Maura De Benedetto
![]() ![]() ![]() Sommario
L'intero percorso artistico di Carmelo Bene, soprannominato l'«enfant terrible» del teatro italiano degli anni Sessanta, è legato ad un paradosso di fondamentale importanza: il rapporto tra il suo approccio rivoluzionario e le reazioni della critica; le performance stravaganti e i toni arroganti attraverso cui l'artista ha portato avanti la sua battaglia per la messa in discussione dei principi fondanti del teatro tradizionale hanno alimentato una dimensione scandalistica che ha spesso creato opinioni contrastanti tra i critici e ha messo in secondo piano i principi della sua ricerca artistica. Questo limite non ha impedito alle sue opere di superare i confini nazionali: nel corso della sua carriera Bene ha lavorato in molti paesi, prima in Italia, Francia, poi in Russia e Giappone, confrontandosi con molteplici contesti e pubblici differenti. Nelle sue pagine autobiografiche e nelle sue interviste, l'artista ha spesso sottolineato l'interesse che il pubblico e gli intellettuali francesi hanno manifestato nei confronti delle sue opere; sebbene le influenze della cultura francese siano identificabili fin dai primi lavori di Bene, il suo esordio in questo paese è piuttosto tardivo e risale alla fine degli anni Sessanta.1 L'analisi della carriera di Bene in Francia, dalla prima proiezione del suo film nel 1969 al Festival d'Autunno del 1993, rivela un'accoglienza molto diversa da quella del suo paese d'origine: in Italia l'artista fa il suo esordio nel mondo del teatro e solo in seguito si afferma come regista cinematografico; mentre in Francia il suo successo segue il percorso inverso, poiché il pubblico si è avvicinato a lui attraverso i suoi film e solo nel 1977 si è confrontato con le sue opere teatrali. Questo particolare percorso porta a una diversa ricezione e analisi da parte della critica; in questa sede proveremo ad analizzare gli elementi alla base di questa ricezione privilegiando un periodo specifico della carriera francese dell'artista: le sue tre partecipazioni a uno dei principali festival di teatro dell'epoca, il Festival d'Autunno di Parigi.2
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I. La ricerca artistica di Bene
Il clima di rivolta sociale e politica che si diffonde in varie città europee all'inizio degli anni Sessanta influenza anche il contesto culturale. La necessità di rivoluzionare il linguaggio artistico è infatti un sentimento comune a molti artisti di quest'epoca;3 tuttavia, la rivoluzione innescata da Bene sulla scena teatrale resta ancora oggi senza precedenti, né eredi; l'artista ha trasformato il teatro da un punto di vista teorico, rielaborando le modalità di approccio ai principi fondanti di quest'arte, ma anche da un punto di vista più pratico, introducendo nuovi strumenti. La natura esclusiva del percorso dell'artista è legata in parte alle influenze riscontrabili nelle sue opere; l'artista attinge alle esperienze delle avanguardie di inizio Novecento: già nelle sue prime opere riscontriamo riferimenti a personalità rivoluzionarie come Albert Camus, James Joyce e Vladimir Majakovskij. Esistono inoltre alcuni punti di contatto tra la visione innovativa dell'arte di Bene e la ricerca dei futuristi italiani; il progetto di annientamento dei principi tradizionali dell'arte passa attraverso mezzi condivisi: l'uso della voce e della dizione, il gusto per la riscrittura dei classici e l'estro provocatorio. Sebbene sia possibile individuare delle linee di contatto con alcune delle realtà esistenti, l'esperienza carmelitana4 conserva un carattere solitario ed eccezionale difficile da incanalare in un contenitore più ampio. Sussiste infatti un legame molto complesso tra il teatro di Bene e le avanguardie degli anni Sessanta e Settanta: l'artista stesso ha sempre rifiutato di legare il concetto di avanguardia alla sua ricerca artistica, convinto che il teatro debba avere un forte legame con il momento presente e che, al contrario, il concetto di avanguardia sia qualcosa che nega quest'ultimo.5 In un'intervista dichiara:
Nella sua dimensione di individualità assoluta e rottura con le realtà contemporanee esistenti, il percorso artistico carmelitano si avvicina all'idea di teatro teorizzata da Pier Paolo Pasolini nel manifesto «Per un nuovo teatro»;7 in questo documento lo scrittore italiano formula l'idea di un'arte che obbliga all'abbandono di tutte le categorie mentali esistenti. Dalle parole di Pasolini emerge una forte opposizione al teatro borghese e antiborghese e una grande apertura verso gli artisti outsider che sfuggono a questo schema. Sandro Lombardi, nel libro Per Carmelo Bene, identifica l'artista come uno di questi outsider; egli ritiene che il teatro di ricerca di Bene possa essere assimilato al Nuovo Teatro descritto da Pasolini per la sua capacità di sintetizzare molteplici campi artistici conservando un'unità stilistica: la sintesi tra poesia e musica, tra drammaturgia e scenografia, tra suono e silenzio.1 Uno dei principali punti su cui si basa la rivoluzione artistica carmelitana è il suo rapporto con i classici: Bene mette in scena storie tratte dalla grande letteratura, riadattandole, operando tagli e contaminazioni, con l'obiettivo di combattere l'idea tradizionale di rappresentazione e di immediatezza interpretativa e di eliminare ogni tipo di riferimento esterno. Questo progetto viene perseguito anche dal punto di vista scenico: attraverso l'utilizzo del buio che annulla le prospettive e di oggetti di dimensioni insolite l'artista cerca di caricare la scena di un forte valore semantico, ogni elemento che la costituisce assume valore di segno e perde ogni tipo di relazione con la realtà esterna.9 L'impronta sovversiva dell'artista si scaglia anche sulla figura dell'attore che viene privato del ruolo di interprete e acquisisce sempre più rilievo all'interno della scena, attraverso i suoi gesti, il suo corpo e soprattutto la sua voce.10 Questa ricerca sulla figura dell'attore parte da Bene stesso, protagonista assoluto di ogni spettacolo; i toni provocatori ed i numerosi scandali che accompagnano la sua vita fanno di ogni sua apparizione pubblica un evento destinato a disorientare le aspettative del pubblico. Risulta pertanto difficile separare la figura dell'uomo-artista da quella dell'attore-personaggio, ed è da questo limite che deriva uno dei principali problemi che ha condizionato l'approccio critico alle sue opere: la portata scandalosa e provocatoria dei gesti e delle parole del "personaggio Bene" ha spesso distratto la critica da un'analisi concreta e approfondita delle sue opere. Piergiorgio Giacchè, nel suo saggio su Bene Antropologia di una macchina attoriale spiega molto chiaramente il meccanismo alla base dell'effetto creato da Bene sul pubblico:
Lo spettatore non fa più parte del pubblico, ma sente la propria solitudine; perché il teatro di Bene divide, isola lo spettatore e annulla il peso della critica per ridare valore all'opinione personale. La vera provocazione operata dall'artista sta nell'impossibilità di ridurre le sue opere a stereotipi noti, a interpretazioni alla moda, il suo stesso modo di riscrivere e manovrare i classici inibisce le procedure critiche o filologiche consolidate. In questo senso nella sua teorizzazione di un Nuovo Teatro che obblighi lo spettatore ad abbandonare le teorie e gli schemi precostituiti, Pasolini formula la definizione che più si avvicina al progetto artistico carmelitano.
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II. L'esordio sulla scena teatrale francese
Carmelo Bene fa il suo ingresso sulla scena teatrale francese nel 1977, in occasione della sesta edizione del Festival d'Autunno. Sui quotidiani francesi i giornalisti anticipano il suo arrivo e cercano di preparare il pubblico descrivendo il percorso dell'artista e il carattere innovativo delle sue opere. Il giornalista del quotidiano Le Matin invita il pubblico a predisporsi all'ascolto: «Il ne s'agit pas de comprendre, mais de sentir et de suivre. Après la représentation, chaque spectateur devrait se trouver en état de rupture, et même prêt à mourir».12 Il primo spettacolo Roméo et Juliette presenta un carattere estremamente forte e rivoluzionario, l'artista sceglie di mettere in scena la tragedia in lingua italiana con l'obiettivo di disorientare lo spettatore e inaugurare un nuovo modo di fruizione dell'arte; egli ritiene infatti che: «Il fatto di recitare in italiano per un pubblico francese dovrebbe determinare una minore attenzione per la parola, e quindi favorire la concentrazione sulla partitura nella sua globalità».13 Il processo di rivoluzione non investe solo le scelte stilistiche ma anche la trama dell'opera shakespeariana; Bene modifica la gerarchia dei personaggi eliminando la morte di Mercuzio dalla storia ed affidandogli un nuovo ruolo tragico, questa porta alla devalorizzazione assoluta della figura di Romeo. Nel suo saggio sul teatro di Bene, Gilles Deleuze interpreta questa devalorizzazione come un'«amputazione» delle figure rappresentative del potere; si tratta di un cambiamento che stravolge completamente la trama dello scrittore inglese e le aspettative dello spettatore. Matthieu Galey nel suo articolo su «Les Nouvelles Littéraires» si scaglia contro l'atteggiamento sovvertitore di Bene:
Le critiche non si rivolgono solo alla struttura della storia ma anche alle tecniche messe in atto dall'artista, alle sue sperimentazioni con la voce, al suo atteggiamento arrogante e ai toni esuberanti dello spettacolo; su «Le Figaro» compare un articolo intitolato: «Le triomphe de l'esbroufe»15 o ancora sul quotidiano «J'Informe»: «Comme au Casino de Paris».16
Il secondo spettacolo che Bene presenta al Festival d'Autunno è intitolato S.A.D.E ou Libertinage et décadence de la fanfare des carabiniers de la gendarmerie salentine. L'intreccio è basato sulla relazione tra i due personaggi principali, il padrone e il suo servo, il primo cerca in vari modi di raggiungere l'orgasmo masturbandosi durante tutto lo spettacolo e il secondo cerca di soddisfarlo; attraverso questa dinamica Bene cerca di mettere in scena una serie di convenzioni comuni su cui si fonda la tradizione culturale occidentale.19 Lo spettacolo è costellato di riferimenti sessuali espliciti e di molteplici scene in cui i corpi femminili vengono esposti nudi in svariate posizioni per soddisfare le volontà del padrone; questi elementi furono motivo di sospensione dello spettacolo durante la tournée italiana e generarono varie critiche soprattutto da parte dei movimenti femministi dell'epoca. Deleuze analizza l'opera riadoperando la prospettiva di sottrazione del potere, in questo caso è la figura del padrone ad essere amputata, contrariamente alla figura del servitore che è in evoluzione continua: «Il se constitue pièce à pièce, morceau par morceau, à partir de la neutralisation du maître; il acquiert son autonomie de l'amputation du maître».20 La riflessione di Deleuze investe anche la figura della donna ribaltando il piano di analisi: secondo il filosofo i corpi femminili messi in scena da Bene, pur trasformandosi in una serie di oggetti seguendo una metamorfosi continua, conservano un'autonomia superiore che permette loro di scappare dal dominio del padrone e di emergere al di fuori della sua influenza.21 Per Deleuze il merito di Bene è quindi quello di sovvertire le tradizionali dinamiche di potere:
Deleuze fornisce una chiave di lettura dello spettacolo, invitando lo spettatore ad abbandonare le prospettive binarie di lettura del mondo fondate sulla contrapposizione tra forte e debole, e, in questo caso tra sesso forte e sesso debole.
La critica francese, al termine di questa edizione del Festival d'Autunno, ha quindi una posizione ambigua nei confronti dell'artista italiano. Una grande percentuale di oppositori gli riserva toni duri e ostili, mentre una piccola percentuale lo sostiene; questa situazione dipende in parte dal contesto sociale e culturale parigino, ma anche e soprattutto dal carattere provocatorio e sovversivo dell'artista. Tra la prima apparizione di Carmelo Bene al Festival d'Autunno e la seconda nel 1983 emergono due cambiamenti molto importanti; il primo riguarda l'approccio artistico di Bene, tanto che gli studiosi carmelitani parlano di due differenti periodi. Gigi Livio, nella raccolta Il sommo Bene spiega questa suddivisione individuando una prima fase artistica più legata alla dimensione allegorica e una seconda più orientata verso una dimensione simbolica.30 Questa posizione è condivisa da Armando Petrini, che fa coincidere il primo periodo con l'inizio della carriera di Bene fino al 1970 e il secondo dal 1970 fino alla morte dell'artista e chiarisce: «Non sembra di poter mai davvero individuare nella sua opera qualcosa di interamente simbolistico o al contrario di esclusivamente allegorico, l'uno e l'altro registro convivono in fondo sempre assieme, se pur in forme e modi anche molto diversi fra loro».31 In questo stesso periodo Bene lavora sul ruolo della voce e della musica portando i suoi spettacoli a un livello massimo di lirismo, in quella che gli studiosi carmelitani definiscono la «svolta concertistica»; essa viene inaugurata con la prima dello spettacolo Manfred il 6 maggio 1979. Si tratta di un vero e proprio concerto spettacolo che segna la transizione tra il teatro dell'irrappresentabile e il teatro della phonè, interamente dedito alla musicalità. Questo spettacolo riscuote un grande successo, il giudizio positivo è condiviso dal pubblico e dalla critica; la principale novità risiede nell'utilizzo dei microfoni e di strumenti elettronici che hanno come obiettivo quello di ampliare le capacità fonatorie della voce.32
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III. Un nuovo approccio all'«enfant terrible»
L'artista italiano ritorna al festival per la seconda volta nel 1983 con Macbeth al Théâtre de Paris e per la terza nel 1996 con Macbeth Horror Suite al Théâtre Odéon. Lo spettacolo Macbeth rappresenta la realizzazione completa dei cambiamenti introdotti da Bene, che afferma: «Macbeth segna la fine della scrittura scenica e spalanca l'avvento della macchina attoriale, sollecitato dall'esperienza elettronica ereditata dalla fase cinematografica e maturata nell'avventura concertistica del poema sinfonico (s)drammatizzato».36 In Macbeth il potere tematizza la sospensione del dramma personale. Una delle immagini più rappresentative di questo fenomeno è la scena iniziale: Macbeth indossa due bende bianche, una intorno alla testa e l'altra intorno al pugno, quando inizia a srotolare il tessuto appare una macchia di sangue che diventa sempre più grande, arrivati a metà del bendaggio la macchia inizia a diventare più piccola per poi sparire, l'ultima parte di stoffa che tocca il braccio è pulita. Nel testo d'introduzione all'opera Bene spiega la scena con una frase breve e molto eloquente: «ferita era la benda e non il braccio»;37 assistiamo quindi a uno spostamento del piano del tragico: l'atmosfera di tensione creata dalla benda sporca di sangue, si risolve in qualcosa di comico e grottesco. Questo fenomeno di sospensione del tragico è ripreso nella parte finale, il protagonista dopo essersi allontanato verso l'oscurità lentamente e invocando la fine si siede sul bordo del letto e lo spettacolo si conclude con questa scena di ambiguità, lo spettatore attende la morte del protagonista che non si realizzerà mai concretamente sulla scena. In Macbeth Horror Suite queste dinamiche vengono portate all'estremo fino ad arrivare a quello che viene definito il «dépouillement»38 del dramma shakespeariano; in quest'ultima versione dell'opera Bene arriva all'esaltazione del carattere melanconico e triste del teatro, il processo di sottrazione reiterato nelle opere precedenti in questo caso investe il teatro stesso, che viene privato del suo potere di rappresentazione.39
Anche sul quotidiano «Libération», appare un articolo dai torni fortemente positivi:
Il play back, l'utilizzazione della voce, le modifiche apportate al testo e tutte le innovazioni introdotte da Bene che erano precedentemente criticate dai giornalisti, adesso sono accolte con uno sguardo tutto nuovo ; la critica condivide la battaglia di Bene; Michel Cournot su «Le Monde» scrive «l'art de Carmelo Bene c'est de briser cette comédie de la représentation, ce parti pris de mensonge»;42 il giornalista intitola l'articolo «Permission de syncope» e descrive l'arte di Bene come «un permesso all'abbandono, alla debolezza, un naufragio condiviso».43 Bene offre allo spettatore la possibilità di scappare per un corto intervallo di tempo dagli obblighi e le costrizioni che caratterizzano la "rappresentazione" della vita quotidiana. In un'intervista con Manganaro Bene afferma:
Viene introdotta una nuova questione riguardante l'arte di Bene e la sua capacità di svuotare la scena. Dumoulié, rifacendosi ai principi della filosofia di Lacan, spiega che il talento di Bene sta nella sua capacità di creare il vuoto, trasformando il teatro in un "non luogo" in cui la vita viene privata delle sue immagini e parole. La negazione della rappresentazione passa attraverso la distruzione dei codici esistenti nella vita quotidiana e la creazione di un legame tra il caos della vita e il vuoto violento dell'arte.45 Secondo Dumoulié il teatro carmelitano, a differenza del teatro tradizionale che usando le stesse dinamiche messe in atto dal consumismo cerca di condurre lo spettatore verso un'identificazione massima, vuole allontanare lo spettatore da questa identificazione; il suo obiettivo è quello di «ôter de scène». In questo senso il teatro di Bene assume un valore sul piano politico e sociale, Dumoulié crede che Bene:
Gli articoli pubblicati in seguito a quest'ultima apparizione di Bene sulla scena teatrale francese sembrano confermare la riuscita della sua impresa; lo spettacolo viene paragonato a una «expérience hors du corps», a un «voyage dans le monde du son». René Solis su «Libération» testimonia il suo stupore, scrivendo: «Performance de plasticien? Concert contemporain? Esbroufe high tech? Chef-d'uvre absolu? Les sensations se bousculent!».47 Il sentimento di disorientamento del pubblico è accresciuto dalla scelta di Bene di eliminare i sottotitoli in ogni loro forma e sostituirli con uno spettro sonoro molto più ampio: «murmurés, criés, démantibulés, remplacés par des borborygmes, diffusés en play back ou amplifiés haute fréquence tels des accords de guitare»;48 l'eliminazione di queste strutture fisse mira a favorire ancora di più l'abbandono totale. Nell'articolo di «Le Monde», Brigitte Salino afferma: «le spectacle demande de laisser au vestiaire tout souvenir, toute référence»,49 perché «la pièce n'est pas représentée, mais désossée».50 Si avvera quindi il progetto di totale abbandono degli schemi precostituiti, i citrici accolgono e comprendono l'approccio di Bene all'arte e gli obiettivi della sua arte; l'incomprensione, la derisione e l'accanimento che sembravano prevalere durante le prime edizioni del Festival, adesso cedono il posto allo stupore; la critica francese si dimostra pronta ad abbandonare il caos della vita per seguire l'artista in questo viaggio sonore ed entrare in quello che Dumoulié definisce lo «splendeur du vide». Il carattere sovversivo e provocatorio di Carmelo Bene è un elemento costante che ha caratterizzato tutta la sua carriera artistica e ha invariabilmente influenzato il modo in cui le sue opere sono state accolte. Tuttavia, dall'analisi delle fonti emerge la possibilità di tracciare un percorso evolutivo dei giudizi e delle critiche che, influenzato dal contesto storico e sociale della seconda metà del Novecento e da alcuni agenti esterni, porta a una serie di cambiamenti significativi nell'ultima parte della carriera dell'artista. In un contesto di messa in discussione dei modelli culturali abituali, gli artisti del Novecento reagiscono imboccando strade diverse; il carattere singolare del percorso carmelitano risiede nell'eccezionalità della sua risposta artistica. Alla base del complesso rapporto tra la critica e l'artista vi è la necessità di adoperare un nuovo sguardo, fatto di termini di giudizio diversi per una nuova forma di esperienza legata all'arte.
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IV. Bibliografia
Opere di Carmelo Bene
Articoli di critica
Studi su Carmelo Bene
Risorse video
![]() ![]() ![]() ![]() ![]() Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2023 <http://www.boll900.it/2023-i/DeBenedetto.html> gennaio-maggio 2023, n. 1-2 |