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Flavia Brizio-Skov
University of Tennessee
Tabucchi e la sua voce
Sommario
I. Tabucchi e la sua voce
All'inizio della mia carriera accademica negli Stati Uniti, mentre leggevo le opere dello scrittore Antonio Tabucchi e ponderavo su quali avrei scritto un saggio, arrivò come ospite a casa mia una carissima amica e collega dell'Università di Genova che veniva a Knoxville per fare ricerca sull'economia del Sud pre-Guerra Civile. Un giorno, mentre ero al mio scrittoio, lei entrò nel mio studio e, notando i libri dell'autore toscano, mi disse che era professore di portoghese nella sua stessa università, e che lei era amica della sua lettrice. Seduta stante, mi chiese se volessi conoscerlo e, naturalmente, accettai subito.
Passarono alcuni mesi e finalmente quando, a maggio, andai in Italia, incontrai il professor Tabucchi all'università, dopo la sua ultima sessione di esami. Era l'una passata quando lui si presentò accompagnato da un collega che, tra parentesi, era stato mio professore di italiano quando studiavo lingue moderne presso quella istituzione. Tabucchi e l'altro accademico furono gentilissimi, scherzosi e simpatici, e dissero che, considerata l'ora, dovevamo andare a pranzo. Ci incamminammo verso un vicoletto in cui, adiacente a dove allora esisteva il Consolato USA, si trovava un rinomato ristorantino. Il pranzo fu delizioso, scelsero loro per me, giacché conoscevano il menù, parlammo un po' di tutto e, a un certo punto, dissi a Tabucchi che stavo scrivendo un saggio sui suoi primi romanzi e, mi permisi di chiedergli se, quando l'avessi finito, sarebbe stato disposto a leggerlo. Tabucchi gentilmente accettò, ma ci scherzò sopra amabilmente.
Ripensando a quel primo incontro a distanza di anni, non potrei biasimarlo. Mi ero presentata super abbronzata con un vestito rosa shocking, sandali a tacco a spillo e borsetta d'oro, non ero certo l'immagine dell'accademica. Tuttavia, a mia discolpa posso dire che tutti commettiamo errori in gioventù, o almeno questo è quello che mi dico quando ripenso a quel primo incontro. Passarono diversi mesi, ritornai negli USA, finii il saggio e puntualmente glielo inviai. Passò un po' di tempo, e un giorno, entrando in casa, vidi lampeggiare la segreteria telefonica, schiacciai il tasto e nella stanza rimbombò la voce di Tabucchi che diceva: "Ho ricevuto il saggio, chiamami e poi, sottolineava, diamoci del tu". Rimasi di stucco, non mi sarei mai aspettata una telefonata e tantomeno la lista dei suoi numeri telefonici. Quando lo chiamai gli dissi che gli avrei dato del tu, ma avrei continuato a chiamarlo professore per rispetto. Gli piacque il mio saggio, parlammo di altri suoi romanzi e cominciammo una conversazione a distanza che durò un paio di decenni: io inviavo il saggio e Tabucchi chiamava, nel frattempo dalla Feltrinelli di Milano mi arrivavano scrupolosamente le edizioni dei suoi nuovi libri con dedica, allora telefonavo io.
Poi ci furono i congressi internazionali, memorabili, il primo nel 1999 a Lisbona presso la Fondazione Gulbenkian, al quale parteciparono accademici, saggisti, giornalisti, editori, traduttori e critici di tutto il mondo, accomunati dall'interesse per le opere del nostro autore, quelli che in seguito vennero chiamati i "tabucchiani". Conobbi e strinsi amicizia con Remo Ceserani che poi lesse e chiosò il mio libro sull'opus dello scrittore toscano. Incontrai traduttori, tra cui lo spagnolo Carlos Gumpert, il greco Anteos Chrysostomidis e il giapponese Tadahiko Wada. Mi resi conto che con tutti Antonio aveva instaurato un rapporto speciale: eravamo un gruppo di persone provenienti da paesi diversi che nel tempo ha continuato a scrivere sui suoi romanzi, ha continuato a chiamarlo, a incontrarlo a Pisa, a Vecchiano, a Lisbona, e a Parigi.
Nel 2008, ci ritrovammo per un altro convegno internazionale di studio, prima ci riunimmo a Parigi e poi ci spostammo nell'Abbazia di Fontevraud, sulla Loira. Fu qui che, perdendomi nei corridoi di questa immensa e imponente struttura, mi imbattei in Antonio, che seduto comodamente in una bella poltrona, in una alcova del corridoio, stava fumando una sigaretta, mentre sorseggiava un bicchiere di champagne. Gli dissi «Professore, io mi sono persa, ma tu cosa fai qui da solo?» e lui rispose «Penso all'orologiaio svizzero». Tabucchi era spesso breve e incisivo.
Naturalmente capii a cosa si riferisse, ma solo adesso che sono passati molti anni comprendo non solo intellettualmente, ma anche biologicamente il significato delle sue parole. Antonio aveva ragione, il tempo è la nostra nemesi, e più invecchiamo, più la sua presenza si fa minacciosa, del resto da tutta la sua opera traspare questo senso della fine, basta scorrere i titoli di alcuni suoi romanzi: Si sta facendo sempre più tardi (2001), Tristano muore (2004), Il tempo invecchia in fretta (2009). L'ossessione del Tempo, tuttavia, era già presente nel suo primo romanzo, Piazza d'Italia (1975), in cui il personaggio di Volturno soffriva del «mal del tempo», ovvero un rapporto guasto con la Storia, un male che non affliggeva solo il personaggio, ma anche l'autore stesso causando inquietudine/desassossego a lui come già al suo amatissimo Pessoa.
Leggere i romanzi e racconti di Tabucchi era come sentire la sua voce, stesso stile, preciso, conciso, ironico; in fondo scrivere sulla sua opera è stato un modo per ingaggiare una lunga conversazione con lui. Il suo profondo senso umanitario, la sua vastissima cultura (era un lettore famelico, aiutato in questo da una persistente insonnia), il suo disgusto per gli abusi del potere, e le sue diatribe sui giornali altro non erano che un modo di comunicare quello che aveva già scritto in forma diversa nelle sue opere letterarie. Purtroppo, lo scrittore è mancato prematuramente nel 2012, troncando così la nostra conversazione. Mi mancano i suoi commenti arguti, ma fortunatamente ho ritrovato la sua voce in tre opere che considero fondamentali non solo per conoscere lo scrittore, ma anche per conoscere l'uomo e le sue passioni: Autobiografie altrui - Poetiche a posteriori (2003), Viaggi e altri viaggi (2010), e Di tutto resta un poco - letteratura e cinema (2013). Sono opere che leggo e rileggo ogni volta che voglio sentire la sua voce; sono convinta che esse siano il testamento intellettuale dell'autore, in esse si sente il desiderio fortissimo di comunicare il proprio essere, un'urgenza, o almeno io le percepisco in questo modo. Tabucchi era molte cose: scrittore, giornalista, saggista, traduttore, critico, accademico, intellettuale (a suo modo engagé), e se sicuramente un autore "è le sue opere", i paratesti (prefazioni, postfazioni, prologhi, dediche e note) da lui inseriti un po' ovunque nei suoi libri, dimostrano il desiderio di un ancoraggio, un surplus di significati, uno straripamento tra letteratura e vita.
II. I meridiani
Nella prefazione al Tomo Primo dei due Meridiani editi da Mondadori (2018), che comprendono l'opera omnia dello scrittore, Paolo Mauri acutamente scrive: «Tutta l'opera di Tabucchi è una lunga interrogazione sui misteri e paradossi del vivere, dove presente, passato e futuro spesso si scambiano i ruoli e dove i sogni diventano tranche de vie autonome, prestandosi a incarnare il rovescio perfetto di quella che chiamiamo vita reale nel senso che, come accade nei tessuti, dal rovescio si individua la trama».1 Mauri ha ragione, ma io aggiungerei ai sogni e ai giochi col Tempo dell'autore, anche la saudade (nostalgia/rimpianto per quello che poteva essere e non è stato) e il desassossego (inquietudine), oltre ai rebus e ai piccoli equivoci senza importanza. Appare chiaro che il fattore temporale è intrinsecamente legato al contenuto nella sua narrativa. Infatti, le vite fuori orario di moltissimi personaggi di racconti e romanzi sono sintomi di un'infelicità irrimediabilmente legata al Tempo che «passa e rende assolutamente passato ciò che un tempo era il futuro».2
Nel 2018, a Lisbona sotto l'egida della Fondazione Gulbenkian, Maria José de Lancastre, vedova dello scrittore toscano, ha organizzato una mostra fotografica e un convegno internazionale intitolato «Galassia Tabucchi». All'evento erano presenti tutti i "tabucchiani storici", critici, accademici traduttori, giornalisti… molti dei quali, come la sottoscritta, avevano partecipato ai precedenti congressi del 1999 e 2008. Mancavano, all'appello, oltre a Tabucchi, anche Remo Ceserani, Sergio Vecchio e Anteos Chrysostomidis. Nonostante l'eccellenza dei saggi e l'ottima organizzazione, ho sentito la mancanza degli assenti e ho constatato tristemente che quello che afferma il poeta Attilio Bertolucci in un suo verso, «Assenza, / più acuta presenza»,3 è purtroppo verissimo.
III. Autobiografie altrui
In uno studio pubblicato tempo addietro,4 avevo affermato che il lettore che decidesse di avvicinarsi all'opera di Tabucchi, per orientarsi all'interno della sua complicata geografia, dovrebbe cominciare con due volumi, Autobiografie altrui - poetiche a posteriori (2003) e Viaggi e altri viaggi (2010). La ragione sta nel fatto che questi volumi costituiscono un "retroterra" necessario alla comprensione della narrativa dell'autore. In Autobiografie altrui, Tabucchi vagabonda nei dintorni dei suoi romanzi, Requiem, Il filo dell'orizzonte, Donna di Porto Pim, e Si sta facendo sempre più tardi, orientando a suo modo il lettore. Naturalmente, bisogna tener presente che Tabucchi ha dilatato il canone romanzo, e quindi nelle sue opere non chiarisce, ma gioca a destabilizzare il lettore. Prendiamo, per esempio, il saggio (Ma cosa ha da ridere il Signor Spino?)5 sulla misteriosa risata del protagonista con cui si conclude Il filo dell'orizzonte. Tabucchi fornisce delle ipotesi, tutte valide e tutte possibili, ma nessuna definitiva. Nella parte dedicata a Si sta facendo sempre più tardi, nel saggio opportunamente intitolato Autobiografie altrui, lo scrittore suggerisce al lettore di costruirsi i destinatari delle lettere del romanzo epistolare, sostenendo che il romanzo in forma di lettera è «un libro sul senso della vita [...] la vita [...] è un fiume senza sponde. Narrarla è una volenterosa maniera di metterle degli argini [...] Ovviamente un'illusione [...] La vita è una partitura musicale che noi eseguiamo "forse" senza conoscere la musica. [...] Lo spartito si capisce solo dopo, quando la musica è già stata suonata».6 Ne deduciamo quindi che i suoi personaggi sono in ritardo su sé stessi, "vivono fuori orario". Le lettere sono voci portate dal nulla, "epitaffi", che lo scrittore inventa; sono autobiografie altrui, apocrife naturalmente, in cui chi scrive si traveste da altro da sé.
Quale sarebbe quindi la funzione di un tale libro all'interno dell'arcipelago narrativo tabucchiano? I saggi contenuti in Autobiografie altrui sono "indicazioni al contrario" lanciate al lettore, in quanto l'autore attraverso i vari scritti costruisce un vademecum letterario in negativo, spiegando a chi legge quello che le sue opere non sono. Si evince una concezione della letteratura come creazione nella quale si mescolano inconscio, memoria, caso, sogno, realtà sotto l'influenza di molti altri autori che dialogano con lo scrittore e lo aiutano a districare la matassa della nostra complicata e breve esistenza su questo pianeta. Naturalmente dopo la lettura, la prospettiva del lettore si complica. Tabucchi crea un "retroterra" narrativo spazzato dal vento del tempo che distrugge ogni cosa: la morte del padre, la solitaria fine di un giornalista ormai dimenticato, l'inquietudine per l'uccisione da parte della polizia di un ragazzo (presunto terrorista), amori falliti, lettere come epitaffi di vite infelici.
IV. Viaggi e altri viaggi
In tandem con Autobiografie altrui, si dovrebbe leggere Viaggi e altri viaggi.7 La struttura come si nota dall'indice del volume, si divide in Viaggi mirati, viaggi Per interposta persona, una cartina del mondo con indicati i paesi visitati (I luoghi di questo libro) e infine un elenco dei Libri di questo libro. Indubbiamente lo scrittore parla dei molti viaggi intrapresi nella sua vita, ma l'aggettivo «mirati» spiazza il lettore. Da Parigi a Madrid, da Barcellona a Soletta, da Creta a Tokyo, dal Messico all'India, Tabucchi osserva il mondo, ma soprattutto scopre le opere degli artisti che in quei luoghi hanno abitato, mescolando storia, letteratura e cultura. A Parigi visita la casa di Delacroix, a Sète il cimitero dove è sepolto Paul Valery, a Mougins i posti di Picasso, a Madrid i quadri di Goya...
Appare evidente che la diversità tra i viaggi reali fatti dall'autore e quelli per interposta persona mirano a tracciare geografie immaginarie degli scrittori, pittori, scultori, artisti che vi hanno vissuto, che scrissero opere che hanno saputo racchiudere la storia di un'epoca o di un paese nelle loro pagine. Ne consegue che tra i viaggi mirati e quelli per interposta persona non esiste differenza: nei primi visitiamo i luoghi per scoprirne la cultura, nei secondi attraverso la letteratura, il teatro, la pittura scopriamo un'epoca e chi vi ha vissuto. Il libro sembrerebbe non avere coesione, ma la chiave interpretativa del volume salta agli occhi quando l'autore afferma di aver «vissuto in molti altrove».8
L'altrove in questo mondo narrativo è sia un luogo geografico lontano, che un "luogo" creato dalla letteratura perché in esso possiamo vivere altre vite, vite parallele. Queste vite non sono solo quelle create per noi da Tabucchi nel suo narrare, ma anche quelle che noi, come lettori-viaggiatori, sperimentiamo attraverso i libri di altri grandi scrittori: i viaggi appunto per interposta persona. Naturalmente tutti i viaggi sono percorsi che lo scrittore ha fatto all'interno del Grande Viaggio della vita; sono le tessere che formano l'identità non solo del suo mondo narrativo, ma anche di quello biografico. La barriera tra modo di narrare e modo di capire il mondo si assottiglia, diventa porosa perché la letteratura scrive lo scrittore «è una forma di conoscenza in più. È come il viaggio [...] Scrivendo uno immagina di essere un altro e di vivere una vita altra [...] La scrittura è un viaggio fuori dal tempo e dallo spazio».9 Esiste una coesione negli scritti di questi due volumi, non solo nell'intenzione autoriale, ma anche nella loro equivalenza a livello di contenuto.
In Viaggi e altri viaggi esistono molte pagine che si avvicinano agli scritti di Autobiografie altrui, pensiamo a Genova per le connessioni con Il filo dell'orizzonte, all'India per Notturno indiano, al Portogallo e Lisbona per Requiem, Un baule pieno di gente, Sostiene Pereira, e alle Azzorre per Donna di Porto Pim. Questi scritti potrebbero a prima vista appartenere ad Autobiografie altrui, ma non si limitano solo alla narrativa autoriale perché spaziano dalle conquiste marittime portoghesi alla storia dell'Alentejo, da un libro che narra degli azulejos di palazzo Fronteira (La Frontière. Azulejos du palais Fronteira, Pascal Quignard, 1991), alla storia del caffè Brasileira do Chiado, dove Pessoa, un habitué, inventò i suoi eteronimi, e infine alla spiegazione di una parola pressoché intraducibile come saudade. Questi saggi sono un "retroterra" utile per il lettore che affronti l'opera dello scrittore, ma non dimentichiamo che Tabucchi sempre mira a un "di più". Il suo mondo a differenza di quello rappresentato nel vecchio atlante geografico De Agostini di cui parla il saggio Atlante in apertura al libro, ormai definito come «un orario scaduto delle ferrovie»,10 è un luogo in continuo cambiamento, nel quale è pericoloso stare piantati tutta la vita in un solo posto perché si rischia di «credere che quella terra ci appartenga, come se essa non fosse in prestito, come tutto è in prestito nella vita».11
Si ritorna al concetto di viaggio come metafora dell'altro Grande Viaggio, quello che va dalla nascita alla morte, breve percorso durante il quale, secondo lo scrittore, sarebbe opportuno effettuare viaggi paralleli, visitare altri altrove come quelli creati per noi dagli artisti, e soprattutto dai letterati, o fare viaggi reali con lo scopo di scoprire altre vite, altre culture, altri mondi paralleli, perché il significato del viaggio è contenuto nei versi di una poesia di Kavafis (Itaca): «il viaggio trova senso solo in se stesso, nell'essere viaggio».12 Ne consegue che il viaggio sia reale che virtuale, ovvero fatto per interposta persona attraverso la letteratura, è per il nostro autore «come la nostra esistenza, il cui senso principale è quello di essere vissuta».13
V. Di tutto resta un poco
Vorrei riprendere il filo conduttore della mia narrativa: la nostalgia per la voce di Tabucchi. Sia in Autobiografie altrui che in Viaggi e altri viaggi, ho ritrovato echi della sua voce, ma ho letteralmente dialogato con lui nel suo ultimo libro, Di tutto resta un poco - letteratura e cinema (2013). Il volume, uscito postumo un anno dopo la sua scomparsa, è stato curato da Anna Dolfi, e contiene sette sezioni: Orizzonti, Scrittori, Amici, Cinema, Scrittori di oggi, Commiati e Conclusione: Lettera dell'orologiaio svizzero seguite da una postfazione della curatrice intitolata La storia di un libro. Anna Dolfi definisce il libro «esemplare - canone delle letture, delle amicizie, delle scoperte, delle perdite di Tabucchi».14 Leggiamo nella postfazione che lo scrittore ha incominciato a lavorarci nel 2009 e ha continuato a scegliere, eliminare, includere testi sino a poco prima della sua scomparsa. Il fatto che sia l'ultimo libro a cui lo scrittore ha lavorato, e quindi la sua ultima comunicazione col lettore, gli dona un posto speciale. Direi che questa posizione terminale nella diegesi autoriale dona all'opera una notevole preminenza. Inoltre, sappiamo che Tabucchi vi aveva lavorato da anni, scegliendo pezzi apparsi in precedenza su riviste e giornali italiani e stranieri, includendo anche scritti inediti in italiano, e scartandone altri perché di natura accademica o maggiormente legati alla contemporaneità.
Il libro, a differenza della maggioranza della produzione autoriale, è corposo; si ha l'impressione che lo scrittore abbia voluto raggruppare tutti i suoi scrittori preferiti, quelli conosciuti e amati, i film della sua vita, gli amici viventi e quelli purtroppo scomparsi in un unico locus, preoccupandosi di non tralasciare nessuna delle sue preferenze. Il volume è una raccolta meditata e appassionata, sostenuta da una parte iniziale teorica Orizzonti che si apre con un saggio opportunamente intitolato Elogio della letteratura. Tabucchi scrive nel suo elogio che la letteratura è «una visione del mondo differente da quella imposta dal pensiero dominante, o per meglio dire dal pensiero al potere, qualsiasi esso sia».15 La letteratura, secondo il nostro scrittore, non inventa, ma «scopre. Nel senso che rivela qualcosa che esisteva già ma che non conoscevamo».16 Ne consegue che la letteratura deve inquietare, perché è una forma di conoscenza scomoda quando non rivoluzionaria, mai ancella del potere. Tabucchi, citando Pessoa, afferma che «"La letteratura come tutta l'arte, è la dimostrazione che la vita non basta". La letteratura offre la possibilità di un di più rispetto a ciò che la natura concede. E in questo di più è inclusa l'alterità, il piccolo miracolo che ci è concesso nel viaggio della nostra breve esistenza: uscire da noi stessi e diventare "altri"».17 La possibilità di questi viaggi fuori da noi stessi, non è solo privilegio di chi scrive, ma anche di chi legge giacché nei viaggi Per interposta persona si può sperimentare l'alterità. La letteratura, inoltre, è "nomade", non solo perché ci fa attraversare un mondo che non è il nostro, ma anche perché ci fa attraversare l'animo umano. Essa è il territorio del possibile, della libertà assoluta, in essa possiamo riscrivere la Storia, correggerla. Riappropriandosi del ruolo di narratore che spesso nell'elogio coincide con quello del lettore appassionato di grandi scrittori, Tabucchi sostiene che si scrive «perché il tempo sta passando troppo in fretta e vorremmo fermarlo [...] per rimpianto, perché avremmo voluto fare una certa cosa e non l'abbiamo fatta [...] per rimorso, perché non avremmo dovuto fare quella certa cosa e invece l'abbiamo fatta [...] perché si è qui ma si vorrebbe essere là».18 Insomma, molte sono le possibilità e, in questa pluralità, la certezza di una unica verità svanisce. Non dimentichiamo che in un volumetto del 2008 intitolato Una realtà parallela. Dialogo con Antonio Tabucchi lo scrittore affermava «Diffido di una certa letteratura che vorrebbe portare la verità... La funzione della letteratura è insinuare dubbi, ad affermare la verità ci pensano i teologi e i politici: la "loro" verità naturalmente, quella che gli conviene».19
Nella seconda metà di Di tutto resta un poco, intitolata Scrittori, nel parlare delle sue «affinità elettive» lo scrittore crea una vera e propria «autobiografia letteraria», giacché nel descrivere la grandezza di un autore, nell'analisi delle sue qualità, Tabucchi racconta sé stesso, palesando le sue preferenze. A parte una breve sezione dedicata al cinema e ai commiati, le altre unità si rivolgono a narratori (includendo in questa categoria anche i poeti). Il volume è un grande viaggio nella letteratura, fatto di tutti i viaggi (per interposta persona) che Tabucchi ha intrapreso nella sua vita, viaggi che hanno formato la sua poetica e di riflesso la sua scrittura. Dice bene Anna Dolfi che in esergo al libro, lo definisce "un lascito fondamentale", infatti, esso è una mappa nautica lanciata al lettore con le coordinate da seguire per navigare tra le isole dell'arcipelago Tabucchi. Se Autobiografie altrui e Viaggi e altri viaggi costituiscono un "retroterra" utile per iniziare la navigazione, Di tutto resta un poco è la rotta sicura che lo scrittore traccia per il lettore, ma, io aggiungerei che esso è anche l'opera più personale, quella in cui la voce dello scrittore e dell'uomo emerge chiara e limpida.
VI. La voce autoriale
In uno scritto su Requiem in apertura ad Autobiografie altrui, ricostruendo la storia della malattia che causò l'asportazione della laringe di suo padre, Tabucchi scrive «non mi rendevo conto [...] dell'assenza di voce da parte di mio padre, perché la sua presenza fisica, il suo "esserci", compensava l'assenza della sua voce. Solo più tardi cominciai a rendermi conto di quest'assenza di voce: quando la sua presenza fisica non ci fu più».20 Tabucchi spesso ritorna in vari scritti sulla potenza della voce, intendendo la voce umana come parole distinta dalla langue (citando Saussure). Ogni voce ha per lui un'intonazione particolare e di conseguenza ogni individuo possiede una tonalità speciale per esprimere le sue emozioni e quindi una certa "voce" diversa da tutte le altre. Anche narrativamente le voci esistono, pensiamo alle lettere di Autobiografie altrui in cui leggiamo: «sono soprattutto ritratti di voci, voci che paiono venire dal nulla [...] che vagano nello spazio sperdute e anonime».21 Queste voci sono lamenti inviati da mittenti senza corpo dei quali conosciamo solo un "pezzetto di anima" attraverso quell'amaro poco che raccontano nelle missive indirizzate a destinatarie delle quali non conosciamo assolutamente nulla. Di tutto resta un poco è anch'esso animato da una potente voce autoriale, che si esprime nello stile, nel modo di raccontare gli scrittori, nell'analizzare le loro opere, nel far rivivere le loro "voci". Tabucchi usa un linguaggio che si esprime per epifanie, per brevi lampi, ironico, colto, erudito, ma mai aulico, accademico o prolisso.
Negli scritti del suo ultimo volume, lo scrittore cattura il lettore, e lo conduce attraverso le sue letture predilette, e, di conseguenza, attraverso un universo letterario che abbraccia la cultura occidentale dai classici ai contemporanei e, quando arriviamo all'ultima pagina del libro, vorremmo continuare ad "ascoltare la sua voce". Se l'uomo esprime le sue emozioni con l'intonazione, lo scrittore raggiunge lo stesso scopo con la parola scritta. Dell'amatissimo Borges scrive:
«Nella considerazione borgesiana del mondo c'è un timbro, una nota, che credo abbia proprio questo significato: tentare la razionalizzazione della Babele del reale senza fiducia nell'idea di progresso. Il suo gusto dell'invenzione e del paradosso, la sua capacità di rimettere in discussione ciò che pareva definitivamente acquisito, il suo sapersi beffare delle norme estetiche e morali sono la dimostrazione di una agilità indiscutibile. Una considerazione a parte merita poi la sua capacità di indagare la zona d'ombra del reale, di trasmetterci l'idea che il palese, l'ovvio, l'evidente [...] posseggono lati oscuri e insospettati che possono ribaltare l'effettuale, rovesciarlo, addirittura metterlo in scacco».22
A parte la capacità autoriale di sintetizzare una vasta e complessa produzione letteraria condensandola in un giudizio breve, ma accurato, Tabucchi ammira Borges perché condivide con lo scrittore argentino la visione del reale come mistero, rovescio e labirinto. A proposito di Schnitzler leggiamo: «È la grande letteratura del Novecento, quella che Schnitzler ha inaugurato. Una letteratura che vedrà impegnati nello stesso tipo di ricerca scrittori come Kafka, Pessoa, Musil, Pirandello. Una letteratura che entra nei sogni degli uomini non tanto per interpretarli, ma per capire di quale materia sono fatti, e per capire se, come disse Shakespeare, noi siamo fatti della materia di cui sono fatti nostri i sogni».23 Superfluo, a questo punto, sottolineare la preminenza del sogno nella narrativa tabucchiana, ma importante notare il paradosso: passiamo dall'idea di conoscere gli uomini attraverso i loro sogni all'impossibilità di conoscere gli uomini perché gli esseri umani sono, forse come i sogni, inconoscibili, labili, effimeri e misteriosi. Kipling, uno degli autori favoriti da Tabucchi durante l'adolescenza, è definito come un uomo che ha saputo "vedere" il mondo coloniale in cui viveva, e non lo ha solo guardato. Tabucchi ne offre un giudizio lapidario: «Scrisse negli anni di Melville, di Conrad, di James, ma non ne condivise le inquietudini e le angosce. Non fu un grande scrittore. Fu un ottimo scrittore, ma questo non è poco».24
Potremmo continuare a lungo menzionando le ragioni delle preferenze che vanno dall'ammirazione per l'opera al rispetto per i temi trattati. Hanno un posto di spicco nella letteratura italiana Gadda, Pasolini e Levi; per la letteratura ispano-americana Vicente Aleixandre, João Guimarães Rosa, Julio Cortàzar, Manuel Puig, José Luandino Vieira, José Cardoso Pires, Mario Vargas Llosa... Impossibile fare una radiografia di tutti gli scrittori perché si tratta di un cosmo, se includiamo non solo coloro a cui è dedicato un capitoletto, ma anche gli innumerevoli autori citati. Le predilezioni vanno dai vincitori di Nobel a scrittori meno conosciuti, da romanzieri a poeti, da scritti quasi autobiografici (Guglielmo Petroni, Il mondo è una prigione; Norman Manea, Il ritorno dell'huligano) a pamphlet di denuncia (Antonio Cassese, Umano/Disumano; Franco Ferrucci, Cosa Cambia). Tuttavia, il fulcro di queste predilezioni, quale che sia la natura o il tipo d'opera, risiede, secondo la sottoscritta, in un giudizio che Tabucchi esprime su Vargas Llosa, che estrinseca in nuce una qualità che lo scrittore toscano ammira in tutti i letterati prediletti:
«Ho sempre considerato Vargas Llosa uno scrittore impegnato. Ma non in senso sartriano, e tantomeno organico in senso gramsciano [...] cioè uno scrittore portaparola di un'ideologia o di un partito politico. Impegnato in un senso più vasto, più nobile, più proprio alla natura di uno scrittore, in quel senso che ci ha insegnato l'Umanesimo italiano: impegnato a capire l'Uomo, a criticare l'Uomo, a osservare l'Uomo, con la convinzione che l'Uomo sia il mondo, che l'Uomo sia l'universo. E l'impegno di Vargas Llosa, così evidente e fragrante nei primi libri, come La ciudad y los perros, La casa verde o Conversaciónes en la Catedral, che è un impegno prima di tutto umanistico, e dunque etico e civile, non è mai venuto meno in tutta la sua opera».25
Dove le parole chiave sono "capire, osservare, criticare l'Uomo", in una prospettiva chiaramente laica, ma sempre etica e civile, che è poi quello che Tabucchi ha fatto nella sua narrativa e nelle opere di non-fiction. In breve, nelle pagine di Di tutto resta un poco, imprigionato tra le righe, mentre leggiamo di altri scrittori, e di altre opere, troviamo sempre Tabucchi scrittore e uomo. Troviamo l'uomo perché, come scrive Octavio Paz, in una frase molto amata da Tabucchi e riformulata come segue: «gli scrittori non hanno biografia, la loro opera è la loro biografia»;26 troviamo lo scrittore perché «l'opera ha una certa influenza sull'opera»,27 ovvero i romanzi, le poesie, i quadri, le sculture di un artista influenzano altri artisti. Non si tratta di influenze dirette, ma l'arte nella sua natura rizomatica, è un insieme di "voci" che da luoghi e tempi lontani dialogano tra loro, perché essa «come il genere umano è un'idea collettiva, una specie di anima della quale partecipano tutti coloro che hanno scritto»28 e, aggiungerei, anche tutti coloro che sanno leggere.
VII. Il tempo tabucchiano
Il volume si conclude con una lettera apocrifa intitolata Lettera di un orologiaio svizzero, in cui l'autore, fingendosi appunto un orologiaio svizzero, scrive a sé stesso, elaborando la questione temporale. Il volume non avrebbe potuto concludersi con null'altro. Il Tempo, vecchia ossessione dello scrittore dal suo primo romanzo Piazza d'Italia (1975) è, con la letteratura, l'altra grande corrente che bagna questo arcipelago narrativo. Si veda, infatti, in apertura a Di tutto resta un poco il saggio Controtempo in cui leggiamo: «Da tempo mi sono messo a fare i conti col Tempo. Per la verità fin da quando ho cominciato a scrivere, forse quando non era ancora il tempo di farlo».29 Il Tempo individuale (la vita dei personaggi) e il Tempo storico (storia dell'umanità in cui sono immersi i personaggi) sono presenti in tutte le opere di Tabucchi. La malattia del Tempo non ha afflitto solo Volturno e molti dei protagonisti dei racconti, ma secondo lo scrittore, tutto il Novecento, sotto forma di inquietudine, disagio del vivere, senso di estraneità nei confronti della realtà che ci circonda, turbamento. Il «Male del Tempo» equivale al «Male del Vivere» che ha angustiato moltissimi scrittori quali Pessoa (Libro dell'Inquietudine), Montale, Baudelaire, Conrad.
Quello che mi preme sottolineare, al di là della esimia progenie letteraria che ha trattato questo tema, è che questo senso di disorientamento verso il mondo che ci circonda, pervade tutta la narrativa tabucchiana: tutti i suoi personaggi vivono questo "scollamento" fra tempo individuale e Storia. Il tempo interiore dei personaggi non coincidendo con il tempo storico, ecco che in costoro si scatena un fuori orario, ovvero vivono "fuori tempo". Grazie ai due scritti, Controtempo e Lettera dell'orologiaio svizzero, l'autore indica al lettore la posizione di preminenza del Tempo come motore di fondo di tutte le sue opere, come si deduce anche dai titoli (Si sta facendo sempre più tardi, Il tempo invecchia in fretta, Tristano muore). Anche quando il fattore temporale non è così palese, esso ha un ruolo fondamentale perché la letteratura, secondo lo scrittore toscano, attua una comprensione «anticipata» o «tardiva»,30 posticipata, ovvero ha una funzione oracolare sugli eventi postumi, scoprendo cose che esistevano, ma non avevamo capito. Ma la letteratura può avere anche una funzione tardiva, portando con sé, il rimpianto, la colpa di non aver compreso a tempo. Che cosa è il rimorso se non la «nostalgia di ciò che non potremmo mai più tornare ad essere, di ciò che avremmo potuto essere e che non siamo stati».31 Naturalmente la nostalgia dell'irreversibile causa trauma, inquietudine, saudade. Appare chiaro, ancora una volta, che il fattore temporale è indissolubilmente legato al contenuto della narrativa tabucchiana.
L'importanza della lettera che, scritta sotto le mentite spoglie di un modesto orologiaio svizzero, Tabucchi inserisce alla fine di Di tutto resta un poco, è quindi la prova tangibile dell'ossessione temporale dell'autore. Tabucchi è l'orologiaio svizzero, colui che costruisce precisi meccanismi narrativi che narrano del tempo, sia di quello reale che attraversa le nostre vite, sia di quello che solo il cronometro della memoria (il «rattrappante»)32 può riacciuffare, cioè il tempo di quegli eventi diversi rispetto al tempo in cui stiamo vivendo, grazie al quale si può sfuggire al tempo dell'orologio che altrimenti «come un fiume in piena»33 ci avrebbe trascinato via. La direzione inversa della freccia temporale implica anche un impegno etico, perché se la Storia è irreversibile e procede sempre verso il futuro, la letteratura andando a ritroso può ritornare su nodi cruciali della Storia quali l'olocausto, gli eccidi, le dittature, le guerre, i gulag... Come suggerisce Paul Ricoeur, mentre la Storia è scritta dai vincitori, la letteratura può essere scritta dalle vittime.34 Ne consegue che narrare del passato ha implicazioni etiche.
I personaggi tabucchiani, all'interno del tempo del calendario in cui sono immersi, vivono un tempo soggettivo, quello della coscienza, perché esplorare il passato vuol dire vagare nel non-tempo della memoria, all'interno della quale i ricordi sono ambigui, fallaci perché esistono dimenticanze, buchi, soppressioni. Spesso i ricordi sono contaminati da paure, desideri, fantasie, rimorsi. Inoltre, quello che è depositato nella memoria viene continuamente reinterpretato e modificato alla luce delle nostre nuove esperienze, conoscenze, speranze… Nella memoria quindi rivisitiamo non tanto l'ordine degli eventi accaduti, quanto il "disordine" del tempo. Da questa prospettiva temporale in fondo caotica, il passato dei personaggi non emerge mai come una sequenza causale di eventi, ordinata e logica, bensì come andirivieni, associazioni mentali. Naturalmente, il tentativo di trovare un senso di continuità e identità all'interno del contesto del proprio passato o di quello dei personaggi, sta alla base di moltissima letteratura (Proust, Goethe, Virginia Woolf, James Joyce...), specialmente di quella che ha una visione dell'esistenza che esula da una prospettiva religiosa. Con la perdita della visione ultraterrena, la direzione del Tempo nell'esperienza umana diventa un movimento verso la morte, il nulla.
Questa direzione temporale verso la morte, in Tabucchi diventa inquietudine esistenziale, poiché non è possibile alterare o fermare il Tempo, i suoi personaggi diventano esseri in balia della temporaneità, esplorano il passato per capirlo, ma non riescono a penetrare le ragioni degli eventi che hanno determinato la loro vita: il "perché", il "cosa" abbia guidato le loro scelte gli sfugge, e di conseguenza soffrono di una profonda frammentazione dell'io. Ma chi è ossessionato dal tempo? Si preoccupa del temo colui che non ne ha più a disposizione, colui che è giunto al termine della propria vita. Il tempo quindi ci definisce come individui perché impone un limite alle nostre aspirazioni e abilità. In questa logica il futuro non esiste vista la prossimità della fine, il presente vola via e diventa subito passato, l'unica possibilità che resta è cercare di ripescare nella memoria gli eventi significativi che hanno causato rimpianti, delusioni, amori, tradimenti... ovvero quel poco che resta di una vita, perché, come sottolinea il poeta Carlos Drummond De Andrade nella sua poesia (Residuo) posta in esergo al volume dall'omonimo titolo, «di tutto resta un poco».
VIII. Zig zag - Conversazioni con Carlos Gumpert
Nel 2022 viene pubblicato per i tipi di Feltrinelli, Zig Zag - Conversazioni con Carlos Gumpert e Anteos Chrysostomidis. Nell'introduzione al volume, Anna Dolfi fa notare che si tratta di due interviste speciali, fatte da due «esperti gregari»35 nel senso che entrambi sono saggisti, critici, scrittori e traduttori delle opere di Tabucchi. Carlos ha tradotto le opere dello scrittore toscano in spagnolo e Anteos in greco; per di più, entrambi erano amici dell'autore, frequentatori assidui dei vari convegni internazionali e quindi, a tutti gli effetti, "tabucchiani doc". L'intervista di Carlos Gumpert, avvenuta a Vecchiano nei sabati d'inverno del 1991 e del 1992, fu pubblicata in Spagna nel 1995 e successivamente in Francia nel 2001; non era, però, mai stata tradotta in italiano. Inoltre, Carlos, dopo il 1995, ha continuato a incontrare e intervistare lo scrittore dopo la pubblicazione di ogni nuovo libro sino al 2004. Infatti, l'ultima intervista del libro porta questa data.
La conversazione tra Tabucchi e Gumpert si basa su accurate domande mirate che si dividono in tre sezioni: la prima parte riguarda aspetti generali della produzione letteraria dell'autore (Il mestiere di scrivere, Infanzia e vocazione, La Penisola Iberica, La biblioteca di uno scrittore, ...); la seconda parte segue cronologicamente l'uscita delle opere dai primi romanzi, Piazza d'Italia (1975) e Il piccolo naviglio (1978), sino a Sogni di Sogni (1992); la terza va da Sostiene Pereira (1994) all'ultimo romanzo, Tristano muore (2004). Come afferma Gumpert nella nota introduttiva intitolata Breve storia di questo libro, la parte iniziale dà il titolo al libro perché essa riguarda aspetti generali della produzione letteraria dello scrittore «secondo un itinerario a zig zag (del tutto casuale)».36 Siccome Tabucchi non aveva idea del tipo di domande poste, la loro conversazione, sottolinea Carlos, prendeva spesso direzioni impreviste, e di conseguenza, a volte si doveva tornare su temi precedentemente trattati. È appunto questo "andirivieni" all'interno dell'arcipelago narrativo tabucchiano che fornisce il titolo al volume. Per di più, l'amico-intervistatore afferma che, anche nella ricostruzione del materiale registrato, ha voluto mantenere sempre un tono discorsivo per dare più spazio possibile alla voce dello scrittore.37
IX. Zig zag - Conversazioni con Anteos Chrysostomidis
L'intervista di Gumpert occupa i due terzi del libro per un totale di ben duecento quarantasette pagine, mentre la seconda intervista, quella di Anteos, copre solo un'ottantina di pagine. Quest'ultima si rivela essere più informale, e riporta le conversazioni tra i due iniziate a Vecchiano nel maggio del 1998 e conclusesi a Delfi nel febbraio del 1999. Nel prologo, Una camicia piena di macchie, Anteos afferma di essersi divertito nel corso di queste chiacchiere quasi spontanee e si augura che anche il lettore faccia lo stesso. Le domande sono di natura diversa da quelle di Gumpert: Anteos raggruppa le opere, fa collegamenti tra queste e il mondo contemporaneo, intercala domande sugli amori cinematografici dello scrittore, e finisce con due sezioni più generali intitolate Intellettuali e potere e La letteratura va dove le pare. Alla fine della sezione vi sono due lettere indirizzate ad Anteos da Tabucchi, rispettivamente del gennaio 1999 e del settembre 1999, intitolate rispettivamente Postscriptum e Post-postscriptum, in cui lo scrittore parla di tutto un po', dell'incoerenza della vita, di apocalittici e utopici (nella prima parte del volume si era definito, pur nel suo odio per le etichette, apocalittico), e conclude con una lettera apocrifa (I sacri kiwi di Delfi) scritta a favore degli ulivi millenari di Delfi, minacciati dalle autorità locali che, sotto la pressione della Comunità Europea, avrebbero voluto eliminare questi magnifici alberi per farvi una piantagione di kiwi.
Entrambe le interviste danno largo spazio alla voce dello scrittore, e restituiscono un'immagine speculare di lui in cui, come fa notare Anna Dolfi, vi riconosciamo «il suo ironico, dolce, irridente e provocatorio sorriso».38 Le conversazioni, sebbene importanti, non aggiungono molto a quello che il lettore attento aveva imparato leggendo i tre volumi citati in precedenza (Di tutto resta un poco, 2013; Viaggi e altri viaggi, 2010; Autobiografie altrui, 2003). Esiste, tuttavia, una differenza. Mentre nel volume postumo (Di tutto resta un poco, 2013) sentiamo un'urgenza di comunicare col lettore, un desiderio di trasmettere la propria poetica, le idiosincrasie, parlare degli scrittori prediletti, degli amici scomparsi, in una specie di corsa col tempo, le risposte contenute in Zig Zag, registrate molti anni prima, in un periodo in cui la presenza dell'orologiaio svizzero non era ancora così pressante, risultano sempre ironiche e argute, ma anche giocose.
Nelle interviste, ritroviamo le letture di una vita, l'amore per i classici antichi e moderni, i libri che hanno nutrito la sua infanzia e adolescenza (Pinocchio, I viaggi di Gulliver, Don Chisciotte, L'isola del tesoro), gli autori che hanno popolato gli anni universitari (Pessoa, Pirandello), e quelli della maturità (Cechov, Pasolini, Levi, Bernanos, Sciascia, Baudelaire...). Si potrebbe continuare e fare un lungo elenco, tuttavia, non credo opportuno dilungarmi sulle predilezioni letterarie dell'autore perché ne abbiamo trattato precedentemente. Anche le domande sulle singole opere non aggiungono molto a quello che avevamo letto nel nutrito paratesto delle sue opere, in Viaggi e altri viaggi e in Di tutto resta un poco. Chiediamoci quindi che cosa scopriamo di nuovo in queste conversazioni.
Esse offrono, secondo chi scrive, una dimensione più personale dello scrittore perché Tabucchi si "sbottona" e persino uno scrittore contrario alle biografie come lui, fa accenni qua e là a momenti salienti della sua vita che hanno dato origine a certe sue opere. Attraverso le interviste, scopriamo che un periodo di depressione ha generato i racconti sul male de L'angelo nero, che il rapporto ambivalente con una città come Genova, dove Tabucchi ha insegnato per anni, ha ispirato un romanzo "metafisico" come Il filo dell'orizzonte. Sono lampi, sprazzi che aiutano il lettore a capire il mondo dell'autore.
Vorrei, comunque, ritornare su alcuni punti fondamentali della poetica tabucchiana che, anche se presenti nelle opere precedenti, in Zig Zag appaiono esposti in maniera più limpida. Partiamo dal titolo dell'intervista di Anteos: Una camicia piena di macchie. Nelle ultime pagine della conversazione con l'amico greco, Tabucchi, parlando di letteratura, dice «credo [...] che la pagina letteraria abbia spesso bisogno di macchie, di macchie di sugo, di grasso, di sangue - come la vita. Non dev'essere sterilizzata. Dev'essere come siamo noi esseri umani, con i nostri difetti, che è meglio non nascondere».39 In breve, i testi letterari non possono essere coerenti, primo perché ogni libro «è un oggetto misterioso che si sottrae sempre alle intenzioni dell'autore»,40 e, in secondo luogo, perché «la vita non è "coerente"».41 Ne deduciamo che anche i testi che parlano della vita tantomeno possono essere coerenti. Esiste però anche un ulteriore significato, la letteratura è una camicia piena di macchie perché lo scrittore afferma
«non mi considero un maniaco dello stile, sono disordinato in generale, sono una persona che si macchia la camicia mentre mangia e la cui scrittura, allo stesso modo, non è proprio un portento di limpidezza. Non resto ore sul testo [...] Mi piace che la letteratura abbia qualcosa si zingaresco, di furfantesco, che vada in giro mal vestita, con un buco nel calzino magari, perché tutto questo fa parte della vita».42
Inoltre, visto la precarietà della nostra esistenza, e l'impossibilità di avere uno sguardo di insieme sulla realtà, considerando che ci dobbiamo contentare di qualche «barbaglio, di una visione, di un'intuizione»,43 lo scrittore, non fidandosi delle convinzioni troppo ferme, propende per uno scetticismo di fondo, e quindi ha deciso con la sua opera di non alimentare i grandi "falò" del Novecento, ma, come sostiene Montale, si è accontentato di «trasmettere la luce di un fiammifero».44
La letteratura diventa quindi una forma di memoria collettiva, «una forma, laica se si vuole, di risposta al bisogno di religiosità dell'uomo»45 Tacciato spesso di essere uno scrittore postmoderno, Tabucchi rifiuta l'etichetta citando la sottoscritta che in un articolo su Requiem46 aveva appunto decostruito tale affermazione. Tuttavia, se consideriamo postmoderna l'idea di rappresentare la realtà in modo problematico, l'aggettivo potrebbe calzare: Tabucchi non offre soluzioni, è ossessionato dalla categoria temporale, soffre di inquietudine, saudade, vede il corso dell'esistenza determinato da piccoli equivoci senza importanza. Se la vita è un rebus ed è impossibile seguire una unica via, bisogna proseguire a zig zag come i personaggi dello scrittore, e, come costoro anche i lettori si ritrovano a vagare in un labirinto. L'autore, infatti, afferma di essere orgoglioso di non essere uno scrittore che «tranquillizza le coscienze», bensì di essere uno che le inquieta.47
Tabucchi ritorna sull'importanza della voce, definisce Tristano muore come «il ritratto di una voce»,48 affermando che per lui «la voce è più evocativa dell'immagine».49 Il potere evocativo della parola, secondo il nostro autore, risale al Verbo, al mito d'Orfeo; la voce è vita, al contrario della scrittura, essa è biologica. Come egli stesso afferma, questo suo interesse per l'oralità «emerge con grande forza» nei suoi ultimi libri.50 Tabucchi cita Autobiografie altrui, ma noi aggiungeremmo che tutti i volumi di cui abbiamo parlato in precedenza e, soprattutto, Tristano muore possono essere portati ad esempio. Nella Nota posta alla fine di Tristano muore, Tabucchi definisce il romanzo una testimonianza, appunto per sottolineare il potere della voce di Tristano che parla a un fantomatico trascrittore che si limita a raccogliere le sue memorie senza mai interferire. Tristano "parla" perché presto morirà, e, come Cristo che aveva quattro trascrittori, Matteo, Luca, Marco e Giovanni, anche Tristano trasmette il suo messaggio ad altri che lo trasformano in scrittura, e ad essa affida il racconto della sua (fallace) memoria.
Zig Zag offre anche una sorpresa per i critici e i lettori. Nella sezione intitolata Dalle macerie di Porto Pim a un Angelo nero. E qualche considerazione sul terrorismo, parlando del finale aperto de Il filo dell'orizzonte che si conclude appunto con la risata del protagonista Spino, Tabucchi confessa di non avere mai spiegato a nessuno la ragione della misteriosa risata su cui la critica ha dibattuto a lungo. Secondo il nostro autore, Spino fa il passo nel buio, ovvero nell'altro mondo, e, quando si trova faccia a faccia con Dio, non lo fa con l'umiltà dovuta, ma con una risata blasfema. Insomma, Spino è una creatura che si ribella come il filosofo Spinoza, appunto citato nel testo.
Vorrei concludere questa mia "conversazione" fornendo un esempio della voce del nostro autore, citando un paragrafo che appare nel Post-postscriptum di Zig Zag, ovvero in una lettera che lo scrittore invia ad Anteos nel settembre del 1999, perché in essa sento vivissima la sua voce nel senso più completo, paradossale, ironico e giocoso:
«Ho pensato che in questa mia camicia piena di macchie, la macchia che preferisco, e a cui non voglio rinunciare, è quella dell'olio dei nostri ulivi. Sai, temo proprio che tutte le camicie del prossimo millennio, dappertutto, avranno solo macchie di ketchup, e l'idea che ci si possa sporcare solo col ketchup mi deprime. Sicché rivendico le macchie dell'olio d'oliva per sporcare le nostre camicie. Naturalmente, in questo olio, non pretendo affatto il senso sacerdotale del "crisma", perché noi con umiltà ci contentiamo di qualche goccia d'olio del tutto terrena e gastronomica su una fetta di pane, su un pesce, su un'insalata di polpo. Seduti al tavolo di una taverna, di fronte al mare, chiacchierando del più e del meno».51
X. Bibliografia
- Alloni, Marco e Antonio Tabucchi - Una realtà parallela. Dialogo con Antonio Tabucchi, Lugano, ADV, 2008.
- Brizio-Skov, Flavia - Antonio Tabucchi: Navigazioni in un arcipelago narrativo, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 2002.
- Id. - Dal fantastico al postmoderno: Requiem di Antonio Tabucchi, in «Italica», vol. 71, n. 1, 1994, pp. 95-116.
- Ricur, Paul - Time and Narrative, vol. III, Chicago, Chicago UP, 1990.
- Tabucchi, Antonio - Piazza d'Italia, Milano, Bompiani, 1975.
- Id. - Il piccolo naviglio, Milano, Mondadori, 1978.
- Id. - Si sta facendo sempre più tardi - Romanzo in forma di lettere, Milano, Feltrinelli, 2001.
- Id. - Autobiografie altrui - Poetiche a posteriori, Milano, Feltrinelli, 2003.
- Id. - Tristano muore. Una vita, Milano, Feltrinelli, 2004.
- Id. - Il tempo invecchia in fretta - Nove storie, Milano, Feltrinelli, 2009.
- Id. - Viaggi e altri viaggi, a cura di Paolo Di Paolo, Milano, Feltrinelli, 2010.
- Id. - Di tutto resta un poco - Letteratura e cinema, a cura di Anna Dolfi, Milano, Feltrinelli, 2013.
- Id. - Opere, a cura di Paolo Mauri, Notizie sui testi e Bibliografia di Thea Rimini, tomo I e II, Milano, Mondadori, 2018.
- Id. - Zig zag - Conversazioni con Carlos Gumpert e Anteos Chrysostomidis, a cura di Clelia Bettini e di Maurizio De Rosa, Introduzione di Anna Dolfi, Milano, Feltrinelli, 2022.
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