Giuseppe Ghini
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I. II. III. IV. V. |
Bachtin e l'antimondo del riso Il carnevale di Bachtin come «cronotopo gnostico» «Cronotopo gnostico» vs «eterno ritorno» Il «redeeming laughter» di Gogol' Bibliografia |
I. Bachtin e l'antimondo del riso
In un suo breve ma denso intervento su Bachtin e la sua teoria del carnevale, Aron Gurevič sostenne che nella sua interpretazione della cultura medievale e rinascimentale come assolutamente polarizzata - da un lato la cultura ufficiale, dall'altro la cultura popolare del carnevale - Bachtin traspose in quelle epoche lontane una caratteristica fondamentale dell'Unione sovietica. Prima della perestrojka, infatti, spiega lo storico russo, la società sovietica era nettamente divisa in due poli: ad un livello «alto, superiore» si trovava la realtà seria dell'ideologia con i suoi slogan, le sue liturgie istituzionali e ipocrite, mentre a un livello «basso, inferiore» trovava la realtà della vita umana, con i suoi sentimenti quotidiani, le sue emozioni e idee totalmente altre rispetto all'ufficialità dell'ideologia (Gurevič, Bachtin and his theory 58). L'interpretazione di Gurevič, che riprende in qualche modo il doublethinking orwelliano, è molto interessante e soprattutto, almeno per quanto riguarda la critica dell'ideologia e della liturgia ufficiale e seria funziona. Più difficile è sostenere questa tesi per quanto attiene il livello basso della società sovietica. Davvero Bachtin poteva interpretare la società sovietica reale con i suoi sentimenti quotidiani come il regno del riso, la società della libertà, del sovvertimento dei ruoli istituzionali? Direi che la cosa è molto improbabile.
La critica di Gurevič al carnevalesco bachtiniano, come noto, si fonda su argomentazioni storiche. Gurevič, d'altronde, è uno storico che si basa su testi e fatti documentabili, e, mentre riconosce a Bachtin il merito di aver suscitato «una grande provocazione intellettuale per nuovi studi» (Bachtin ane his theory 58), non gli risparmia le critiche relativamente a quello che è stato chiamato «il predominio del piano ideologico su quello culturale-descrittivo» (Lachmann 128-129). Secondo Gurevič, per il Medioevo non si può parlare di un'opposizione tra cultura popolare o della classe subalterna e cultura ufficiale o della classe dominante, ma siamo di fronte piuttosto ad una «simbiosi di tradizione colta e cultura popolare» (Gurevič, Srednevekovyj mir 177). Questa caratteristica precipua della cultura medievale, riconducibile alla forza unificatrice ed integrante della religione cristiana mette direttamente in discussione l'idea stessa di un «antimondo», di una counter-culture, di un antimir o per lo meno, di un loro esistenza e funzione come polo dualisticamente opposto a quello del «mondo», della culture, del mir.
Questo antimondo culturale in una società radicalmente bipolare (cfr. Ponzio 132 segg.) ha raccolto col tempo diverse e motivate critiche. Minois, nella sua monumentale Storia del riso e della derisione ha messo in evidenza il fatto che: a) la società medievale sapeva ridere (perfino S. Giovanni Crisostomo, definito l'avversario più feroce del riso (Minois 146 e 149), tollera una certa pratica misurata del riso); b) che il Cristianesimo assimilò il riso pagano e lo introdusse nelle storie e agiografie medievali; c) che se il riso venne condannato nella spiritualità monastica, lo spirito dei Padri del deserto va assimilato ad un umorismo assoluto (176); d) che la cultura medievale risuona continuamente dell'autoderisione clericale (le varie feste dei folli, feste dell'asino, il risus paschalis, San Francesco-Giullare di Dio, l'imposizione dell'allegria nella I Regola francescana ecc.). E Gurevič rinforza tale opinione portando i risultati di Horowitz e Menache sulla partecipazione dei chierici alla comicità medievale (Bachtin and his theory 56). D'altronde, non parla anche Bachtin degli joca monachorum e delle parodie della liturgia?
Ma, soprattutto, Minois sostiene che il riso nella società medievale costituiva una sostanziale riaffermazione dei valori condivisi (177 e passim) e fungeva da valvola di sfogo che rafforzava l'ordine esistente (191). «Nel Medioevo - spiega - il riso carnevalesco è più un fattore di coesione sociale che di rivolta. Il carnevale, derisione ritualizzata, è la necessaria espressione comica di un'alternativa improbabile, letteralmente folle, l'inverso burlesco che non fa che confermare la necessità di valori e gerarchie prestabilite». Ciò che è coerente con la descrizione che Gurevič presenta di una società medievale differenziata ma permeata di un unificante spirito cristiano che comprendeva anche il riso.
Se la teoria dell'antimondo non funziona per la cultura popolare, non funziona neanche per il carnevale. «Il carnevalesco, - scrive Giovanni Ciappelli - che secondo al concezione bachtiniana è intrinsecamente e totalmente "popolare", "altro" rispetto alla cultura dotta e dominante, ha rappresentato frequentemente in autori successivi il concetto su cui far perno nel tentativo di individuare le caratteristiche altrimenti sfuggenti dei modi di essere e di pensare delle classi subalterne. In questo modo ha prevalso spesso nell'affrontare questo tema un approccio di tipo "ideologico", astratto, in cui il Carnevale cessava di essere un oggetto da indagare nelle sue caratteristiche reali per divenire una sorta di passepartout conoscitivo di realtà altrimenti difficili da studiare. [...] L'insistenza sulla componente "popolare" del carnevalesco ha prodotto in molti casi una visione semplificata delle caratteristiche della circolazione culturale, che non è necessariamente né unidirezionale (dall'altro al basso o viceversa), né semplice (al popolo certe forme di espressione e solo quelle, ai ceti dominanti altre forme di espressione e solo quelle), ma è al contrario multidirezionale e complessa» (7-8). Il risultato è che se si confrontano le descrizioni dei carnevali reali, quelle ad esempio riportate da Emmanuel Le Roy Ladurie (1981) e dallo stesso Ciappelli (1997), con la presentazione di Bachtin, si trova un vistoso contrasto: nei carnevali reali non tutto è riso, anzi il riso può trapassare nel pianto e addirittura nel massacro.
La teoria dell'antimondo carnevalesco, per la verità, non sembra funzionare neppure per Rabelais. Nel 1992 Sergej Averincev aveva notato a proposito del libro di Bachtin su Rabelais che qui l'oggetto di studio «non [è] il riso come dato empirico, concreto, tangibile, ma un'essenza ipostatica ed estremamente idealizzata del riso, ovvero, come egli si esprime la "verità del riso"» (12). Ora questa «verità del riso» che Bachtin non sembra disposto a mettere in discussione viene opposta, nel libro su Rabelais, alla violenza, al dogma, all'ipocrisia e all'inganno: il riso è qui per essenza positivo. Più in dettaglio, gli studiosi della letteratura francese hanno osservato le incongruenze del dualismo bachtiniano relativamente a Rabelais. Scrive Lionello Sozzi: «Malgré tout ce que l'on a dit sur la présence du réel, de la matière, du corps dans l'oeuvre de Rabelais, il est de toute évidence que l'idéal de Rabelais, c'est aussi parfois le détachement de la matière voire son mépris». Quella che manca completamente in Bachtin è dunque la considerazione della «attitude contemplative» del testo di Rabelais, (Quelques aspects 171), della sua «tensione verso la metamorfosi ascensionale» (Sozzi, Ancora sulla lettera 265) che completa il recupero del corporeo e compete con quello. La prospettiva cristiano-platonica eloquentemente espressa dalla celebre lettera in cui Gargantua esorta il figlio Pantagruele a «tendere sempre più in alto», una prospettiva che il dualismo bachtiniano non contempla e non spiega, trova le sue ragioni non già nel recupero del corporeo ma nella vicinanza di Rabelais a un evangelismo di marca erasmiana (cfr. Screech).
In poche parole, sembra di poter dire che l'antimondo bachtiniano, messo alla prova soprattutto della storia, rivela la sua essenza ideologica, fa parte dell'approccio ideologico al carnevale, non dell'approccio culturale-descrittivo.
II. Il carnevale di Bachtin come «cronotopo gnostico»
Un secondo punto meno scontato riguarda le caratteristiche gnostiche del carnevalesco bachtiniano. Prendo lo spunto da una lunga, ma necessaria citazione, tratta dal bell'articolo di Renate Lachmann intitolato Bachtin and Carnival: Culture as Counter-Culture:
«In laughter there occurs a "second revelation" a "second truth" is proclaimed to the world. [...] The truth of the second revelation is the truth of the relativity of the truth, the truth of crisis and change, the truth of ambivalence. [...] This is the crux of Bakhtin's approach: he formulates a myth of ambivalence that denies the «end» by sublimating death in and through laughter. Thus by ridiculing death and finiteness, folk culture, which is the bearer of this revelation, embodies the refusal to acknowledge the authority of those official institutions which, by taking death and the end into their calculations, seek to exert and extend their hegemony. [...] The concepts of materialism and of ambivalence, which are constitutive for Bakhtin's argumentation, help clarify his utopian ideas and lend new contours to his approach. Bakhtin openly defines folk culture and the culture of laughter as materialistic. His concept of materialism, which one at first might tend to associate with Marxism, turns out upon closer observation to be based on an opposition to spiritualism. Bakhtin - who formulates this point very insistently numerous times throughout the book - is concerned with a positive revaluation of the material and the corporeal. He resists the emphasis placed on the purely spiritual and takes a decided stance regarding the irreconcilable contradiction between hyle and pneuma that has always marked the history of Western philosophy and religion. Bakhtin's answer to the traditional revulsion towards the material and the corporeal, which is expressed in particular in gnosticism but also in medieval asceticism and mysticism, is to propound a celebration of matter and the body that seeks to suspend the dualism of mind and matter and that travesties the "victory" of the mystical and the ascetic over the body.
Bakhtin's promise of salvation lies not, as gnosticism teaches, in the spirit being freed from its bodily shell and seeking salvation through individual stages of purgation, but rather in the grotesque body as the hyperbolization and hypertrophization of corporeality.The material components of the universe disclose in the human body their true nature and highest potentialities; they become creative, constructive, are called to conquer cosmos, to organize cosmic matter. They acquire a historic character. (Rabelais 366)1
Bakhtin's concept of materialism, however, has yet another side to it: because matter "embodies" cultural memory [...], it becomes the guarantee for the continued existence of culture. The material and corporeal are namely the manifest as such, they are what is really "real": what matters for Bakhtin is matter. According to Bakhtin, soteriological teachings and ascetic practices rejecting the body cannot be utopian because they are oriented toward the "end" of manifest materiality and reality». (Lachmann 124-6)
Ho riportato questa lunga citazione per due motivi: anzitutto essa enuclea in modo esemplare alcune specificità del carnevale e del riso bachtiniano, intravede, giustamente, che si tratta di qualcosa che è ben più che semplice riso: si tratta di una nuova verità, di una vera e propria rivelazione, che ha a che fare con la tradizionale dottrina aristotelica della coesistenza di anima e corpo nell'uomo, ma che anzi la mette in discussione radicale e la riforma con la celebrazione del corpo grottesco, con l'iperbolizzazione e ipertrofizzazione della corporeità; si tratta di una sorta di nuova creazione basata sulla riconquista della vera natura della materia, una natura fino ad ora occultata. Altrove Renate Lachmann aggiunge un paio di tasselli importantissimi e peraltro già notati da quasi tutti i commentatori di Bachtin: mi riferisco alla perdita del confine tra «io» e «noi» nel corpo grottesco del carnevale (146) e della conquista della «immortalità terrena» (149). Il corpo grottesco, che consiste «di escrescenze e orifizi» (150) presenta «un altro corpo concepito ex-novo», «è il punto di transizione verso una vita eternamente rinnovata» (148, con rimando al testo di Bachtin). Bachtin dice esplicitamente che il corpo grottesco che il popolo riceve nel carnevale è dotato di una «immortalità storica collettiva» («kollektivnoe istoričeskoe bessmertie», Bachtin, Tvorč 348; cfr. anche Mann 659-660).
Il secondo motivo per cui ho riportato questa citazione è nel riferimento allo gnosticismo. Lachmann menziona lo gnosticismo ma non prende in considerazione la possibilità di associare il carnevale di Bachtin alla tradizione gnostica. Questo perché il suo termine di paragone è lo gnosticismo di origine platonica o manichea dei primi secoli dell'era cristiana, mentre pare ignorare le moderne metamorfosi della gnosi (Samek Lodovici). Chiunque abbia una qualche familiarità con gli studi sulla gnosi moderna (a partire da Baur, passando per Hans Jonas, Eric Voegelin, Karl Prümm, Augusto Del Noce, Vittorio Mathieu, Emanuele Samek Lodovici, Luciano Pellicani, per nominarne solo alcuni) conosce bene la capacità del pensiero gnostico di assumere forme diverse da quella originaria in cui lo spirito aspira ad essere liberato dal suo guscio corporeo e ad accedere alla salvezza tramite stadi di purificazione.
Le caratteristiche essenziale della gnosi sono queste: 1. Il mondo, la storia e l'uomo nel mondo, sono il frutto di una caduta, di una frattura. Il limite presente nella condizione umana viene percepito come segno di questa frattura. Segue il rovesciamento radicale: 2. questa frattura ontologica è sanabile, perché esiste qualcuno - lo gnostico, l'eletto, sia esso un essere individuale o collettivo - che può guarire il mondo. Lo gnostico è infatti un nuovo creatore, è della sostanza del mondo divino, è capace, in forza della sua originaria divinità, di redimersi e di redimere il mondo, di restaurare l'Eden originario. Per fare questo, 3. lo gnostico ha una ricetta, conosce una tecnica di salvazione che permette di attuare qui, sulla terra, il paradiso, di modificare la struttura dell'uomo e del cosmo.
Visto così, il pensiero gnostico non è più limitato all'opposizione spirito-materia dello gnosticismo storico, ma si allarga a comprendere molti fenomeni culturali e politici a noi contemporanei. Voegelin e Pellicani, ad esempio, hanno individuato nel Marxismo una delle espressioni della gnosi moderna: hanno dimostrato come non superfluo il desiderio prometeico del giovane Marx di ricreare il mondo dalle fondamenta, il suo rifiuto del limite umano, la dimensione salvifica della sua diagnosi-terapia che, attraverso la soppressione della proprietà privata, conduce a una vera e propria ricreazione del mondo, al recupero della Grande Armonia Universale, del Pleroma.
Se le gnosi politiche sono per lo più orientate al riscatto della finitezza attraverso l'attivismo rivoluzionario, le gnosi di tipo più esistenziale puntano al recupero della totalità perduta, al recupero del Pleroma, mediante forme di destrutturazione dell'identità individuale, attraverso l'erotismo, l'uso delle droghe ecc. Samek Lodovici (155-156), ad esempio, riporta a questo proposito il «programma» insito nell'erotismo di Georges Bataille, che si riporta nella versione originale: «Toute la mise en oevre érotique a pour principe une destruction de la structure de l'être fermé qu'est à l'état normal un partenaire du jeu. L'action décisive est la mise à nu. La nudité s'oppose à l'état fermé, c'est-à-dire à l'état d'existence discontinue. C'est un état de communication, qui révèle la quête d'une continuité possible de l'être au delà du repli sur soi. Les corps s'ouvrent à la continuité par ces conduits secrets qui nous donnent le sentiment de l'obscénité» (Bataille 24).
Qui, evidentemente, la sostanziale negatività dell'uomo - l'«errore di programmazione», il suo limite - è dato dal suo essere fermé, conchiuso, dal suo stato di esistenza discontinua; e nel denudamento erotico consiste la possibilità di redenzione, la trasformazione del mondo realizzata, senza bisogno della grazia divina, dalla sola azione dell'uomo.
Ritorniamo al Carnevale di Bachtin. Nell'articolo citato, Renate Lachmann riporta questa stessa frase di Bataille a proposito del Carnevale di Bachtin. Il culmine del processo «dialogico» di scambio tra mondo e corpo, tra io e noi, tra alterità e identità, secondo Bachtin, - spiega la studiosa - è un'estasi, «an ecstasy, however, that does not refer to the soul leaving the body (which would mean the end of all exchange) but rather the egression of the body's inside into the outside world, that spilling out into the world which is captured in the phrase "to laugh your guts out". The same movement is expressed by Bataille's concept of mise a nu: "Stripping naked is the decisive action. Nakedness offers a contrast to self possession, to discontinuous existence, in other words. It is a state of communication revealing a quest for possible continuance of being beyond the confines of the self. Bodies open out to a state of continuity through secret channels that give us a feeling of obscenity"».2 È quell'estasi dell'essere-fuori-di-sé, dell'eccentricità dell'Io, che nel lessico bachtiniano prende il nome di vne-nachodimost', e per la quale Todorov ha suggerito la traduzione «exotopia» (Lachmann 151).
La coincidenza tutt'altro che casuale della citazione da Bataille - riportata da Samek Lodovici come esempio della gnosi moderna e da Renate Lachmann come analogo dell'estasi del carnevale bachtiniano - mi esime, credo da molte altre dimostrazioni. Mi limiterò ad aggiungere sinteticamente che correttamente potremmo definire «cronotopo gnostico» il carnevale come lo intende Bachtin e identificare nel popolo-soggetto-del-carnevale quel profeta di cui la gnosi necessita per attivare la ri-creazione del mondo. Nel perdere la propria identità personale e sociale grazie al mascheramento e all'inversione dei ruoli, nell'identificarsi con il corpo grottesco, il protagonista del carnevale bachtiniano, almeno sulla carta, si riscatta da una vita di finitezza e di limite. Si riscatta da quella «perdita di grazia» (fall from grace) che ha prodotto il mondo della serietà istituzionale, e grazie alla perdita del confine tra Io e Noi nel corpo grottesco del carnevale, conquista l'«immortalità terrena».
III. «Cronotopo gnostico» vs «eterno ritorno»
Come molti altri studiosi, Renate Lachmann ha interpretato il carnevalesco bachtiniano come una sorta di ripresa dell'eterno ritorno. Se nel carnevale anche la cultura ufficiale entra in contatto con la capacità rigenerativa della cultura popolare, non ne viene tuttavia influenzata permanentemente. E questo perché solo la cultura popolare vive nel tempo ciclico, solo questa crea il cronotopo carnevalesco che mette in atto il fatto mitico (Lachmann 133).
L'opposizione radicale è tra una cultura ufficiale lineare, finalistica, teleologica e la cultura popolare del carnevale come ritorno all'età dell'oro, un motivo della classica utopia del paradiso perso e riconquistato. «Il principio del riso - scrive la studiosa - garantisce la rigenerazione della specie-corpo, l'accumulazione dell'esperienza culturale come memoria collettiva che si manifesta ciclicamente nelle concrete forme dei rituali carnevaleschi come una promessa anti-escatologica di redenzione».
A questo punto davanti a noi stanno queste due interpretazioni: il carnevalesco bachtiniano come cronotopo gnostico oppure come riattualizzazione (nell'accezione di Eliade) del mito dell'eterno ritorno. Personalmente, propendo per la prima, soprattutto per questioni legate alla concezione del tempo (cfr. Filoramo 33). Secondo il mito dell'eterno ritorno il mondo decadeva nel corso di un ciclo rispetto ad uno stato iniziale di perfezione, di potenza, e il rito ciclicamente riattualizzato permetteva il recupero della condizione iniziale attraverso l'immersione nell'illud tempus. Tale periodica immersione nella potenza non derivava certamente da un errore di programmazione, e certo nelle religioni dell'eterno ritorno descritte da Eliade non esisteva qualcuno esente da tale decadenza che potesse prometeicamente formulare ed attuare una diagnosi-terapia di ri-creazione del mondo.
La gnosi si inserisce invece nel tempo lineare del giudeo-cristianesimo, formula una diagnosi di frattura radicale dell'esistente e, guardando in avanti, promette di realizzare l'escatologia sulla terra. Da un lato formula un giudizio di condanna sul tempo che subisce la stessa corruzione del mondo; dall'altro, con il tipico rovesciamento che abbiamo già considerato, nel tempo e attraverso il tempo si avvera la salvezza dello gnostico. È il paradiso in terra, il paradiso cristiano che viene spostato dall'aldilà nell'aldiqua, dall'eternità di Dio al tempo dell'uomo. Per questo si parla di escatologia realizzata a proposito della gnosi.
Cosa abbiamo nel caso del carnevale bachtiniano? Secondo me, tutto lascia intravedere questa seconda prospettiva. Non a caso Renate Lachmann parla esplicitamente di «promessa antiescatologica di redenzione». «Antiescatologica»: è questa una definizione perfetta di gnosi. Ora, quando parliamo di «tempo grande» per Bachtin dobbiamo tener presente questa prospettiva gnostica. Se è vero che Bachtin (Rable i Goglol' 520) afferma che «soltanto grazie alla cultura popolare l'età di Gogol' partecipa del tempo grande» dobbiamo domandarci se il tempo grande della cultura popolare non sia propriamente questo «tempo antiescatologico», questa «escatologia realizzata».
Nota a margine. Inquadrare il carnevalesco bachtiniano nella gnosi, permette di spiegare una delle ragioni del suo successo in Occidente: è proprio in quanto gnostico che il carnevale ha attirato e affascinato negli anni Sessanta-Settanta una intelligencija occidentale le cui caratteristiche gnostiche sono assai evidenti e sono state descritte soprattutto da Samek Lodovici. Un'intelligencija che coltivava la cultura gnostica dell'uscire da sé, dell'exotopia per il tramite degli stupefacenti, dell'erotismo nel senso forte di Bataille, dell'annullamento dell'Io nella comune doveva necessariamente trovarsi simpatetica con la gnosi carnevalesca.
Quanto detto fino ad ora non deve trarre in inganno. Personalmente considero il carnevalesco di Bachtin come una grande acquisizione della cultura europea. Occorre solo tenere presente che in buona parte si tratta della presentazione di un'utopia, di un'aspirazione e non di una descrizione reale. E occorre tenere presente le radici gnostiche di tale utopia. Un'altra delle ragioni del grande successo di carnevalesco di Bachtin è infatti legata alla sua dimensione utopica. La stessa intelligencija occidentale che ha decretato il successo di Rabelais era fortemente incline alla dimensione utopica, nella sua versione rivoluzionaria e ludica.
Una delle caratteristiche che fa di Bachtin e del suo Rabelais una lettura particolare è che provoca una grande emozione nel lettore - penso che sia esperienza comune a tutti i colleghi che hanno presentato il carnevalesco di Bachtin a una classe di studenti. Ora questa emozione non è data dal fatto che esso costituisce una provocazione intellettuale - come dice Gurevič - ma dal fatto che c'è in essa un'indubbia parte di verità, una verità emozionante, commovente. A mio parere si tratta dell'emozione dell'utopia come «sogno dell'Occidente, nostalgia del Paradiso Perduto e tentativo di giungere a una Terra Promessa», secondo la definizione di Servier (8). E rimando appunto al grande libro di Jean Servier per la dimostrazione di come la nostalgia per il Paradiso Perduto, cioè per la mitica Età dell'Oro, dia origine nell'utopia gnostica al suo tentativo di realizzarla sulla terra.
IV. Il «redeeming laughter» di Gogol'
Come noto, Bachtin interpreta Gogol' alla luce di Rabelais, e sulla base delle categorie fin qui esposte: cultura popolare vs cultura ufficiale, riso gogoliano come puro riso della festa popolare, ambivalente e materialistico, sentimento carnevalesco del mondo, concezione grottesca del corpo, viaggio carnevalesco all'inferno. Mi riferisco evidentemente al saggio intitolato Rabelais e Gogol', che nell'edizione russa compare al termine del libro su Rabelais (non così in italiano).
In verità, sotto molti rispetti la concezione di Bachtin e quella di Gogol' si oppongono. Se pure, al seguito di Bachtin, Jurij Mann riconosce molti elementi di carnevalizzazione nell'opera gogoliana, tuttavia esclude che la sua opera sia interamente erede della tradizione del carnevalesco. Gogol' è troppo complesso per entrare pienamente nel modello offerto da Bachtin: Gogol' conosce il distaccarsi dalla festa del carnevale in senso individualizzante, conosce il carnevale che diventa tristezza, mistero; la sconfitta del diavolo in Gogol' è frutto non della carnevalizzazione, ma dell'opera di una forza benefica e soprattutto, quanto mai distanti sono le concezioni relative alla morte (Mann 11-39). Anche la concezione del riso, secondo Mann, oppone Bachtin e Gogol': il riso carnevalesco non ha nulla a che fare con la compassione, quella compassione che in Akakij Akakievič segue immediatamente il riso (Mann 660 segg.). Personalmente, per quanto riguarda Gogol', sarei tentato di dire che la compassione coesiste addirittura con il riso, che la comicità gogoliana supera anche il sentimento del contrario dell'umorismo pirandello in questa coesistenza di riso e compassione. Non è un caso che la definizione del riso forse più caratteristica di Gogol' - «il riso attraverso le lacrime» - non appaia nel saggio di Bachtin (un'assenza significativa pur in un saggio incompleto, secondo l'osservazione di Mann).
Ma l'opposizione tra Bachtin e Gogol' si esprime anche a un altro livello. Se il carnevale di Bachtin rappresenta un'utopia gnostica che in definitiva mira a realizzare un Paradiso in terra, Gogol' rimane invece fedele a una distinzione tra il piano della storia e quello dell'escatologia. Da questo punto di vista sono straordinariamente significativi i Brani scelti, in cui, Gogol', in linea con una grande tradizione ottocentesca - si pensi ad esempio ad Alexis de Tocqueville -, invita i suoi corrispondenti a riformare se stessi e i propri mores e non a puntare sul cambiamento degli instituta. Li invita, cioè, a pensare a «come [possano] fare il bene nel [loro] posto, [dal momento che] Dio non a caso ha ordinato a ciascuno di noi di essere in quel posto che attualmente occupiamo» (Gogol', Vybr. mesta 224-227). Nulla di più lontano dall'utopia del Paradiso in terra e non a caso per queste frasi, Gogol' venne accusato dall'intelligencija progressista di essere un apologeta dell'autocrazia e della servitù della gleba.
Giunto a questo punto occorre che io accenni ad una prospettiva che sembra risolvere la situazione di stallo in cui mi sono cacciato da solo. La prospettiva viene dal libro di Peter Berger sul comico significativamente intitolato Redeeming laughter. Berger osserva come il comico in generale - e a maggior ragione, noi potremmo aggiungere, quello gogoliano - ha un impeto decisamente sovversivo ma in un senso che non ha nulla da spartire con qualsiasi teorizzazione marxista della coscienza rivoluzionaria. Essa è invece una ben più ampia e profonda visione del mondo. Nel suo saggio, Berger fa sua la concezione di Alfred Schütz sulle multiple realities e la adatta al comico, appunto. In questa prospettiva la realtà del comico è una «sfera limitata di significato» contrapposta alla «realtà dominante» (Berger 28). Quando si abbandona al comico, l'uomo emigra temporaneamente dalla «realtà dominante» in una «sfera limitata di significato» che, finché dura è più reale della realtà stessa. Ora, secondo Berger, il carnevale, le celebrazioni medievali della follia, come pure il teatro dell'assurdo e la patafisica di Alfred Jarry non sono altro che l'ultima tappa, lo stadio finale nella progressione del comico da breve interruzione dell'ordine sociale a costruzione di un contro-mondo nella sua interezza. La definizione di contro-mondo, o antimondo è qui metafisica, non sociale. È un anti-mondo che prelude al superamento della realtà empirica, che prelude ad un Altro-Mondo. San Francesco, Don Chisciotte ma soprattutto gli jurodivye e Myškin - che Berger cita espressamente (273 segg.) - preannunciano con la loro «follia» un mondo Altro: «Più in generale, - scrive il sociologo americano - lo status epistemologico del mondo della follia può trovare una sua risoluzione soltanto nella decisione di saltare o no all'interno della fede» (280). In tal caso, il riso diventa allora un'anticipazione del mondo a venire, del Paradiso; per usare la terminologia di Pannenberg, l'umorismo è prolettico (307).
Ecco allora perché Gogol' può definire il riso, per lo meno un certo tipo di riso, «buono e luminoso» (Gogol', Teatr. raz. 170). Il suo è un umorismo prolettico, è un'anticipazione del Paradiso. Non l'ennesimo esperimento di attuare gnosticamente il Paradiso in terra, ma il modesto tentativo di anticipare qualcosa del Paradiso in questo mondo segnato dal limite. Di anticiparlo con il suo redeeming laughter, con il suo riso luminoso.
V. Bibliografia
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2014
<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/Ghini.html>
Giugno-dicembre 2014, n. 1-2