Altri interventi sulla crisi dell'italianistica

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
Domenico Fiormonte, Italianistica e Cultural Studies
Giuliano Merz, Italianistica e linguistica
Andrea Fedi, Italianistica e cultura / Sistema americano
Peter Wunderli, Italianistica e mercato
Otfried Lieberknecht, Re: Wunderli
Peter Wunderli, Re: Lieberknecht


Raccogliamo qui alcuni scambi di messaggi indirizzati alla redazione o ad altre liste di discussione in risposta al testo di Armando Gnisci sull'Italianistica in crisi, pubblicato in «Bollettino '900», 1996, n. 1. Queste voci si aggiungono agli altri importanti interventi sullo stesso tema pubblicati negli ultimi numeri o nella newsletter. [n.d.r.]

 

§ II. Giuliano Merz, Italianistica e linguistica

I. Italianistica e Cultural Studies
Domenico Fiormonte - 15 novembre 1996

Crisi delle facoltà letterarie
Cari di let-it, non so quanti di voi siano iscritti a «Bollettino '900», ma questo messaggio di Armando Gnisci credo che meriti la massima attenzione. Come alcuni ricorderanno, l'altranno su let-it furono (da me e da altri) sollevate questioni simili, poi la discussione non andò più avanti.
Quello che dice Gnisci sulla crisi delle facoltà letterarie, e sulla spada di Damocle dei Cultural Studies, è drammaticamente vero. È un'area autoreferenziale (si citano solo fra di loro anche se parlano dell'infinito), vaghissima, direbbe Manganelli "di vasta e confusa cultura", nella quale stanno convergendo come un fiume in piena larghi settori di lingue e letterature nazionali, comparate, europee come orientali, ecc., communication studies, critical theory, ecc. ecc. Eppure NON serve giudicarla. Perché mentre noi discutiamo, così come hanno fatto gli Environmental Studies, quelli di CS si mangeranno un'altra fetta dei dipartimenti Humanities.
Ho assistito qualche giorno fa a una discussione nel Modern Languages & Islamic Studies PG Committee della mia università (Edimburgo) in cui si proponeva, in tempi brevissimi (da panico), di ribattezzare interi dipartimenti aggiungendo alla fine la dizione "[...] & Cultural Studies".
Bisogna guardare in faccia la cruda verità: i dipartimenti Humanities, così come sono strutturati in Europa continentale, sono destinati a sparire. Questo perché lo stato (GLI Stati) non possono più garantire finanziamenti per discipline e insegnamenti che non abbiano una ricaduta positiva sull'occupazione - che non siano cioè "produttivi". Il grande meccanismo messo in moto da Maastricht (se non schianta prima) obbligherà anche noi - e con noi soprattutto francesi e spagnoli - ad una drammatica riconversione delle facoltà umanistiche. Questo vorrà dire, come in USA e UK, apertura del mercato universitario italiano (di fatto assolutamente stagno), offerta di insegnamenti snelli, livelli diversificati, con basso profilo scientifico e alta qualità didattica (abolizione del corso monografico), la possibilità-necessità per gli studenti di dottorato e i tesisti di insegnare corsi di base di: 1) lingue straniere; 2) alfabetizzazione (o ri-alfabetizzazione - scrittura, computer, ecc. ); 3) corsi introduttivi per gli studenti del biennio (diplomandi), ecc. ecc.
E dunque ANCHE i famigerati CS dovranno entrare nel nostro cv, questo perché, come dice giustamente Gnisci, all'estero l'Italia non vende La Secchia rapita e Giosuè Carducci, ma Calvino, il Rinascimento, Burri e, perché no, anche Milo Manara e Giorgio Armani. Questa sarà un'occasione non solo per svecchiare l'insegnamento universitario, ma per "appropriarsi" di materie come i CS e farne oggetto di studio serio, rigoroso, come nella migliore tradizione europea continentale, e finalmente esportare conoscenza e metodi scientifici all'estero.

Grazie dunque ad Armando Gnisci per questo suo intervento. È triste vedere come in Italia alle persone più aperte e sensibili al nuovo non vengano concessi spazi "ufficiali" nei quali esprimersi, come egli denuncia - e come era anche quando io fui suo allievo. Invito perciò tutti gli affiliati a Let-it a mandare ad Armando un augurio di "buona resistenza".

 

§ III. Andrea Fedi, Italianistica e cultura / Sistema americano Torna al sommario dell'articolo

II. Italianistica e linguistica
Giuliano Merz - 13 novembre 1996

Ho letto con piacere e con interesse le riflessioni del collega Gnisci - premetto che chi scrive dopo essersi laureato in Italia più di vent'anni fa (lingue e lett. stran./ tedesco: piani di studio di mera 'letteratura' con uno spruzzo di 'filologia'), ha insegnato/insegna in Germania/Austria dopo una seconda laurea tedesca (linguistica generale e applicata).
Non ho potuto non notare come nel contesto "crisi dell'italianistica" la nostra materia venga sempre intesa - certe tradizioni sono dure a morire - sulla base dell'equazione italianistica=letteratura ... Mi spiace, ma soprattutto fuori dal Bel Paese non è così: italianistica = 50% letteratura, 50% linguistica. Fatta questa distinzione mi sembra di poter affermare "l'italianistica letteraria" è in crisi, quella "linguistica" no, anzi sta benissimo e la lingua italiana, grazie a questi italianisti, è diventata la lingua 'indagata al meglio' tra quelle europee (: grammatiche, lessici di frequenza e non, studio del parlato, del linguaggio giovanile, dei tecnoletti ecc. ecc.).
L'unica crisi dell'italianistica linguistica che io vedo è dovuta a uno 'sbilanciamento di utenza', non grave ma pur sempre evidente, per cui gli studenti (l'osservazione vale soprattutto per i paesi germanofoni che conosco molto bene) scelgono all'interno dell'italianistica la specializzazione 'letteraria' - e ci scrivono il diploma, l'M.A., la tesi ... - non per convinzione ma per comodità, poiché a scuola, sia per la lingua materna che per le lingue straniere, si è sempre fatto più letteratura che grammatica e/o linguistica.
A parte questo, la salute (dell'ital. ling.) è buona e, toccando ferro, speriamo che duri.

 

§ IV. Peter Wunderli, Italianistica e mercato Torna al sommario dell'articolo

III. Italianistica e cultura / Sistema americano
Andrea Fedi - 16 dicembre 1996

In margine alle considerazioni di Gnisci e di Merz, vorrei aggiungere una precisazione, che può essere necessaria per chi non è addentro al sistema americano.

Nei dipartimenti di Lettere delle università italiane il docente in generale si rivolge a un pubblico che è composto di laureandi in letteratura o in materie affini. Nel sistema americano, invece, l'università ha il compito di sopperire a certe carenze nella formazione di base delle high school locali, e quindi accanto ad un numero limitato di laureandi in Italiano, in quei corsi che io insegno in inglese si iscrivono studenti provenienti da ogni disciplina (anche Fisica o Economia, per fare solo due esempi), i quali sono obbligati, per laurearsi, a completare un certo numero di corsi di indirizzo umanistico o più genericamente culturale.

A questa osservazione si deve aggiungere che è essenziale, per i dipartimenti di ogni università nordamericana (pubblica o privata), avere un alto numero di iscritti nei vari corsi per assicurare la propria sopravvivenza, aggiudicandosi, in ogni bilancio annuale, i fondi necessari per operare e, all'occorrenza, per assumere nuovo personale.

A partire da queste premesse di ordine amministrativo e istituzionale, è naturale che il docente si impegni a venire incontro alle molteplici esigenze di una clientela che nella maggior parte dei casi non è preparata a affrontare lo studio dello specifico della letteratura, e, soprattutto, che ha ben poco interesse a farlo. È questo uno dei fattori che hanno determinato negli ultimi anni il proliferare dei programmi di Italian Studies e Cultural Studies, a danno dei tradizionali Italian Literature e Italian Language.

Una delle conseguenze più positive di questa situazione è che spinge il docente di Italiano a portare alla luce, nei suoi corsi, la rilevanza delle questioni letterarie per la cultura e le civiltà contemporanee, e lo invita ad affrontare lo studio della letteratura (in congiunzione con altri aspetti della cultura italiana) come parte fondante di una tradizione che si estende al di là dei limiti imposti dalle periodizzazioni tradizionali e dai confini interdisciplinari.

Tuttavia un pericolo insito in questo sistema è che la logica di mercato che influenza le istituzioni nordamericane induce talvolta a privilegiare un approccio generico e divulgativo nello studio delle discipline umanistiche.

Semplificando la questione (che richiederebbe certo un'analisi meno affrettata), si può dire che in tempi di vacche grasse questo sistema funziona al meglio, perché dispone ogni docente a rispettare gli interessi più genuini e le reali esigenze degli studenti, ma in tempi di austerity e di tagli di bilancio rischia di produrre una competizione per il più alto numero di studenti che qualche volta si trasforma in una corsa al ribasso, in un incentivo a seguire le mode passeggere piuttosto che a educare ai valori profondi della cultura.

 

§ V. Otfried Lieberknecht, Re: Wunderli Torna al sommario dell'articolo

IV. Re: Fedi. Italianistica e mercato
di Peter Wunderli - 17 dicembre 1996

Per sciagura, conosco il sistema americano. E in Germania, in Austria, in Isvizzera ecc., c'è un sacco di gente che vorrebbe imitare queste perversità.

Merda! dove siamo arrivati? Facciamo il cantastorie della letteratura e della linguistica sul mercato delle vanità? O abbiamo un interesse scientifico serio? Scienza e mercato - per fortuna! - spesso non vanno insieme!

 

§ VI. Peter Wunderli, Re: Lieberknecht Torna al sommario dell'articolo

V. Re: Wunderli
di Otfried Lieberknecht - 17 dicembre 1996

Se è dunque miserabile, sotto molti o sotto alcuni aspetti, la situazione accademica negli Stati Uniti, come spiegare il fatto che questo maledetto mercato nondimeno produce o permette risultati di un interesse scientifico non solo uguale, ma talvolta anche superiore a quello che si produce in Europa e in ispecie da noi in Germania? Per citare come esempio un settore che credo conoscere bene, cioè gli studi danteschi: se facciamo il confronto tra contributi americani e tedeschi negli ultimi venti anni, mi pare che la discussione di interesse scientifica sia esilata (con pochissime eccezioni) dai paesi di lingua tedesca, ma prosperante e viva invece negli Stati Uniti (e certamente anche in Britannia e in Italia). Sarebbe dunque possibile che il "mercato delle vanità" favorisce non soltanto il successo di certe tendenze lamentabili, ma anche la ricerca più seriosa? Per imparare dalla situazione americana vorrei dunque sapere un po' anche sui vantaggi eventuali di questa situazione.

E non abbiamo anche noi i nostri propri problemi, e forse non meno gravi, come per esempio il dirigismo dello Stato (o per dire meno: della burocrazia ministeriale), più o meno assente invece nell'università americana? La situazione di un professore americano dovendo offrire lo stesso corso di letteratura o linguistica non solo a laureandi di italianistica, ma anche a studenti di altre discipline non umanistiche, mi pare certamente più difficile, ma non sostanzialmente differente dalla nostra: da noi offriamo lo stesso corso non solo a studenti che vogliamo preparare alla ricerca filologica, ma anche a altri studenti che dovremmo preparare all'insegnamento della lingua in scuola, settore dove sovente non abbiamo nessuna esperienza pratica e poco competenza teoretica. E nondimeno produciamo ricercatori forse competenti ma senza futuro in un mercato accademico praticamente chiuso, e insegnanti con competenze molto più dubbiose e con prospettive similmente disperate. Per potere consentire senza riserve al "Merda!" del venerato prof. Wunderli vorrei dunque estendere questo giudizio anche alla situazione accademica nel mio proprio paese.

Otfried Lieberknecht (temporalmente privato di ogni autorizzazione istituzionale a aggravare la situazione degli studenti nel mondo)

 

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VI. Re: Lieberknecht
di Peter Wunderli - 18 dicembre 1996

Per ciò che precede: d'accordo. Le cattive possibilità di lavoro non hanno mai impedito le persone intelligentissime di creare capolavori, magari le hanno stimolate.

>Per potere consentire senza
>riserve al "Merda!" del venerato prof. Wunderli vorrei dunque
>estendere questo giudizio anche alla situazione accademica nel mio proprio paese
.

Nessuna protestazione! Sono pienamente d'accordo, dovendo costatare continuamente che questo governo ladro mi impedisce continuamente di occuparmi di ciò che ho imparato e mi obbliga di perdermi in lavori amministrativi e legislativi dei quali capisco pochissimo.

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 1997-1999

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Gennaio-Maggio 1997, n. 1