenere presente innanzitutto il livello funzionale e morfologico indipendentemente dalle motivazioni teoriche, retoriche, pragmatiche, estetiche o psicologiche che inducono ad accostare due testi. In altre parole è utile distinguere metodologicamente il livello pragmemico dal livello intertestuale. Non perdendo di vista la concreta funzionalità del testo digitale, ossia le possibili azioni che il testo realmente permette, sarà poi più produttivo confrontare i due piani vedendo come possono integrarsi reciprocamente. Sono convinto, comunque, che, così come non si deve trascurare il livello materiale e funzionale, si debba andare anche oltre il livello delle relazioni logico-semantiche e retoriche, accedendo a quello dei modelli discorsivi, dei paradigmi epistemici, dei mondi semiotici che intervengono nella costituzione dell'ipertestualità.
In una prospettiva pragmemica si tratta innanzitutto di individuare fenomenologicamente le funzioni che legano un elemento materiale del testo a un'azione, e di analizzare le forme che quest'ultima assume e gli effetti fisico-percettivi che essa provoca. Il pragmema (b) svolge una funzione di collegamento, ossia stabilisce dei legami tra documenti mediante "ancore".16 Svolge quindi un'azione testuale di tipo particolare, strutturando un insieme di relazioni e gerarchie in senso architettonico. Come è stato rilevato da molti studiosi, a partire da Jeffrey Conklin17 e David Bolter,18 tali relazioni interessano due livelli, uno visivo e uno logico, uno di superficie e uno profondo. In altre parole i collegamenti agiscono sia sullo spazio rappresentativo dello schermo, sia ad un livello soggiacente, non immediatamente visibile e difficilmente rappresentabile. Qui essi costituiscono l'architettura memorizzata dei nodi e dei collegamenti, ossia la base generativa di ogni sessione testuale.
Questa doppia articolazione crea un nuovo tipo di testo, dotato di una dimensione architettonica in grado di testualizzare e articolare processi. Nel nuovo spazio semantico che si apre tra superficie e profondità della scrittura, il pragmema (b) svolge una funzione essenziale, perché dà forma e struttura alle relazioni possibili. Già in questo spazio è messo in discussione «l'ordine dei libri che fu quello degli uomini e delle donne d'Occidente dai primi secoli dell'era cristiana».19 O si può anche dire, più alla radice, che è messo in discussione l'ordine delle cose stesse: la scrittura e la testualità sono in fondo la storia dei modi del mettere in relazione oggetti culturali. È in gioco la configurazione dei collegamenti, che è qualcosa di più e qualcosa di meno di una metafora della configurazione del sapere. Di più, perché l'ipertestualità è innanzitutto un dispositivo sperimentale che consente di accostare concretamente oggetti (anche se nella loro simulazione digitale); inoltre è un dispositivo per la generazione di metafore, come anche Anis ha evidenziato;20 quindi è, in un certo senso, configurazione del sapere in atto. Di meno, perché agisce in primo luogo «in prossimità», come ha sostenuto Lévy,21 ossia sulla disposizione di elementi materiali contigui, e quindi funziona solo in catene logico-numeriche; fatto che rappresenta un limite, ma anche una sfida di rigore formale.
Fino al 1991, nei cosiddetti anni d'oro dell'ipertesto, quando la comunità degli studiosi dell'ipertestualità, come testimonia Tim Berners-Lee, era totalmente avulsa da Internet, la discussione sulle strutture, sulla tipologia dei collegamenti, sulla loro composizione in classi superiori, e sulle reti semantiche e conoscitive soggiacenti era molto vivace. I creatori di sistemi ipermediali come Intermedia, Storyspace, Guide, Hypercard, si ponevano frontalmente questi problemi.22 Forse l'avvento del web, semplificando e universalizzando l'ipertestualità, ha sedato in parte quella discussione, in qualche caso banalizzandola, riducendola a questioni di linearità o non-linearità, autorialità o non-autorialità. Il web ha, per così dire, istituzionalizzato il pragmema (b), focalizzando l'attenzione su di esso, e para-testualizzato gli altri pragmemi, trascinandoli ai margini dell'oggetto semiotico, nascondendoli nel medium. Ciò non ha favorito un ripensamento radicale della testualità, bensì ha rafforzato o la sopravvivenza di modelli testuali tradizionali - visti però in prospettiva prevalentemente decostruzionista - o l'annessione del mondo delle reti alla sfera dei media di flusso. Dall'altro lato il web ha rivoluzionato il quadro, eliminando alcuni elementi feticistici che ogni tanto affioravano in quella fase degli studi e ponendo il nuovo sistema testuale nel suo insieme al centro dell'economia e della comunicazione mondiale. Si tratta forse ora di recuperare una riflessione più ampia sui modelli testuali che si stanno costruendo, ossia sulle forme di costituzione di nuovi sistemi di segni che la scrittura digitale consente.
Abbiamo detto che i collegamenti (pragmema b) agiscono sul piano superficiale e sul piano profondo. È possibile articolare più dettagliatamente questa distinzione, pur restando entro i limiti che mi sono preposto, ossia senza sconfinare nel campo dell'intertestualità e limitandomi a prendere in considerazione le relazioni topologiche, o, verrebbe da dire, prossemiche, istituite dal pragmema (b).
Va però chiarito prima un punto che riguarda i rapporti tra pragmema (b) e altri pragmemi ad esso contigui. Come si è già avuto modo di accennare, il pragmema (b) si concatena spesso ai pragmemi (c) ed (e), o si può dire, secondo la terminologia che si è adottata, che è portatore dei pragmemi (c) ed (e); da essi tuttavia si distingue perché il suo campo d'azione specifico è monologico e meccanico. Prevede o un'assoluta coincidenza di volontà autoriale e lettoriale (per usare una vecchia terminologia), o la sospensione di una delle due. I collegamenti, di per sé, sono depositati materialmente nel testo e sono estremamente rigidi. Stabiliscono possibili strutture architettoniche, percorribili in infinite maniere, ma sempre definite. Al contrario, i pragmemi (c) ed (e), come del resto gli altri pragmemi caratterizzanti (d) e (f), implicano una sorta di tensione tra sistema e utente, tra resistenza autoriale e finalità del lettore. Il pragmema (b) implica la scelta del se cliccare e quando, i pragmemi (c) ed (e) comportano, o comunque permettono, una decisione sul come. Faccio un semplice esempio per mostrare questa differenza, e nel contempo chiarire quale sia il rapporto tra pragmema portatore e pragmema portato. Se un collegamento (pragmema b) implica, mettiamo, l'apertura di una finestra sovrapposta (pragmema c), il lettore può quasi sempre spostare o ridimensionare quella finestra. Ossia l'attivazione del pragmema (c), sia pure portato dal pragmema (b), chiama in gioco il lettore, attraverso i suoi rappresentanti sullo schermo - puntatore e cursore - e gli permette di intervenire sulle determinazioni di default. Al default prevalente nei pragmemi strutturali (a, b, g), si contrappone l'attendance dei pragmemi interattivi (c, d, e, f). Il pragmema (b), inoltre, è intra-testuale, mentre i pragmemi interattivi tendono ad essere al contempo intra- e peri-testuali.23
Tenuti presenti questi aspetti, che delimitano la portata del pragmema (b), se ne può analizzare il funzionamento in due direzioni, a seconda che si tenga presente il tipo di organizzazione discorsiva a cui il pragmema dà luogo (asse orizzontale), o i tipi di relazioni che esso stabilisce a diversi livelli di profondità, ossia nella stratificazione del testo digitale (asse verticale). Dal punto di vista dell'organizzazione la distinzione fondamentale riguarda la collocazione fisica delle ancore e la destinazione dei collegamenti. Sotto questo aspetto il pragmema (b) ha una triplice modalità d'azione: può collegare porzioni di uno stesso documento, oppure documenti separati, o infine interagire con un database. Nel primo caso esso agisce all'interno di una singola unità spazio-temporale,24 e assume quindi i caratteri della focalizzazione di una particolare zona semantica. Nel secondo caso esso agisce connettendo una pluralità di documenti, la cui collocazione logico-spaziale profonda risulta quindi fondamentale per la sua ricognizione. Qui il pragmema provoca un passaggio ad un'altra unità, la quale può essere situata a livelli diversi di organizzazione logico-spaziale. Il terzo caso può essere considerato intermedio tra i primi due, in quanto il pragmema agisce connettendo elementi di uno o più documenti ai record di un sistema unitario, dotato di propria organizzazione interna (ma nulla vieta che i database siano più d'uno). Qui agisce nel senso di una specificazione di un elemento mediante il richiamo di una sotto-unità che fa parte di un insieme unitario esterno.
In tutti i casi, a tre livelli differenti, è evidente che la distribuzione delle ancore assume anche una particolare configurazione retorica. Essa coinvolge aspetti che possono essere ricondotti in senso lato ad ognuna delle suddivisioni della retorica antica.25 Ciò riguarda innanzitutto il modo di presentarsi delle ancore sulle interfacce (la loro visibilità o invisibilità, la loro posizione, forma, significanza, ecc.). Per cui si può dire che anche sull'asse orizzontale della discorsività (lo scorrimento delle unità spazio-temporali) si apre il doppio livello profondo/superficiale: all'organizzazione logico-discorsiva delle ancore corrisponde la loro rappresentazione sulle interfacce. Allo stesso modo sull'asse discorsivo sono coinvolti direttamente gli aspetti intertestuali, ipermediali e anche inter-ipertestuali, e in particolare nel caso della connessione di una molteplicità di documenti. Si tratta di piani d'analisi che come ho detto esulano dai limiti di questo saggio. A livello pragmemico si può dire che alla focalizzazione corrisponde un'organizzazione a-lineare (paradigmatica), al passaggio un'organizzazione sequenziale (sintagmatica), alla specificazione un'organizzazione parallela (mista). In un ipertesto complesso le tre modalità spesso convivono e si mescolano, anche se spesso una di esse prevale.
L'organizzazione discorsiva è particolarmente importante perché trascende la funzione del pragmema (b) e riguarda direttamente la configurazione delle interfacce e il rapporto tra interfacce e altri tipi di pragmemi.
Se si considera invece la stratificazione del testo digitale (asse verticale), ossia i rapporti tra elementi a differenti gradi di profondità, si possono considerare almeno quattro liivelli di collegamento.
Nello spazio dello schermo (rappresentazione), che è il banco di prova della testualità digitale, il suo livello espressivo, si realizzano rapporti molto semplici di compresenza o di esclusione. Jean Clément ha parlato a questo proposito di link unidirezionali e di link bidirezionali.26 Credo che questi concetti funzionino molto bene se si ha come pietra di paragone la narrativa tradizionale, ma che non rendano conto in modo completo dei tipi di collegamento che si realizzano sulla superficie dello schermo. A questo livello è più utile tener presenti i rapporti elementari, quasi booleiani, che il pragmema (b) istituisce in collaborazione con il pragmema (c). Un collegamento può provocare una sostituzione del documento di partenza con il documento di arrivo (esclusione), oppure un accostamento dei due documenti mediante l'apertura di una nuova finestra o la coesistenza in un frame (compresenza). In entrambi i casi è coinvolto tanto l'aspetto spaziale (c0), quanto quello temporale (c1): l'esclusione ovviamente comporta la successione, la compresenza implica la digressione o per lo meno l'alternanza cognitiva, qualunque sia la forma di visualizzazione delle finestre, disposte a cascata o affiancate.
Al secondo livello (distanza) sono materializzati gradi differenti di distanza logico-concettuale:27 il pragmema agisce su un piano configurativo e insiemistico, a diversi gradi di complessità, collegando o singole unità spazio-temporali, o raggruppamenti28 di unità spazio-temporali, o anche raggruppamenti di raggruppamenti di unità spazio-temporali. Usando una metafora chimica si può dire che i collegamenti si dispongono a livello inter-atomico, molecolare e molare. Ciò comporta spesso anche una diversa collocazione delle unità interconnesse, distribuite in spazi logici differenti, dalla cartella locale all'ipertesto remoto. Si tratta quindi di luoghi virtuali (però su base materiale) che diventano anche differenti contesti di significazione.
Al terzo livello (ordine) si stabiliscono dei rapporti di subordinazione. Mi sembra in prima approssimazione che essi siano riconducibili a tre tipi di configurazione: molti dipendenti da uno, uno dipendente da uno, uno dipendente da molti. Tali configurazioni possono essere rappresentate da tre modelli corrispondenti: ordine a stella, lineare, e inclusivo. A questo livello il pragmema decide le condizioni degli accessi: nel primo caso tutte le possibilità di accesso dipendono dal passaggio da un nodo; nel secondo caso ogni possibilità di accesso dipende dal passaggio dal nodo precedente; e nel terzo caso, infine, il passaggio da molti nodi permette l'accesso a un nodo singolo. Il principio funziona anche sul piano temporale e causale. Le condizioni possono essere quindi, oltre il passaggio da uno specifico nodo, anche la soddisfazione di determinati requisiti o l'esecuzione di particolari pragmemi.
Al quarto livello (struttura) si configurano i rapporti tra il tutto e le parti, ossia si dà forma alle relazioni tra ogni unità spazio-temporale e l'insieme. In questo caso le strutture principali mi sembrano tre: circolare, ad albero, a rete. Una quarta potrebbe essere la parallela, ma si può considerare come una variante della struttura ad albero. I tre tipi di struttura raramente esistono allo stato puro, e tendono a contaminarsi e coesitere in un ipertesto realizzato. A questo livello, ancora pienamente pragmemico, si stabiliscono i confini spazio-temporali dell'ipertesto come oggetto semantico unitario, ossia in ultima analisi come testo e non come entità astratta. La grammatica pragmemica che qui si è tentata ha la peculiarità di cercare di rispettare un carattere costitutivo del digitale, ossia il suo sbocco verso una dimensione corporea e metaforica. Individuando le funzioni essenziali si è pensato all'uso concreto degli oggetti, alle loro forme e alla loro riconoscibilità sociale. Di particolare importanza è il pragmema (b) non solo perché crea la struttura e forgia i rapporti tra le unità spazio-temporali di un ipertesto sul piano discorsivo e logico-prossemico, ma perché svolge la funzione essenziale di legare insieme interfacce e struttura, profondità e superficie. In questo modo si fa portatore, come si è detto, anche degli altri pragmemi, permettendone la coordinazione.
Si possono riassumere le variabili del dominio del pragmema (b) nella seguente tabella:

pragmema b

   Schema 1 - Morfologia profonda e superficiale del pragmema (b)


c) Determinazione spaziale e temporale (disposizione, dimensionamento, ordine di successione, durata, frequenza);
È il primo dei pragmemi che definisco interattivi e caratterizzanti. Si tratta di un pragmema concettualmente assai rilevante, perché configura l'ipertesto come entità spazio-temporale dialogica. I pragmemi (c) (d) (e) e (f) sono interattivi perché implicano, come ho detto, una sorta di agone testuale tra i partecipanti alla sessione testuale, qualunque sia il ruolo di ciascuno di essi (autoriale, lettoriale, cibernetico, ecc.). Se i pragmemi strutturali (a) (b) (g) in fondo non scalfiscono in modo decisivo il modello classico della comunicazione, tripartito in mittente-messaggio-destinatario,29 i pragmemi interattivi lo demoliscono definitivamente. Quando sulle interfacce compaiono i pragmemi interattivi è come se si aprisse una comunicazione quadripartita: i testi diventano (almeno) due, e gli operatori (almeno) due. Lo schema potrebbe essere il seguente:

pragmema b

   Schema 2 - Modello quadripartito della testualità digitale


Ogni testo generativo (ogni insieme di dati strutturati) in rete implica il medium digitale come coadiuvante della comunicazione ed è contrapposto a un testo emergente, agito da un operatore. Medium (M) e testo emergente (T-em) si contraddicono come ripetizione e variazione; testo generativo (T-gen) e operatore (O) si contraddicono come stasi e processo (ma si potrebbe anche dire come il testo e la sua interpretazione, come l'identità e l'alterità). Mi sembra che questo schema possa dar conto della differenza dei due processi della lettura e della scrittura perché i termini contrari (T-gen/T-em; M/O) sono interscambiabili. Ossia, in un processo di scrittura O è coadiuvante di T-gen (mentre M è una sorta di antagonista), così come in un processo di lettura M è coadiuvante di T-gen (e O rappresenta, per così dire, la resistenza vivente alla meccanicità di quel patto).
È stato necessario qui dilungarsi in questa chiarificazione di carattere generale perché il pragmema (c) è l'apripista di alcuni pragmemi fondamentali (come si è detto, interattivi e caratterizzanti) che possiedono caratteri essenziali comuni e determinano in massima parte la novità e l'importanza della testualità digitale. Di questo, come degli altri pragmemi interattivi, non si tenterà un'articolazione più dettagliata di quella che si è esposta, perché a differenza dei pragmemi strutturali (a) (b) (g) essi implicano più direttamente una semantica delle relazioni (e anche una sintassi e una pragmatica) che sarebbe arduo affrontare qui.
I pragmemi interattivi sono quindi i pragmemi della compresenza di attività semiotiche differenti nello stesso processo testuale. Ciò non vuol dire che tali attività si mescolano e sono indistinguibili (ad esempio scrittura e lettura); bensì, semmai, che ciascuna attività è potenziata, perché ha un correlato materiale al quale si appoggia e una intrinseca potenzialità dialogica.
I pragmemi interattivi sono anche pragmemi caratterizzanti, perché la loro presenza o predominanza conferisce a un testo o a una sessione digitale un particolare aspetto e una specifica funzionalità. Possiamo designare la specificità del pragmema (c) con il termine "costruire". Va da sé che con questo verbo si intende anche "costituzione del testo". Il pragmema (c) è infatti il pragmema caratterizzante degli ipertesti di edizione.

d) Scelta di opzioni (metapragmemi);
Come si è detto si tratta di un pragmema che consente di controllare il funzionamento di altri pragmemi - e non solo di farsi "portatore" di altre funzioni. Di solito la collocazione naturale del pragmema (d) è sulle cornici, e ciò indica la sua peculiarità riflessiva e metodologica. Spesso controlla pragmemi (f), e diviene in questo caso un pragmema di chiara vocazione autoriale. La sua specificità, che si esprime al meglio in sequenza con pragmemi (c) o (e), può essere indicata dal verbo "ricercare", in quanto la sua presenza implica la possibilità di scegliere modalità di interazione e di interrogazione. Esempio tipico di pragmema (d) è infatti la scelta degli operatori logici con cui interrogare un database.

e) Interrogazione (invio di dati, scambi client-server, login-logout);
Login e logout comportano l'entrata in un sistema, quindi sono portatori anche di una particolare versione del pragmema dell'avvio. Tuttavia la loro funzione primaria è quella di inter-comunicare, di scambiare dati. Anche l'immissione di una password è un'espressione elementare di pragmema (e). Anche in questo caso è la volontarietà che fa di questo pragmema un fatto testuale: la rete di per sé, nella sua materialità interconnessa, non è un macro-testo. La parola che può render conto dell'aspetto saliente di questo pragmema è "condividere".

f) Bricolage (inserimento, correzione, spostamento, copia e incolla, ecc.);
È un altro dei cavalli di battaglia nella nuova testualità digitale. Il "taglia e incolla" (Cut & Paste), insieme al trascinamento, è una delle grandi innovazioni del Macintosh. L'operazione ha poco a che fare in realtà con il «campo metaforico emittente»30 della carta e delle forbici, perché i tagli si ricuciono subito senza lasciar traccia, e l'incollare è farsi spazio in una testualità molle. Sarebbe forse più pertinente usare, come Mark Bernstein, una metafora che avesse a che fare con il giardinaggio, con il percorso sul terreno, una specie di piantumazione del testo.31 In realtà le arti figurative hanno praticato e sperimentato tecniche simili, dal mosaico al collage. E alcuni effetti stranianti - come l'errore di scala, estensibile in senso lato a ogni operazione di "taglia e incolla" - sono stati sperimentati allora, come ha mostrato Levi-Strauss per Poussin e Hokusai.32
Il pragmema (f), in generale, è un grande recettore di metafore riconducibili alla manipolazione. Tutto quello che si fa dentro al testo, nella spazialità minuta e tangibile del suo lato visibile, come cancellare, spostare, copiare, marcare (anche proprio nel senso di inserire un linguaggio di marcatura) è riconducibile a questo pragmema. Rientrano in questa categoria anche i salvataggi in memoria (che non sono altro che un "copia e incolla" su larga scala).
Lo spazio creativo che il pragmema (f) predispone è quello ove si esprime al massimo grado la compresenza operativa di puntatore e cursore, che diviene quasi un gioco tra le due istanze: l'idea e la prova, la riflessione e l'immersione.
La parola che caratterizza questo pragmema è "creare".

g) Uscita (chiusura, sospensione).
Mentre l'avvio apre quasi sempre una finestra, l'uscita la chiude, o meglio la "fa cadere", così come scarica dalla memoria temporanea i processi che sono correlati ad essa e, in un certo senso, vi si affacciano. Il pragmema dell'uscita ha spesso il suo punto di attivazione e di rappresentazione in un angoletto delle finestre. È quindi, come il pragmema dell'avvio, un pragmema prevalentemente peri-testuale, a differenza del pragmema di collegamento, che è intra-testuale. Avvio e uscita delimitano non solo la cosiddetta "sessione di lavoro" nel suo insieme, ma anche singoli processi subordinati, siano essi di scrittura, di lettura o misti. Ciò mette in evidenza come ogni testo digitale sia costitutivamente incorniciato. Ogni processo di lettura o scrittura implica contemporaneamente un'attività testuale (o sub-testuale) e un'attività meta-testuale, e cursore e puntatore sono la prima manifestazione fisica il di questa duplice presenza. Avvio e uscita delimitano quindi ogni unità temporale della seduta ipertestuale. Ma si può dire anche che avvio e uscita delimitano ogni unità topica33 di un ipertesto, intendendo con questo termine uno spazio semantico (in cui può essere rappresentato o comunque compresente qualunque tipo di oggetto) fruibile nella sua integrità senza soluzione di continuità, ossia senza attivare pragmemi di avvio o di uscita.


1.3. Dinamica pragmemica
Sembra a questo punto di poter fare uno schema delle possibili concatenazioni di pragmemi. I pragmemi, come si è visto, sono le elementari unità d'azione del testo digitale, e ne strutturano quindi l'interna drammaticità e narratività.
Abbiamo visto che dei sette pragmemi individuati tre - (a, b, g) - hanno carattere universale: contraddistinguono il testo digitale in quanto tale, ma non ne connotano fortemente la natura e non ne caratterizzano le funzioni prevalenti. Possiamo definirli pragmemi strutturali. Il pragmema (a) dell'avvio potrebbe essere paragonato a un atto illocutivo primario: stabilisce l'apertura della "sessione", quindi del testo digitale come evento comunicativo. È anche il presupposto di ogni altro evento testuale. Il pragmema (b) di collegamento potrebbe essere considerato a sua volta presupposto di ogni altro evento: la connessione, in quanto concatenazione di procedure o aggiunta in coda (append), è il motore della digitalità stessa. Sul piano testuale si perde l'impressione di contiguità (si pensa di saltare da un documento all'altro) ma il procedimento implica in realtà una prossimità logica, una coesistenza programmata. La contiguità distingue innanzitutto il pragmema (b) dal pragmema (e) di interrogazione: in quest'ultimo caso si apre un vero e proprio dialogo tra entità differenti, siano esse umane, testuali, macchiniche o miste. In una connessione caratterizzata dal pragmema (e) sono condivise e stabili solo le regole che permettono il dialogo, ma l'esito non è prevedibile. Il pragmema (b), invece, è, almeno originariamente, orientato a un esito programmato (ottenere uno specifico documento), sancito da una volontà autoriale. L'ultimo dei pragmemi strutturali, infine, cioè il pragmema (g), sospende il processo testuale, chiude l'evento comunicativo.
I pragmemi strutturali implicano una consonanza tra volontà autoriale e volontà lettoriale, o la sospensione di una delle due. Un pragmema (b), ad esempio, è predeterminato, e il cibernauta, attivandolo, sottoscrive un patto con chi ha creato l'ipertesto.
Gli altri quattro pragmemi, (c, d, e, f), possono invece essere definiti interattivi, perché implicano la presenza di almeno due coscienze testuali contrapposte. Potremmo dire, semplificando, che tali coscienze primarie sono simili a un autore implicito e a un lettore implicito a cui in qualche modo viene data vita. Ma sembra ancor più calzante vederle come due attanti in tensione tra loro. L'agone testuale che ne deriva coinvolge facilmente tutte le sfere modali individuate da Greimas, volere, sapere e potere: il desiderio, la comunicazione, il dominio sul desiderio e sulla comunicazione. Ma a differenza di qualunque quadrato semiotico, tale tensione coinvolge anche in sommo grado la casualità. La testualità digitale è anche una rete per catturare il caso. In ciò svolge un ruolo decisivo la presenza della macchina come uno degli attori del processo comunicativo. Altro fattore importante è la struttura a cornice del testo digitale, finestra di finestre, che implica una distanza euristica tra diverse istanze autoriali. Lo stesso operatore (O) va inteso prima di tutto come istanza testuale, piuttosto che come operatore empirico: da una parte come una specie di narratario attivo (il primo avatar del mondo digitale è il cursore); dall'altra come pseudo-narratore (il puntatore). Ecco quindi che la stessa lettura del testo digitale è incorniciata, passa per diverse istanze dotate di relativa autonomia, e l'"imbattersi" in qualcosa di inaspettato (che sia ostacolo o agevolazione) è costitutivo, in un certo senso obbligatorio. Nel gioco tra cursore e puntatore è implicita la prova, il vedere che cosa succede.
Costruire, ricercare, condividere e creare sono tutte, in fondo, metafore dello scrivere, ma forse "ricercare" e "condividere" rendono meglio la novità che caratterizza la scrittura elettronica: il primo termine (ricercare) è una sintesi eccellente della narratività elementare della testualità digitale: entrarvi non è nomadismo né viaggio picaresco, bensì al contempo creazione di un luogo e sua ricognizione; o anche, per restare al significato letterale del termine, un ritorno sui luoghi. Ricerca vuol dire anche coesistenza di esplorazione (ricerca casuale) e interrogazione (ricerca mirata). La seconda metafora (condividere) mostra altrettanto bene l'antisolipsismo e la natura dialogica della testualità digitale, che non sussiste se non nella responsività delle scelte. Nel concetto si mostra bene l'aspetto drammatico della testualità digitale.
Si tratta comunque di compiere un percorso, e da quanto si è mostrato appare chiaro che è anche e in primo luogo un percorso tra pragmemi, e non solo tra "nodi". Nella natura dei pragmemi è inscritta, in una certa misura, anche una progressione specifica: si passa sempre per il pragmema (a) e per il pragmema (b). Quest'ultimo implica il pragmema (c). A questo punto ci sono tre possibilità, che caratterizzano fortemente l'ambiente testuale che si è creato: un ipertesto può dare accesso a uno degli altri tre pragmemi (d, e, f), insistere sul pragmema (c), tornare al pragmema (b) o anche al pragmema (a) aprendo una sotto-sessione, o stabilizzarsi su coppie o su triadi compresenti. Lo schema di base può essere rappresentato in questo modo:

pragmema b

   Schema 3 - Modello della dinamica pragmemica nel testo digitale


Come si è visto, dunque, i quattro pragmemi centrali sono quelli caratterizzanti: la loro prevalenza in un ipertesto può servire a individuare alcune tonalità dominanti e quindi dei generi ipertestuali. Nondimeno, come si vedrà, anche l'inibizione di alcuni pragmemi può connotare un ipertesto e dargli un profilo particolare. Il percorso superiore indica una maggiore strutturazione, mentre il percorso inferiore una maggiore interattività. Se ci si muove tra i pragmemi (c, d) l'ipertesto gravita nell'area del testo generativo, se ci si muove tra i pragmemi (e, f) l'ipertesto gravita nell'area del testo emergente.
Se si sottopone un ipertesto ad analisi pragmemica si può poi tendenzialmente riprodurre il suo diagramma essenziale. Se prendiamo ad esempio LIZ 3.0,34 il suo diagramma potrebbe essere:

pragmema b


dove il tratto caratterizzante è la coppia (d-e), (scelta di opzioni e interrogazione), e sono marginalizzati i pragmemi (b, c, f). In altre parole, come in ogni altro repertorio digitale, il binomio ricerca-condivisione è dominante, e costituisce la marca di genere. L'inibizione dei pragmemi di collegamento (che abbassa il tasso di ipertestualità, si potrebbe dire, del manufatto) e, soprattutto di bricolage (che limita la possibilità di fruizione del lettore), connota in senso preciso la natura di questo prodotto, come si vedrà anche in un'analisi dell'interfaccia.
I principali generi ipertestuali sono contraddistinti spesso da binomi di pragmemi caratterizzanti, o a volte da triadi. In generale, sulla base della predominanza di un singolo pragmema caratterizzante, possiamo già distinguere, grossomodo, alcuni raggruppamenti di generi ipertestuali. I pragmemi (c, f, e), ad esempio, tendono a caratterizzare rispettivamente gli ipertesti basati su una forte connotazione autoriale (didattici, di edizione, di ricerca, argomentativi), gli ipertesti basati su un patto di coinvolgimento emotivo-immersivo con il lettore (ludici, narrativi), e gli ipertesti basati sulla schietta interattività, che possiamo chiamare di condivisione (siano essi fenomeni di autorialità collettiva, come riviste elettroniche, forum, bacheche, ecc., o di distribuzione di risorse, come opac, cartelle condivise, siti bibliografici e database). Ma è possibile articolare con maggiore accuratezza singoli generi secondo i rapporti preferenziali che si stabiliscono tra gruppi di pragmemi. Per fare qualche esempio, tra gli ipertesti di condivisione possiamo distinguere dalla presenza della coppia (c, e) una rivista elettronica da un opac (d, e) o da un newsgroup (e, f). È importante allora anche il modo in cui i pragmemi arredano le interfacce.


2.0. Interfacce
Così come i pragmemi possedevano il loro imprescindibile correlato metaforico, anche le metafore hanno ovviamente una base nei dispositivi materiali e funzionali che caratterizzano la testualità digitale. Perciò non si può prescindere dalle relazioni essenziali che i pragmemi istituiscono tra porzioni di testo e possibili azioni nel prendere in considerazione le interfacce. Esse sono infatti una straordinaria intercapedine tra mondo oggettuale e sociale (con tutti i suoi costrutti di senso) e il mondo delle macchine.
Le interfacce stanno conquistando e arredando la propria spazialità con molta lentezza, esattamente come la pagina, che da nastro di lettura fonetica a poco a poco ha acquistato la sua dimensione luminosa e spaziata. In qualche modo le interfacce stanno guadagnando una riconoscibiltà, con il ricorso a forme e dispositivi ormai acquisiti dalla comunità degli utenti. Lo spazio testuale è in parte plasmato dalla funzionalità e dall'uso, in parte vincolato dalle tecnologie, in parte inventato dalle concezioni estetiche e culturali. Lo spazio testuale è in realtà un campo di battaglia: una battaglia forse incruenta, forse inavvertita, ma soprattutto, lenta e non deterministica. Il nuovo spazio di lettura e scrittura si differenzia da quelli che lo hanno preceduto, si riempie di segni convenzionali, sperimenta una grammatica visiva di simboli, mette a punto una particolare interpunzione iconica. Anche se ci troviamo solo agli albori dell'era digitale credo che alcuni dei caratteri morfologici (pragmemi) qui individuati resteranno sostanzialmente invariati. Le interfacce, invece, probabilmente cambieranno più vistosamente, proprio perché sono terreno di produzione e di sperimentazione metaforica. E tuttavia sono convinto che certi elementi, proprio per una loro rispondenza a criteri funzionali e morfologici, resteranno più o meno simili.
Ci sono tre modelli di interfaccia che, di là dalle limitazioni tecniche, esistono fin dai primi approdi grafici del digitale. Darò ad essi tre nomi di comodo: "modello scatola a bottoni" (SB), "modello buca delle lettere" (BL) e "modello ambiente" (A).
Prototipo del modello «buca delle lettere», può essere considerato l'Iter Italicum,35 versione elettronica, a cura di Luciano Floridi, del celebre repertorio di manoscritti rinascimentali non catalogati a cura di Paul O. Kristeller.

pragmema b

   Fig. 1 - L'interfaccia di Iter Italicum


Il modello «scatola a bottoni» può essere invece ben rappresentato da LIZ 3.0 - Letteratura Italiana Zanichelli,36 a cura di Pasquale Stoppelli ed Eugenio Picchi.

pragmema b

   Fig. 2 - L'interfaccia di Liz 3.0


Un esempio di contaminazione equilibrata tra i due modelli è Lira, il repertorio bibliografico della letteratura italiana diretto da Benedetto Aschero.37

pragmema b

   Fig. 3 - L'interfaccia di ricerca di Lira


Il modello «ambiente» è un po' più difficile da generalizzare, perché i suoi antecedenti sono la realtà virtuale da una parte, e i giochi interattivi in rete come i MUD dall'altra.38 Possiamo però indicare, per coerenza con i primi tre esempi, l'interfaccia di un altro Cd rom, l'edizione de La Comédie humaine di Balzac a cura di Claude Duchet, Nicole Mozet e Isabelle Tournier.39

pragmema b

   Fig. 4 - Interfaccia iniziale di Balzac, La comédie humaine en texte intégral


SB, BL e A sono ancora, sorprendentemente, tre modelli dominanti di interfaccia digitale, e forse ciò deriva dal fatto che la forte differenziazione funzionale di ciascun modello risponde effettivamente a possibili usi differenziati del testo digitale, ma soprattutto è espressione di precise concezioni del testo digitale tout court. Infatti se il modello BL implica sostanzialmente una concezione del testo digitale come base di dati, il modello SB sottintende una concezione computazionale o cognitivista dello strumento digitale. Il modello A, infine, abbraccia l'idea dell'immersione, dell'essere dentro, senza far poi corrispondere effettivamente alla piacevole partecipazione (e non solo per motivi tecnici) una piena ed efficace accessibilità ai testi. La semplice ibridazione dei due modelli BL e SB (in un repertorio "casereccio" come quello di Lira, diretto da Benedetto Aschero) lascia spazio (con schede «irregolari» e discorsive, e mediante una differenziazione di livelli di scelta) a una concezione meno riduttiva dello strumento.
Se si volesse fare un'analisi pragmemica di queste interfacce si vedrebbe altresì come questi manufatti, fin dal modo in cui si presentano con la loro interfaccia, si fanno portatori di un retaggio metaforico, che deriva direttamente dai modelli estetici cui sono ispirati e dalla concezione della scrittura e del testo di cui si fanno testimoni, di là dal fatto che si tratti di prodotti di diversa natura, ovvero di raccolte di testi o di raccolte di notizie sui testi. Un confronto tra i tre modelli mette in luce non solo la natura dei processi attivabili, ma anche notevoli differenze di concezione.
La LIZ si presenta al lettore recando tracce evidenti delle sue versioni precedenti, che adottavano un registro testuale, un ordine inclusivo a finestre, e i classici percorsi sistematici a menu. Di ciò ci si avvede anche dall'elenco testuale degli autori e delle opere, in posizione centrale, costituito da una finestra fissa che offre al mouse due soli pragmemi piuttosto rigidamente rappresentati: la scelta delle opere (d), e lo scorrimento dell'elenco (c). La lista non è attiva in alcun altro modo:40 non è previsto il collegamento diretto ai testi delle singole opere, né alcun altro tipo di collegamento sensibile al mouse (le voci dell'elenco potrebbero ad esempio essere link alle notizie sui testi di riferimento). È chiara un'idea precisa del mezzo elettronico: esso serve a compiere operazioni di ricerca sui testi, anche molto complesse e raffinate, ma non a leggerli. Ciò rimane evidente nella versione distribuita con «L'Espresso»,41 dove si ha un'integrazione del registro, con una breve presentazione multimediale (parlata e animata) delle funzionalità, e un miglioramento complessivo delle prestazioni, ma ancora rimangono totalmente scollegati l'ambiente «sala di lettura» e l'ambiente «ricerca», ambienti che nella versione originaria in Cd-rom unico erano addirittura inaccessibili dalla stessa interfaccia. Proseguendo la perlustrazione, si offrono al lettore due aree dell'interfaccia occupate da bottoni testuali, con qualche integrazione iconica elementare. Si tratta, per la fascia superiore, di bottoni di collegamento (b) ad altri elenchi testuali, ai fini della selezione (d) per autore, genere, forma, secolo, e prosa/versi. Nella fascia laterale altri cinque bottoni consentono di manovrare ancora l'elenco operando selezioni collettive (d) e scegliendo (d) un diverso grado di analiticità della lista, un bottone dà l'accesso (b) a una ricerca di titoli e nomi (e) nello stesso elenco, uno fornisce notizie (b) sul testo di riferimento della voce selezionata, un altro dà l'accesso (b) a un'interfaccia per la definizione (d) di sotto-corpora, e l'ultimo infine permette di confermare (d) le selezioni effettuate. Insomma, per sintetizzare, l'interfaccia della LIZ è assai poco interattiva e tendenzialmente monofunzionale: offre solo due settori di input nell'interfaccia iniziale, e i pragmemi non sono diretti (ossia portatori di altri pragmemi), bensì preferibilmente dilazionati (per fare un esempio, non si opera direttamente una selezione che comporta ipso facto una ricerca, ma si seleziona, poi si conferma la selezione, poi si accede all'interfaccia per la ricerca, ecc.). Infine, i pragmemi di bricolage (f) sono molto rari, costrittivi e malfunzionanti,42 i pragmemi di determinazione spaziale (c) sono rigidi, influenzati dalla vecchia struttura inclusiva. Se si fa un rapido confronto con l'Iter Italicum in versione digitale, altro manufatto per altro di molto precedente, ci troviamo di fronte a un modello completamente differente, e non solo per il diverso tipo di dati e di obiettivi, ma per la concezione generale dello strumento digitale. I settori di input, nell'interfaccia iniziale, sono diciannove; i menu testuali sono otto, e ci sono poi numerosi bottoni di collegamento e sette bottoni iconici per operazioni quali la stampa, il salvataggio, ecc. Quello che balza agli occhi è la diversa penetrabilità del'interfaccia: nel caso della LIZ è scarsa, l'interfaccia ci sembra, come si è detto, una scatola a bottoni, ed è difficile compiere azioni dirette e immediate. Nel caso dell'Iter Italicum ci sembra di essere davanti a una buca delle lettere, dove è possibile immediatamente inserire le nostre richieste scegliendo sulla stessa interfaccia le opzioni desiderate. Nel caso di LIRA si ha invece a mio parere un'ottima integrazione dei due modelli, attraverso la successione di differenti interfacce. Non è opportuno fare anche in questo caso un'analisi minuta:43 basti dire che in Lira i pragmemi più vicini all'operato del lettore, cioè quelli di interrogazione (e) e di bricolage (f), escluso qualche difetto nei pragmemi di dimensionamento (c), sono numerosi e ben collocati. I primi sono immediati e accessibili dall'interfaccia operativa, i secondi permettono l'uso di blocchi e l'esportazione diretta. Non sembra tanto una questione, come si è detto, di differente natura degli strumenti: sono invece in opera due modelli di lettura. Benché nei repertori non siano contenuti testi, la lettura è concepita come interna al laboratorio digitale; e ci si avvale di finestre a riquadro fisso apparentemente più rigide delle finestre inclusive spostabili della LIZ, ma tutto sommato più funzionali, che mostrano, a lato della ricerca, il contesto della ricerca.
Il web ha molto contribuito alla diffusione di un'idea di leggibilità digitale, che non è certo la trasposizione della lettura tipografica al monitor. Ma è, comunque, lettura: raffronto di contesti, scoperta di testi, magari a partire da una parola. È il "caso" programmato di cui si parlava prima. Leggere elettronicamente è continuo esercizio di scala, come scriveva Richard Lanham: trovare un brano sospeso nel vuoto apparente, solitario, e poi ricollocarlo nel suo humus, nei suoi diversi possibili contesti, nei suoi contesti sbagliati.


3.0. Appunti per una metaforologia
Vorrei cercare a questo punto di distinguere alcuni tipi principali di metafore, tra quelle ricorrenti nella descrizione della testualità e della connettività digitale. Non intendo però seguire il criterio della suddivisione in grandi campi semantici ruotanti intorno alla metafora dell'autostrada dell'informazione, come nel volume curato da Mark Stefik;44 non seguirò nemmeno Jacques Anis, che prende in considerazione l'ipertestualità nel suo sviluppo storico come un organismo generatore di metafore, e ricostruisce, attraverso questa rete di metafore, una mappa intellettuale della contemporaneità. Cercherò di distinguerle, invece, in base alla loro funzionalità adattativa e alla loro forma semantica. Vorrei così raccogliere indizi sulla loro efficacia e produttività nel ripensare l'ipertesto (un po' il percorso inverso rispetto ad Anis).
Seguendo questi criteri, mi pare che dal punto di vista funzionale le metafore correntemente riferite a Internet e al mondo digitale possano essere distinte in almeno sei classi: 1) compensatorie (usano un vecchio termine per designare ciò che non ha un termine proprio); 2) modellizzanti (suggeriscono un modello - estetico, comportamentale, di funzionamento, ecc. - attraverso il richiamo di ambienti o oggetti d'uso); 3) metonimiche o sineddochiche (cercano di rendere conto di un fenomeno descrivendone una parte o un aspetto); 4) iperboliche (alludono a un aspetto o un oggetto amplificandone la portata); 5) apotropaiche (riducono il nuovo a pratiche antiche); 6) archetipiche (si riconnettono a grandi miti o topoi appartenenti al patrimonio dell'umanità).
Se si adotta solo un punto di vista funzionale, tuttavia, si considera solo un aspetto molto parziale del processo metaforico e del suo lavoro all'interno dell'immaginario collettivo, e si viene meno al proposito di misurarne l'efficacia, ossia la capacità di introdurre nuovi punti di vista e nuove pratiche. Affiancherò dunque al criterio della funzionalità adattativa il criterio della forma semantica. Intendo per forma semantica la modalità di gestione del senso di un meccanismo metaforico, e il tipo di referenzialità che agisce al suo interno. Vorrei cercare di misurare la produttività delle metafore, la loro capacità di interpretare i nuovi strumenti e di suggerire nuovi significati e nuovi usi. L'obiettivo, anche se qui puramente abbozzato, sarà cercare di individuare, seguendo alcune metafore campione (una per ogni tipo), a quale livello (e se) esse esercitino questa virtù produttiva.
Va rilevato che spesso le metafore dell'uso comune riferibili a una nuova tecnologia sono riconducibili a molte delle categorie funzionali che si sono indicate. La metafora della biblioteca digitale, ad esempio, che è tra quelle scelte da Stefik, può rientrare, proprio per la sua vastità, in ciascuna di queste categorie. È infatti una catacresi compensatoria, giacché non esiste un concetto unitario che esprima l'aspetto della conservazione e dell'accessibilità ai documenti in rete; è modellizzante, perché si riferisce a un universo strutturato, gremito di personaggi e comportamenti specializzati; è sineddochica, perché sottolinea solo un aspetto delle reti, non necessariamente il più rilevante per tutti; è iperbolica, perché allude al mito della biblioteca universale; è apotropaica, perché riconnette Internet a uno degli emblemi della civiltà moderna, simbolo di stabilità e di razionalità; ed è infine archetipica, perché richiama, almeno a detta di Stefik, la figura del Custode del sapere. La stessa ampiezza funzionale può essere riconosciuta anche alle altre metafore di Stefik (la posta, il mercato, il mondo virtuale). Penso che la piena funzionalità di una metafora, ossia la rispondenza a tutte le funzioni descrittive e cognitive che si sono elencate, sia più che altro un indice del suo alto grado di adattività, e una delle spiegazioni del suo radicamento nell'immaginario collettivo. Bisogna comunque dare atto a Stefik di aver scelto metafore (o temi) di lungo corso, di là dalla loro riconducibilità ad antichi archetipi.45
Qui, invece, secondo l'impostazione di questo intervento, si preferisce non perdere di vista la materialità degli strumenti, la processualità concreta del testo digitale. Si cercherà quindi di restringere lo sguardo alle metafore che si riferiscono più da vicino agli oggetti, alle pratiche e agli ambienti specifici del mondo digitale, cercando di tenere connessi, per dirla con Flichy, «quadro di funzionamento» e «quadro d'uso».46
Come ho detto, dunque, ricorrerò anche a un'altra tipologia, per cercare di cogliere non solo il grado di adattività di una metafora, ma anche il suo grado di produttività semantica e pragmatica. La prospettiva secondo me più utile con cui guardare l'insieme delle metafore riferibili al mondo digitale è la concezione interattiva della metafora introdotta da Richards e Black,47 e non quella classica. Altrimenti saremmo costretti a dire che si tratta in generale di catacresi, e perderemmo di vista ancora una volta il contesto d'arrivo (o, per dirla con Black, la cornice), ossia il mondo digitale. La mia ipotesi è che in presenza di una tecnologia pervasiva si istituisca un interscambio metaforico tra oggetti nuovi e modi di descriverli che modifica tanto il campo emittente quanto il campo ricevente. In parte ciò avviene, come si è visto, in senso adattativo, e in parte in senso creativo, ossia con l'introduzione di significati e comportamenti nuovi tanto nell'universo che accoglie (e a partire dal quale si descrive) una nuova tecnologia, quanto nella nuova tecnologia stessa. Penso cioè che si istituisca un piano di contrattazione metaforica che permette al piano tecnico e al piano sociale di incontrarsi. Chiamo questo piano pragmasfera, perché implica un'interazione non solo concettuale, ma anche materiale. Implica cioè una pratica di «ostensioni multiple» (l'espressione è di Kuhn),48 ma anche l'uso degli oggetti, la mediazione tra gruppi, cose e concezioni. Inutile dire che ritengo che la dimensione "testuale" giochi, nella pragmasfera, una funzione decisiva. La metafora per altro, come è stato detto, è di per sé «un piccolo testo».49
Trovo anche utili, come mi è già capitato di osservare, le prospettive di Blumenberg e di Weinrich. Del primo non tanto l'idea delle metafore assolute, che sarebbe suggestivo ma pericoloso applicare al mondo metaforico in esame, ma l'impostazione tematica nella classificazione delle metafore. Del secondo il metodo semasiologico, per dir così, che rispetta le articolazioni interne di un campo metaforico.
Mi pare infatti importante prendere in considerazione l'estensione del campo metaforico emittente, ossia la ricorrenza di termini differenziati riconducibili a un medesimo universo concettuale.50 Da questo punto di vista tra i campi più estesi sono certamente quello delle pratiche di scrittura (con tutti gli oggetti ad esso legati), quello dell'ufficio, e ancora quello della biblioteca. La costante che mi sembra di ravvisare a questo proposito è che, più è ampio il campo metaforico in comune,51 e più l'arricchimento procede a ritroso dal campo ricevente al campo emittente. Per intenderci, a furia di usare termini bibliotecari per descrivere la rete, sono questi che cambiano di significato, e con essi cambia la biblioteca. Non affermo che le metafore sono la causa di questo cambiamento, ma che lo accompagnano e lo rendono possibile. La contropartita di tale flusso innovatore retrogrado è tendenzialmente, come si vedrà, la riduzione di alcune pratiche nuove del campo ricevente a un universo concettuale pre-esistente.
In base all'estensione del campo metaforico e alla modalità del trasferimento di significato si può costruire, in via provvisoria, la seguente tabella:

pragmema b

Schema 4 - Tipologia delle metafore in base al tipo di trasferimento semantico, all'estensione del campo metaforico, e alla condivisione degli elementi che ne fanno parte.


Lo schema sintetizza la mia ipotesi, ossia che estensione del campo condiviso e modalità dell'interazione semantica decidano della direzione tendenziale dell'arricchimento di senso. La colonna di sinistra, contrassegnata da una metafora che si riferisce a oggetti o sistemi per somiglianza di funzioni, è caratterizzata dal fenomeno della retroazione del significato, che, come ho detto, è maggiore quanto più estese sono le ricorrenze di termini diversificati (ossia se è applicata non solo l'idea centrale di un campo metaforico, ma anche molti altri oggetti che ne fanno parte, anche indipendentemente). La colonna centrale, contrassegnata da una metafora che si riferisce a oggetti o sistemi nonostante la differenza (sostanziale) di funzione, è caratterizzata invece dal trasferimento di significato al campo ricevente. Chiamo queste metafore "metafore-civetta", in quanto dotate di forte potere evocativo e capaci di instaurare nuovi significati legati ad oggetti specifici (come appunto i browser, il mouse e le finestre). Il termine "navigare", ad esempio, fa parte di un campo metaforico molto ampio, ma di cui è applicata al mondo digitale solo l'idea centrale (non si sente parlare di remi e boccaporti, né tanto meno di porti, semmai di portali): si trasferisce così il significato della fluidità, del viaggio e dell'esplorazione, ma senza che la marineria, salvo errori, ne venga minimamente influenzata. La colonna di destra, contrassegnata da metafore tendenzialmente astratte, è a sua volta caratterizzata dal trasferimento di significato al campo ricevente. Chiamo queste metafore "metafore-spugna", perché grazie alla loro astrattezza sono in grado di convogliare e far convergere sull'oggetto nuovi significati. È una diversa modalità di trasferimento dei significati che interessa in particolare le metafore dlela colonna di destra. Il termine "rete", ad esempio, in quanto metafora-spugna, si porta con sé (e tende a trasferire nel mondo digitale) tutti i significati che il concetto acquisisce in altri contesti d'uso, che, nel caso, potrebbero essere, come si vedrà nei prossimi paragrafi, quelli delle scienze sociali, dell'urbanistica e delle neuroscienze.

3.1. La pragmasfera
Si attua così nella pragmasfera una vera e propria interazione di campi semantici differenti, o, come diceva Richards, una «transazione di contesti»,52 che costituisce un'interpretazione attiva, in fieri, delle nuove tecnologie e del loro uso, ma anche un rimodellamemto del linguaggio e delle nozioni di uso comune. Tutte queste modalità metaforiche, quindi, non sono solo un sintomo di ciò che siamo portati a pensare, ma anche un intervento sul nostro modo di pensare, di significare, e di agire. Anche Stefik afferma che «le metafore, orientando la nostra immaginazione nei riguardi di una nuova invenzione, influenzano ciò che potrà essere prima ancora che esista».53 Tuttavia credo che tale interazione vada compresa più pienamente nel suo aspetto bidirezionale e non deterministico. La pragmasfera è un luogo di contrattazione e di sperimentazione. Ma se la cultura umana ha sempre avuto come fattore costitutivo uno spazio di interazione tra persone, comunità, linguaggi, tecniche e oggetti, la pragmasfera è contraddistinta dalla presenza della tecnologia come contesto dell'interazione umana, e non solo come uno degli elementi in essa implicati.

3.2. Riduzione ed espansione
Più una tecnologia, o un insieme di tecnologie, è pervasivo e determinante per il mondo umano, più è accompagnato e descritto da numerose metafore. Come risulta da un rapido esame del grado di adattività di alcune di esse, la maggior parte delle metafore che accompagnano lo sviluppo del mondo digitale, e probabilmente, in generale, ogni profonda innovazione tecnologica, sembrano avere in primo luogo il compito di ridurne la novità dirompente e di ricondurre alcuni suoi caratteri a un universo già conosciuto. Questa esigenza di riduzione a un orizzonte cognitivo preesistente contraddistingue, come ha mostrato Flichy,54 la prima fase di svluppo di ogni nuova tecnologia. Indubbiamente è anche una necessità del mercato, e i produttori di programmi e di macchine cercano di conquistare i consumatori con un'offerta di prodotti riconoscibili, che dichiarino la propria novità ma al tempo stesso si richiamino a un universo controllabile. Esclusa una rosa di neologismi anglofoni (come cyberspace55 e derivati), i termini e i simboli di internet e di altre risorse informatiche hanno fatto riferimento a lungo, dietro a un reiterato richiamo alla fluidità e ai campi semantici del viaggiare o del navigare, ad attività e oggetti collaudati e familiari. Basti pensare al termine "pagina", ancora oggi universalmente usato in rete, o a certe icone di penne stilografiche di cui si sono fregiati a lungo alcuni programmi concorrenti di scrittura digitale, come WordPerfect e Microsoft Word. Solo alla fine degli anni Novanta qualche produttore ed esperto di marketing ha cominciato a battersi per un'inversione di tendenza,56 e si è avvertita in generale un'esigenza di riferimenti nuovi, nonostante il conservatorismo ormai proverbiale degli stessi utilizzatori di Internet.57 Le stesse "metafore-civetta" che evocano ambienti fluidi, come quella del navigare, hanno spinto i progettisti a sperimentare davvero nuove interfacce dinamiche e liquide, da «Aqua» alle animazioni «Flash», che inducono a riflettere su modalità di archiviazione e accesso ai dati diverse dal modello "scaffale" o "scrivania" a cui siamo abituati. Le metafore, in tal modo, generano altre metafore. È questo un esempio ulteriore della produttività delle metafore caratterizzate dalla differenza di funzione, e una conferma del fatto che il loro impiego induce o stimola, in modo diretto o indiretto, un trasferimento di significato al campo ricevente.58
In ogni caso la dialettica tra riduzione ed espansione non sembra riguardare solo una questione di psicologia del consumatore, o un semplice bisogno di innovazione lessicale: la diffusione di parole e simboli sospesi tra il vecchio e il nuovo diviene anche un veicolo fondamentale del dibattito culturale e dello scontro sul senso e sulla destinazione delle nuove tecnologie. Da una parte, come è avvenuto per il libro e la stampa, denominare vuol dire sperimentare una possibile identificazione degli oggetti, attraverso la selezione e l'amplificazione di alcune loro componenti, o l'aggancio a determinati retaggi; dall'altra sembra coinvolgere direttamente il nostro modo di sentire, di percepire e di pensare, e, in particolare, di concepire certe categorie fondamentali della nostra autoconsapevolezza sociale, come il concetto stesso di conoscenza, o il nostro modo di aver coscienza di noi e dei nostri simili, e della nostra stessa identità.
Se la maggioranza delle metafore secondarie sono limitative e passatiste,59 e tendono a ricondurre il mondo digitale all'orizzonte della scrittura tradizionale, alcune metafore fondamentali, come il concetto stesso di "rete", mantengono già originariamente una notevole complessità critica nel descrivere una compenetrazione di vecchie e nuove tecnologie. Nel caso di "rete" ciò si deve in primo luogo all'appartenenza del concetto a molteplici campi semantici, e in secondo luogo alla sua storia e costituzione teorica. Già parecchi anni fa il matematico Pierre Rosenstiehl, in un tentativo unificatore di trattazione topologica del concetto di "rete",61 affermava che la nostra epoca sarà fortemente segnata dal «fenomeno rete», e aggiungeva che «come ogni fenomeno morfologico profondo, a carattere universale, il fenomeno rete appartiene non soltanto alla scienza ma anche alla vita sociale».61 E che si tratti di un «fenomeno morfologico profondo» è testimoniato proprio dalle scienze sociali, che intorno a tale concetto, da qualche decennio, vanno costruendo la propria teoria e la propria prassi.
"Rete" è una "metafora-spugna", ovvero un termine dotato in realtà di grande capacità d'astrazione descrittiva e di bassa connotazione metaforica (si avvicina a termini come triangolo o cerchio), e tende a caricarsi delle valenze metaforiche acquisite nel contesto d'uso. In altre parole, nel caso di "rete" siamo in presenza di un particolare tipo di catacresi (ossia di cristallizzazione di una metafora): una catacresi attiva, si potrebbe dire, in cui da una parte la metafora si trasforma in antonomasia (per cui la rete finisce per essere, ed essere soltanto, internet), e dove, dall'altra, la banalità d'uso nasconde un mutamento di significati ancora in corso. Il concetto, così, tende a divenire esso stesso luogo di scontro di modelli culturali, influenzati dall'uso teorico che se ne è fatto anche prima che la rete esistesse. Diversi ambiti disciplinari si sono occupati precocemente e in modo significativo del concetto di rete, anche se non va trascurato che esso ha molti legami con diversi aspetti dell'immaginario, del lavoro, della prassi quotidiana e della memoria collettiva: dalla pesca62 ai campi di concentramento. Tre in particolare sono gli ambiti disciplinari che ci interessano qui: l'epistemologia, le neuroscienze, e l'urbanistica. Ognuna di queste aree disciplinari ha esercitato sul concetto un'attrazione metaforica di ritorno, un feed-back metaforico, che ci spinge a pensare la rete attraverso una serie di connotazioni, appunto, enciclopediche, neurali e urbanistiche. Ma la metafora-spugna della rete permette di notare che è proprio in base alla trasformazione semantica dei termini più comuni che si misura il cambiamento, e non tanto nell'introduzione di nuovi termini. Un esempio è proprio la già citata metafora della pagina: il suo uso generalizzato in rete alla fine non si risolve in un'ipoteca passatista sulle neotecnologie, bensì in una messa in discussione del nostro concetto di pagina. E così avviene per altri concetti di grande peso concettuale e pratico, ma banalizzati dalla consuetudine, come testo, autore, scrittura, lettura. Intorno a essi, al loro contenuto semantico, evocativo, metaforico, si svolge la battaglia silenziosa del cambiamento.

3.3. Enciclopedia, cervello, città
Sarebbe assai interessante esaminare comparativamente la storia della metafora della rete all'interno delle tre discipline che si sono menzionate, l'epistemologia, le neuroscienze, e l'urbanistica, non solo perché a mio parere ognuno di questi campi ha una particolare attinenza con lo sviluppo e la costruzione del nuovo "ambiente culturale" delle reti telematiche, ma anche per altre ragioni di complessità interna e di intersezione tematica. Innanzitutto sono tre campi dove in modo esemplare, anche se in modo differente, ha luogo un confronto diretto tra idee, modelli, pratiche sociali e oggetti: quella modalità di interazione ibrida che abbiamo caratterizzato come pragmasfera. Ciò vale per l'epistemologia, che, come hanno mostrato, tra gli altri, studiosi diversi come Leroi-Gourhan, Ludwig Fleck e Bruno Latour, può trovare il suo terreno d'indagine solo nell'intersecarsi delle aspettative di una data società e dei suoi stili di pensiero con gli usi degli oggetti e delle tecnologie. Ma vale anche per le neuroscienze, che elaborano i propri modelli esplicativi a stretto contatto con la chimica, la fisica e la fisiologia dei neuroni, e toccano di continuo i problemi fondamentali della filosofia. E vale infine per l'urbanistica che vorrebbe progettare e costruire gli spazi del vivere collettivo.
Credo che la metaforologia sia particolarmente efficace in queste zone ibride, tipiche della pragmasfera. Ci sarebbe modo - portando per così dire la tematologia dentro alla storia delle scienze - di indagare campi metaforici che sono anche snodi teorici e campi concettuali, e riguardano l'evolversi non solo delle nostre idee di coscienza, di conoscenza e di memoria, ma anche di coabitazione. Un intreccio di temi e di metafore - in una zona di confine tra idee, persone e cose - che contribuirebbe forse a illuminare le basi concrete di quelle «forme dell'abitare» "post-moderne" care ad Alberto Abruzzese.63
Qui non potrò fare altro che prendere da quelle aree disciplinari e da quelle "reti" tematiche qualche spunto utile al nostro discorso, che, ricordo, vuole dedicare un'attenzione particolare alle morfologie.

3.3.1. Prendo spunto, per cominciare, dall'urbanistica, per il legame diretto che essa indaga tra oggetti e spazio, addensamento ed estensione, che mi pare fondamentale per un approccio alle modalità memorative, configurative e comunicative del mondo digitale. Mi pare che la prima rete, in questo campo, sia la città stessa. L'antropologo Marc Augé afferma che mai come oggi è difficile rappresentarsi la città, poiché la crisi urbana è insieme crisi della rappresentazione urbana e anche crisi «delle rappresentazioni della contemporaneità».64 Ma proprio per questo mi pare che la metafora della città prevenga da ogni faciloneria nel rappresentarsi qualsiasi tipo di rete che abbia un fondamento nel reale, come la rete digitale, e non sia mero esercizio di astrazione. Di solito i matematici e i logici amano descrivere la rete, e da ultimo gli ipertesti, in termini di teoria dei grafi.65 Certamente i modelli che ne derivano hanno un certo fascino, ma sembrano appiattire le relazioni a questioni di mera struttura (nodi e spigoli) e di orientamento (archi). Malgrado la ricca differenziazione matematico-topologica, mi sembra che in una applicazione di grafi sfuggano molti fattori, come ad esempio quello temporale, e, addirittura, alcuni tipi di articolazioni di strutture, che presentano strozzature non stocastiche, ma "comandate".66 Inoltre (e soprattutto), non viene presa in considerazione la corporeità dell'oggetto, cioè quel rincorrersi di forma e funzione che produce, nella rete e negli ipertesti reali, residui e dismorfie. Né si può valutare adeguatamente, in un grafo,67 una serie di elementi connotativi e semantici che, di fatto, curvano lo spazio di un ipertesto.68 In realtà è sempre stato presente, negli intenti e nei progetti degli operatori del web, il desiderio di dare conto di questa corporeità, di mapparla in qualche modo, proprio in senso geografico-visuale.69 E, d'altra parte, è sempre stato presente anche il tentativo di rendere espliciti certi fattori connotativi, come si vede, ad esempio, nell'uso di metafore riconducibili alla «casa» e all'«abitare» (Home page), dove si producono effetti volti a stabilire unicità, identità e intimità. Appare chiaro che, se si vuol dire qualcosa sulla natura, sullo stile, sul funzionamento o sul "genere" di un ipertesto bisogna ricorrere a una serie di strumenti integrati, che si sforzino di tenere aperta la connessione tra morfologia e metaforologia.

[...]


4.0. Riflessioni conclusive
Mi sembra di poter dire che la peculiarità del mondo digitale, evidente tanto a livello morfologico quanto a livello metaforologico, è la sua appartenenza a un dominio semantico. Voglio dire che sue caratteristiche sono l'etero-referenzialità (o intenzionalità, nel senso husserliano di un linguaggio che esce da se stesso) e la discorsività. Può sembrare stridente sostenere che il mondo del discreto, del binario e delle codifiche è in realtà il regno della testualità, del simbolico, e della configurazione di intenzionalità. Ma equivale ad accettare la rete come cultura, come uno dei più importanti luoghi della cultura umana. Ciò è difficile, e lo sarà forse per lungo tempo, ma certamente pensare la rete come un mondo "a parte", come un recinto autoreferenziale, come un territorio al tempo stesso della logica e della spazzatura non è un'alternativa efficace. Emile Benveniste, una quarantina di anni fa, poneva la distinzione tra semiotico e semantico,70 mostrando come quest'ultimo sia il dominio della lingua in azione, del particolare, dell'intenzionalità dei locutori, del referente, del «qui-ora», del contesto, del discorso. Credo che si possano comprendere a fondo le potenzialità del digitale accostandovisi con lo spirito della "semantica", più che della "semiotica". In fondo l'aspirazione a un «web semantico» non tradirebbe se stessa se fosse orientata più verso il piano del discorso che verso quello della lingua.
Ancora più radicalmente (e molti anni prima di Benveniste) Michail Bachtin71 aveva elaborato una teoria del linguaggio che poneva l'enunciazione, delimitata dall'alternanza dei parlanti, come unità concreta di analisi del senso (piuttosto che la parola o la frase, già troppo astratte); da queste riflessioni si può trarre il suggerimento di tenere nella più grande considerazione l'intersoggettività della rete, il suo funzionamento come dialogo di istanze discorsive. Ma si può citare anche Ricoeur, per avere, proprio parlando di metafora, messo l'accento sul carattere verbale e non nominativo di un linguaggio che si fa discorso.72 In altre parole la rete non è un mondo di codici, di rapporti logici, ma un mondo pragmatico, connotativo, storico. La rete, in effetti, può essere vista come la materializzazione di ciò che nell'ultimo mezzo secolo si è capito del linguaggio. Siamo oltre la frammentazione del moderno, perché ci troviamo in un'epoca in cui nuovamente l'attenzione si è spostata sull'inizio dei testi, mentre, come ricordava Lotman,73 il moderno concepiva testi con l'enfasi sulla fine. Di là dalla riaffermazione della natura "chiusa" del testo a stampa, questo fattore comporta un diverso rapporto con la memoria. La memoria tardo-moderna in fondo è intimamente spezzata, attinge a testi "congelati" e classificati, e resi perciò frammentari e lontani dietro la loro apparente uniformità. La cultura moderna richiede quindi un continuo esercizio di interpretazione e di ri-testualizzazione. La testualità digitale invece "fonda" i testi, dà loro nuovo inizio. Da quanto abbiamo visto, tuttavia, essa non è inglobante e attualizzante come la testualità della cultura manoscritta, per due ragioni: si pone in un rapporto simulatorio, e non sostitutivo, con la testualità pregressa; possiede nel proprio intimo funzionamento gli strumenti per descrivere e per mostrare la distanza. Sarà preservata e utilizzata questa sua potenzialità? O sarà gradualmente annullata? Siamo in una fase in cui le strade sono aperte. Per ora non mi sembra, in ogni caso, che ci siano elementi per asserire che l'umanità si trova alle soglie di una «civiltà audio-visiva» o neo-orale. L'inclusione semantica del paratesto nel testo, di cui si parlava all'inizio, mi sembra l'indizio di una diversa tendenza. Si tratta di un paratesto che aderisce all'opera individuale, e non diviene un sistema univoco di presentazione del testo. Lo fa agire, piuttosto, secondo la sua necessità interna, progettuale. Quindi è, per così dire, un intensificatore della testualità, ma anche uno strumento che favorisce il riconoscimento individuale dell'opera. Ne potenzia lo spessore incorniciante e l'individualità incorniciata. Si tratta di una nuova entità di senso, e sarà agita, consumata e conservata, probabilmente, in nuovi modi, che saranno messi a punto nella pragmasfera.
Come ho detto, si è costituita una pragmasfera, dove i codici sono discorsi, quindi sono costitutivamente contrattabili, negoziabili. Ma si verifica nella rete un fenomeno forse ancor più interessante: se nel digitale i paradigmi entrano nel discorso, che è il dominio del sintagmatico, si verifica la sorprendente condizione di una comunicazione e di una forma di memoria basate su una sintagmatica di paradigmi.74 Ed essi dichiarano la propria storicità. Forse nemmeno la biologia era arrivata a tanto.

 

Scheda bibliografica Torna all'inizio dell'articolo Torna all'indice completo del numero


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 1999-2000

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/1999-ii/Pellizzi.html>

Dicembre 1999, n. 2