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Monica Jansen
Università di Utrecht
Remo Ceserani, un «critico molto avvertito» di Tabucchi
Sommario
I. «Autobiografie altrui» o la «capacità di ascoltare»
Nel suo "in memoriam" su «il manifesto» del 27 marzo 2012 intitolato Tabucchi. Eresie corrosive riflesse sull'acqua, Ceserani indica come «libro-chiave nella carriera di scrittore di Tabucchi» Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori, ed è proprio nel saggio ivi contenuto, intitolato Autobiografie altrui, che Tabucchi fa riferimento a Ceserani, descrivendolo come un «critico molto avvertito».1 La stima reciproca tra i due autori che qui viene a coincidere con un libro di "poetiche a posteriori", invita a pensare che il loro rapporto venga mediato dal procedimento letterario della "autobiografia altrui" che Ceserani altrove paragona a «un fenomeno di metempsicosi, cioè a un sovrapporsi di vite, esperienze, memorie come in una serie di enigmatiche reincarnazioni».2 Ceserani recensisce qui il romanzo in forma di lettere Si sta facendo sempre più tardi del 2001 in cui riconosce un'evoluzione nella poetica di Tabucchi, dallo scrittore che ha la «capacità di ascoltare le voci dei personaggi e trasmetterle [...] con una segreta immedesimazione nel loro mondo», all'autore che «ha vissuto dentro quei personaggi in una vita precedente» e perciò - e qui cita dal Post scriptum al romanzo - «gli scrittori la vita dei loro personaggi la conoscono proprio bene, anche nelle polle più profonde».3
La vicinanza tra il critico e lo scrittore non è solo una questione di affinità intellettuale ma anche di amicizia, parola chiave del loro rapportarsi alle rispettive professioni e al mondo. Non è un caso quindi che l'omaggio che Tabucchi rende a Ceserani nel 2003, in occasione dei suoi settant'anni, sia scritto nella forma di una lettera a un amico, in cui il destinatario è allo stesso momento un «autodestinatario». Come osserva Tabucchi nel saggio Autobiografie altrui, nello «scrivere a un'altra persona» infatti il mittente «si rivolge contemporaneamente anche a se stesso, spesso comprendendo, nello scrivere, qualcosa che non aveva ancora compreso»,4 appellandosi all'amicizia. Così Tabucchi inizia la lettera con la conversazione con un comune amico portoghese, in cui viene evocata la presenza di Ceserani con l'espressione portoghese «tenho saudades dele!»,5 e in questo modo il destinatario dà occasione allo scrivente di approfondire una questione semantica, dando ascolto alla domanda di un amico:
«[A]ffronto una buona volta la definizione di questa parola (come è noto intraducibile), memore di quando eri venuto a Lisbona e ogni volta che ci vedevamo, con quella tua arietta fra lo svagato e il malizioso, mi chiedevi: "Antonio, ma cos'è questa famosa Saudade? ", e io vigliaccamente rispondevo: "è una parola intraducibile". Ebbene, caro Remo, ho deciso in questa sede di affrontare seriamente il problema».6
L'evocazione di Ceserani nelle parole di Tabucchi è un bell'esempio di quella «capacità di ascoltare le voci dei personaggi e trasmetterle in un linguaggio trasparente» di cui Ceserani aveva fatto menzione nella sua recensione a Si sta facendo sempre più tardi. Gli aspetti con cui Stefano Lazzarin - che ha curato con Pierluigi Pellini il volume Un «osservatore e testimone attento» in onore al defunto "maestro della comparatistica italiana" nel 2018 ? ha cercato di definire l'eredità di Ceserani, possono qui servire per illustrare ulteriormente le convergenze tra due spiriti critici di stampo "illuminista",7 l'uno (Tabucchi) nella tradizione francese del "j'accuse",8 e l'altro (Ceserani) in quella dell'ottimismo enciclopedico alla Diderot.9 La voce che forse li accomuna di più è quella che Lazzarin attribuisce a Ceserani: la «capacità di ascoltare». Ma riconosciamo in ambedue gli autori anche l'attrazione di Ceserani verso l'«eclettismo», l'«inesauribile curiosità»10 e l'«impegno (di matrice illuminista)», e la «militanza culturale (e politica e sociale)».11 Quali sono quindi le comunanze tra due scrittori e intellettuali che vedono un chiaro rapporto tra letteratura, critica e società; che rifuggono dalle certezze e che esercitano l'ironia di chi commenta da «una posizione [...] di osservatore e testimone attento»?12
Per quest'indagine prenderemo spunto dalla collaborazione di Ceserani a «il manifesto» e dalla rubrica «Messa a fuoco» redatta tra il 2012 e il 2016 per la rivista telematica «Aracne», di cui nel 2013 compose un "befanino" di 500 copie con la seguente spiegazione: «Omaggio di Remo Ceserani agli amici di tutto il mondo. Pisa-Roma-Stanford, 22 XI 2013».13
II. Il valore dello storytelling per definire «i confini della verità»
Partiamo dalla domanda su cosa colpiva Ceserani in particolare nelle "poetiche a posteriori" di Tabucchi raccolte in Autobiografie altrui nel 2003, anno in cui Ceserani stesso pubblica la Guida breve allo studio della letteratura. Trattando il «sistema dei personaggi», il critico menziona il «bel racconto» I treni che vanno a Madras da Piccoli equivoci senza importanza per illustrare la capacità dei «personaggi di carta» di «tranquillamente uscire da un libro ed entrare in un altro», come succede con il personaggio di Peter Schlemihl, che «uscito dalle pagine di Chamisso, rientrato in quelle di Hoffmann, ricomparso in qualche film espressionista tedesco, d'improvviso ritorna in azione» nelle pagine di Tabucchi.14 Ceserani, nella recensione a Autobiografie altrui, e più tardi nel già menzionato necrologio per Tabucchi, ricorda l'episodio che l'ha toccato più di tutti, citandolo dal libro che Tabucchi stesso raccomanda, nella Post-prefazione scritta nella forma di una «Lettera a un amico», per «il valore che ha la menzogna [...]: serve a definire i confini della verità».15 Il passaggio riguarda l'identificazione da parte dello scrittore di un giovanotto in bicicletta, che porta un lungo bastone in spalle, con il baleniere di sua invenzione che in Donna di Porto Pim uccide la sua donna con un «terribile arpione». L'identificazione è talmente forte che Tabucchi gli grida dietro:
«[N]on lo fare, te ne pentirai per tutta la vita, guarda che la storia che stai seguendo non è vera, me la sono inventata io, te lo giuro, ho sempre fatto credere che me l'avesse raccontata un vero baleniere, ma me la sono inventata di sana pianta, la tua storia non esiste!».16
Secondo Ceserani «si tratta di un episodio simbolico»: la permeabilità tra vita e finzione sta alla base dell'operazione di scrittura che Tabucchi ha svolto in tutti i generi di finzione e di non finzione da lui praticati, il che fa sostenere al critico di Soresina l'esistenza di una continuità tra il primo Tabucchi sperimentale e il Tabucchi dopo Sostiene Pereira, «sia per quanto riguarda i temi della sua opera letteraria, sia per quanto riguarda i procedimenti narrativi».17
Se vogliamo stabilire un nesso di continuità anche tra l'operazione narrativa di Tabucchi all'insegna delle "autobiografie altrui" - Tabucchi finisce il saggio omonimo con l'osservazione sardonica: «Se vuole, ho scritto delle autobiografie altrui. Me la passa l'espressione?»18 - e quella saggistica del critico letterario Ceserani, lo troviamo proprio nell'importanza data al raccontare "storie altrui" da un punto di vista autobiografico, siano esse, come nel caso di Ceserani, il cambio di paradigma della teoria letteraria statunitense o la svolta epocale del postmoderno, osservati preferibilmente dalla posizione di un «testimone che non capisce».19
Assume così un significato primario e metacritico per i due autori proprio il doppio atto dello «scrivere, scriversi»,20 che da Andrea Bernardelli è stato individuato per Ceserani nel suo assumersi il ruolo di «testimone culturale» attraverso il modo dello storytelling, utilizzato dal critico «per elaborare un modello di assimilazione della propria cultura di riferimento, e per fare teoria o storia della cultura» nella forma del «racconto dell'esperienza personale».21
La «sollecitudine con cui registrava la voce altrui»,22 attribuita da Lazzarin a Ceserani, viene dal critico riconosciuta invece nella scrittura dell'amico: l'intertestualità che popola i suoi testi, ovvero «il richiamo aperto o allusivo ai tanti testi che popolano la nostra memoria», sarebbe tipico di Tabucchi e di «tanta letteratura della modernità liquida».23 Quest'ultimo termine di Zygmunt Bauman viene adottato da Ceserani invece del o accanto al postmoderno,24 facendo così proprio il "ripensamento" compiuto dal filosofo polacco in Liquid Modernity.25 Inoltre con quest'operazione Bauman, secondo Ceserani, ha cercato «di tenere in vita alcuni degli slanci utopici della modernità, ha provato a delineare anche possibili aspetti positivi (accanto a quelli negativi) delle nostre società liquide: nuovi rapporti interpersonali, nuovi atteggiamenti morali nei comportamenti, e così via».26
In questa prospettiva "liquida", la rinuncia «a parlare in prima persona»27 che caratterizzerebbe Ceserani secondo Lazzarin, non equivale quindi a una rinuncia all'impegno politico. Come precisa Tabucchi in un'intervista a Marco Dell'Oro, vedere il mondo «un po' in disparte» lontano dai «riflettori puntati addosso»28 è invece «necessario per poter osservare il ballo che si svolge nel castello, senza parteciparvi».29
III. «Elogio della letteratura» e «Elogio dell'eclettismo» a confronto
Sia per Tabucchi che per Ceserani l'impegno culturale e politico è al centro dei rispettivi Elogio della letteratura30 e Elogio dell'eclettismo, elogio quest'ultimo che Ceserani formula, oltre che nell'introduzione alla sua influente Guida allo studio della letteratura (1999),31 anche tramite il mezzo effimero di una rivista elettronica poco conosciuta, «Aracne», nella puntata #46 della sua rubrica «Messa a fuoco». Per Tabucchi la letteratura «è sostanzialmente questo: una visione del mondo differente da quella imposta dal pensiero dominante, o per meglio dire dal pensiero al potere, qualsiasi esso sia. È il dubbio che ciò che l'istituzione vigente vuole che sia così, non sia esattamente così».32 Per Ceserani l'eclettismo è un viatico contro i pericolosi «fondamentalismi del pensiero» che «invadono le nostre vite». Egli conclude la sua riflessione nel modo seguente:
«Certo, lo scetticismo è un'attrazione forte, una sirena al cui canto è facilissimo cedere. Ma l'eclettismo ha qualcosa di più: una ricerca continua fra libri e esperienze, fra idee e stimoli, un viaggiare ininterrotto e avventuroso fra impressioni e riflessioni degli altri viaggiatori, ignorando le piste già tracciate e segnate e le guide turistiche, setacciando le espressioni del libero pensiero. Per questo, nei giorni della violenza fondamentalista, è bello e giusto fare l'elogio dell'eclettismo».33
Secondo Ceserani, le «prese di posizione ideologiche e politiche [...] forti e radicali» di Tabucchi non sono necessariamente in contrasto con lo «sfondo filosofico che sottende ai suoi lavori letterari, che sembrano ispirati a concezioni scettiche e relativiste e a una costante messa in discussione delle apparenze e della verità».34 Quel "sembrano" è indizio del fatto che il critico non concorda, come si è visto anche prima, con quella critica che divide la scrittura di Tabucchi in due fasi, una prima fase postmoderna apolitica e una seconda impegnata. Secondo Raffaele Donnarumma, per esempio, «la discesa in campo di Berlusconi, nel 1994» farebbe cambiare posizione a Tabucchi, e lo porterebbe a «una volontà di partecipazione civile più scoperta rispetto al passato» con i romanzi Sostiene Pereira e La testa perduta di Damasceno Monteiro, mentre con i pezzi giornalistici, «anche violentemente polemici», ma montati nel «gioco letterario» de L'oca al passo, non scomparirebbe nell'autore, anche quando «prende di petto il presente», quel «bisogno di distanziarsene». Donnarumma, in Ipermodernità, considera lo scrittore quindi pur sempre un esponente di quel postmoderno «che scherma il presente con le maschere della dizione obliqua, del manierismo, del recupero citazionale dei generi, della letteratura di letteratura».35
Come dimostrato, secondo l'autore di Raccontare il postmoderno esiste invece una continuità e una non contraddittorietà tra i due modi, ambedue animati da «una ricerca intellettuale che non rifugge dalle contraddizioni e dalla consapevolezza della complessità e molteplicità dei nostri parametri culturali, ormai inevitabile in uno scrittore nell'età postmoderna o liquida».36 Lo stesso si può dire del modo in cui egli stesso intende fare critica letteraria, muovendosi sui due fronti del critico "eclettico" e dell'"osservatore e testimone attento". Ceserani viene ricordato da Giulio Ferroni, nel suo contributo al volume curato da Lazzarin e Pellini, per la sua «particolarissima tranquilla irrequietezza», che comprende la sua «disposizione eclettica» ma anche una «prospettiva critica e teorica [...] sempre immersa nell'orizzonte della complessità, sostenuta da una vigile razionalità civile» e da «un interesse etico, sotto il segno della responsabilità e del riconoscimento dell'alterità».37
Il suo Elogio dell'eclettismo ha però sollevato anche qualche sospetto da parte di critici "apocalittici" quali Ferroni - che nel suo contributo al liber amicorum del 2003 sostiene di preferire un eclettismo «diffidente»38 - e Romano Luperini, per il quale la «motivazione sociale» rimane imprescindibile anche nella «crisi della critica», di cui secondo il critico marxista l'«eclettismo metodologico» è un sintomo piuttosto che una soluzione.39 Ma allo stesso tempo «la commistione di politico e letterario, o la non estraneità del discorso politico a ogni interpretazione del fatto letterario» viene vista da Bernardelli come una caratteristica fondamentale del suo lavoro. E Bernardelli dimostra, con l'esempio di Raccontare il postmoderno, che Ceserani, per comprendere "la Storia", non si affida soltanto al «modo autobiografico e mimetico-realistico», ma ne aggiunge un terzo, quello « "polemico-argomentativo" o "agonistico"».40
Su «il manifesto», Ceserani si esprime su come fare critica e letteratura del presente nell'epoca postmoderna a partire dalla posizione misurata di chi riconosce «le trasformazioni profonde avvenute [...] nei sistemi della comunicazione culturale» e allo stesso tempo non rinuncia alla «possibilità del lavoro culturale e di quello politico».41 Mentre il lavoro culturale è costituito di «analisi critiche spregiudicate, a tutto campo, non tendenziose, non settoriali, fatte di tensione conoscitiva», il momento, «delicatissimo», di «produzione di storie», è fatto di «parole, immagini, che possono anch'esse caricarsi di valori conoscitivi, magari più profondi e indiretti, affidandosi alla capacità penetrante della rappresentazione multiprospettica, a quella corrosiva dell'ironia o a quella proiettiva dell'utopia».42
Ceserani riflette anche, a più riprese, sul ruolo dell'intellettuale e sulla forma da dare alla critica del presente ora che, come insegna Bauman, all'intellettuale «legislatore» della modernità, «resta solo il ruolo dell'interprete» di fronte al «conflitto delle interpretazioni».43 In base a un'altra trasformazione piuttosto positiva segnalata da Bauman, che dall'eticità imposta dagli intellettuali legislatori conduce alla moralità inerente alle «potenzialità insite nella modernità liquida», egli concepisce la «frusta e la lingua tagliente» di Tabucchi ne L'oca al passo non tanto nella chiave della rabbia e dello sdegno dell'«intellettuale legislatore» moderno, ma piuttosto come l'espressione di una moralità insita nella vita dell'autore che, a partire dal «radicamento popolare e antifascista» con cui è cresciuto a Vecchiano fino alle sue esperienze con le «dittature di Franco e Salazar», con «la rivolta di Budapest e quella di Praga», e infine con i «regimi di destra in America e in Italia», costituisce un «filo continuo» che «esprime tutto il suo sdegno per la totale caduta dei valori etici nel mondo globalizzato».44
IV. L'eredità di Tabucchi «messa a fuoco»
Nella recensione all'Oca al passo, apparsa su «il manifesto», il critico esprime la sua ammirazione per il modo in cui lo scrittore «raffinatissimo» interloquisce con «la grande tradizione comica e burlesca», ma si chiede allo stesso tempo se sia «davvero giustificata l'arrabbiatura di Tabucchi» rispetto al presente della società e della cultura italiana. Rispondendosi affermativamente, egli sostiene che «di fronte al panorama che offrono oggi la società e la cultura italiana», l'atteggiamento «non possa che essere di piena comprensione per le posizioni di Tabucchi». Aggiunge però che egli stesso «per carattere vorrebbe rifuggire dai toni esacerbati e stenta ad assumerli nei propri discorsi».45 All'ironia «corrosiva» di Tabucchi oppone il modello satirico adottato nei confronti del mondo accademico da David Lodge, e da lui stesso esercitato nelle sue «scritture e spigolature ironiche»,46 la cui maggiore manifestazione è stato il romanzo satirico Viaggio in Italia del dottor Dapertutto.47 Di tale spirito "leggero" con cui trattare argomenti conoscitivi e di attualità testimoniano sia la rubrica «Torre Saracena» tenuta per sei anni (1985-1991) su «il manifesto», sia quella intitolata «Messa a fuoco» su «Aracne» (2012-2016).48
Anche in queste escursioni semiserie Ceserani viene accompagnato dall'immaginario tabucchiano, di cui troviamo tracce in tre puntate della rubrica «Messa a fuoco», che qui vogliamo passare in rassegna. Nella prima puntata intitolata L'infinito, che è tutta giocata sulle "convergenze" tra le questioni matematiche e filosofiche dell'infinito e l'infinito nella tecnica fotografica, Ceserani azzarda l'ipotesi, dopo aver discusso gli esempi di Leopardi, Novalis e Borges, che nel finale de Il filo dell'orizzonte, oltre che a «Spinoza e l'esperienza mobile dei sefarditi», Tabucchi «pensi anche ai meccanismi ottici della macchina fotografica», ovvero all'infinito inteso come «la riproduzione di oggetti che si trovano a una grande distanza, molto maggiore di quella focale».49
È ancora Il filo dell'orizzonte a muovere il pensiero di Ceserani nella puntata 40, La tomba del migrante ignoto, e questa volta la storia di Spino, un «paramedico addetto all'obitorio di un ospedale di Genova» che si assume «il compito di dar[e] un nome vero e una vera identità» al cadavere di un «giovane morto in uno scontro a fuoco con la polizia», si sovrappone a un servizio letto su «La Stampa» del 2015,50 in cui, nella doppia visione di Ceserani, si narra dell'«addetto alle celle frigorifere, lo Spino maltese», che si chiama nella realtà David Grima. Se lo Spino di Tabucchi evocava nel suo nome quello di Baruch Spinoza, il nome Grima per Ceserani produce, in contrasto con la mitezza della sua persona reale, assonanze con l'inglese grim («lugubre») e il tedesco grimm che significa «feroce». Il paragone, oltre che sulle analogie con l'opera di Tabucchi del 1986, si sofferma anche su un sonetto di Rainer Maria Rilke, contenuto nelle Neue Gedichte (Leichen-Wäsche, La lavanda del cadavere), in cui «la scena evangelica è trasformata in un dramma moderno e perturbante, con le donne pietose che lavano il corpo di uno sconosciuto, "einer, ohne Namen" (un tale, senza nome) e, dal momento che ignorano la sua storia e il suo destino, ne inventano uno per lui, proprio come fa Spino». Il paragone si arresta però di fronte alla tragedia «dell'ennesima ecatombe di migranti nel Mediterraneo», dramma umano che appartiene a un'altra realtà storica e che perciò richiede altri strumenti conoscitivi. Mentre Spino, nella lettura di Ceserani, alla fine della sua indagine «è riuscito a dare un'identità forte e consapevole a se stesso, alla propria presenza ontologica in un mondo sempre più privo di ancoraggi sicuri», il dottor Grima «non fa nessuno sforzo per dare un nome ai cadaveri rinchiusi in sacchi di plastica nera e corredati da un cartellino con un numero». Ai suoi cadaveri senza nome preleva il DNA, ma sulle loro tombe non ne figurerà nessun codice,
«destinato a smarrirsi nel gran mare dei codici di DNA dei milioni di persone che popolano le migliaia di tribù che schiavisti, missionari, colonizzatori e movimenti d'indipendenza hanno riunito in fragili Stati africani in debito di identità. Verrà semplicemente apposto un numero. "Pietà l'è morta" per la tomba n. 13 del migrante ignoto».51
Infine, nella «Messa a fuoco» #55 intitolata Han, a Ceserani viene in mente la saudade spiegatagli da Tabucchi e, arricchendo il vocabolo con una ulteriore connotazione - «più che con la malinconia, quel sentimento ha a che fare con uno stato di inquietudine, quello di sentirsi l'oggetto del desiderio di uno Stato vicino potente e sopraffattore come la Spagna» - il critico costruisce un'analogia con il concetto coreano han, un «sentimento collettivo e identitario» di sopraffazione che è «la reazione a una condizione storica di continua esposizione alle invasioni di potenti nazioni straniere, che ha quindi provocato un sentimento di oppressione e isolamento di fronte a prepotenze contro cui il popolo coreano non ha forze né strumenti per reagire». Stimolo per queste riflessioni "eclettiche" è di nuovo un'opera letteraria, The Vegetarian della scrittrice coreana Han Kang che nel 2016 aveva vinto il Booker Prize ed era stata tradotta in italiano per Adelphi.52
In questi dialoghi con l'autore di Vecchiano oltre la sua morte, vediamo che Ceserani riflette anche sui limiti di un paradigma ontologico a cui sente di appartenere ma di cui è rimasto orfano. Dalla messa a confronto tra Autobiografie altrui e gli scritti per giornali e riviste di Ceserani finora condotta, si può quindi concludere che i temi trattati e i metodi adottati da Tabucchi sono molto cari al critico non solo perché se li sente consoni, ma anche perché teme di perderli in un mondo in cui "l'immaginario" e "il materiale" non sembrano più essere identificabili. Per concludere vogliamo tornare alla «bella amicizia»53 che ha condizionato il legame tra i due osservatori avvertiti, ma che è anche stata alla base di conoscenze e interessi letterari in comune.
V. Amicizie letterarie e saudades
La menzione dello scrittore romeno Norman Manea in Autobiografie altrui54 può illustrare un'altra passione condivisa dai due letterati, quella di viaggiare sulle orme delle loro curiosità letterarie. Com'è noto, Ceserani approdò in piroscafo per la prima volta negli Stati Uniti nel 1958 per conoscere la nuova critica americana, e, ironia della sorte, per mancare al grande appuntamento con la Storia (la rivolta di Berkeley), come scriverà con autoironia all'inizio del suo Breve viaggio nella critica americana: «C'è chi si trova nella situazione giusta, al momento giusto. E c'è chi, invece, arriva al posto giusto, ma o un po' troppo presto o un po' troppo tardi».55 Ceserani ricorda, durante la commemorazione pisana, che Tabucchi viaggiò, «dopo molte incertezze, anche negli Stati Uniti, dove trovò una nicchia tranquilla e intellettualmente vivace al Bard College (a quel periodo risalgono gli incontri con Norman Manea e Susan Sontag)».56 Come scrive lo studioso di letteratura romena Bruno Mazzoni nel suo ricordo del collega lusitanista, Tabucchi era stato invitato da Manea nel 2002 al Bard College per la Contemporary Masters Series. Come scriverà lo scrittore ebreo-romeno nella sua commemorazione, subito apparsa in traduzione italiana sul «Corriere della Sera», «l'inestimabile ricchezza» dell'amicizia portata dall'autore insieme alla moglie Zé al Bard, è stata per lui «uno dei grandi doni del[l']esilio».57
I loro rapporti si intensificarono negli anni e il dialogo intellettuale si estese a un terzo amico scrittore, Orhan Pamuk, connubio diventato ancora più stretto dopo che tutti e tre vinsero il premio Médicis - Tabucchi nel 1987, Pamuk nel 2005 e Manea nel 2006 - e ricevettero il titolo di doctor honoris causa conferito congiuntamente ai tre scrittori dalla facoltà di Lettere dell'Università di Bucarest nel 2008. In quest'occasione fecero insieme un lungo viaggio in Romania, di cui si trova traccia nelle opere tabucchiane Il tempo invecchia in fretta e Viaggi e altri viaggi. Stava per nascere un progetto di scrittura a più mani sulla visita in Romania, a cui si sarebbe aggiunto anche un quarto amico, il giovane scrittore Andrea Bajani, progetto stroncato dalla morte di Tabucchi il 25 marzo 2012.58 Scriverà ancora Manea nel suo necrologio: «Così è stata la nostra amicizia: essenziale. [...] La sua improvvisa scomparsa ha reso più piccolo il mondo e ha accresciuto le tenebre, ma il suo ricordo proteggerà la vecchiaia dell'errante con cui si è affratellato».59
Tutta questa esperienza ebbe origine nell'Alma mater pisana grazie ai contatti del maestro di Tabucchi, Silvio Guarnieri, con la Romania, e anche Ceserani ne fu compartecipe, come si deduce da un suo viaggio in Romania - al convegno Les imaginaires européens a Cluj-Napoca nel 200560 - e da una recensione del 2003 su «il manifesto» dedicata a uno scrittore romeno che per lui incarnava alla perfezione la poetica postmoderna.61 Si tratta di Mircea Cărtărescu e del suo romanzo d'esordio Nostalgia (1989), la cui traduzione in italiano realizzata dal collega Mazzoni veniva presentata in quell'anno a Padova in presenza dell'autore, considerato da Ceserani «uno dei più interessanti e raffinati fra gli scrittori che i paesi dell'est Europa, come l'Ungheria, la Polonia, la Cechia, la Romania, ci hanno con sorprendente abbondanza mandato negli ultimi anni». Le caratteristiche del postmoderno che il critico riconosce nella sua scrittura riecheggiano quelle intraviste nelle narrazioni di Tabucchi: «l'alternanza e varietà delle voci narranti», «i frequentissimi rimandi intertestuali a una grande quantità di opere di molte letterature», «la rivisitazione dei temi dello sdoppiamento o raddoppiamento delle personalità». Eppure, visto che il romanzo è stato scritto prima della caduta del regime di Ceauşescu, sembra trattarsi di un'adesione «intensa e istintiva» al postmoderno come a un mondo «lontano [...] e modernissimo» incontrato nel «mito americano» che circolava nei «sotterranei» dei circoli della cultura giovanile a Bucarest. La risposta alla domanda sulla sua opposizione al regime riconduce il discorso di Cărtărescu di nuovo alla poetica del «dubbio [...] politeista» formulato da Tabucchi nel suo già citato Elogio della letteratura: l'autore romeno parla «di una dedizione […] assoluta ed esclusiva alla letteratura, intesa essa stessa come forma di opposizione».62
Manea figura anche nella sezione «Amici» nel volume postumo Di tutto resta un poco in cui Tabucchi scrive tra l'altro: «Se non fossi amico di Norman Manea vorrei proprio diventarlo, dopo aver letto Il ritorno dell'huligano, un grandissimo libro che preferirei chiamare romanzo».63 Che la letteratura sia il "bacillo" dell'amicizia lo dimostra un'altra esperienza ancora condivisa da Tabucchi e Ceserani, ovvero quella della «scuola di Avane»,64 una «combriccola» di amici e scrittori pisani di cui faceva parte anche lo scrittore Athos Bigongiali, al quale ambedue gli autori hanno dedicato degli scritti.65 Ci limitiamo qui a osservare che Ceserani chiama in causa Bigongiali in una recensione a Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura di Ferroni, suggerendo al critico amico che il recente romanzo di Bigongiali, Le ceneri del Che, «accanto a possibili letture in chiave di rievocazione nostalgica delle primavere rivoluzionarie, o di rivisitazione dei luoghi immaginari di un mondo avventuroso e romanzesco adolescenziale, o di gioco intertestuale e pastiche postmoderno di alcuni miti letterari soprattutto sudamericani», si presterebbe «anche a una lettura postuma», come quella condotta da Ferroni nel saggio che Ceserani considera essere una «denuncia appassionata del postmodernismo come ideologia».66
Infine, i riferimenti a Manea e alla Romania aggiungono ancora un'altra parola corrispondente alla saudade portoghese, la parola romena dor che deriverebbe altresì da un «complesso di marginalità», come suggerisce Mazzoni, portando a «enfatizzare [...] una identità tutta speciale» e intraducibile.67 Come si ricordava all'inizio di questa indagine di due vite parallele, Ceserani viene interpellato da Tabucchi nel saggio Autobiografie altrui dove usa la figura patologica della «cefalea» per caratterizzare il suo romanzo in forma di lettere Si sta facendo sempre più tardi:
«Un critico molto avvertito, Remo Ceserani, si è ricordato delle emicranie di Baudelaire, e ha parlato di nevrosi depressivo-malinconica, di cui le emicranie sono una manifestazione. Non so se i mittenti di queste lettere siano dei depresso-malinconici [...]. Certo è (o almeno mi pare) che hanno tutti un gran mal di testa».68
Si ricorda qui che sul tema della malinconia Ceserani si è soffermato ripetutamente e che ha redatto la voce Malinconia per il Dizionario dei Temi letterari.69 Come anticipato, è con una lettera "a tema" su un sentimento affine che Tabucchi ha omaggiato Ceserani, dedicandosi al significato della parola saudade. Ed è con "saudade di loro" che terminiamo questa disamina intorno a Tabucchi e Ceserani, due osservatori e testimoni avvertiti del loro tempo di cui vogliamo portare dentro il nostro tempo, oltre alla loro curiosità insaziabile, lo stile «corrosivo e satirico»70 del primo e la «penna divertita ma pungente e lieve»71 del secondo.
VI. Bibliografia
- Bauman, Zygmunt - Liquid Modernity, Cambridge, Polity Press, 2000.
- Bauman, Zygmunt e Keith Tester - Conversations with Zygmunt Bauman, Cambridge, Polity Press, 2002.
- Ceserani, Remo - Breve viaggio nella critica americana, Pisa, ETS, 1984.
- Id. - Critica dell'oggi, poesia di un domani, in «il manifesto», 31 dicembre 1991, p. 10.
- Id. - Viaggio in Italia del dottor Dapertutto. Attraverso vizi (e virtù) degli intellettuali, Bologna, il Mulino, 1996.
- Id. - La passione e gli strumenti, in «il manifesto», 8 febbraio 1996.
- Id. - Raccontare il postmoderno, Torino, Bollati Boringhieri, 1997.
- Id. - Guida allo studio della letteratura, Roma-Bari, Laterza, 1999.
- Id. - Un messaggio dall'isola di Arianna, in «il manifesto», 18 marzo 2001, p. 12.
- Id. - Guida breve allo studio della letteratura, Roma-Bari, Laterza, 2003.
- Id. - Personaggi in cerca di un sogno d'autore, in «il manifesto», 29 giugno 2003, p. 13.
- Id. - Miti moderni di Cărtărescu, in «il manifesto», 8 novembre 2003.
- Id. - Molte lingue per dire l'Europa, in «il manifesto», 22 settembre 2005.
- Id. - Lampi di Tabucchi nel buio italiano, in «il manifesto», 25 maggio 2006, p. 15.
- Id. - Alla rincorsa della condizione umana, in «il manifesto», 3 giugno 2006.
- Id. - Malinconia, in Dizionario dei Temi Letterari, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano, vol. II, F-O, Torino, UTET, 2007, pp. 1369-1374.
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- Lazzarin, Stefano e Pierluigi Pellini (a cura di) - Un «osservatore e testimone attento». L'opera di Remo Ceserani nel suo tempo, Modena, Mucchi Editore, 2018.
- Manea, Norman - Il mio amico Antonio, esule come me, in «Corriere della Sera», 29 marzo 2012.
- Pellini, Pierluigi - Le affinità illuministe di un critico generoso, in «il manifesto», 2 novembre 2016.
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- Tocco, Valeria (a cura di), Adamastor e dintorni. In ricordo di Antonio Tabucchi, Pisa, Edizioni ETS, 2013.
- Zancan, Niccolò - «Cerchiamo di rendere dolce almeno la morte. Portiamo loro dei fiori», in «La Stampa», 21 aprile 2015, <https://www.lastampa.it/cronaca/2015/04/21/news/cerchiamo-di-rendere-dolce-almeno-la-morte-portiamo-loro-dei-fiori-1.35275119/> (30 dicembre 2023).
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2023
<http://www.boll900.it/2023-i/Jansen.html>
gennaio-maggio 2023, n. 1-2
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