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«Questa è la chiave della tua casa», le disse, guardandola serio negli occhi, a voler sottolineare la gravità del momento. E nel darle la chiave, esitò, con studiata lentezza, prima di adagiarla sul palmo della sua mano, per attribuire a quel gesto un valore solenne.
Lei era consapevole del significato di quell'atto e ne era addirittura toccata, eppure le veniva da ridere, come le succedeva spesso nelle situazioni in cui gli altri si aspettavano estrema serietà.
Ma ora le veniva da ridere soprattutto perché era felice.
Sì, ridere per la felicità. Forse agli altri sembrava banale. Eppure non lo era affatto. Quante volte aveva riso per la felicità nella sua vita? Poteva contarle sulle dita. Aveva riso molto in effetti, ma di rado per la felicità. Era sempre stata incline a cogliere l'aspetto comico delle situazioni e delle persone. Ma spesso, in quello che suscitava il riso, c'era tutt'altro che felicità. C'erano fragilità, goffaggine, inadeguatezza, spesso drammatiche; c'erano fallimenti, a volte pesanti come macigni; c'erano condanne che per alcuni suonavano come sentenze mortali.
Invece quel giorno aveva voglia di ridere e basta. Quello che le veniva spontaneo era un riso non contaminato, non venato di ironia o angoscia.
Tutto sembrava quasi troppo perfetto per essere vero.
Perfino quella giornata di tarda estate, con il sole che brillava nel cielo di un azzurro immacolato, il vento che alitava leggero sulle ortensie e sui cespugli delle farfalle del giardino e produceva una melodia metallica e rassicurante, facendo sfregare tra loro le barche a vela ormeggiate lungo il fiume che segnava il confine tra Rhode Island e Connecticut e che, dopo aver valicato la laguna, si abbandonava all'abbraccio dell'Oceano.
Lei si era abbandonata allo stesso modo all'abbraccio del suo uomo, nel chiarore dell'alba, senza incertezze sulla qualità dell'amore e della forza che lui era in grado di offrirle. Si sentiva al centro del suo mondo, del tutto appagata. Le pareva un miracolo, eppure non provava alcuna forma di diffidenza verso di lui, che l'aveva aspettata per tanto tempo, così come non la provava verso quella giornata d'estate, sebbene proprio l'estate fosse stata la stagione dei dolori più tormentosi, nella quale il potere abbacinante del sole aveva acuito le sue pene come un ferro rovente nell'occhio di un orbo.
Prima di uscire, lui la salutò con un bacio sulla bocca, le promise che sarebbe tornato presto dal lavoro e ribadì: «Mi raccomando, voglio che tu ti senta a casa. La mia casa è la nostra casa».
Lei restò seduta sul portico, a guardare le ortensie e i cespugli delle farfalle che danzavano all'alito del vento. Più giù, subito oltre la strada, lungo l'argine, le fronde degli aceri argentati si stagliavano contro l'azzurro del cielo, mentre il Pawcatuck continuava a scorrere fiducioso verso l'Atlantico.
Si alzò poco dopo, decisa ad approfittare delle prime ore della mattina per una passeggiata lungo la sponda. Si mise le scarpe, prese la borsa e, sul fondo della tasca interna, cercò la chiave.
Ebbe la fugace tentazione di provarla nella serratura, prima di chiudere la porta, ma poi mise a tacere quell'impulso, dicendosi: «Lui non è uno che fa le cose a caso».
Camminò per una decina di minuti, finché scorse una panchina all'ombra di un grande acero, esposta alla brezza del fiume. Si fermò a godersi l'ombra e il vento. Poi rifletté che quello era il posto ideale per leggere: ecco come avrebbe passato la mattinata, nell'attesa che lui tornasse dal lavoro.
Era arrivata la sera prima da Seattle, dove viveva. Aveva lasciato la sua casa e il suo lavoro per lui, dopo anni di relazione a distanza, di incontri a metà strada e di e-mail vibranti di desiderio e nostalgia, e ora, finalmente, avrebbero vissuto insieme.
Il giorno dopo si sarebbe messa a cercare un lavoro, ma quella giornata di riposo dopotutto poteva concedersela.
Così tornò sui suoi passi per prendere il libro.
Attraversò il giardino, sfiorando i cespugli di ortensie che, come donne lascive, offrivano al sole l'intera gamma dei loro colori: blu, indaco, viola purpureo, lilla, rosa pallido. Nel passare accanto all'arbusto della rosa rampicante, si soffermò ad aspirare il profumo di una corolla e si sentì davvero felice.
Quindi salì gli scalini del portico e si avvicinò alla porta. Per via della luce intensa, il foglio che qualcuno aveva attaccato alla porta le sembrò bianco, di primo acchito. Solo quando lo staccò dallo stipite, vide che c'erano delle parole tracciate sopra, con un inchiostro chiaro.
"Mi sono accorta di averti restituito la chiave sbagliata. Ti metto quella giusta sotto lo stuoino. Qualunque cosa abbia rappresentato per te, questa estate insieme è stata la più felice della mia vita. Ti amo. Sarah".
Provò a infilare la sua chiave nella serratura. Non entrava.

Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2020
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gennaio-maggio 2020, n. 1-2
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