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Anonimo Ceseraniano
Una nuova avventura del dottor Dapertutto*
Qualche giorno fa la redazione del «Bollettino '900» ha ricevuto una mail singolare, risalente a quasi due anni fa ma recapitata soltanto ora, forse per qualche disfunzione del sistema informatico. Il mittente è un sedicente e iperletterario "dottor Dapertutto", che nonostante le nostre accurate ricerche non siamo riusciti a identificare. Dapertutto dichiara di essere il segretario personale e decennale amico di un altrettanto sedicente Prof. Dr. Karl Friedrich Palimpsestus, notissimo (?) intellettuale tedesco, il cui nome fin troppo fittizio non riesce a celare la propria natura pseudonimica ma cela, in compenso, l'identità pure di questo secondo individuo (o forse bisognerebbe dire personaggio?). In allegato, Dapertutto acclude alla sua mail il testo di una testimonianza o resoconto di viaggio - apparentemente destinato a un pubblico germanofono - che riferisce, in uno stile ammiccante e a tratti francamente insopportabile, alcuni recenti avvenimenti che si sono svolti nell'italico Stivale. Nonostante il nostro giudizio sul testo che segue sia, è il minimo che si possa dire, alquanto sfumato, abbiamo deciso di pubblicarlo lo stesso, nella speranza che possa interessare a qualcuno. Dopo tutto, questo "pezzo" bislacco - non osiamo chiamarlo articolo - ha superato, contro ogni nostra aspettativa, le forche caudine della double blind peer-review... (ndr)
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Isola Dovarese, 13 settembre 2022
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Lo confesso: non senza una certa emozione e perfino un leggerissimo tremore delle dita - che mi fa ciccare qualche tasto sul Macintosh un po' vecchiotto che mi porto sempre dietro - intraprendo oggi queste mie cronache dall'Italia, a trent'anni di distanza dalla prima serie delle medesime e nel momento in cui il cosiddetto Bel Paese sembrerebbe sull'orlo di uno di quei confusi sconvolgimenti politici e culturali che ricorrono nella sua storia. Credo che ne vedremo delle belle, come diceva quel berlinese dall'aria disperata, in mezzo alle rovine della guerra, nel film di Slatan Dudow Nostro pane quotidiano. Ma siccome immagino già gli sguardi perplessi delle mie benevole lettrici e dei non ostili lettori, che forse non capiscono bene a quali sconvolgimenti e cronache io mi riferisca, mi affretto a fornire qualche spiegazione, innanzitutto sullo stato presente delle vicende e dei costumi degli Italiani, e poi sullo stato del loro Paese in un passato non così remoto, trent'anni fa per l'appunto - perché soltanto chi conosce il passato, e la scaturigine di questa mia storia, saprà interpretare il presente e l'avvenire.
E dunque: mentre scrivo, si avvicina a grandi passi la scadenza del 25 settembre 2022; manca una dozzina di giorni, poi sapremo. Si terranno democratiche elezioni, in un Paese che da sempre le tratta con sufficienza, e dalle urne uscirà il responso; ma pare proprio che debba trionfare una coalizione di centrodestra, con frange estreme o estremiste in almeno uno dei tre partiti principali (per non dire due). Forse chi mi legge in Germania capirà meglio se dico che è un po' come se nel gruppo parlamentare CDU/CSU ci fossero esponenti politici di Alternative für Deutschland, che avessero la pretesa di farsi passare per pienamente democratici e vittima del discredito gettato su di loro dalle sinistre avide di potere... Ecco, se i sondaggi non mentono, saranno costoro ad andare al governo in Italia fra meno di due settimane. La leader di questo centrodestra all'italiana è una quarantacinquenne rampante e volitiva, romana di nascita e romana per tante altre cose, non tutte lusinghiere: Gianna Cocomeroni. È la fondatrice del partito che Wikipedia (perfino un povero diavolo come me, nonostante il computer passabilmente obsoleto di cui sopra, sa dell'esistenza di Wikipedia) descrive come nazional-conservatore, nazionalista, populista di destra, reazionario, conservatore in campo sociale e post-fascista: sto parlando naturalmente del famigerato Partito dell'Elmo di Scipio o PESC - sigla che la voce popolare, per lo meno la voce di quelli che non lo votano, ha già interpretato e completato in molti e fantasiosi modi (Partito del VattelaPESCa, PESCatori d'Italia Uniti, Cocomeroni-vieni-a-PESCare-con-noi, ecc. ecc.).
Ora, come potete ben immaginare, se da questa parte delle Alpi - dove sono arrivato oggi stesso in macchina insieme al mio dotto padrone - la curiosità e l'ansia toccano vertici non raggiunti da diversi anni, figuriamoci dall'altra parte! vale a dire soprattutto in Europa e in America del Nord, cioè le zone del mondo che annoverano, come sappiamo, i Paesi legati all'Italia dai più saldi vincoli politici ed economici. Che succede, si chiedono analisti e osservatori americani ed europei, se in Italia si insedia un governo di centrodestra guidato da Gianna Cocomeroni? Il precedente ministero, sotto la giurisdizione dell'economista Dario Mostri, criticato ferocemente, a tratti, dai suoi stessi sostenitori in Parlamento come il Movimento Pan di Stelle, riscuoteva però il consenso delle istituzioni europee; ma Cocomeroni non ha ancora vinto e già vuole ridiscutere il PNRR... (ah già, dimenticavo, in Germania nessuno sa cos'è, noi lo chiamiamo Wiederaufbaufonds - devo stare attento a non farmi sopraffare dalla lingua italiana: un vecchio poliglotta come me è sempre a suo agio dovunque vada, e perfino quando viene a trovarsi in luoghi diversi in tempi prodigiosamente ravvicinati, quasi simultanei, ma ciò non mi mette al riparo dagli errori di codice...). L'Italia non ne uscirà sul lastrico ancor più di quanto non sia da tempo immemore? L'inattendibilità, l'inaffidabilità del nuovo governo non prosciugheranno le fonti provvidenziali dei finanziamenti europei? Laddove il prestigio di Mostri garantiva all'Italia voce in capitolo nel cosiddetto concerto europeo, la finezza intellettuale da vendritrice d'angurie della nuova, probabile leader non riconsegnerà l'Italia al suo ruolo più abituale, quello di non contare un benemerito tubo sul piano continentale? Inoltre: la leader del PESC non vorrà ridimensionare l'impegno atlantista dello Stivale? La politica sovranista non sarà incompatibile con gli impegni internazionali? Non si aprirà, nella fattispecie, una falla nel fronte europeo di sostegno all'Ucraina, proditoriamente invasa dalla Russia di Putler?
Lo capite, qui c'è da essere preoccupati - oppure da nutrire grande curiosità, quando, come me, si assiste agli eventi da osservatori esterni, forse non completamente distaccati, ma al tempo stesso fortificati da una lunga (eh lunghissima, sapeste...) consuetudine con gli esseri umani. Alle inquietudini economico-politiche si aggiungono del resto, nei nostri vicini italiani, le inquietudini costituzionali: si dice infatti che, grazie alla legge elettorale soprannominata aranciatellum, il centrodestra possa ottenere il 70% dei seggi che sono necessari a cambiare la costituzione senza sottostare all'obbligo del referendum... E se questo accade davvero, non vorrà imporre, la nuova coalizione governante, il famoso presidenzialismo, alla francese o all'americana o quel che volete voi? Dei tre leader della coalizione destrorsa, si erano già dichiarati a favore di questa riforma la succitata Cocomeroni e il leader della SEGA, Matteo Cilecchini; quanto al terzo leader, il fondatore - in tempi ormai remoti - del partito FAPDEV (sigla lunghissima, se trascritta suona come uno slogan calcistico: Forza Azzurri la Partita Deve Essere Vostra!), ovvero l'ineffabile e archeologico signor B., aveva addirittura reclamato a gran voce le dimissioni del presidente Caramella, nel caso in cui la riforma presidenzialista diventasse realtà.
C'è da presumere che le mie lettrici e i miei lettori siano abbastanza colti perché io non debba ricordar loro che fu un grande italiano dei tempi andati a concepire la Storia come una successione di corsi e ricorsi... In compenso, non so quante e quanti di loro, nel settembre 2022, saranno in grado di applicare questa teoria alle vicende italiane degli ultimi trent'anni - in Germania l'insegnamento della storia non è ancora precipitato così in basso come, per esempio, in Francia, ma certo non siamo nemmeno così férus d'histoire da conoscere a menadito la nostra e quella dei vicini; in epoca contemporanea poi... Io però di quella primavera del 1994 mi ricordo, perché mi trovavo per l'appunto in Italia, con il compito precipuo di osservare gli eventi e riferirne ai miei connazionali; e leggo i corsi del 1994 in filigrana dietro i ricorsi cui assistiamo in questo 2022; e ricordo e so che, se oggi una candidata di Italexit vuole portare Casapound in Parlamento, se quella tale Bertalé vuole dire la sua a proposito della fiamma tricolore nel simbolo del partito di Cocomeroni, già allora si parlava, con immagine daziaria, di sdoganamento dei fascisti, e v'era chi arrestava repente l'intervistatore, il quale gli aveva chiesto lumi sul partito neofascista, puntigliosamente precisando in questi termini: «Alt. Non neofascisti, ma postfascisti, questa è la vera svolta». E so pure, e me ne ricordo bene, che se oggi giungono in politica giovani promettenti, all'epoca c'era addirittura un'invasione, di quelli che furono chiamati homines novi e successivamente, secondo l'anglofilia già allora dilagante, outsiders - prima che si scoprisse che tutto sommato non erano né nuovi né fuori dai giochi della Prima Repubblica. Senza dimenticare i paracarri e i dinosauri della vecchia politica, che ci sono oggi come c'erano allora: i bradipi intramontabili e le cozze attaccate da trenta o quarant'anni non agli scogli cui aderiscono le loro omologhe letterali, bensì agli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama - Pierferdinandangelomaria Bordelli, tanto per citare il più noto fra tutti.
In breve: nell'afosa estate del 2022 la Storia sdipanava a poco a poco il papiro delle analogie e delle corrispondenze, e io, come quel personaggio da romanzo poliziesco, ero già abbastanza infastidito dalle ripetizioni che andavo di giorno in giorno constatando; quando a qualcuno venne in mente che per l'appunto ventotto anni prima, in quella primavera del 1994 che aveva visto l'irresistibile discesa in campo del signor B. e l'improvviso, inatteso arrugginirsi della gioiosa macchina da guerra occhettiana, due illustri membri dell'élite intellettuale tedesca avevano percorso le strade del Bel Paese per offrire ai lettori del loro, di Paese, un quadro al tempo stesso fedele e accattivante di ciò che stava succedendo sull'altro versante delle Alpi, sia nel campo della politica che in quello, perfino più appassionante e sfuggente, dell'intellettualità italiana. Quei "qualcuno" che si ricordarono del viaggio in Italia dei due nipotini del grande Goethe erano rispettivamente il direttore del quotidiano berlinese «FAZ» e la direttrice della rivista «Zibaldone», pubblicata da Piper. All'epoca dei fatti - ripeto, nel lontano 1994 - i due erano oscuri e giovanissimi redattore e redattrice delle due testate; nel frattempo avevano fatto carriera e si erano fatti più attempati, ma non avevano certo scordato la curiosa iniziativa editoriale del secolo precedente, né il lusinghiero successo di pubblico che le arrise in Germania. E, come è ovvio, volevano tentare di replicare il colpaccio, questa volta in primissima persona. Quanto ai viaggiatori tèutoni dal nome risonante e parlante - quantomeno per orecchie abituate al concento, e anche al chiacchiericcio, accademico -, si trattava, l'avete già indovinato, del Prof. Dr. Karl Friedrich Palimpsestus e del vostro umilissimo servitore, e suo segretario personale da decenni, il dottor Dapertutto.
«Ma come!» - sento prorompere le voci di sorpresa delle mie benevole lettrici e dei non ostili lettori - «il professor Palimpsestus! ma se era già stagionatello anzichenò, per non dire decrepito, nel 1994! e adesso lo ritroviamo vivo e vegeto un trentennio dopo, e ancora abbastanza in gamba da poter intraprendere un viaggio in automobile di svariate centinaia di chilometri, dibattere con gli intellettuali italiani sulla politica e la cultura del loro Paese, registrare le proprie impressioni di quei dibattiti e redigere periodici resoconti destinati a vedere la luce sui giornali tedeschi! ma chi è dunque questo Palimpsestus, un novello melmoth o ahasverus? o magari, in modo più consono ai tempi post-umani in cui viviamo, una specie di bionico terminator, sulla pelle del quale il Tempo scorre inavvertito senza provocare danni di sorta?». Nulla di tutto ciò, dilettissime lettrici, onestissimi lettori. Intanto, facciamo un po' di conti: quando scese in Italia per la prima volta, il buon Palimpsestus contava - sono andato a verificare nei miei appunti di allora - «ormai quasi settanta primavere», e sessantasette per amor di precisione; 67 più 28, che sono gli anni trascorsi da allora, uguale 95: che è sì un'età veneranda, ma non impossibile da raggiungere in tempi di accresciuta longevità (almeno nei Paesi ricchi). Poi, decrepito... la verità è che il professor Palimpsestus ha sempre fatto vita sana, evitato gli stravizi, badato non solo alla quantità e alla ricchezza del suo immaginario - come fanno tanti suoi colleghi purtuttavia molto meno intelligenti di lui - bensì anche al materiale. Suole dire, il professore, che ai colleghi bisognerebbe cantargliele: che oltre all'immaginario ci vuole il materiale, ci vuole la pappa! ma non nel senso che uno si debba ingozzare, ovviamente, bensì perché alla sfera del materiale va rivolta altrettanta sollecitudine che a quella dell'immaginario. Mens sana in corpore sano...
E però non si tratta, naturalmente, soltanto di questo: il professore ha quella specie di distratta ingenuità, quell'innocente malizia che in certi esponenti della razza umana - l'avete notato? - costituisce un potente balsamo, che protegge dall'età e conserva giovani. Mentre i colleghi invecchiano, il buon Palimpsestus, con la sua aria svagata e le sue domande ingenuamente impertinenti, attraversa i decenni senza sentirli... Quando poi i colleghi lo incontrano - quelli non ancora trapassati, intendo - e lo vedono così arzuto e pettorillo, trasecolano, e gli chiedono se per caso non abbia concluso un patto con Belfagor, o qualcheduno dei suoi compari... (Be' comunque devo confessare che non dipende tutto dall'igiene di vita, che l'igiene di vita è importante ma c'è dell'altro... e certo, alla domanda retorica e scontata su Belfagor, io, che qualcosa so, qualcosa potrei rispondere; ma me ne sto zitto e mi limito a sogghignare sornione).
Insomma: complici le circostanze politiche, la prodigiosa buona salute e l'invito ricevuto, al mio padrone è tornata la voglia di fare lo scrittore tedesco in viaggio per l'Italia. Come nel 1994, così oggi: le inquietudini europee sull'esito delle elezioni italiane hanno il vento in poppa, e quel vento soffia sulle vele del nostro vagabondaggio - ormai deciso, pianificato, intrapreso. Altro che zeffiretti spiranti sulle campagne toscane e la marina di Posillipo! mio caro professor Palimpsestus, è un tornado che abbiamo alle spalle: e ci precipita dalle fredde lande teutoniche - be' tanto fredde ormai no, con i cambiamenti climatici - verso il Mediterraneo... Un evento climatico estremo, come per l'appunto si dice oggi: solo che qui il clima che dobbiamo cercar di comprendere e padroneggiare è politico e intellettuale.
Conoscendo Palimpsestus - e io, che sono il suo assistente personale da tanto tempo, posso ben dire di conoscerlo un po' - so per certo che, senza la mia sollecitudine, i suoi tentativi avrebbero un esito disastroso; forse non è vero che l'intima passione di critici e studiosi, come ha detto un grande scrittore italiano, sia non capire nulla del tutto, ma alle buone intenzioni non sempre corrispondono risultati apprezzabili... La route de l'enfer, mio buon Palimpsestus, est pavée de bonnes intentions, credi a me che me ne intendo... E senza il mio paziente ausilio, senza i miei interventi propiziatori, senza, in definitiva, la mia occulta eterodirezione, cosa capiresti tu, tutto avvolto come sei nei discorsi imparati a scuola, tutto nutrito delle tue allucinazioni poetiche, di quella che tu chiami, con scialo di maiuscole, Grande Letteratura? Come potresti leggere la situazione italiana attuale tu, che quando ci fermammo a Malcesine sul lago di Garda, nel 1994, pensavi senza tregua a quel disegno del gran Goethe, a quella pagina in cui descrive la medesima sosta, nello stesso luogo, due secoli prima, con l'ancien régime ancora in piedi e i nobilotti delle corti tedesche di allora che facevano a gara nell'assicurarsi i servizi dell'illustre scrittore? I tempi sono ben cambiati da allora, Palimpsestus; e anche rispetto all'epoca in cui ti destasti allo studio della letteratura, e decidesti di farne l'attività, che dico l'attività?, la grande passione della tua vita; ma a volte tu non sembri darti per inteso del tempo che passa... forse perché dal tempo che passa sei immune, e credi che sia così anche per gli altri. Quando Palimpsestus ha saputo che era fatta, che saremmo ripartiti per l'Italia ventott'anni dopo il nostro primo Grand Tour, non mi è forse venuto fuori con il suo solito repertorio di citazioni sull'argomento dei viaggiatori che nel corso dei millenni hanno attraversato la penisola, sempre lo stesso repertorio anche se innegabilmente suggestivo? E via con il libro III dell'Eneide di Virgilio nella traduzione deformante di Annibal Caro: «Avea l'Aurora già vermiglia e rancia / scolorite le stelle, allor che lunge / scoprimmo, e non ben chiari, i monti in prima, / poscia i liti d'Italia. Italia! Acate / gridò primieramente; Italia! Italia! / Da ciascun legno ritornando, allegri / tutti la salutammo». E poi, ovviamente, Vincenzo Monti: «Bella Italia, amate sponde, / pur vi torno a riveder! / Trema in petto e si confonde / l'alma oppressa dal piacer». E ancora quello scrittore contemporaneo, quello sloveno, come si chiama... ah sì, Srečko Remanec: «Oh Italia! Italia! Sulle orme dei tanti che mi hanno preceduto, comincio qui il mio diario di viaggio, registrando le impressioni, le esperienze, gli incontri...».
In ogni caso, letteratura o non letteratura, il dado è tratto, come dicevo: il viaggio programmato fin nei minimi dettagli, il serbatoio della BMW pieno da scoppiare, gli hôtel prenotati e le tappe della nostra erranza già prestabilite. Io, che della logistica del viaggio del 1994 ero stato l'architetto e anzi l'artefice, mi sono incaricato di contattare scrittori, sociologi, intellettuali e studiosi italiani di ogni specie, calibro e confraternita, proponendo loro un abboccamento con il Prof. Dr. Karl Friedrich Palimpsestus in questa o in quella località, al desco di un ristorantuccio di nicchia o al bancone di un'antichissima osteria; perché gli appuntamenti è meglio prenderli in anticipo... quelli almeno che si possono prendere, e lasciando poi aperta, o per meglio dire spalancata, la porta ai ghiribizzi del Caso (gli incontri più fecondi sono spesso quelli che non erano stati previsti, lo avete notato, rispettabilissimi lettori, amabilissime lettrici?). Stasera, dopo qualche centinaio di chilometri in automobile, punteggiati da un paio di soste in autogrill, cominciano le danze: un tavolo per tre, corredato di tovaglia candida e posate scintillanti, è pronto ad accoglierci nel ristorante La Crepa di Isola Dovarese, provincia di Cremona, dove ci raggiungerà l'illustre professor Ostilio Giulianetto. A serata conclusa faremo rotta verso l'Hôtel Palazzo Glori 6, Cremona città, trionfo liberty a cinque stelle, dove, dopo i vini mantovani della Crepa, centellineremo le soavi stille del nostro primo riposo peninsulare.
Isola Dovarese! Per chi mi legge nella natia Germania queste due parole saranno probabilmente pura nomina, flatus vocis senza spessore né solidità; ma per chi, invece, ha calcato le pietre della piazza gonzaghesca, per chi ha compiuto il rapido periplo delle vie del paese e respirato la presenza dell'Oglio in una serata settembrina, con nell'aria la perdurante calura estiva e al tempo stesso il presagio della nuova stagione, ebbene, Isola Dovarese è molto di più di un semplice nome: è una delle forme della felicità (puntuale, non sistemica, ma pur sempre felicità).
Il viandante giunge in questa cittadina di mille anime attraversando le colline moreniche a sud del Garda, senza essere minimamente preparato a ciò che lo attende. Poi appare la piazza: inverosimilmente vasta per un nucleo urbano tanto piccolo, regolare e sontuosa, uno squarcio di cielo e pietra paragonabile, per restare in quello spicchio d'Italia, alle piazze di Carpi e di San Benedetto Po... Dove però, tutt'intorno, un agglomerato di abitazioni c'è; a Isola Dovarese, invece, si esce dalla piazza, si fanno ancora trecento metri, e il paese è finito: la piazza è il paese, con l'aggiunta - quasi fossimo in un romanzo di Philip K. Dick, o di Paolo Zanotti - di un paio di strade che si intersecano, cercando di interpretare nel modo più convincente possibile quel ruolo di fondali urbani che è stato assegnato loro da qualche capricciosa divinità... E poi, affacciata su tanta piazza, che dio la protegga dall'invasione dei turisti, un'ulteriore meraviglia: il ristorante La Crepa, alloggiato dentro le mura di un palazzo del Quattrocento. Come la dilettosa reggia cantata da quel barocco italiano che di seduzioni più o meno diaboliche si intendeva, la qual reggia celava in sé cinque floride distese mirabilmente articolate e simmetricamente strutturate - sì che, annota il Poeta, contiene un sol Giardin cinque giardini -, così, nel castone della gemma gonzaghesca, si cela un'altra gemma, preziosa margherita alla seconda: il palazzo, e appunto il ristorante.
Palimpsestus, che ha sempre apprezzato la bonne chère, le pietanze prelibate e i vinelli generosi, ma anche i fondali della storia italica (lo stesso grand cru, delibato fra mura vecchie di sei secoli, è tutta un'altra cosa, si sa), sprizza eccitazione da tutti i pori. Ma non possiamo ordinare subito: mica si può cominciare a mangiare senza il nostro ospite; e così il mio dotto padrone si deve accontentare di sorvolare il menù con occhi golosi e di scambiare quattro chiacchiere con il proprietario, che staziona nei dintorni del nostro tavolo, sollecito ai desideri del famoso intellettuale tedesco. Siamo lì da mezz'ora, e un sospetto d'impazienza inizia a far capolino negli sguardi e nei gesti di Palimpsestus, quando nel ristorante fa il suo ingresso un tizio basso, dal viso cupido sotto una zazzera ricciuta, grigia e - si direbbe - abbastanza unta. Quest'uomo dai capelli che fanno tanto radical chic è il nostro uomo: Ostilio Giulianetto. «Così lei sta facendo un'inchiesta sugli intellettuali italiani, eh?», esordisce in medias res il nuovo arrivato, senza salutare e senza nemmeno accennare a presentarsi - Palimpsestus sussulta leggermente, lui sempre così cordiale e alla mano, ma non al punto di ignorare le regole della buona educazione...
«Ma lo sa che ha sbagliato Paese? che in questo Paese da un pezzo non ci sono più intellettuali degni di questo nome?». «Ma io veramente credevo...» abbozza Palimpsestus, mentre Giulianetto si siede al posto a lui riservato e con un unico, solenne e nervoso movimento smette il cappotto, crolla pesantemente sulla sedia - ah questi intellettuali che per tutta la vita non escono dal triangolo casa-biblioteca-aula universitaria e sono arrugginiti già a quarant'anni, figuriamoci a ottanta - e afferra freneticamente il menù. «Credeva; e si sbagliava» sentenzia Giulianetto tappando la bocca al povero Palimpsestus, il quale di nuovo viene scosso da un lieve trasalimento. «In Italia un tempo avevamo gli intellettuali impegnati, engagés come si diceva allora, che mezza Europa ci invidiava: Pasolini, Sciascia, Vittorini... e avevamo pure gli altri, quelli per temperamento più defilati, ma non meno grandi, come Primo Levi. Adesso chi sono i nostri intellettuali engagés? Fabio Fazio, Amadeus e Fedez», mitraglia Giulianetto senza lasciare, a un Palimpsestus sempre più sbigottito, nemmeno il tempo di registrare questi nomi poco familiari e di chiedersi quali siano i testi principali della loro bibliografia. «No, si fidi, lei ha fatto male a venire in Italia, l'inchiesta poteva farla standosene in Germania e senza muoversi dal divano, in due minuti e tre righe; anzi guardi, la relazione per i suoi lettori di Germania gliela regalo io: "In Italia di intellettuali non ce n'è più, la televisione del signor B. le nuove tecnologie la fine del liceo classico hanno svuotato il cervello di un popolo che da un pezzo ormai non produce nulla di originale", lei la conosce bene la cucina del mantovano, del parmense e del cremonese?», incalza Giulianetto mentre Palimpsestus fatica a seguirne l'eloquio la gesticolazione il tambureggiare delle dita sul tavolo, «io approfonditamente! qui alla Crepa poi sono di casa, ci vengo ogni volta che passo nei dintorni, le consiglio di cominciare con un bell'antipasto per titillare le papille, il re culatello per esempio, pregiato salume ricavato dalla coscia del suino adulto emiliano, culatello di zibello DOP, minimo 20 mesi di invecchiamento, oppure la famosa spalla cotta di San Lorenzo tagliata al coltello, Giuseppe Verdi andava in sollucchero quando la addentava ancora fumante, oppure se preferisce il pesce - qui intorno ci sono un sacco di fiumi, Adda Oglio Serio senza dimenticare il Po, avrà notato che nel menù della Crepa i piatti di pesce non scarseggiano di sicuro, tutta roba di fiume ovviamente - oppure, dicevo, un succulento luccio in salsa isolana con polenta fresca, pesce carnoso soavemente adagiato su un letto di polenta di mais, che mi dice eh? che mi dice?», quasi sollecitando Palimpsestus ma senza aspettarne risposta, «e poi un primo, qui c'è l'imbarazzo della scelta, lì da voi in Germania certo i pisarei con anguilla e fagiolini dell'occhio non ce li avete, diciamo pure che ve li sognate! e così il riso all'onda con fonduta di pannerone, rapa rossa e polvere di capperi, che dice? cos'è il pannerone?», ancora rivolgendosi al dotto mio sodale che, in verità, non aveva fiatato, «è un formaggio senza sale prodotto nelle province di Cremona e Lodi, glielo consiglio caldamente, ma al tempo stesso non può assolutamente venire alla Crepa e non assaggiare il marubino ai tre brodi, sarebbe lesa maestà...». E così via, sempre elencando con sistema, descrivendo con copia di dettagli, raccomandando con fervore, e sempre senza consentire a Palimpsestus di metter bocca nella "conversazione" (termine, nella fattispecie, un po' ridicolo).
Alla fine Giulianetto, forse spazientito dal silenzio del professore tedesco o magari dalla propria medesima inarrestabile facondia, ha prodotto un'ultima, esplosiva esclamazione, accompagnata da un'occhiata quasi fiammeggiante: «Maître! il signore qui prende il re culatello, i pisarei e come secondo il cotechino "vaniglia" con lenticchie, verze e polenta; e come vino? che ne dice di un bel Rosso Riserva "A" del 2007, cantina Giorgio Mercandelli, vinificazione alchemica e sosta in bottiglia per cicli di minimo 7 anni? un vino sontuoso del pavese, mi ringrazierà di averglielo fatto conoscere, vada dunque per il Rosso Riserva "A" del 2007», ha concluso Giulianetto rivolgendosi al cameriere, che era accorso incredulo sentendosi apostrofare in francese e aveva annotato tutto con meraviglia crescente, e culminante in compiaciuto stupore quando l'insolito cliente aveva reclamato la bottiglia più costosa del ristorante, 270 euro tondi tondi.
E così abbiamo ordinato; anzi io ho ordinato per me, e Giulianetto per sé e per Palimpsestus, che dall'inizio del nostro incontro non era ancora riuscito a pronunciare più di tre parole di seguito. «Ed è un Paese ingrato, per di più, che divora i suoi figli come Saturno in quel famoso quadro di Goya», ha ripreso l'ospite generoso, mentre Palimpsestus aveva l'aria di chiedersi come fosse riuscito a non perdere il filo del discorso nei vasti, ramificati meandri della sua amplissima digressione gastronomica; «avrà sentito parlare del fenomeno della fuga dei cervelli, no? molti vengono lì da voi, o vanno in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia, in Olanda, nei Paesi dell'estremo nord dell'Europa... dopo il dottorato per vincere un posto nelle università italiane bisogna essere un cervello di prima grandezza, come me ai miei tempi», spara ancora a raffica il nostro Ostilio, senza prendere fiato, mentre arrivano gli antipasti e con la coda dell'occhio io vedo Palimpsestus che, disperando di poter intervenire in ciò che si configura ormai come un monologo, si distoglie dall'immaginario per concentrarsi sul materiale. E intanto penso: gratta gratta, Giulianetto, ma perché non ci racconti come, in verità, si otteneva la cattedra in quei bei tempi che furono i tuoi, nella tua università, quella degli anni Sessanta e Settanta? Perché non ci spieghi in che modo se la procacciarono, la cattedra, certi tuoi emeriti colleghi, che ora figurano tra i critici più noti della loro generazione, e il cui primo passo nell'agone accademico fu di mettere incinta una donzella e di andare a piangere dal loro Maestro chiedendo gli facesse vincere un concorso perché tenevano famiglia? E che dire, poi, di quel tale, più tardi barone latrante nelle commissioni universitarie, che vinse il suo primo concorso a tempo indeterminato con la bellezza di... un articolo stampato! tanto che poi, quando mandò sotto i torchi il secondo, dichiararono che andava riconosciuto il grande sforzo di produttività da lui compiuto, visto che nel picciol spazio di un anno gregoriano era riuscito a raddoppiare il numero delle sue pubblicazioni... Ma almeno costui il concorso l'aveva vinto regolarmente, o quasi; che pensare, invece, di quell'altro, pure lui in seguito noto docente, del quale si poté affermare - o meglio, affermò un gran figlio di gattopardo al cospetto dei cieli - che «a far vincere un somaro c'era più gusto, perché a far vincere uno bravo sono buoni tutti»? Gratta gratta, Giulianetto, il catalogo è lungo e ne comprende anche più di milletré: non ti conviene indugiare troppo sulla sociologia del lavoro accademico, sui meriti intellettuali dei professori di ora e di allora, rischieresti di riportare alla luce qualche altarino poco commendevole...
Ma queste mie riflessioni rimangono inespresse: per fortuna né Palimpsestus né Giulianetto possono leggere nel pensiero; e il nostro cicerone/anfitrione/mentore può dunque proseguire imperterrito, concionare soddisfatto di sé e del mondo, mentre Palimpsestus, altrettanto ininterrottamente, allibisce (un po' meno che all'inizio, però: si andrà abituando ai modi del nostro interlocutore?). «Eh caro professore creda a me», ancora Giulianetto, in un improvviso slancio d'affetto suscitato forse dal bouquet del Rosso Riserva "A" (che non so nemmeno se Palimpsestus sia riuscito a degustare, visto che calice dopo calice il sempre più espansivo Ostilio si sta scolando tutta la bottiglia), «creda a me, caro Palimpsestus, la parola stessa, "intellettuale", è oggi singolarmente passata di moda, gli intellettuali, quando pensano con il proprio cervello e non sono organici a una parte politica, sono invisi alla destra e subito in odore di gauche caviar agli occhi della stessa sinistra, che poi, esiste ancora una sinistra in Italia? tutto da vedere e da dimostrare, allora, come sono questi pisarei, fenomenali no? guardi, io non so quali siano le tappe successive del suo viaggio, le persone che lei incontrerà, ma le posso dire senza tema di sbagliare che non caverà un ragno dal buco, mi permetta, come sono i fagiolini dell'occhio?», servendosi direttamente dal piatto di un esterrefatto Palimpsestus, «io per quanto mi riguarda credo di essere rimasto l'unico, in Italia, a meritare realmente il titolo di intellettuale, l'unico i cui studi abbiano autentica risonanza europea, la cui parola sia ascoltata, per quanto io la centellini sempre più spesso» (e nel frattempo centellina le ultime stille di Rosso Riserva "A"; roba da non credere: la bottiglia è vuota); «l'unico che sia oggetto di una reverente approvazione, quasi un culto, da parte di amici e colleghi - del resto uno più asino dell'altro, sia detto per inciso».
In quel preciso momento Palimpsestus piazza improvvisamente un affondo, prendendo alla sprovvista perfino me. «Ma dunque lei, caro professore, ritiene che oggi in Italia non sia più possibile esercitare quella che una volta si chiamava "funzione intellettuale"?», dice tutto d'un fiato il mio dotto padrone facendosi coraggio, e parlando veloce come non mai in vita sua per evitare che l'altro lo interrompa. Giulianetto, che aveva appena infilato nella fornace che si ritrova sotto il naso un pezzettone di guancia di manzo "sbrasada" con l'accompagnamento di una cospicua montagnola di polenta fresca, per poco non si strozza, sorpreso con la guardia abbassata dall'inaspettata mossa dialettica e volendo riprendere all'istante, prima ancora che Palimpsestus arrivi al sintagma funzione intellettuale, l'iniziativa dello scontro, pardon del discorso. «Ma quale funzione intellettuale, quali intellettuali organici, quale engagement!», ruggisce mentre proietta all'intorno una pioggia di minutissime stille di sughetto di manzo; nella bocca spalancata l'altura farinosa della polenta occhieggia ancora intatta come doveva galleggiare, nel sereno paesaggio dell'Atlantico settentrionale, l'iceberg che affondò il Titanic. «Non esiste più niente di tutto ciò, lo vuole capire?», incalza ancora Giulianetto, con una foga che sarebbe giustificata (forse) soltanto se Palimpsestus ne avesse descritto la madre nei panni di nota meretrice maltese. «L'intellettualità stessa è morta: sono rimaste solo le zucche vuote, lo dica ai suoi lettori. Non è proprio il caso che dalla Germania ci veniate a sfrucugliare con le vostre domande assurde e importune!», starnazza ulteriormente Giulianetto, sotto lo sguardo vacuo di Palimpsestus che si era ben guardato dall'aggiungere qualcosa. Poi, senza transizione: «Ha già assaggiato il suo cotechino "vaniglia", che, le rammento, viene cotto lentamente per sciogliere le parti grasse rendendole morbide e succulente, da cui il suggestivo nome? non lo lasci raffreddare, sarebbe un'infamia, mangi! mangi! MANGI».
È andata avanti in questo modo ancora per un bel po'. Giulianetto è riuscito a parlare di tutto eccetto di quello che ci interessava in prima battuta: intelligenza artificiale e prospettive dell'high tech, stereotipi culturali e vita-morte-miracoli delle salse nella cucina italiana e francese, antropologia culturale e tragedia greca, medici curanti e non curanti, servizi segreti e proteste studentesche; soprattutto ha parlato di gastronomia, molto anzi parecchio; e anche di intellettuali, certo, ma in quel registro istituzionale dei rapporti di potere, e mondano degli amori in cattedra, registro prediletto in seno all'accademia italiana ma che non interessa molto, e anzi infastidisce un poco, il mio dotto, nobile, disinteressato padrone. Al fiume di parole uscente faceva da contraltare la fiumana di cibi deliziosi entrante: nella mia lunga frequentazione degli umani credo di non aver mai visto nessuno che fosse in grado di gestire simultaneamente i due flussi con l'infallibile perizia del nostro ospite.
A mano a mano che Giulianetto discettava, e Palimpsestus appariva sempre più rintronato da tanto ondivago parlare, io andavo mentalmente ripercorrendo le tappe ideali della carriera intellettuale dell'oratore, delineando quelle che bisognerebbe chiamare, con un'immagine proveniente dagli scrittori argentini del fantastico e del meraviglioso, le fasi di Ostilio. Uno che si è sempre compiaciuto nel presentarsi come uomo di sinistra, illuminato e progressista, ma è fascista nell'animo: così lo giudicava anche Umberto Eco, che del mio buon Palimpsestus era notoriamente un amico di lunga data, e che di fascismo eterno - dissimulato sotto le polpe finte del civile progresso che tutto il mondo alliscia - se ne intendeva, se ne intendeva eccome! Uno poi che, a voler grattare appena in profondità, senza fermarsi alla superficie sfavillante della sua fulminea carriera universitaria, rivelerebbe la sagoma di una figura sociologicamente repertoriata (a proposito di sociologia!...) nel mondo della cultura italiana: ossia l'imbecille di successo. E per finire, uno che, in età appena stagionata, ormai portato a compimento l'autentico benché inconsapevole scopo della sua frenetica, onnipresente, invasiva attività intellettuale, ossia giungere al culmine della gerarchia accademica, si è lasciato andare a un rimbambimento duplice: alla cretineria innata s'è aggiunto infatti il rimbecillimento dell'età. È stato allora che nella sua testa è diventato definitivamente egemonico l'argomento per lui molto caldo e delicato del femminismo: si è messo a scrivere cose tipo che le Supplici sono un testo proto-femminista, un incunabolo antico del femminismo, ha sostenuto che Eschilo dà voce per la prima volta nella letteratura a un gruppo di donne in un'ottica già di militanza... le Supplici che precorrono il femminismo! no, ma dico, vi rendete conto? una tragedia in cui gli unici a prendere iniziative sulla scena sono gli uomini, Danao e Pelasgo per primi... un testo in cui l'unica cosa che le donne si autorizzino a fare per affermare il proprio punto di vista è minacciare il suicidio di massa! Certo, un testo straordinariamente originale per l'epoca in cui fu scritto; ma il nostro Giulianetto, fra un loisir e una libagione della sua fase post-ordinariato, ha perso un po' la bussola, come tanti intellettuali dello Stivale... e forse dovrei dire dei miei stivali. Si è messo a fare il brillante; o per dir meglio ha continuato a farlo, ma con sempre minor consapevolezza di quel rigore che al mestiere d'intellettuale - o alla funzione intellettuale, come diceva poco fa il mio caro Palimpsestus - andrebbe abbinato.
Ma del resto evidentemente sono vecchio anch'io, se faccio questi discorsi - magari un tempo non ci avrei fatto caso, che volete, c'è chi invecchia e si fa più trascurato e di frontiera, come un povero diavolo del periodo kruscioviano, e chi invece diventa meno tollerante verso il disordine del mondo. Dicono che quelli come me esistano per dividere; allora forse mi sto facendo troppo umano? la lunga consuetudine con Palimpsestus avrebbe finito col corrompere me, invece di lui? si tratterebbe insomma di una specie di contrappasso, come lo chiamava quell'altro tale, ben noto alla mia genia per eptasecolare dimestichezza? Quoi qu'il en soit, le mie benevole lettrici e i non ostili lettori ne avranno probabilmente abbastanza, di Giulianetto, e vorranno sapere, tutt'al più, come andò a finire la cena... mi affretto a chiudere qui il resoconto della nostra prima serata italiana. Andò a finire, come si suol dire, in coda di pesce: perché dopo tanti discorsi torrenziali che avevano finito col suscitare nel professor Palimpsestus una crescente apprensione, il nostro interlocutore bruscamente si spense, come una veilleuse allo scatto dell'interruttore, o - per usare un'immagine probabilmente più pertinente - come un pallone che improvvisamente si sgonfia. Balbettò qualcosa intorno a un appuntamento di lavoro in videoconferenza con la redazione di non so più che rivista - gratta gratta, Giulianetto, perché non ci dici la verità? altro che lavoro, a quest'ora te ne vai nella notte nera di carbone a cercare qualche avventura erotica a buon mercato, e tanti saluti alla teoria della letteratura - e si dileguò, con una subitaneità quasi soprannaturale che lasciò a bocca aperta per l'ammirazione perfino uno specialista come me. Dimenticando di pagare il conto, ovviamente.
Il buon Palimpsestus, da gran signore qual è, mise mano al portafoglio, non senza lasciar elegantemente trasparire la sua leggera irritazione: «Mah, questo Giulianetto... che impressione t'ha fatto?». Al che io replicai, un po' sibillino (ma forse invece no, fin troppo chiaro, se il mio buon Palimpsestus sapesse leggere fra le mie righe): «L'incontro comunque meritava, se non altro dal punto di vista della sociologia dei letterati». E uscimmo pure noi nella notte soprammenzionata, avviandoci senza indugio alla macchina - ché andando per la Padana Inferiore c'era ancora una mezz'ora fino a Cremona, e il programma del giorno dopo era già parecchio denso.

Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2023
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gennaio-maggio 2023, n. 1-2
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