Darko Suvin
Europa? Repubblica delle lettere?
Tre tesi

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV
V.
Prima tesi
Seconda tesi
Terza tesi
Poetica dell'Europa
Confini



§ II. Seconda tesi

I. Prima tesi

Tutti gli addetti ai lavori nel campo della letteratura sanno che per comprendere un qualsiasi testo è fondamentale il contesto. Nella filologia tradizionale il contesto è costituito dagli altri scritti del medesimo autore e/o del medesimo periodo. In ogni caso la prima tesi che qui sosterrò è che in filologia sia avvenuta una rivoluzione copernicana che ha portato a due nuovi tipi di contestualizzazione, che chiamerò sommariamente materiale e metodologica.
Sul piano materiale il contesto è stato via via esteso all'intero discours social e, in realtà, agli orizzonti culturali e ai presupposti o all'enciclopedia dell'epoca a cui il testo appartiene o della sua tradizione di genere, e così via. Ma dal punto di vista metodologico ci stiamo rendendo conto che l'idea di una dicotomia interno vs esterno è da mettere in dubbio nel suo complesso: come negli ultimi quarant'anni l'epistemologia della scienza va ripetendo, «i fatti sono intrinsecamente carichi di teoria». I presupposti metodologici del ricercatore non solo scelgono il testo in discussione e gli danno forma, ma contribuiscono a determinare i suoi punti focali. Per citare Wittgenstein, non c'è vedere che non sia «vedere come».
Come si ricorderà Browning ha suggerito che la nostra meta dovrebbe superare ciò che è alla nostra portata, «o a che cosa serve il paradiso?». Maggiori sono le nostre ambizioni, più ampio sarà il contesto materiale che sceglieremo. Se vogliamo confrontarci con i distici rimati di fine scena in Shakespeare, normalmente basterà aver presente come più ampio contesto la semantica, il teatro e la prosodia elisabettiana. Ma se vogliamo affrontare niente di meno che «l'Europa, la repubblica delle lettere», il contesto sarà praticamente infinito. Ciò sottointende, quindi, l'importanza basilare dell'aspetto metodologico o teorico di questa nuova doppia contestualizzazione. Quali valori, quali tradizioni e, domanda forse d'importanza maggiore, che orizzonti presenti e futuri vogliamo - per dirla con Eco - narcotizzare, e quali vogliamo invece porre in primo piano per il nostro lavoro sul testo?

 

§ III. Terza tesi Torna all'inizio della pagina

II. Seconda tesi

La mia seconda tesi è che anche per uno sforzo mediamente ambizioso, di là dal nostro tema odierno, tanto il contesto materiale, quanto quello metodologico si profilino oggi molto più ampi. La capitalizzazione del tempo libero attraverso la TV, il turismo, ecc. significa che la vecchia dicotomia otium / negotium sta velocemente scomparendo dai nostri orizzonti. La tecnoscienza permette al profitto di divenire sempre più invasivo - provate a tenere lontano dai bambini TV e musica commerciale! Inoltre siamo forse al culmine, o almeno alla prima manifestazione di vasta portata di un mutamento politico-economico epocale, dal welfare al warfare come protesi di ampi interessi corporativi. Ciò comporta ricadute macroscopiche e microscopiche, che si intrecciano tra loro. Oggi il nostro contesto non è più la miltoniana «quiet air of delightful studies»: l'aria è piena di stridii di motociclette e di urlatori, è inquinata dalle auto e dalle industrie senza regole, e gli studi sono o cooptati (come le biotecnologie e la chimica) o marginalizzati (come gli studi umanistici e molte altre discipline). Per quanto riguarda i macro-contesti, ne menzionerò soltanto due, la guerra e la fame. Secondo le statistiche ottimistiche delle Nazioni Unite, la fame colpisce o sta raggiungendo complessivamente un miliardo e trecento milioni di persone, mentre ne minaccia da vicino altri due miliardi. Tra le circa 100 o 200 guerre dopo la seconda guerra mondiale che vantano una quantità di vittime pari a quelle di quest'ultima, citerò solo le statistiche per difetto della guerra del Vietnam e della guerra del Golfo: nel primo caso ci sono state 60.000 vittime americane a fronte di più di 3.000.000 di morti vietnamiti; nel secondo, poche dozzine di vittime tra gli alleati degli USA contro una cifra tra i 1.200.000 e i 1.500.000 iracheni morti in seguito ai bombardamenti e al successivo embargo.
Insieme ad altre forme di oppressione meno palpabili, statisticamente non registrate, esse contribuiscono ad avvicinare e incrementare la marea di ciò che Dostoevskij chiamava gli umiliati e gli offesi (unižennye i oskorblennye). L'avvelenamento da uranio dell'Adriatico e l'esodo da Asia, Africa ed Europa dell'Est di poveri, che vengono sbattuti in acqua al largo delle coste italiane così che una parte di essi possa raggiungere la sicurezza di un super-sfruttamento in Occidente, stanno invadendo e invaderanno sempre più e sempre più inesorabilmente le nostre vite. Nessuna Festung Europa può funzionare.

 

§ IV. Poetica dell'Europa Torna all'inizio della pagina

III. Terza tesi

In che modo dunque possiamo per lo meno cominciare a leggere il testo di Europa, la repubblica delle lettere? Naturalmente nessuno singolarmente e neppure un gruppo può deciderlo, ma solo la polifonia di tutte le nostre voci. Per contribuire ad essa, offro le seguenti considerazioni.
Prima di tutto che cosa è l'Europa, o che cosa potrebbe essere? Senza dubbio esistono davvero tante Europe, che ci fanno cenno con sinistra insistenza dagli annali di storia tanto quanto dal mondo virtuale. Posso almeno tentare di sostenere con Spinoza che omnis determinatio est negatio, tanto che sarebbe di somma utilità domandarsi: che cosa l'Europa per un verso esclude, pur continuando tuttavia ad avere con ciò che esclude profondi rapporti? Fornirò brevemente due esempi, semplificati per averne una visione di massima: Asia e America. A mia discolpa posso dire che ho cercato di renderne conto analiticamente occupandomi della Science Fiction americana e del No, il teatro medievale giapponese.
A / ASIA. Storicamente l'Europa si presenta all'incirca come una penisola (isomorfica alla Grecia) la cui popolazione si differenzia dalla massa asiatica, vastissima, materna, ma anche minacciosa per l'identità. Non mi occuperò dell'inflazionata Principessa Fenicia, se non per notare che un Dio fallico greco la rapì dall'Asia per condurla a Creta al fine di fondare la civiltà minoica e tutti i labirinti fino a Borges. Questo materiale fu rimaneggiato nei miti e poi nella tragedia attica dopo le guerre persiane come opposizione di polis e impero, o partecipazione civile vs soggettività. È molto discutibile che tale opposizione possa essere applicata in chiave metastorica, come ha provato a fare la NATO nell'affrontare il patto di Varsavia: non molto tempo dopo le guerre persiane, l'Ellade si rovinò da sola per conflitti interni, la libera cittadinanza (che comunque escludeva le donne e gli stranieri) soccombette alla diffusione dello schiavismo, e il bel Mediterraneo blu vide lo sfociare della talassocrazia minoica prima nell'Impero alessandrino, poi nell'Impero romano, il cui grado di centralizzazione e di mancanza di libertà non avevano nulla da invidiare a Persia e Cina. I Romani in realtà erano i degni precursori dell'Impero mongolo: come notava Tacito a proposito delle conquiste germaniche, essi portavano desolazione e la chiamavano pace.
Nondimeno possiamo evitare di biasimarci troppo notando per equità che gli autori del teatro ateniese, come macchina propagandistica, erano assai più efficaci della propaganda a cui siamo stati messi di fronte a partire dalle guerre nazionali, fino alle guerre mondiali degli ultimi cinquecento anni - o se preferite, del sistema sociale capitalistico - inclusi i titoli fuorvianti dei quotidiani. Ne I Persiani, Eschilo, veterano della battaglia di Maratona, riuscì a estendere al nemico la propria compassione. La tradizione che va dai commediografi ellenici attraverso storici come Tacito fino a Las Casas, fiorente nel saggio di Montaigne Des cannibales, nel Micromégas di Voltaire, e nel Supplément au voyage de Bougainville di Diderot, e pervenuta fino ai giorni nostri - la tradizione che ha usato lo straniero come specchio a volte utopico a volte satirico e straniante delle nostre profonde debolezze e dei nostri crimini - è davvero preziosa e unica. A questo proposito non ho consultato statistiche, ma è possibile che in Europa tale tradizione, anche se chiaramente minoritaria e permessa solo in determinati momenti, sia ancora più forte e più frequente che, per esempio, nei sistemi asiatici.
B / AMERICA. Benché in Europa abbiamo da imparare tanto dalle tradizioni americane native e ispanofone - per non parlare della tradizione francofona e bilingue del Canada - quanto dagli Stati Uniti, qui seguirò, e pour cause, la vox populi secondo la quale America significa Stati Uniti. Per continuare nelle grandi semplificazioni, incoraggiate dalla brevità dell'intervento, posso dire che nella mia esperienza di un terzo di secolo nel Nord America ho incontrato due atteggiamenti opposti nei confronti degli Stati Uniti da parte degli Europei.
Potrei chiamare il primo atteggiamento "Sindrome di Adorno": essa consiste nel sottolineare la mancanza di sfumature e di una tradizione raffinata in tipici prodotti statunitensi come il jazz. In tutto ciò può esserci qualche cosa di vero, vista la propensione delle arti popolari come la musica e il cinema alla commercializzazione facile o volgare, al sentimentalismo e al sensazionalismo. Ma sostenere che Louis Armstrong sia non semplicemente diverso sul piano creativo, ma addirittura meno creativo di Arnold Schönberg, mi sembra privo di senso e sbagliato, ed esprimerei lo stesso giudizio, per dire, riguardo a Ursula K. Le Guin o a Kim Stanley Robinson confrontati con Thomas Mann.
Potrei chiamare il secondo atteggiamento "Scimmie dell'America". Coloro che lo assumono credono che più ricco significhi più bello, come suggerisce il proverbio statunitense. Poiché oggi essi sono politicamente ed economicamente in sella, sono anche più pericolosi. Storicamente, tuttavia, l'America è sorta come colonia dell'Europa, ma poi assennatamente si ribellò e intraprese uno sviluppo che potrebbe onestamente chiamarsi un'esaltazione di ciò che di peggio e di meglio c'è in Europa. Così gli "scimmiottamenti" rappresentano sempre un solo aspetto, e non necessariamente quello più importante sul piano culturale negli Stati Uniti. È chiaro che ciò che Vittorini e la sua generazione presero dalla generazione di Hemingway - tra le altre cose, la schiettezza popolare e l'umorismo -, fu una boccata d'aria fresca, come lo fu un quarto di secolo dopo nella maggior parte d'Europa la prosa "blue jeans" innescata da Salinger.
In questo senso forse i miei due esempi di ciò che l'Europa non è possono aiutarci a capire che cosa in parte l'Europa potrebbe essere. A me sembra che potrebbe aspirare al nobile titolo di Repubblica delle lettere solo se continuasse sia la linea pregressa della simpatia immaginativa nei confronti dello straniero, anche quando esso sembri il nemico, sia la linea attuale di assorbire tutto ciò che appaia meno cannibalesco rispetto ai nostri stessi costumi. Nella letteratura e nella cultura comparata possiamo trovare un valido exemplum di ciascuna delle due posizioni in Bertolt Brecht.
Se nondimeno ciò vi può sembrare schematico, potete forse prenderlo almeno come un rapido sunto delle esperienze di un europeo che di fronte a due importanti tradizioni non europee non vuole perdere alcuni presupposti centrali della propria - della nostra - tradizione.

 

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IV. Poetica dell'Europa

Vorrei ora fare una nota in margine alle nostre discussioni, utili e necessarie ma pur sempre, per obblighi professionali di teorici e storici delle letterature, più o meno interamente astratte. C'è per tutti noi, lo confesso, un fascino che emana dal discorso astratto e dalle reti che esso tesse. Ma forse non dovremmo dimenticare che questo nostro meta-linguaggio non è solo funzionale alla letteratura, ma è anche, a mio avviso, basato su fondamenta topologiche, tropiche, o se volete metaforiche. Sospetto che in ogni valido discorso e testo critico e, più ampiamente, in tutte le asserzioni di quello che i Francesi chiamano discours doxique esista una manifesta o latente struttura portante topica. Se questo è vero, il nostro discorso cognitivo può avvalersi parimenti delle migliori conoscenze e intuizioni poetiche (nel senso lato, in verso o prosa) al di fuori del nostro discorso professionale, e vorrei qui citare tre frasi "poetiche".
La prima è di Walter Benjamin, per me forse il più importante critico del Novecento, e che ho dunque con piacere sentito evocare qui da Vita Fortunati, che afferma: «Ogni monumento di civiltà è nello stesso tempo un monumento di barbarie».
La seconda è della poetessa russa Marina Cvetaeva, e dice: «Vsë poèti židy - Tutti i poeti sono ebrei». Devo precisare che è stata scritta a Praga negli anni Trenta, quando "ebreo" era sinonimo di marginalità e vittimizzazione.
La terza è dello scrittore tedesco Oskar Maria Graf che si trovò in esilio (infatti, tutti i tre miei testi, mi accorgo adesso, sono stati scritti dagli emarginati ed esiliati dei quali parlava Antonio Prete). Nel 1934 Graf lesse con orrore che fra gli scrittori le cui opere furono solennemente messe al rogo dai Nazisti non figurava il suo nome. Scrisse dunque sulla stampa estera un disperato appello: «Bruciate anche me!»
Il comun denominatore di tutte queste cognizioni poetiche sarebbe di ricordarci ciò che Remo Ceserani indicava come contraddizioni all'interno del nostro discorso: per esempio - fra monumenti di cultura e il loro prezzo per le classi inferiori, fra potere conoscitivo e impotenza politica della poesia, fra oppressione e solidarità. Temo che le nostre reti astratte avranno poca validità se non mettono a fuoco in modo prominente, in giusta misura, tali contraddizioni in Europa, nella repubblica delle lettere, e nel mondo che ci plasma.

 

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V. Confini

A proposito di "Europa", vorrei aggiungere alla mia relazione e al nostro dibattito che farei mia la frase di Fichte: «Posso sopportare il presente solo a causa del futuro che rende possibile». Cioè: la presente Europa della burocrazia di Bruxelles e dei governi vacillanti (per non dire peggio), che ci vuol dire quali formaggi sono leciti e quali proibiti, m'interessa relativamente poco. Siano benvenuti i suoi lati positivi, come gli scambi interuniversitari e i finanziamenti per la ricerca. Ma come ci diceva benissimo Remo Ceserani: dove sono i confini d'Europa, oggi? Devo dire che un'Europa che volesse chiudersi nei confronti del cosiddetto Est e del Mediterraneo (comprese tutte le sue sponde) avrà a mio avviso poca validità e di nuovo m'interessa poco. L'unica Europa che posso immaginarmi come erede di Eschilo, Montaigne, Shelley e Brecht, l'Europa di quel politeismo positivo del quale parlava Massimo Fusillo, è quella che va dalla Russia al Marocco e li comprende.

 

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Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2003

Giugno 2003, n. 1