Paolo Proietti
Aspetti della short story irlandese moderna

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
Premesse (1): senchaí e short story
Premesse (2): realismo e favolismo
The Genius (Frank O'Connor)
The Trout (Seán Ó Faolain)
The Hare-Lip (Mártín Ó Cadhain)
Strandhill, the Sea (John McGahern)
The Creature (Edna O'Brien)Un re in ascolto
Conclusioni
Bibliografia



§ II. Premesse (2): realismo e favolismo

I. Premesse (1): senchaí e short story

In quante lingue, in quante culture è fiorito il genere letterario «x»? Questa domanda investe da vicino l'approccio comparatistico al testo letterario, eppure solo il tempo storico potrà dimostrare se quel modello letterario è effettivamente riuscito a costituirsi in genere. È il tempo, la persistenza nel corso degli anni a manifestare e dispiegare pienamente le potenzialità strutturali e le ricchezze di un determinato genere letterario. Di qui la necessità di non circoscrivere il raggio dell'indagine a poche storie letterarie, perché una poesia isolata, un racconto solitario, possono risultare marginali all'interno di una letteratura, se il confronto con altre non dimostra l'esistenza di un genere o sottogenere comune.

La short story,1 come genere letterario, ha prosperato in molti paesi: se la Russia può vantare uno dei più significativi contributi a questo genere attraverso l'opera di Čechov e la Francia, nella sua tradizione di Daudet e Maupassant, ha espresso numerosi scrittori di racconti, l'Irlanda costituisce senz'altro il paese dove la short story rappresenta il genere letterario più popolare. In effetti raccontare storie ha sempre avuto e, tuttora, continua ad avere una grande considerazione nella vita d'ogni giorno in Irlanda ed una sorta di predisposizione a siffatta forma espressiva è riconosciuta quasi come caratteristica nazionale degli irlandesi. Storie di vario tipo hanno un loro modo di introdursi nella conversazione irlandese, sia come forma di intrattenimento, sia come forma di comunicazione. Per secoli le storie sono state offerte agli stranieri come complemento di una calda ospitalità: storie brevi, lunghe, semplici, fantastiche, d'amore. Ma sempre la domanda è stata la stessa: perché gli irlandesi sono così ricettivi nel sentir raccontare una storia?
Ebbene, rinnovare vite passate, perpetuarle nel tempo attraverso il racconto, sono pratiche da sempre presenti in Irlanda, ed anche senza l'assistenza dello seanchaí, il vecchio cantastorie seduto vicino al fuoco di torba, l'abitudine di raccontare storie si è ben adattata alla vita di ogni giorno. Tuttavia, privato della fresca enfasi del cantastorie, il passaggio dalla forma orale alla forma scritta, comporta il rischio di generare un prodotto piuttosto piatto ed ordinario. Quando il cantastorie era intento a narrare la storia, intrattenendo gli amici intorno a sé, operava due correlazioni: una lo collegava alla fonte della storia, l'altra lo collegava al suo pubblico. Egli conosceva gli uomini stretti attorno al suo camino ed offriva loro qualcosa che li divertisse sul momento e desse loro un ricordo prezioso da portar via: conservando la tradizione artistica, egli comunicava col passato, mentre parlava agli uomini del presente. Quei cantastorie, cogliendo il passato per farne un dono al futuro, assumevano una posizione responsabile nella società rendendo più stretto il vincolo di solidarietà fra gli uomini del paese. Unificare tempo e società, tradizione e comunicazione attraverso una narrazione: raccontare una storia significava tutto ciò.
Ma le convenzioni estetiche e le esigenze creative dello scrittore che proietta in forma scritta una storia, non coincidono necessariamente con quelle adottate dai cantastorie. Questi ultimi conoscevano bene il loro pubblico, i loro valori tendevano ad unificarsi, sapevano quali idee potevano interessare coloro che erano seduti vicino a loro e ricercavano quelle idee nelle storie che avevano già sentito e che custodivano nella loro memoria. Tuttavia la molla creativa che muove gli scrittori e la stimolante curiosità che anima i lettori non coincidono necessariamente coi valori insiti nelle storie che gli scrittori stessi cercano di ricreare nelle loro pagine. I problemi sorgono quando la storia che ha unito il cantastorie, la sua fonte ed il suo pubblico viene ricollocata in un contesto letterario diverso; allora compaiono anacronismi, dislocazioni come diretta conseguenza della distanza che separa lo scrittore dal cantastorie. Tutti i testi scritti di storie popolari sono un compromesso fra la «parola parlata» e la «parola scritta», fra lo scrittore ed i cantastorie, appunto.
È sullo sfondo di una cultura orale pervasiva e profondamente radicata che deve essere collocata la fioritura di short stories irlandesi che va dal primo Novecento e giunge fino a noi.
Joyce in Irlanda, Čechov in Russia, hanno operato il cambiamento dal vecchio al nuovo: i grandi eroi drammatici del passato vengono dimenticati e le storie che ora si presentano ai lettori sembrano essere centrate sul niente. Esse spesso si soffermano su quelli che Frank O'Connor chiamava small men2. La short story irlandese, come asserisce O'Connor,3 rappresenta una forma espressiva a sé stante e le sue peculiarità tematiche e linguistiche la differenziano dai racconti di altri paesi. Essa, infatti, non «richiede» la presenza di un pubblico, semmai «implica» la sua presenza e la sua forma viene dettata dal materiale trattato: la vita in Irlanda in ogni sua forma, da un punto di vista sia oggettivo, che soggettivo.

 

§ III. The Genius (Frank O'Connor) Torna al sommario dell'articolo

II. Premesse (2): realismo e favolismo

Le short stories che qui vengono analizzate, cercano di tracciare il percorso ideale che l'identità culturale irlandese ha seguito dal dopoguerra ad oggi. Si tratta di storie che, confrontandosi sistematicamente con temi, strutture narrative e registri linguistici, realizzano nel caso di F. O'Connor, S. Ó Faolain e M. Ó Cadhain, una nuova forma, vale a dire la fusione dell'antico racconto orale con le preoccupazioni tipiche della letteratura moderna, anche se mostrano ancora qualche segno di condizionamento nei confronti della tradizione gaelica; nel caso invece di E. O'Brien e J. McGahern, mostrano come ormai il genere si sia saldamente impadronito di nuove tecniche narrative che consentono allo scrittore di staccarsi da quella tradizione ed affrontare, da una posizione più personale, temi che a prima vista sembrano rompere con quelli della tradizione gaelica: qui il narratore non cerca più di fuggire da una realtà troppo spesso costrittiva, l'Irlanda matrigna del dopoguerra, piuttosto cerca di confrontarsi, combattere con essa apertamente.

Seàn Ó Faolain e Frank O'Connor scrissero durante il periodo di disillusione successivo al Trattato Anglo-Irlandese, che sancì la nascita dell'Irlanda del Nord nel 1921 e che portò nel 1923 alla guerra civile, alla quale i due scrittori presero parte attivamente combattendo per il fronte repubblicano. Essi furono gli esponenti principali della corrente realista che caratterizzò la letteratura irlandese negli anni 1920-1955 e rappresentarono la coscienza di quelle generazioni, coscienza che criticamente si pose nei confronti delle tendenze puritane ed oppressive di quello che, per ironia della sorte, si chiamava Irish Free State.4
Tuttavia la corrente realista in quegli anni non fu l'unica voce critica della società irlandese. Altri scrittori, fra i quali Máirtín Ó Cadhain, o lo stesso Seán Ó Faolain, per citarne alcuni, furono portavoce di una tendenza favolista che, se da un lato si richiamava al romance medioevale, dall'altro, seguendo gli insegnamenti di George Moore e James Joyce, si spingeva verso forme di sperimentalismo letterario che nulla più aveva a che fare con i canoni tradizionali del realismo.
La fine degli anni '50 segnò il mutamento delle condizioni che avevano determinato l'assetto sociale precedente: le fondamenta dell'identità irlandese contemporanea devono essere ricercate proprio in quegli anni di grandi cambiamenti economici, sociali e culturali. È interessante osservare come i migliori scrittori formatisi in quegli anni, da Edna O'Brien a John McGahern, abbiano iniziato seguendo la corrente realista dei loro predecessori, per portare poi avanti forme di sperimentalismo letterario. Il rapporto conflittuale che i loro personaggi hanno con la società nella quale vivono o all'interno della famiglia, microcosmo sociale nel quale non si integrano, è simbolo dell'incomunicabilità e della frammentazione dei valori ereditati dalla svolta modernista e presagio, al tempo stesso, dello stato di incertezza e di ansia dell'età contemporanea.

 

§ IV. The Trout (Sean O'Faolain) Torna al sommario dell'articolo

III. The Genius (Frank O'Connor)

The Genius5 di Frank O'Connor (Michael Francis O'Donovan, 1903-1966) è una short story dallo stile «informale», impiantata su sequenze narrative piuttosto brevi, dalla sintassi semplice ed immediata:

«Some kids are cissies by nature but I was a cissy by conviction. Mv mother had told me about geniuses; [...] The kids around the Barrack where I lived were always fighting. [...] Mother said they were savages, that I needed proper friends, and that once I was old enough to go to school I would meet them» 6

Il racconto si apre con la narrazione ed il commento dei fatti da parte di un narratore onnisciente identificabile nel protagonista, il piccolo genius, che, dietro l'impersonale «I», incarna il tipo del «genietto» saputello. In effetti O'Connor è stato un vero maestro nella ricreazione di dialoghi naturali, colloquiali. Per esempio nelle short stories sull'infanzia, come The Genius, il punto di vista è quello di un adulto che racconta quella che per lui è stata un'esperienza tormentata. Attraverso uno scarto temporale, il narratore ora la ripresenta ai lettori con ironia e distacco, ma in stretta solidarietà con lo spirito della ricordata gioventù. In tal modo O'Connor raggiunge un doppio obiettivo: far parlare il narratore, ormai adulto, col linguaggio che avrebbe avuto da piccolo.
Nel caso di The Genius ci troviamo di fronte ad un registro stilistico che, pur presentando dialoghi filtrati dalla mediazione critica del narratore, recupera in forma scritta quegli elementi tipici della cultura orale gaelico-irlandese, tramandata nel tempo dalla figura dello seanchaí.
Il primo di questi dialoghi, fra padre e figlio, segna un brusco stacco nel ritmo narrativo e prefigura tutte le difficoltà e le incomprensioni esistenti nel rapporto fra i due; del resto è lo stesso narratore, il genius, a suggerirlo:

«I can see now, of course, that he didn't really like me.»7

In questo caso l'utilizzazione del dialogo rappresenta anche uno strumento narrativo che consente di dare una spinta al monotono ritmo della narrazione onnisciente: essa infatti, si fa più serrata, incalzante e permette di enfatizzare la diversità esistente fra i due, introducendo in tal modo un tema ricorrente e caro a molta della letteratura irlandese del Novecento, il rapporto padre-figlio. Situazione archetipica, quest'ultima, che consente al genere di sviluppare - magistralmente in questo caso - quell'invariabile struttura parossistica ed antitetica attraverso la quale, forma e tema, ricorda Florance Goyet, concorrono nel conferire al genere quelle qualità di «densità», «unità d'impressione» e «pienezza», facendone una sua peculiarità.8
Molte frasi pronunciate dal padre sono contrassegnate da avverbi come wheedingly, testingly, da verbi come to snort, to stalk o dalla descrizione di tipi di comportamento quali to scald his heart, che evidenziano un tipo aggressivo, incolto, stereotipo di certa ruralità irlandese dell'epoca. Viceversa il modo affettato del fanciullo viene sottolineato da risposte prive di esasperazioni, strutturate su frasi brevi con tempi verbali all'indicativo. L'antitesi di fondo viene espressa anche a livello stilistico con un differente uso del ritmo narrativo, incalzante l'uno, controllato l'altro, differenze che O'Connor preannuncia con l'uso del paradosso: il padre compara con il suo genius la «normalità» dei figli dei suoi conoscenti dipingendoli come:

«... normal, bloodthirsty and illiterate children ...»9

oppure commentando:

«... I'd sooner the boy would grow up a bit natural.»10

L'incomprensione fra padre e figlio porta ad una situazione di vero e proprio antagonismo fra i due: il fanciullo è troppo coccolato da sua madre; i litigi fra moglie e marito avvengono infatti quasi sempre in seguito a discussioni sui metodi educativi da seguire per il figlio ed in presenza di quest'ultimo. D'altra parte il rapporto madre-figlio, si incrina nel momento in cui un'altra presenza femminile, quella di Una, si intromette fra i due provocando un cambiamento nei comportamenti del fanciullo. La madre arriverà a dire:

«... look at you! A little comer boy! l'm ashamed of you!»11

Siffatta situazione tra madre e figlio ricorda da vicino quella affrontata da D. H. Lawrence nel suo capolavoro Sons and Lovers: non è un caso che la raccolta di short stories da cui The Genius è tratta si intitoli My Oedipus Complex and Other Stories.
Come molte delle short stories di O'Connor, The Genius vuole essere il racconto della disillusione, della frustrazione di un personaggio completamente in balia di forze che violano la sua personalità e la sua natura. E la netta separazione di due universi: quello degli adulti e quello della fanciullezza e l'incapacità di questi due universi a comunicare fra loro. Il piccolo genius, Larry, piomba sempre più in una situazione di isolamento: distante dai suoi coetanei a scuola

« One day I was standing at the playground gate, feeling very lonely»12

e tenuto a distanza dai grandi, coi quali egli cerca di rivaleggiare esponendosi, senza rendersene conto, al ridicolo:

«At the same time [...] I wasn't a girl and couldn't have an engine and buffers of my own instead of a measly old starting-handle like Father.»13

The Genius, ovvero il crollo delle illusioni: la lettura del racconto segna la parabola discendente delle illusioni del fanciullo che, senza alcuna concessione alle fantasticherie e con grande realismo, O'Connor fa disciogliere di fronte alla realtà. Le convinzioni di Larry sui comportamenti da tenere, l'una dopo l'altra, elencate nel breve paragrafo iniziale, porranno spesso il fanciullo in situazioni ridicole, situazioni di insostenibile confronto con una realtà più grande e complessa come è quella dei grandi, di presa di coscienza dei propri limiti di fanciullo, nonché di cosa sia un vero amore.
I fatti narrativi, preannunciano la chiusa finale, che si dimostra speculare all'inizio, seppur da una prospettiva rovesciata:

« You'll soon make new fnends, take my word for it.»14

Queste le parole pronunciate dalla madre in chiusura: esse sono in qualche modo il doppio di quelle da lei stessa pronunciate all'inizio ma ora, per contrasto, servono a smascherare una falsa visione della realtà:

«But I did not believe her. That evening there was no comfort for me. My great work meant nothing to me and I knew it was all I would ever have. For all the difference it made I might as well become a priest. I felt it was a poor, sad, lonesome thing being nothing but a genius.» 15

 

§ V. The Hare-Lip (Martin O'Cadhain) Torna al sommario dell'articolo

IV. The Trout (Seán O'Faolain)

The Trout16 di Seán Ó Faolain (John Whelan, 1900-1991) è una short story molto bella, sviluppata attraverso un delicato gioco fra realismo e simbolismo, realtà ed immaginazione. Ancora una volta la figura dello seanchai affiora dietro una narrazione in terza persona, piana, che immediatamente colloca il personaggio principale, Julia, nel luogo delle vacanze, «G-», simbolicamente lasciato all'immaginazione di chi legge (o di chi ascolta). Dal punto di vista stilistico, anche The Trout è una short story «informale», costruita su sequenze narrative brevi e dalla sintassi semplice, in cui si privilegia l'uso dei verbi in modo indicativo, che meglio si adatta alle suggestioni della narrazione orale. In effetti Ó Faolain ha dedicato una particolare attenzione alla musicalità della sua prosa, nel preciso intento di riprodurre quanto più possibile l'effetto sonoro delle narrazioni dei cantastorie davanti ai focolari domestici. Numerose sono le allitterazioni:

«... and the boat and a bathe [...].She leaped up and looked out ....»

e le assonanze:

«He just went on painting [...] her hat down around ....17».

D'altra parte, la ricerca di immediatezza nella comunicazione è condotta anche attraverso l'uso di parole monosillabiche, di radice germanica, sicuramente più congeniali al lettore di lingua inglese; solo raramente parole polisillabiche di etimo latino come suspiciously, incredulous, superciliously, vengono impiegate per connotare comportamenti più artificiali del personaggio.
In The Trout, l'elemento simbolico acquista una grande importanza: The Dark Walk, il vialetto oscuro, è simbolo di un tema ricorrente nella letteratura del mondo, quello del viaggio fisico, ma anche metaforico, dell'iniziazione e formazione alla vita; qui rappresenta il percorso che divide la realtà dall'immaginazione, la solare sicurezza del presente (la fanciullezza) dall'oscura incognita che quel percorso implica: esso è il simbolo della sfida che il fanciullo deve vincere affinché possa superare le paure di quell'età e possa crescere:

«She raced right into it. For the first few yards she always had the memory of the sun behind ber, then she felt the dusk closing swiftly down on her [...]. When she was filled with the heat and glare she would turn to consider the ordeal again.» 18

Poco più avanti sappiamo dal narratore che Julia, la protagonista della storia, ha dodici anni, cioè che sta vivendo quel momento di cambiamento che la condurrà dalla fanciullezza all'adolescenza, durante il quale la realtà e l'immaginazione lottano per trovarsi uno spazio nella personalità dell'individuo:

« She was twelve and at that age little girls are beginning to suspect most stories: they have found out too many, from Santa Claus to the Stork». 19

La presenza, fortemente simbolica, del pozzo in una realtà conosciuta seppur temuta, The Dark Walk appunto, rappresenta un elemento di disturbo nelle certezze del mondo della fanciulla, stimolando comunque in essa il desiderio di verificare quella presenza e di affrontare l'oscurità.
The Trout è una conferma della centralità del ruolo della short story nella cultura irlandese:

« Her mother suggested that a bird had carried the spawn [...]. So one day Daddy Trout and Mammy Trout ...». 20

Essa, infatti, è osservata da due diversi punti di vista. Da una parte abbiamo quello del fanciullo, in questo caso il fratellino di Julia che chiede alla madre di raccontargli la storia della trota, non tanto per interesse verso la trota trovata nel pozzo, quanto per il piacere di ascoltare qualcuno che racconta. Dall'altra parte abbiamo il punto di vista dell'adulto, in questo caso quello della madre, che, attraverso una sorta di mise en abîme, alla maniera di un talentuoso cantastorie, compone (usa il verbo to make up) una storia per il figliolo, storia quest'ultima che è doppio di quella che nello stesso momento Ó Faolain ci offre attraverso il narratore.
Il continuo gioco fra realtà ed immaginazione, ardore e paura, attraverso l'uso del simbolo, diventa gioco di colori ed identificazione dei valori. Al centro della storia è ancora una volta il Dark Walk, ma questa volta Julia non potrà sopire le sue paure al chiarore della luce del sole: l'oscurità del vialetto è la stessa di quella della bella nottata estiva, il cui solo chiarore è quello di una luna pallida. In questo momento realtà ed immaginazione sono la stessa cosa e Julia, nel tentativo di salvare e liberare la sua trota, dovrà confrontarsi con entrambe e ne uscirà cambiata.
Una progettazione precisa dei fatti scandita attraverso l'avvicendamento di alcune situazioni - il roteare del mulinello della canna da pesca, il latrato del cane - crea, alla fine della short story la sequenza narrativa che segna la metamorfosi di Julia: la fanciulla paurosa ed incerta lascia il passo alla ragazza decisa e consapevole. A questo punto per Julia il cambiamento sarà avvenuto e le paure della fanciullezza saranno un ricordo:

« Like a river of joy her holiday spread before her.» 21

Proprio in virtù di quel cambiamento e da un nuovo punto di vista Julia, nel paragrafo finale, dovendo dare una spiegazione al fratellino sulla scomparsa della trota, deciderà di riappropriarsi delle fairy goodmothers protagoniste di tante storie ascoltate da piccola e di attribuire ad esse quella scomparsa.

 

§ VI. Strandhill, the Sea (John McGahern); Torna al sommario dell'articolo

V. The Hare-Lip (Mártín Ó Cadhain)

Un linguaggio permeato dagli umori e dai valori della cultura irlandese più tradizionale, forgiato nella sua traduzione in inglese su strutture sintattiche che rimandano continuamente alla lingua di partenza, il gaelico irlandese, costituisce uno degli elementi di maggior interesse di The Hare-Lip22 di Máirtín Ó Cadhain (1906-1970).
Fra i più illustri scrittori di short stories e romanzi in lingua irlandese di questo secolo, cresciuto in una delle Gaeltacht23 più solide d'Irlanda, Ó Cadhain ricerca la propria eredità naturale nella magnifica tradizione orale irlandese e, in ossequio a quest'ultima, sceglie di scrivere esclusivamente in irlandese, nell'intento di fornire un quadro preciso della realtà sociale e dell'identità culturale irlandesi. L'unione di costruzioni irlandesi e inglesi in frasi come:

«... she had cleared up after yesterday [...] [...] come from Ard with the wedding party [...] in the Autumn the two of them …».24

rappresenta la caratteristica principale della lingua inglese parlata in Irlanda. The Hare-Lip è una short story, come si è detto, scritta in irlandese e la traduzione di Ó Tuairisc interpreta il testo nella lingua di partenza illuminandolo di una luce particolare nella lingua di arrivo, in quella lingua cioè che viene chiamata Hiberno-English che, permettendo una corretta collocazione della short story dal punto di vista sociale, storico e culturale, trova il suo fascino proprio nella distanza che la separa dall'inglese britannico.

«Nora Liam Bhid spent the night as she had spent the previous one making tea for the wedding party:» 25

così si apre The Hare-Lip, con Nora, il personaggio principale sul quale poggia lo sviluppo della storia. Nora è la protagonista infelice, suo malgrado, di un matrimonio combinato, che la porterà, nello spazio di poche ore, ad effettuare una lucida analisi di quanto sta accadendo intorno a lei, sconvolgendole la vita. Ed è proprio in questa capacità del personaggio principale d'analizzare i fatti, seppur attraverso una proiezione nell'intreccio non ancora liberato dalla mediazione di un narratore esterno, che va colto l'elemento di modernità che caratterizza questa short story rispetto alle due appena viste e testimonia altresì l'evoluzione del genere attraverso nuove forme.
Nora analizzerà il suo passato ed il suo presente attraverso il confronto: il confronto fra la casa paterna ad Ardbeg, dove aveva vissuto prima di sposarsi, e quella del marito, nel Plain, dove si appresta a vivere la sua vita di moglie. Nei pensieri di Nora si avvia una sorta di interscambio fra passato e presente che tocca dapprima il ricordo delle amicizie - festose e gaie ad Ardbeg, fredde e prive di slanci nel Plain - e successivamente il ricordo dell'amore, quello provato e mai manifestato per Beairtlin, il suo compagno di adolescenza segnato dal labbro leporino, e quello impostole e mai provato per il marito.
Fin dall'inizio si può cogliere il forte disagio di Nora nella veste di moglie e nei confronti della nuova realtà sociale, culturale e geografica del Plain:

«The strangeness of being married, the change, the outlandish Plain ...».26

Attraverso tutto lo sviluppo della storia, il Plain verrà presentato come un posto nel quale il benessere e gli agi:

«...You've made a good swap, lashings and leavings ....»,

non riescono a contrastare la piattezza e la monotonia del paesaggio:

«As far as her eyes could see, nothing but immense flat fields [&133#;] dull rich expanse».

Si tratta di un posto estraneo alla formazione di Nora, la quale non riesce a riconoscersi nell'accento e nel modo di parlare locali:

«Eleven miles to Gaalwaay [...] unhomely accent of the Plain».27

Questa difficoltà linguistica accentua il suo isolamento all'interno di una realtà nella quale si sente tagliata fuori da ogni legame con le sue origini:

«Tossed on a wave's crest at the caprice of God, having cut her life's cable, not a single link left with her natural element [...] like a boat that has lost its bearings to the Crossways rise».28

Tale realtà illumina per contrasto quella di Ardbeg, forse più difficile nel complesso, ma di sicuro dal temperamento meno artificiale e più «irlandese», come ricordano finanche i termini dulse e poteen. 29
Col dipanarsi della storia, l'obiettivo attraverso il quale Nora analizza la realtà restringe il campo d'azione e si focalizza sul confronto fra le due case, quella del marito - Nora non userà mai il possessivo my per riferirvisi - e la casa paterna. Paradossalmente alle somiglianze degli esterni corrispondono forti diversità negli interni. E ancora alcune brevi sequenze narrative portano il lettore dentro la fredda intimità del focolare domestico dove si verifica il primo vero contatto fra marito e moglie:

«Wouldn't it be better not bother with a fire and take a lie-down on the bed?»30

parole che generano una sensazione di paura in Nora che non aveva fino a quel momento considerato quell'aspetto del matrimonio. Sola, in tale situazione, Nora vorrebbe veramente cambiare il corso degli eventi:

«She longed for a new twist in the tune - a change of person, change of day, change of time, that it might be night again ....»31

eppure anche l'ultimo legame col suo passato, l'orma di una scarpa di Beairtlin, il suo amico dal labbro leporino, viene ineluttabilmente cancellata da una inconsapevole gallina che raspa sul terreno molle.
La short story si chiude con un altro confronto, quello fra Beairtlin e Martin, il marito, fra il vero amore e l'amore coatto. La loro diversità è peraltro sempre evidente nel corso di tutta la storia, dalla loro posizione sociale, aiutante del padre di Nora l'uno, proprietario terriero l'altro, al loro accento; finanche il fumo delle loro pipe sottolinea tale diversità. Nell'ultimo paragrafo, storia ed intreccio, più volte non coincidenti fra loro, si riallineano nell'epifania finale che sancisce definitivamente la chiusura di un capitolo spensierato della vita di Nora.

 

VII. The Creature (Edna O'Brien) Torna al sommario dell'articolo

VI. Strandhill, the Sea (John McGahern)

John McGahern (1934), uno tra i più significativi autori irlandesi dell'ultimo ventennio, si colloca nell'ambito della narrativa realista, pur non disdegnando sperimentazioni di tipo favolista. Egli riflette quel cosmopolitismo presente fra gli scrittori irlandesi contemporanei, sebbene abbia scelto di ambientare tutta la sua produzione letteraria nella campagna irlandese. L'immediatezza delle immagini di vita locale, in campagna o in città, permette alla sua narrativa di essere letta come realista, divenendo vettore di simbologie dove le immagini concrete sono mezzo di interpretazione in un mondo indeterminato.32
Se, come è stato detto, la short story irlandese può avere le sue origini in una cultura orale, allo stesso modo essa comincia ad affrancarsi dall'oggettività del racconto, diventando vieppiù sensibile ad un'interpretazione soggettiva dei fatti. Cosicché se in Ó Faolain ed O'Connor si incontrano personaggi sopraffatti dalle convenzioni sociali, per gli scrittori irlandesi che iniziarono a scrivere negli anni '60, specialmente per coloro che scelsero di rappresentare con la loro opera la vita nella provincia irlandese, sfumare quel tono narrativo con intromissioni soggettive deve essere sembrato inevitabile. Con John McGahern ci troviamo di fronte ad una narrativa riflessiva, molto aperta dal punto di vista sintattico e ritmico agli avvenimenti, all'azione, al dettaglio ed al commento narrativo, tendente all'abbandono del particolare in favore di una tensione sociale più generale. Ciò determina la creazione di una platea attiva, in grado di contribuire alla narrazione - rendendola in tal modo più efficace - con le proprie conoscenze, prima che il narratore ritorni alla descrizione dettagliata.
Laddove O'Connor ed Ó Faolain avevano scritto le loro stories all'interno di un chiuso mondo di provincia, complessivamente autosufficiente per costituire il nucleo della short story, McGahern, sente i limiti di quell'orizzonte ed inizia a creare universi artificiali nei quali collocare le sue short stories: una scuola, una locanda, una barca possono essere il palcoscenico, il pretesto dal quale partire per l'analisi di universi più complessi, che vanno a coinvolgere sfere sociali più ampie ovvero recessi mentali remoti dei protagonisti.
Strandhill, the Sea33 e una short story che drammatizza il senso dello scorrere del tempo in una continuità temporale sempre presente.
Quasi come epifanie, le descrizioni dei luoghi e dei dialoghi fra i personaggi, sono flash su un'esistenza paralizzata. Esse sono la fredda visione di un presente fermo nel tempo, la cui rappresentazione è affidata al linguaggio che assume un valore maggiore di quello di ogni altro sistema etico o estetico. La scelta delle parole è quindi accuratissima, nella consapevolezza del peso di ognuna e delle pause
fra di esse: forse disturba l'eccessiva freddezza di alcune immagini, ma senza dubbio esse rappresentano una sostanziale verità sulla vita in Irlanda in particolare e sulla condizione dell'uomo in generale. Il tempo della storia, dunque, può essere compresso nello spazio di una giornata ed illuminare al contempo un periodo molto più vasto. Strandhill, the Sea rappresenta il sovvertimento dell'idea classica delle vacanze al mare, attraverso il filtro della sensibilità e dello sguardo di un bambino, espediente che permette a McGahern di illuminare il contrasto fra la luminosità del mondo dell'immaginazione e la piattezza della realtà.
La short story inizia con una descrizione assai particolareggiata del luogo della vacanza:

«The street in front of Parkes' Guest House; grains of sand from the Street coming on the grey fur of the tennis ball, the hopping under my hand idle as the conversations [...], overhead the weathered roughcast of the wall of the house.»34

Qui l'utilizzazione di aggettivi come idle e weathered introduce quel senso di passività e staticità che sarà ricorrente nel corso della storia.

The sky was filling. Rain would come, and walls close around the living evening; looking towards the bleared windows, no way to get out from the voices.35

Questa sorta di '«paralisi» è simbolicamente enfatizzata dall'inversione dei ruoli fra le mura di casa, che diventano protagoniste attive «bloccando» la serata, ed il ruolo passivo dei personaggi incapaci di reagire a quella condizione. L'implicazione fra ambiente e stile è molto forte ed il simbolismo di molte immagini - in questo caso la pioggia opprimente che cade incessante - diviene centrale nell'economia della short story e testimone di una visione cupa della vita.
Come altre stories di John McGahern, Strandhill, the Sea è ambientata in Irlanda occidentale, nello Contea di Sligo, così ben descritta grazie proprio all'esperienza di vita vissuta in quei luoghi dall'autore stesso, come rivelano i minuziosi riferimenti al sito, all'onomastica gaelica, alle abitudini di vita di certa ruralità irlandese.36 I protagonisti di questi flash su un'esistenza ferma nel tempo sono attempati signori che, come suggerisce il narratore, sembrano:

«… as if out of a yellowed wedding photo. Conversations always the same ...»:

si tratta di una realtà monotona ed immutabile che, come la pioggia permea i personaggi e li rende apatici ed incapaci di ogni reazione:

«The rain anyway is bad, but at the sea, at the sea, it's the end. The rain, the rain at the sea is deadly.»37

È a questo punto che il bisogno di fuggire da una realtà così piatta e monotona emerge ed imprime una svolta alla short story:

«The need to escape to some other world grew fiercer but there was no money. "Steal, steal, steal" was the one way out.»38

Giocando sull'ambiguità semantica del verbo to steal, letteralmente «rubare», ma anche «uscire senza farsi notare, alla chetichella» quando il verbo è collegato a preposizioni come out, in, away, la short story prende le distanze dalla dimensione realista e si avvicina a quella fantastica

«Rows of comics were on the counter, hours of insensibility to the life in Parkes', Wizard and Hotspur, and Rover and Champion, whole worlds.»39

creando in tal modo la premessa per una sua chiusura all'insegna del cambiamento:

«The turning of the pages without reading, pleasure of delaying pleasure to come.»

e soprattutto all'insegna del trionfo del colore, dell'immaginazione sulla monotonia:

«The room, the conversations, the cries of the seagulls, the sea, faded, and it was world of imagination.»40

 

VIII. Conclusioni; Torna al sommario dell'articolo

VII. The Creature (Edna O'Brien)

The Creature41 di Edna O'Brien (1930) è il ritratto di una donna perdente, maltrattata dalla vita, sola; un ritratto che, spesso comune a quello di altre eroine che popolano molti romanzi e short stories della scrittrice, è indice di una forte speranza nel cambiamento della realtà attraverso l'impegno quotidiano. Edna O'Brien, come molte delle sue eroine, è rimasta «prigioniera», degli aspri paesaggi rurali, dei tabù religiosi, delle convenzioni sociali di quella terra, l'Ovest dell'Irlanda, dove è nata, e che rappresenta una sorta di rifugio nella loro memoria, come in quella della scrittrice: una sorta di rimpianto per il passato.
Questo tema del viaggio, del ritorno all'Ovest, terra che ha dato fino a tempi molto recenti un forte tributo all'emigrazione irlandese, è visto come tentativo di recuperare valori legati a quelle terre ed alla cultura che esse esprimevano, anche se sfumati nei miraggi urbani di Dublino o di Londra, in una dimensione ancestrale, come cercherà di fare la narratrice di The Creature:

«I was doing a temporary teaching job in a little town in the west of Ireland [...].I had come from another part of the country; in fact, I had come to get over a love affair» […].42

Tuttavia, la pittura che la O'Brien fa di quella terra non è certamente idilliaca: senza ipocrisie o reticenze di sorta, ella non nasconde nulla della miseria che, pure, ha conosciuto. In tal modo, anzi, vuole fornire un'attenta testimonianza della progressiva decadenza di quel mondo, dall'abbandono delle torbiere alle ipoteche sulle fattorie, alla loro rovina. Soprattutto la O'Brien mostra la condizione della donna prima di tale decadenza, la sua dignità, la sua generosità ed il suo spirito di sacrificio, le sue amarezze e le sue disillusioni.
The Creature, in cui con tratti di grande realismo si dipingono gli scenari di quella dura vita, si segnala per la particolare attenzione profusa dalla scrittrice nella tecnica della narrazione introdotta all'interno di questo genere letterario. La narrazione in terza persona, con la quale inizia la storia, si incastra con l'illustrazione dei fatti da parte di un narratore che aggiunge dettagli ed informazioni: in questo modo la O'Brien offre alla short story uno degli insegnamenti più preziosi del romanzo moderno e contemporaneo, il «punto di vista circoscritto». Ciò permette alla sequenza narrativa di essere letta solo attraverso la mediazione di un personaggio che, identificandosi in questo caso col narratore, fornisce una visione «personale» delle vicende che riguardano la protagonista, The Creature. In realtà ci troviamo di fronte a qualcosa di più di una semplice soluzione tecnica, giacché tale tipo di rappresentazione nasce dalla precisa esigenza di filtrare la visione della realtà attraverso la coscienza individuale, in questo caso quella del narratore, come portavoce dell'animo femminile.
In The Creature la storia e l'intreccio seguono uno sviluppo insolito. L'evoluzione delle sequenze narrative non segue quella logica della storia, poiché la O'Brien sceglie di rappresentare i fatti attraverso la lucida analisi che di essi effettua la coscienza del narratore. Dopo l'avvio in medias res, l'intreccio segue dapprima un percorso a ritroso nel tempo:

«She lived alone and had done so for seventeen years. She was a widow and had two children [...]. Her husband had been killed two years after their marriage, shot in the back of a lorry, in a incident that was later described by the British Forces as regrettable» [...].43

poi, un'improvvisa accelerazione recupera, nel paragrafo conclusivo, la situazione temporale al momento in cui la storia aveva preso le mosse.
The Creature va letta senz'altro come una storia di privazioni: la protagonista perde infatti l'amato marito, morto in un combattimento a fuoco contro gli inglesi; perde i mezzi di sostentamento economico; perde la madre; perde la casa nella quale per anni aveva abitato; perde l'affetto del figlio. Quello della Creature è un mondo di solitudine, materiale ma anche verbale, di isolamento ed incapacità a comunicare: quest'ultimo poi è un altro tema spesso affrontato dalla O'Brien.
Molti dei suoi personaggi scoprono, tristemente, che le parole sono spesso inadeguate ad esprimere la vera natura dei sentimenti ed anzi contribuiscono ad innalzare barriere insormontabili.

«When she asked 'Will I see you? he had said "perhaps" and she told me that if there was one word in the English vocabulary that scalded her, it was the word "perhaps"».44

Oltre alle difficoltà ed alle asprezze narrative intrinseche allo sviluppo della storia narrata, due splendide figure femminili si stagliano nette dietro l'amarezza e la disillusione finali, «la creatura» e la narratrice, simboliche portavoci della sensibilità femminile, ritratto di donne che eroicamente combattono contro una realtà gretta e maschilista, troppo spesso a loro sfavorevole, alla quale, comunque, decidono di non piegarsi, guardando avanti con l'orgoglio nel loro genere e senza pregiudizio per gli altri.

«All at once I remembered a little hawthorn tree, the bare ploghed field, this heart as black and unawakened as the man I had come away to forget, [...] and I wished that I had never punished myself by applying to be a sub in that stagnant, godforsaken little place». 45

 

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VIII. Conclusioni

La short story, dunque, da Frank O'Connor a Edna O'Brien, per rimanere all'interno della piccola selezione qui rappresentata - moltissimi altri autori, ormai «classici» del genere, potrebbero arricchire il quadro fino ai giorni nostri, da Liam O'Flaherty a Elizabeth Bowen a Flann O'Brien/Myles na gCopaleen, soprattutto nella prima metà del Novecento, alla ricca e molteplice produzione di scrittori come David Park, Anne Enright, Mary Dorcey, Colum McCann, Bridget O'Connor, Leland Bardwell, che, insieme a molti altri ancora, rappresentano il prossimo futuro46 - acquista vigore in Irlanda come memoria e come tendenza, nella necessità di rappresentare la realtà sociale facendo leva sui piccoli trionfi e sulle tristezze dell'uomo di tutti i giorni.
In questo senso, la short story è veramente riuscita a conciliare le peculiarità tipiche della forma orale con le esigenze tecniche ed estetiche della forma scritta e gli scrittori irlandesi, ciascuno con un proprio contributo stilistico, tematico e linguistico ne hanno «influenzato» la sua stessa natura, esprimendo attraverso essa la loro visione della società e dell'individuo, ed assicurando alla short story una specificità all'interno del molteplice universo della narrativa breve.

 

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IX. Bibliografia

FONTI

  • J. McGahern, Strandhill, the Sea, in Nightlines, London, Faber & Faber, 1970
  • E. O'Brien, The Creature, in A Scandalous Woman and Other Stories, Harmondsworth, Penguin, 1976
  • M. Ó Cadhain, The Hare-Lip, in W. Trevor (ed.), The Oxford Book of Irish Short Stories, Oxford, Oxford UP, 1989, rist. 1991
  • F. O'Connor, The Genius, in The Genius and Other Stories, Harmondsworth, Penguin, 1995
  • S. Ó Faolain, The Trout, in F. O'Connor (ed.) Classic Irish Short Stories, Oxford, Oxford UP, 1957, rist. 1985

CRITICA

  • J. Jenet (a cura di), La Nouvelle Irlandaise de Langue Anglaise, Villeneuve d'Ascq, Presse Universitaires du Septentrion, 1996
  • V. F. Goyet, La nouvelle (1870-1925). Description d'un genre è son apogée, Paris, PUF, 1993
  • C. E. May (a cura di), Short Stories Theories, Athens, Ohio UP, 1976
  • V. Mercier, «The Irish Short Story and the Oral Tradition», in The Celtic Cross: Studies in Irish Culture and Literature, Lafayette, Indiana, Purdue University Studies, 1964
  • F. O'Connor, The Lonely Voice, London, MacMillan, 1965
  • P. Proietti (a cura di), Irlandesi, Palermo, Sellerio, 2000
  • P. Rafroidi, M. Harmon (a cura di), The Irish Novel in Our Time, Lille, Presses Universitaires de Lille, 1976
  • P. Rafroidi, T. Brow, The Irish Short Story, Lille, Presses Universitaires de Lille, 1979

 

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