Remo Ceserani
Italianistica in crisi: l'insegnamento della letteratura.
A proposito degli interventi di Gnisci, Merz e Fedi

 

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1. L'Italia è il paese in cui si insegna, più di qualsiasi altro che io conosca, in modo esteso e sistematico la letteratura nella scuola superiore. C'è chi lo giudica un segno di arretratezza, c'è chi lo considera un dato distintivo e di eccellenza. Può anche essere che la nostra arretratezza, dovuta al fallimento dei progetti di riforma, finisca paradossalmente per essere un vantaggio, quando metteremo finalmente mano alle riforme. In altri paesi si sta ritornando a pensare che una preparazione culturale più ampia, che ospiti anche e in maniera non estemporanea, i grandi testi (le "grandi opere") della letteratura, dovrebbe essere offerta ai giovani dalla scuola.

2. L'insegnamento della letteratura nella scuola secondaria italiana è sostanzialmente organizzato come insegnamento della storia letteraria. C'è una precisa ragione storica per questo: quando il paese è stato unificato politicamente, esso è risultato terribilmente differenziato culturalmente. La tradizione letteraria, e il modello della lingua letteraria, si sono presentati come le uniche basi unificanti, consolidate nel tempo, e capaci di offrire un sostegno alla formazione della coscienza nazionale. La tradizione letteraria, allora, è stata semplificata e orientata ideologicamente perché servisse allo scopo: Dante è divenuto poeta nazionale italiano (nonostante il suo localismo fiorentino e universalismo imperiale); Petrarca, che pur era il modello del letterato italiano cosmopolita, è stato allineato alla causa, avendo per fortuna scritto due canzoni molto umanistiche e molto letterarie sul concetto astratto di "nazione italiana": le canzoni All'Italia e Spirto gentil, che per questo sono finite in tutte le antologie; lo stesso trattamento è stato riservato ai vari Machiavelli, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Carducci.

3. Essendo questa l'impostazione dell'insegnamento letterario (e anche linguistico, storico, generalmente formativo) nella scuola secondaria, anche l'insegnamento della letteratura nelle facoltà di lettere dell'università, che avevano lo scopo principalmente di formare insegnanti di scuola, ha preso questo forte atteggiamento storicistico e questa ristretta impostazione nazionale.

4. Negli anni Sessanta c'è stata una ventata forte di rinnovamento negli studi letterari italiani, con l'arrivo dello strutturalismo linguistico, della semiotica ecc. Per un po' di tempo sia nelle scuole che nelle università, là dove c'erano gli insegnanti più moderni e vivaci, si è cominciato a rifiutare l'insegnamento storico-letterario e a privilegiare la lettura e analisi dei testi. Si è trattato di tentativi generosi, a volte ingenui, ma sempre, nonostante le apparenze, minoritari. L'insegnamento storico-letterario è rimasto quello prevalente in gran parte delle scuole. E con la crisi della critica strutturalistica ha ripreso totalmente il sopravvento. Ne fan fede non solo la fortuna di manuali scolastici come quello di Giulio Ferroni, che ha un'impostazione storicistica molto tradizionale, ma anche la fortuna di tanti grandi opere collettive, dalla Garzanti alla Laterza, dalla Einaudi alla Utet alla fallita Rizzoli alla nuova, in corso di pubblicazione, a cura di Malato. Nessun paese al mondo ha tante storie della letteratura nazionale (e anche storie delle letterature straniere) come l'Italia. Spesso mi è capitato di dire che se noi avessimo uno strumento televisivo in grado di entrare nelle case di tutti gli italianisti in questo momento e di vedere quello che stanno facendo, scopriremmo che nella grande maggioranza non stanno producendo edizioni di testi e neppure saggi di interpretazione, ma capitoli di storie letterarie.

5. La stagione più viva e produttiva degli studi letterari in questo secolo è stata quella in cui si è realizzata una collaborazione fra filologia e critica letteraria (secondo il binomio pasqualiano rilanciato da Caretti: Filologia e critica) e anche quella in cui gli studi di storia della lingua e quelli di storia della letteratura sono andati di pari passo (secondo gli insegnamenti di Dionisotti e Contini). Alcune delle scuole più prestigiose di studi filologici, linguistici e stilistici (quella padovana di Folena e Mengaldo, quella pavese di Caretti e poi di Corti e Segre, quella bolognese di Spongano, Raimondi, Heilmann, quella fiorentina di Contini, De Robertis, Avalle, quella romana di Roncaglia, ecc.) sono state anche i centri più vivaci di rinnovamento della critica letteraria nel nostro paese.

6. L'impostazione fortemente "nazionale" dei nostri studi letterari spiega la grande debolezza, soprattutto istituzionale, della comparatistica italiana. Paradossalmente i grandi comparatisti italiani sono stati alcuni studiosi di filologia romanza (per loro natura comparatisti, confortati dai grandi modelli di maestri come Auerbach, Spitzer, Curtius) e poi numerosi studiosi di letterature straniere (si pensi a Praz, Macchia, e via via a Cases, Orlando, Boitani, ecc. ecc.). La funzione che in altri paesi hanno svolto i dipartimenti di comparatistica, e cioè di stimolare gli studi teorici, le metodologie critiche, le sperimentazioni didattiche, da noi l'hanno svolto, in modo non istituzionale, e quindi non complessivo e incisivo, i dipartimenti e gli insegnamenti di filologia romanza, di storia della lingua, delle varie letterature straniere.

7. È indubbio che gli studiosi della linguistica e della storia della lingua italiana hanno dato un forte prestigio, anche internazionale, alle loro discipline, hanno prodotto ottimi manuali, rinnovato gli strumenti di studio. I risultati pratici di tanti sforzi non sono esaltanti, probabilmente per la presenza preponderante di potenti fattori sociali e culturali che hanno inciso negativamente sulla salute complessiva dell'italiano; e tuttavia ha ragione Merz a pensare in termini abbastanza ottimistici ai programmi di insegnamento all'estero, ai successi ottenuti, alla complessiva situazione di presenza e buona capacità di penetrazione dell'italiano nel mondo.

8. La crisi dell'italianistica, di cui si parla, è soprattutto crisi dell'insegnamento della letteratura italiana ed è dovuta ai cambiamenti nel frattempo intercorsi: bene o male una coscienza nazionale italiana si è formata (più grazie ai programmi televisivi che tutti vedono che non ai classici della letteratura che nessuno più legge o impara a memoria), una unificazione linguistica si sta gradualmente realizzando (anch'essa su basi diverse da quelle previste da chi discuteva di questione della lingua nell'Ottocento). Il fatto drammatico è che i professori di letteratura italiana, sia nelle scuole sia nelle università, quasi non se ne sono accorti. Di recente hanno costituito, a Pisa, una associazione professionale e hanno cominciato pubblicamente a discuterne.

9. Il nodo principale rimane quello dell'impostazione dell'educazione letteraria, distinta dall'educazione linguistica, nelle scuole secondarie. Ormai è chiaro a tutti che un programma ampio e completo di educazione letteraria, a tutti i livelli e in tutte le scuole, non è né obbligatorio né scontato. Quasi tutti quelli che intervengono nelle discussioni continuano a pensare al loro bel liceo classico di un tempo, quello in cui loro hanno studiato, e non sanno che ormai si tratta di una realtà estremamente marginale e minoritaria nel sistema scolastico italiano. Non sono mancati coloro che hanno apertamente sostenuto che la scuola secondaria unificata, che uscirà dalla riforma, dovrà accontentarsi di un buon obbiettivo generale di educazione linguistica, mentre l'educazione letteraria andrà relegata a materia opzionale nella scuola secondaria e poi a un vero e proprio corso di studio completo nell'università. Qualcun altro (per esempio, di recente, Franco Brioschi in un intervento a una tavola rotonda a Sulmona, dibattendo con Petronio, Malato, Ghidetti, Palermo e me stesso) ha sostenuto l'ipotesi di dedicare gli anni della scuola secondaria non allo "studio" della letteratura, ma alla sua libera consumazione, con programmi di lettura (anche individuale e silenziosa in classe), educazione insomma al "piacere" del testo - rinviando i momenti dell'interpretazione critica e della contestualizzazione storica all'università. Una proposta come questa cambierebbe radicalmente non solo l'insegnamento della letteratura nella scuola secondaria, ma anche quello nell'università, con programmi articolati per anni, un'alfabetizzazione letteraria graduale e completa, il rafforzamento dei corsi istituzionali, l'indebolimento della pratica dei corsi monografici, ecc.

10. Se si vuole mantenere un insegnamento consistente della letteratura nella scuola, a questo punto, non si può più darlo per scontato e appoggiarsi alla tradizione. Bisogna motivare una tale scelta e sostenerla contro le ragioni non prive di forza degli avversari. Bisogna scegliere fra insegnamento antologico e libero dei testi e insegnamento per percorsi storici. A una scelta in questo senso spingono anche le indicazioni venute dalla commissione che ha preparato i nuovi curricula e i nuovi programmi, la cosiddetta commissione Brocca, la quale ha raggiunto una interessante posizione di equilibrio in questa materia, grazie alla presenza intelligente del linguista Sabatini e anche di alcuni insegnanti di letteratura. In ogni caso non è più possibile pensare in termini di percorso di tipo "desanctisiano", che vada dalle origini a oggi. Delle scelte vanno fatte anche rispetto alla lunghissima vicenda storica della letteratura italiana.

11. A complicare le cose c'è l'esigenza, sacrosanta, di allargare l'insegnamento alle altre letterature, che in molti momenti storici hanno contribuito in modo molto rilevante, e preponderante, alla costituzione dell'immaginario letterario collettivo (e anche del "canone" delle grandi opere).

12. Spesso si sono levate voci in favore di una netta concentrazione dell'insegnamento letterario sui testi del Novecento. In ogni caso i recenti interventi ministeriali sui programmi di storia fanno prevedere che si avrà presto un intervento simile per i programmi di letteratura, con l'invito a dedicare tutto l'ultimo anno di corso alla sola letteratura del Novecento. A favore di questa scelta c'è il dato storico significativo che la nostra letteratura, dopo aver avuto una posizione preminente nel Medioevo e nel primo Rinascimento, è tornata a contare sul piano mondiale solo nel nostro secolo, con autori come Pirandello, Svevo, Montale, Calvino che ormai fanno parte di molte reading lists per l'insegnamento letterario in tutto il mondo. Trattandosi di un tipo di letteratura fortemente integrata con quella delle altre culture del Novecento (Svevo è un autore mitteleuropeo, tutti gli altri hanno continuamente dialogato con altre letterature e altre culture) un simile insegnamento si presterebbe facilmente a una organizzazione allargata e comparatistica. E però la letteratura del Novecento è anche fortemente nutrita di elementi di intertestualità storica, ha spesso i connotati della piena maturità, giunta alla fine di una lunga tradizione. Essa stessa rinvia alla dimensione della storicità e sembra indicare la necessità di esplorazioni, su base selettiva e mirata ma non casuale e saltuaria, di altri universi culturali, sia sul piano geografico che su quello storico.

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 1997-1999

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Gennaio-giugno 1997, n. 1