Athos Bigongiali

Due maestri e una scuola di campagna.
Corrispondenza con Simona Micali

 

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Sommario
I.
II.
Premessa
Due maestri e una scuola di campagna


 

§ II. Due maestri e una scuola di campagna

 

I. Premessa

Mi piacerebbe sottotitolare questo ricordo di Athos Bigongiali Letteratura e convivialità: perché parla di intellettuali, artisti e critici che amano incontrarsi e discutere intorno al tavolo di una trattoria di campagna, e le loro chiacchiere innaffiate da un buon vino dei colli pisani diventano idee, diventano libri, spunti per ragionare e per capire temi complicati e tempi complicati. E mi piace pensare che non sia un caso che anche l'idea di questo "pezzo" sia nata durante una cena in trattoria tra letterati, in maggioranza con trascorsi pisani: non eravamo in Toscana ma a Udine, dopo un bel seminario per i dottorandi di italianistica, durante una cena di chiacchiere tra colleghi e amici annaffiata da un vino eccellente, sebbene senza tracce di Sangiovese. È stato allora che il vecchio amico Stefano Lazzarin mi ha chiesto se sapevo qualcosa di questa mitica "scuola di Avane", in cui si erano imbattuti lui e gli altri curatori del numero di «Bollettino '900», ma sulla quale avevano raccolto notizie frammentarie, tipiche di un'era - solo trent'anni fa, ma sembrano secoli - in cui non esisteva ancora il grande archivio virtuale dei social network, dove si conservano immagini e notizie di qualsiasi cosa, persone e eventi, da quelli epocali a quelli più irrilevanti e dimenticabili.
È bastato quell'accenno alla "scuola di Avane" per riaprire all'improvviso un cassetto di vecchi ricordi pisani: gli aneddoti di Remo Ceserani condivisi con noi allievi su queste deliziose serate in trattoria, la sua aria sorniona nell'accennare alle «severissime regole» che presiedevano all'ammissione e allo svolgimento delle serate; l'invito fintamente solenne a Paolo Zanotti - lui solo tra tutti noi suoi allievi, perché era lo scrittore del gruppo e perché di noi era l'intellettuale più fine e più brillante; e ancora l'ansia di Paolo man mano che si avvicinava la serata in cui doveva svolgersi l'esame, il rituale di iniziazione a questo cenacolo esclusivo… E da quel cassetto della memoria è emerso anche il ricordo del nostro incontro con Athos Bigongiali, uno scrittore pisano di grande talento e una persona di una profonda umanità, di una gentilezza che purtroppo non posso che definire "di altri tempi". Sono molto grata a Stefano e agli amici di «Bollettino '900» per avermi dato l'occasione di rientrare in contatto con Bigongiali, e rivivere questo pezzetto della mia vita pisana degli anni Novanta. In origine avrebbe dovuto essere un'intervista; ma sono convinta che agli scrittori, quando sono bravi, valga la pena di lasciare la parola, senza molestarli con le domande. E credo che il bellissimo testo che segue mi dia ragione.

 

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II. Due maestri e una scuola di campagna

 

per Simona Micali

A proposito di Antonio Tabucchi e Remo Ceserani, tutto cominciò per me nel 1990, l'anno in cui li conobbi. Già grandicello, avevo avuto la fortuna di essere pubblicato l'anno precedente da Elvira Sellerio, a cui su consiglio di amici avevo spedito il manoscritto di Una città proletaria. L'incontro con Ceserani fu casuale, stavo parlando con i proprietari di una piccola libreria sul Lungarno di Pisa riguardo a una possibile presentazione, che poi non si fece, quando Remo Ceserani si affacciò nella libreria e chiese se avevano quel romanzo di cui aveva letto sulla cronaca locale, sentendosi rispondere che avevano lì non solo il libro ma anche il suo autore. Ricordo che Ceserani mi guardò con un misto di curiosità e di simpatia, il titolo e l'argomento gli erano piaciuti e fu così che qualche giorno dopo lessi la sua favorevole recensione su «il manifesto». La conoscenza con Tabucchi fu altrettanto casuale, ero andato a un suo incontro con i lettori in una scuola vicina a Vecchiano, la stanza era strapiena, così vi assistetti da una finestra aperta sul cortile, per poi rifugiarmi (era un settembre caldissimo) all'ombra di un fico e fumarmi in santa pace una sigaretta. Una volta uscito Tabucchi ebbe la stessa idea: e fu così che presentati da un comune amico ci gustammo insieme l'ombra di quel bel fico maturo, per poi finire a berci un bicchiere di vino alla Casa del Popolo. Casuale non fu il seguito. Tabucchi mi telefonò in ufficio (al Comune di Pisa dove dirigevo l'ufficio stampa) e senza tanti preamboli mi invitò a pranzo, a casa sua, a Vecchiano. Avrebbe cucinato un coniglio, che come lo preferisci, mi disse, in umido o arrosto? Fu quella la prima di tante altre occasioni conviviali, sia nei paesi della campagna pisana, sia a Pisa, nella città vecchia dei vicoli medievali e delle piazzette nei pressi dell'Università e della Scuola Normale. A volte da soli, altre con gli amici con cui demmo vita (senza saperlo) a quella che anni dopo Ceserani avrebbe battezzato "la scuola di Avane". Ma proseguiamo con ordine. Sia Tabucchi che Ceserani avevano il gusto della conversazione, a volte condita con qualche bel gossip, erano entrambi molto preoccupati per la discesa in campo di Berlusconi nella vita politica e non facevano mistero delle loro idee. Ricordo una nostra discussione sui pericoli che correva la libertà di stampa e la loro attenzione quando io raccontai della reazione avuta da Goethe a una domanda sulla libertà di stampa: ci mancherebbe anche questa!, fu la risposta di Goethe. Non riuscimmo a riderci su. Ci consolammo parlando del Faust e di altri classici. Ceserani citò, tra questi, Le confessioni di un italiano, Tabucchi Il giro di vite di Henry James che, confessò, leggeva tutti i giorni. Ne rimasi sorpreso, mi aspettavo Thomas Hardy e Pessoa, e ricordo anche la sorpresa di Ceserani nell'apprendere che io sapevo della sua traduzione di Comma 22, non ti si può nascondere niente, mi disse, sornione. Ma quello fu l'inizio di una sua vera e propria lezione sul postmoderno, conclusa da Tabucchi con un: eccoti servito, contento?
Forse cominciò da queste conversazioni l'idea di cercare un posto fisso dove incontrarci. Un ristorante, ovviamente, perché parlare mette appetito. Comunque, quando cominciò, Ceserani era spesso all'estero e non fu dei nostri (pochi, oltre a Tabucchi il giornalista Marco Barabotti, l'ecologista Fausto Guccinelli, io e più avanti Ugo Riccarelli e il giovane laureato in filosofia Massimo Marianetti: questo lo smilzo gruppo che si radunava a cena sempre nella stessa trattoria, a Avane, un paese della campagna pisana). Ci incontravamo per mangiare cose genuine, tutte rigorosamente cotte al forno, e bere in compagnia vini con le bollicine, su questo Tabucchi non transigeva: niente bollicine, niente cenetta, disse una volta anticipando così un noto slogan pubblicitario. La prima regola che ci demmo riguardava il numero dei commensali: mai meno di tre, mai più di sette, come aveva prescritto Kant (tre erano le Grazie, nove le Muse). L'idea di allargare la cerchia senza violare la regola scaturì durante una cena a cui Tabucchi aveva invitato Daniele Del Giudice. Verrà in aereo, ci disse, e bisognerà festeggiarlo come si deve ai piloti dell'aria, inoltre è un bravo ragazzo e comunque viene da solo. E così fu anche per gli invitati successivi: solo uno per volta. Fu così con Massimo Cacciari, con Remo Bodei, che ci illustrò la sua Geometria delle passioni, con Paolo Mauri e Ranieri Polese (che dirigevano le pagine culturali di «Repubblica» e del «Corriere»), con Bruno Ferraro, professore di italianistica all'Università di Auckland, ospite per alcuni giorni di Tabucchi, e con vari scrittori, tra cui Nico Orengo, e traduttori quali Carlos Gumbert e Bernard Comment. Vi furono eccezioni solo per il ristorante ma molto a malincuore. E se con José Cardoso Pires andò bene, eravamo giusto in sette, con Tahar Ben Jelloun dovemmo fare la conta per non infrangere la regola: non ricordo a chi toccò tornare a casa ma ricordo che Ben Jelloun aveva con sé tre accompagnatrici da cui non volle assolutamente separarsi. Tra gli editori ricordo con particolare piacere, oltre a Elvira Sellerio (che venne a Pisa in aereo, tutta tremante: era il suo primo volo), Klaus Wagenbach, a cui dobbiamo la lettura di alcune pagine inedite di Gunther Grass, e Inge Feltrinelli, che ci deliziò dei suoi ricordi con Hemingway. La Inge fu nostra gradita commensale anche altre volte, ma io mi persi la serata con Marcello Mastroianni: non ero in sovrannumero ma dovetti badare agli altri attori del film Sostiene Pereira, tra cui Joaquin de Almeida, con cui comunque mi sbronzai.
E Remo Ceserani?, dirà qualcuno.
No, seppure assente Remo era sempre dei nostri. Se ne stava lì, al solito posto, momentaneamente vuoto, che gli avevamo riservato e quando tornò stabilmente a Pisa volle subito occuparlo. Memorabile fu la serata ad Avane sul tema della "Saudade", con Tabucchi a spiegarci che quella parola aveva senso solo per i portoghesi e che non dovevamo confonderla con la nostalgia, a meno che non fosse la nostalgia del futuro. Ceserani ascoltava «con quell'arietta tra lo svagato e il malizioso», con cui Antonio lo definì nella lettera dedicata a Remo (sottotitolo: Tentativo dissennato di spiegare a un amico una parola intraducibile), poi pubblicata postuma nel libro Di tutto resta un poco (Feltrinelli, 2013). Altrettando memorabili furono le serate sull'arte della fotografia a cui sia lui che Antonio erano fortemente interessati e quella, introdotta da Remo, sul più inaspettato degli argomenti: le nuvole (poi pubblicata sul suo libretto agli amici: Mettere a fuoco). Ma Ceserani coltivava anche altre passioni. Stevenson, per esempio: e fu grazie a Stevenson che la scuola di Avane accolse una sera uno dei suoi allievi prediletti. Ve lo porterò qui, aveva detto, e voi potrete interrogarlo sull'intera opera di Stevenson. Non siate indulgenti, ci aveva avvertito. Quel ragazzo si chiamava Paolo Zanotti e sarebbe diventato di lì a poco un ottimo scrittore, forse tra i migliori di questo secolo se ne avesse avuto il tempo. Ancora me lo vedo davanti, seduto a quel tavolo della trattoria di Avane: lo vedo e ricordo che non fui affatto indulgente con lui, gli chiesi di illustrarci il trattatello stevensioniano sull'arredamento. Paolo non fece una piega, conosceva anche quello. Forse non fu la nostra ultima cena ma mi piace ricordarla così ed è sulla scia di questo lontano e incerto ricordo che prendo congedo da chi mi sta leggendo.

Pisa, 2023
Athos Bigongiali

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gennaio-maggio 2023, n. 1-2