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Note:


1  Con un'operazione di sintesi, sostiene ad esempio Federico Bertoni: «In realtà le ipotesi di periodizzazione [del modernismo] oscillano notevolmente, sia verso l'alto (la fine dell'Ottocento, D'Annunzio, addirittura Verga) che verso il basso (Gadda, la seconda metà del Novecento), con un baricentro storico che si può ragionevolmente circoscrivere tra il 1904 del Fu Mattia Pascal e il 1929 degli Indifferenti» (F. Bertoni, Il romanzo, in Il modernismo italiano, a cura di M. Tortora, Roma, Carocci, 2018, p. 19).

2  Per questi aspetti rimando a M. Tortora, Gli indifferenti e la nuova stagione del realismo, in «Allegoria», nn. 71-72, gennaio-dicembre 2015, pp. 10-23.

3  Nel '29 oltre a Gli indifferenti di Moravia, esce anche L'amata alla finestra di Alvaro (Torino, Buratti Editori, 1929), il quale - di fatto nuovamente esordiente dopo L'uomo nel labirinto del '26 e la seguente esclusione per motivi politici - l'anno dopo stampa anche La signora dell'isola (Lanciano, Carabba 1930), Misteri e avventure (Firenze-Perugia-Venezia, Novissima, 1930), Gente in Aspromonte (Milano, Treves, 1930). Mentre dal '31 in poi si seguono uno dopo l'altro gli esordi delle giovani voci narrative italiane del Novecento: Piccola borghesia (1931) di Vittorini, L'amico del vincitore (1932) di Brancati (cui segue nel '34 il magistrale Singolare avventura di viaggio), Fontamara (1933) di Silone, Periferia (1933) di Masino (ma già nel '31 era uscito Monte Ignoso). E sempre negli anni Trenta vedono la luce i primi racconti di Elsa Morante e di Cesare Pavese. Ci troviamo davvero in un ambiente letterario completamente nuovo.

4  Come è noto Alvaro firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti nel 1925, e questa decisione gli valse di fatto l'esclusione da tutti i circuiti editoriali e letterari in genere. Solo con una faticosa opera di mediazione, tra remissione e coraggio, e grazie anche all'intercessione di Margherita Sarfatti, Alvaro proprio tra il '29 e il '30, con la pubblicazione in un biennio di quattro volumi, riesce a rientrare nel circolo. Anzi proprio in qualità di "recuperato" diventa un autore particolarmente amato dal regime. Per una panoramica generale di questi aspetti cfr. R. Ben-Ghiat, La cultura fascista, traduzione di M. L. Bassi, Bologna, Il Mulino, 2000. Più specificamente su Alvaro cfr. B. Porcelli, Corrado Alvaro: Misteri e avventure e il disimpegno degli anni 1925-1930, in «Italianistica. Rivista di letteratura italiana», n. 2, maggio-agosto 2008, pp. 37-48, e D. Scarpa, La madre dei racconti. Corrado Alvaro sotto il fascismo, in «Studi medievali e moderni», n. 20, 2006, pp. 133-154.

5  Più specificamente il romanzo inizia ad aumentare le sue vendite nel 1927. Conosce poi, al pari di tutti gli altri prodotti librari, una battuta d'arresto nel periodo bellico (1941-1945). Tra il '45 e il '51 incrementa sì il suo venduto, ma con una percentuale inferiore alla saggistica (sono gli anni in cui si pubblicano le prime traduzioni di libri interdetti sotto il regime: in particolare la saggistica marxista), ma dopo il '51 si impone come genere in assoluto più venduto. E lo dimostrano i tre casi editoriali a cavallo tra Cinquanta e Sessanta: Il gattopardo (1958), La ragazza di Bube (1960) e Il giardino dei Finzi-Contini (1962). Per questi aspetti cfr. tra gli altri A. Cadioli, L'industria del romanzo: l'editoria letteraria in Italia dal 1945 agli anni ottanta, Roma, Editori Riuniti, 1981.

6  Il rimando è chiaramente a V. Spinazzola, Il libro per tutti. Saggio sui Promessi sposi, Roma, Editori Riuniti, 1992. Ma il rinvio a Spinazzola non vuole essere solo un rinvio bibliografico, ma porta in sé un'implicita proposta di lavoro: quella di leggere la stagione realistica (1929-1963), e dunque la conseguente cultura romanzesca, affidandosi anche (e non solo) agli strumenti che concernono orizzonte di attesa, mercato editoriale, circolazione del libro e ovviamente principi estetici.

7  Cfr. R. Ambrosini, Il mondo nuovo del romanzo (1900-1925), in «Strumenti critici», n. 2, 2012, pp. 171-206.

8  S. Guerriero, Le riviste e l'editoria, in Il modernismo italiano, cit., pp. 209-210.

9  Sulle persistenze moderniste, e sulla condizione modernista come tratto costitutivo del XX secolo rimando a M. Tortora, La condizione modernista: appunti per uscire dalle aporie di un dibattito, in «La modernità letteraria», n. 13, 2020, pp. 67-84.

10  Per avere il polso di come Gli indifferenti sia stato pensato come una denuncia sociale - al di là delle affermazioni postume dell'autore - può essere utile ripercorrere le stroncature sdegnate, aggressive e offese (nonché offensive) sul romanzo. Feroci, ad esempio sono le parole di Agnoletti: «L'ultima immondizia di cui mi accorgo sul mio pianerottolo è Gli indifferenti di Pincherle Moravia, ignobile romanzaccio, tutto giudeo, la cui indecenza interiore trasuda fino sulla copertina postribolare, anch'essa disegnata da un giudeo. Se si pensa che queste pagine di finta prosa strofinata nella cocaina sono andate a ruba, che critici dal celebro stupefatto hanno osato lodarle, che le spedizioni punitive non si vogliono più "colà dove si puote", altro non rimane da fare, in odio ai libri schifosi, che occuparsi dei libri generosi e segnalarli ai fascisti» (G.B. Agnoletti, Zaino in spalla, in «Il Bargello», n.17, 1929). Ancora più severo, e fascisticamente moralistico, è Campanile: «Nelle prime pagine specialmente, battute di dialogo sciatte, puerili, di una sorprendente cafoneria. E in seguito si cerchi invano la pagina che ti elevi, che dia vibrazioni, che ti riporti alla luce e tu inabissi, anche questo ci si può aspettare. [...] Ci sono delle affermazioni indegne, da ricacciare in gola a chi le pronuncia: "sciagurata figura del nostro tempo corrotto". / Di quale tempo parla il Moravia? Del suo tempo; forse dei suoi giorni, e delle sue ore; non del nostro tempo, ché il nostro è così chiaro, luminoso, puro, che dal contrasto risulta palese la sua indegnità … Quanta bellezza da sette anni! Campi in rigoglio, officine sonanti, opere grandiose, canti e canti; dolcissimi canti di amore, vibranti canzoni di guerra, inni di vita. / [...] Roma splende di una luce meridiana. Il Genio, oggi, la guida. Povero giovinotto, fa pietà. Compatirlo bisogna, il povero Moravia, egli è sordo e cieco, seppellito com'è nel truogolo» (A. Campanile, Stroncatura di Moravia, in «Antieuropa», 15 novembre 1929); gli stralci delle recensioni di Agnoletti e di Campanile sono tratti da M.M. Galateria, Come leggere Gli indifferenti di Alberto Moravia, Milano, Mursia, 1975, pp. 92-93. Per l'implicito antifascismo di Moravia - degli altri scrittori neorealisti degli anni Trenta - cfr. G.C. Ferretti, Introduzione al neorealismo, a cura di G.C. Ferretti, Roma, Editori Riuniti, 1974.

11  A. Moravia, Gli indifferenti, con Nota critica di A. Grandelis, Milano, Bompiani, 20167.

12  Ivi, p. 15.

13  Ivi, p. 47; e inoltre, proseguendo nella citazione, si scopre che in verità «la lacca dei mobili era scrostata e ingiallita» (ibid.). È sin troppo evidente, anche da questo esiguo campione, quasi casuale, di citazione, che l'aggettivazione di Moravia risponde a esigenze volte a creare un diffuso cromatismo all'interno del romanzo. I colori, con un procedimento evidente ed esibito, hanno una chiara valenza simbolica, e molto spesso riproducono la percezione dei personaggi. Ma sul punto di vista dei personaggi, che contrasta l'onniscienza del narratore, si parlerà più avanti.

14  Particolarmente lucide sono le argomentazioni, che fanno leva sulla primissima produzione saggistica dell'autore, proposte da Grandelis, Nota critica, pp. 293-298); ma già nel 2015 aveva sostenuto che «in rapporto alle più recenti questioni sollevate attorno al modernismo, pare tutt'altro che inopportuno accostare tale categoria critica a Moravia» (A. Grandelis, Tra periferia ed Europa: Moravia a Perugia, in Alberto Moravia tra Italia ed Europa, a cura di S. Casini e N. Melehi, Firenze, Cesati, 2015, p. 133). Una posizione intermedia è quella invece di Raffaele Donnarumma, che parla di «secondo modernismo» per la narrativa degli anni Trenta: «In effetti, la narrativa degli anni Trenta sta in un clima nuovo; anche se, agli esordi, essa risente ancora degli anni precedenti, come dimostrano Gli indifferenti, già ricordati, o soprattutto Tre operai, del 1934» (R. Donnarumma, Tracciato del modernismo italiano, in Il modernismo in Italia, a cura di R. Luperini e M. Tortora, Napoli, Liguori, 2012, p. 34). Includono implicitamente Moravia nel modernismo Pierluigi Pellini, che vede il modernismo come un grande arcata che muove dalla metà dell'Ottocento ai primi anni Sessanta del Novecento (Naturalismo e modernismo: Zola, Verga e la poetica dell'insignificante, Roma, Artemide, 2016) e Tiziano Toracca, che propone la tesi del neomodernismo (Neomodernismo, in Il modernismo italiano, cit., pp. 211-230).

15  È noto l'attacco del giovanissimo Moravia alla «gran fiera psicologica», messa in atto non tanto dai grandi romanzieri modernisti, ritenuti «stelle di prima grandezza», ma dagli epigoni («ma quanti satelliti intorno a questi astri! Quante meteore!») che hanno finito per inquinare ogni forma di romanzo. Per questo motivo, sostiene Moravia, nel 1927: «la fiera si chiude; si chiuderà; si odono già i primi colpi di martello che demoliscono gli effimeri baracconi; è la fine» (A. Pincherle, C'è una crisi del romanzo, in «La Fiera Letteraria», n. 41, 9 ottobre 1927, ora in P. Voza, Nel ventisette sconosciuto: Moravia intorno al romanzo, in «Belfagor», a. 37, n. 2, 1982, p. 210). Ma altrettanto interessante, a dimostrazione di una contiguità col modernismo, è l'intervento, sempre a firma Alberto Pincherle, J. Joyce, in «Il Quarto Stato», a. I, n. 29, 23 ottobre, 1926, p. 2. Moravia torna sull'argomento alcuni anni più tardi, con un Omaggio a Joyce, in «Prospettive», n. IV, 11-12 dicembre 1940, p. 12. Per questi aspetti, cfr. C. Marengo Vaglio, Moravia lettore di Joyce, in Alberto Moravia. L'attenzione inesauribile, a cura di C. Bertoni e C. Lombardi, Milano-Udine, Mimesis, 2018 (ma già apparso in Pitture di Parole. Per Barbara Zandrino, Avellino, Sinestesie, 2012, pp. 411-421).

16  Come ho già avuto modo di sottolineare, la descrizione degli oggetti e degli ambienti non sempre è totale e ad ampio raggio. Molto spesso si cita, rappresentandolo con precisione (rimando a quanto già detto per l'aggettivazione) un solo elemento, che diventa significativo di tutto l'ambiente. Si prenda ad esempio il salotto di Carla, che il lettore "vede" già dalla prima pagina. Il narratore tra i vari «gingilli e gli altri oggetti» si sofferma unicamente sulla «testa mobile di una porcellana cinese: un asino molto carico sul quale tra due cesti sedeva una specie di Budda campagnolo, un contadino grasso dal ventre avvolto in un kimono a fiorami» (Moravia, Gli indifferenti, cit., p. 7). Naturalmente ci saranno altri «gingilli», che però sono simili, e dunque possono non essere rappresentati. La singola parte, dunque, può stare per il tutto.

17  Alla fine del IV capitolo, ad esempio, quando ormai il lettore ha già capito la china del romanzo, Carla pensa: «"Non è strano?" si diceva; "domani mi darò a Leo e così dovrebbe incominciare una nuova vita... e appunto domani è il giorno in cui sono nata"; si ricordò di sua madre; "ed è col tuo uomo" pensò "col tuo uomo, mamma, che andrò". Anche questa ignobile coincidenza, questa sua rivalità con la madre le piaceva; tutto doveva essere impuro, sudicio, basso, non doveva esserci né amore né simpatia, ma solamente un senso cupo di rovina» (ivi, p. 42).

18  Ivi, p. 7.

19  Sulla «tragedia impossibile» de Gli indifferenti, cfr. M. D'Urso, Il romanzo come tragedia. Il tragico nel romanzo italiano moderno, Roma, Bulzoni, 2008, pp. 267-301. Ma già Edoardo Sanguineti aveva già parlato di «impossibilità del tragico che si esprime principalmente nella indifferenza di Michele» (E. Sanguineti, Alberto Moravia, Milano, Mursia, 19774 [19621], p. 33).

20  Sono note le parole di Moravia: «Ero partito senza idee contenutistiche ma non senza alcuni schemi letterari. Durante molti anni avevo letto moltissimi romanzi e opere teatrali. Mi ero convinto che l'apice dell'arte fosse la tragedia. D'altra parte mi sentivo più attirato dalla composizione romanzesca che da quella teatrale. Così mi ero messo in mente di scrivere un romanzo che avesse al tempo stesso le qualità di un'opera narrativa e quelle di un dramma. Un romanzo con pochi personaggi, con pochissimi luoghi, con un'azione svolta in poco tempo. Un romanzo in cui non ci fossero che il dialogo e gli sfondi e nel quale tutti i commenti, le analisi e gli interventi dell'autore fossero accuratamente aboliti in una perfetta oggettività» (A. Moravia, Ricordo de Gli indifferenti, in «La Nuova Europa», a. II, novembre 1945; poi in Id., L'uomo come fine, Milano, Bompiani, 1963; ora anche in Id,. Gli indifferenti, cit., pp. 312-318; la citazione è a p. 314). Per quanto concerne l'impostazione teatrale, recentemente è stata avanzata l'ipotesi di un debito del romanzo nei confronti dei Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello: cfr. A: Marasca, Una 'tragedia in forma di romanzo'? Teatralità e intertestualità pirandelliana ne Gli indifferenti di Alberto Moravia, in «Il capitale umano», n. 11, 2015, pp. 519-538; e R. Bigazzi, Gli indifferenti: riscritture, in Alberto Moravia. L'attenzione inesauribile, cit., pp. 49-57.

21  Moravia, Gli indifferenti, cit., p. 243.

22  Si veda la lunga descrizione del proprio sogno da parte di Maria Grazia: «Ho fatto un sogno terribile…. Mi pareva che un signore molto grasso sedesse in un angolo… Passeggio in su e in giù, pensando a diverse cose, e finalmente mi avvicino e gli domando che ora sia... lui non risponde... Penso che sia sordo, sto per allontanarmi, quando vedo che ha gli occhi infossati nella carne che quasi non ci vede... le palpebre sono gonfie, la fronte tocca gli zigomi, s'intravede appena qualche cosa di chiaro che spia e si muove tra due pieghe di grasso... insomma un orrore. Impietosita, gli domando che cosa abbia e lui mi risponde che a forza d'ingrassare finirà per non vederci più... 'Dovrebbe mangiar meno' gli dico io, o qualche cosa di simile, e lui come prima non risponde... Allora penso che bisognerebbe ad ogni modo aprirgli gli occhi, 'affinché possa vederci', mi dico non so perché e già stendo una mano per disserrare tutto quel lardo che gli ostruisce la vista, quando incomincia a nevicare... La neve cade così fitta e violenta che in breve non vi vedo più; ne ho pieni gli occhi, le orecchie e i capelli; non faccio altro che inciampare, cadere, rialzarmi e ho un freddo tale che batto i denti... E finalmente mi sveglio e mi accorgo che il vento ha spalancato la finestra... Non è curioso? Dicono che i sogni possono essere spiegazioni... vorrei proprio sapere che significato ha questo» (ivi, pp. 203-204).

23  Per una proposta teorica, che presti attenzione all'ascolto del testo oltre che al suo aspetto visivo, cfr. P. Giovannetti, Spettatori del romanzo. Saggi per una narratologia del lettore, Milano, Ledizioni, 2015.

24  Come scriveva molti anni fa Pandini, in un libro divulgativo: «Nessuna fuga, nessun tentativo di trascendenza, ma la vita nella sua condizione finita, "esistenziale", instabile, con una virile accettazione delle condizioni concrete e limitate dell'esistenza umana» (G. Pandini, Invito alla lettura di Alberto Moravia, Milano, Mursia, 1973, p. 120).


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