I «generi marginali» nel Novecento letterario
Seminario di studi
a cura di Daniela Baroncini e Federico Pellizzi
Tavola rotonda
Bologna, 22 maggio 1997
Dipartimento di Italianistica
Partecipanti:
Federico Pellizzi, Paolo Bagni, Andrea Battistini, Remo Ceserani
A che cosa allude la formula "generi marginali"? La si potrebbe portare a ridosso di ciò che Barthes scrive del discorso amoroso, discorso tagliato fuori dal potere e dai suoi meccanismi, "trascinato nella deriva dell'inattuale";1 si può, insomma, evocare il pathos della marginalità, nel quale, tuttavia, credo che il tema dei generi marginali rischierebbe di dissolversi.
Ma vi è anche un'idea, o una memoria, di un ordine dei generi, di principi di ordinamento, e di relazioni fra generi. Conviene allora consultare qualche immagine di un ordine dei generi, alla ricerca di tratti euristicamente utili per riflettere sui generi marginali.
Come primo esempio di un sistema dei generi si è soliti indicare il grammatico Diomede (IV sec.), il quale utilizza i termini della tripartizione platonico-aristotelica2 come categorie sovraordinate, così da porre tre grandi generi (genus attivo o imitativo, narrativo o espositivo, comune o misto),3 ulteriormente suddivisi in specie (species tragica, comica, satirica, didascalica, etc.).
Il sistema ha dunque un carattere gerarchico, consistente in un'articolazione logico-sistematica di generi e specie, tale da funzionare come criterio di inclusione delle specie, nei generi. Una gerarchia come criterio di inclusione delle specie nei generi. Una gerarchia come gradazione di importanza è invece suggerita da Blair4 come "ordine il più semplice e naturale",5 "dalle minori forme alle più dignitose", secondo questa scansione: poesia pastorale e lirica, didattica, antica poesia degli Ebrei, epica e drammatica; e questo ordinamento presuppone un progresso della poesia, che non riguarda però la successione gerarchica delle sue forme, bensì la distanza tra l'origine, la massa confusa della poesia originaria, e la distanza in forme regolari e coltivate.6
I due esempi – che possono valere come segnale di inizio e fine di una tradizione di dottrina dei generi – propongono perciò un ordine dei generi come gerarchia , ma con significati differenti: un significato qualitativo in Blair, secondo una graduatoria di dignità.
Pochi decenni dopo Blair (negli anni tra il Dialogo sulla poesia di F. Schlegel e le Lezioni di estetica di Hegel), il tema dell'ordine dei generi come gerarchia si risignifica nella coincidenza di storia e sistema: cosicché la gerarchia dei generi acquista il senso di un necessario sviluppo di significati e forme, affidato alla triade lirico-epico-drammatico incaricata di esprimere l'unità e la necessità del divenire della poesia: l'ordine dei generi ora convoglia e articola il processo-progresso storico della poesia nella dialettica di una successione di forme. Questo senso della gerarchia dei generi è stato certo influente: vivo, ancora, a metà del nostro secolo, nel libro di Staiger,7 impegnato a motivare la necessità della successione lirico-epico-drammatico, pur se la successione non è più storica, bensì "ideale", nel senso delle idealità husserliane. Altrettanto è vero, tuttavia, che tale ordine sempre più è apparso disgiunto dall'esperienza letteraria del nostro tempo.
Ma in Staiger è ben presente anche un'altra immagine di ordine dei generi, che conviene illustrare rifacendosi al canonico luogo goethiano del Divano occidentale - orientale (1819), relativo ai generi poetici e alla forme naturali della poesia.8
Goethe elenca in ordine alfabetico un certo numero di generi (allegoria, ballata, cantata, dramma, elegia, epigramma, epistola, etc.), per rilevare l'esigenza di un "ordinamento naturale", impossibile a partire da quelle eterogenee e disparate denominazioni; ecco perciò l'indicazione delle tre esclusive vere e proprie forme naturali della poesia, modi poetici "che possono operare sia insieme che separati": "quella che narra con chiarezza, quella che si accalora nell'entusiasmo e quella che mette in azione i protagonisti: epos lirica dramma". Se le tre forme naturali, o modi poetici, appaiono sovraordinate rispetto ai generi, non costituiscono però una gerarchia inclusiva né tantomeno di valore: intanto, perché incessantemente si intrecciano "variando all'infinito i generi poetici"; e, ancor più, quando Goethe suggerisce l'immagine di una circonferenza sulla quale, poste le tre forme naturali come tre punti d'orientamento equidistanti, si ordinino i generi a seconda del predominio dell'una o dell'altra forma, in modo da chiudere il cerchio. Otteniamo così non più una gerarchia, bensì uno spazio dei generi, spazio chiuso, nel senso della rappresentazione di un ordine che è "conforme alla natura", ma altresì spazio aperto, nel senso che il criterio di ordinamento vale anche come matrice di variazione infinite. E non sottolineo tanto la raffigurazione spaziale di un ordine, quanto proprio l'idea di un ordine come spazio, orientato e percorribile.
Nella letteratura sui generi, questo luogo goethiano è regolarmente citato e commentato, ma perlopiù non si fa riferimento alla forma del libro da cui viene estrapolato: vale perciò la pena notare che il Divano è organizzato come un canzoniere, un'antologia, o quasi un bazar di libri poetici, corredato di Note e dissertazioni per la migliore comprensione del Divano occidentale-orientale. Proprio all'inizio di queste Note e dissertazioni (in cui si trovano i passi sui generi) Goethe, ricordando di non avere avuto il costume di fare prefazioni ai propri libri, si giustifica per avere apposto in questo caso tale supplemento, necessario al fine di permettere una comprensione immediata anche a lettori che non abbiano dimestichezza con l'Oriente. E si augura di essere considerato come un viaggiatore, " per il quale è titolo di lode adattarsi con affetto alle consuetudini di una diversa popolazione, sforzarsi di assimilare l'uso linguistico, saperne condividere la mentalità e accogliere i costumi";9 e al ritorno, il viaggiatore, "affinché tutto quello che riporta con sé incontri più rapidamente il favore dei suoi, assume la parte di un commerciante, che espone compiacente le sue merci e cerca in più modi di renderle gradite".
Questa figura dell'autore come viaggiatore mi sembra pienamente congruente con l'immagine dello spazio dei generi: spazio nel quale emerge la possibilità dell'incontro con l'altro, incontro enfaticamente dichiarato quando Goethe nel capitolo Gli Ebrei dice: "E così il libro dei libri potrebbe mostrare libro per libro di esserci stato dato affinché in esso , come al contatto d'un altro mondo, possiamo sperimentarci, perderci, illuminarci ed educarci".10
Un'ultima immagine voglio, infine, evocare, accanto agli ordini della gerarchia e dello spazio dei generi: l'ordine dei generi come conflitto.
Tralasciando ora Brunetière, che aveva visto nella lotta fra generi la darwiniana ratio della loro evoluzione,11 ricordiamo come Bachtin abbia insistito sulla relazione conflittuale tra romanzo e sistema dei generi;12 o come Guillén abbia descritto il rapporto tra picaresco e romanzo cervantesco con il concetto di contro-genere.13 Ma vorrei soffermarmi su Harold Bloom che, nel libro sul Canone Occidentale, propone con radicalità la dimensione agonistica, "un'enorme lotta tra testi",14 come chiave di comprensione della sopravvivenza delle opere letterarie: una lotta, la cui posta è la selezione nel Canone. In tale ordine dinamico e selettivo si instaura una connessione fra generi e opere canoniche in forza della quale, di volta in volta, "certi generi sono considerai più canonici di altri".15 Bloom cita una pagina del libro di Fowler, Kinds of Literature:
Dobbiamo arrenderci all'evidenza che la gamma completa dei generi non è mai ugualmente, e tanto meno pienamente, disponibile in ogni periodo. Ciascuna età ha un repertorio relativamente ridotto di generi ai quali i suoi lettori e critici possono rispondere con entusiasmo, e ancora più ristretto è il repertorio prontamente disponibile ai suoi scrittori: il canone temporaneo viene a essere fissato per tutti i generi forse esistono in tutte le età, oscuramente incarnati in eccezioni bizzarre e capricciose. Ma il repertorio dei generi attivi è sempre stato ridotto e soggetto a cancellazioni e addizioni proporzionalmente significative.16
È opportuno ricordare che leit-motiv del libro di Flower è l'idea che i generi sono trasformazione: il mutamento non è un "accidente" che intervenga su una "essenza" stabile, è la modalità d'esistenza dei generi.
In questa prospettiva dinamico-selettiva, si risignificano caratteri di ciò che abbiamo distinto come ordine della gerarchia e ordine dello spazio dei generi: se una gerarchia indubbiamente qui appare, essa ha ora il senso di una selezione agonistica, nella quale una gerarchia di generi interagisce con un canone di autori e opere; ma si risignifica profondamente anche il tema di uno spazio dei generi.
Un doppio profilo sembra ora strutturare questo spazio: da un lato, la fisionomia del mobile e ridotto repertorio dei generi pienamente e prontamente disponibili a scrittori e lettori – già un poco più ampio per i lettori, anche se forse con lineamenti meno netti; dall'altro, l'ombra di un orizzonte che contiene tutti i generi, "eccezioni bizzarre e capricciose". E tra i due piani una relazione permanente di scambio, con addizioni e cancellazioni nel repertorio ristretto.
Un'idea simile è stata espressa da Guillén, il quale, sulla scorta di Poggioli, ha proposto un'articolazione tra la poetica "ufficiale" di un certo tempo e la sua poetica "implicita", una più ampia e magmatica zona di esperienza generica: articolazione proposta per intendere la nascita di un nuovo genere, nascita che avviene, per così dire, tramite la fecondazione di un ordine da parte dell'altro.
In questa immagine dell'ordine dei generi, che ha accolto in sé la trasformazione e il nuovo, il margine, alla cui vis nominis ricondurremo ora la formula "generi merginali", trova il senso di mobile linea di confine, luogo di scambio, luogo eccentrico, luogo di esercizio, di curiosità generica, di esplorazione della memoria generica; così che forse, all'ordine dei generi, si possono applicare quelle parole di Borges, quando rendiconta sullo stato della filosofia in Tlön:
Abbondano i sistemi incredibili, ma di architettura gradevole o di carattere sensazionale. I metafisici di Tlön non cercano la verità, e neppure la verosimiglianza, ma la sorpresa. Giudicano la metafisica un ramo della letteratura fantastica. Sanno che un sistema non è altro che la subordinazione di tutti gli aspetti dell'universo a uno qualsiasi degli aspetti stessi.17
Note:
1
R. BARTHES, Frammenti di un discorso amoroso, Torino, Einaudi, 1979 [Paris 1977], p. 3.2
Cfr. PLATONE, Repubblica, III, 392d ss., Aristotele, Poetica, 1447a - 48a.3
In H. Keil, Grammatici latini, Hildesheim, Olms, 1961 [rist. anast. dell'ed. 1855-78], I , p. 482.4
Citiamo dalla trad.it. delle Lectures del 1783, Lezioni di Rettorica e Belle Lettere ,tradotte e commentate da F. Soave, Venezia, Battinelli, 1811, 3 voll.5
Ivi, III, p. 21.6
Cfr.ivi, pp. 12-3.7
E. STAIGER, Fondamenti della poetica, Milano, Mursia, 1979 [Zürich 1946].8
Citiamo da J.W.GOETHE, Divano occidentale-orientale, Torino, Boringhieri, 1959, pp. 311-2.9
Ivi, p. 236.10
Ivi, p. 239.11
Cfr. F. BRUNETIÈRE, L'evoluzione dei generi nella storia della letteratura, Parma, Pratiche, 1980, [Paris 1890], e Manuel de l'histoire de la littérature française , Paris, Delagrave, 1898, 2 voll.12
Cfr. M. BACHTIN, Epos e romanzo [1938, 1941], in Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979 [Moskva 1975], pp. 445-82.13
C. GUILLÉN, Genre and Countergenre: the Discovery of the Piquaresque (1965, 1968), in Literature as System , Princeton NJ, Princeton UP, 1971, pp. 135-58.14
H. BLOOM, Il Canone occidentale. I Libri e le Scuole delle Età, Milano, Bompiani, 199 [New York 1994], p. 33.15
Ivi, p. 17.16
Ivi, pp. 18-9 (= A. FOWLER, Kinds of Literature. An Introduction to the Theory of Genres and Modes, Oxford, Claredon Press, 1982, pp. 226-7).17
J.L. BORGES, Finzioni, Torino. Einaudi, 1967, p. 15.
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