Christian Sinicco
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non era chiaro se fuggire o combattere
quel corpo che si insinuava aorta, non era chiaro se nella grande arena vibrasse la distruzione o il ricongiungimento alla natura del segnale che emetteva |
con le parti luminose l'eco |
quando fra i ruscelli che portano alla metropoli
sgorga e scompare la pozzanghera del cosmo
sulla notte che cade come un'arpa rossa
sul pulviscolo acre rimbombano gli ottoni:
ecco un ragno dove musica la pioggia
forgiare la ragnatela
dei suoni
sulle antiche case e le poltrone grigie
dei brandelli ammassati di una creazione evoluta
nei pergolati bui del cervello veloce
nelle corse luminose dei propri motori
le spire audaci dagli sbuffi ornamentali
vorticano tentacoli che erodono il cemento
meditano piramidi e il triclinio fra gli alberi
capovolti e sderenati che svaporano fra i gas
mutano con le ombre nei silenzi e fra le pause
la sinfonia dei corvi è mangiata dai gabbiani
rosa nell'alba gialla e nucleare
bianchi fra i detriti tra le case
antiche, ridotte a nulla
con occhi e cascate
bruciate oramai,
i vapori
ed appesi come lingue
i sopravvissuti
ragni
muovono sul pulviscolo acre rimbombano gli ottoni
sulla notte che cade come un'arpa rossa
la lunga via
ha petali arsi di fiori, e la magnolia nana, rarefatta quasi sboccia nevi cadenti sul paesaggio aspro e sulle alture
che si levano dai mari danze di carovane ocra percorrono le insediate mura ruggine d'industria dissepolta abbandonate, sterili maglie di cellulosa - nylon spezzate da torbidi veicoli carcasse al suolo frastagliato di un evo andato metallico che afferrano luci d'aldilà come pesci sferraglianti nella cavità
di un cielo a venire la lunga via di una nuova umanità ha danze di carovane ocra ha petali arsi di fiori, ha la magnolia una tomba aperta di stelle infinite che sbocciano cadono nude ballano con gioia il tamtam sulle dita di musici la fuga di fiati lire e sono neri i carovanieri e hanno pelle squamosa fine bellissima luccicante all'alba |
la rotaia curva degli abissi
porta acqua nelle bocche
di perle
scie
di esagoni lucenti alla lingua
di un mare trasparente fra i treni
che salgono in superficie come spade lineari
e tra le correnti
un'isola affiorante fra gli aguzzi fiordi
tra i pesci stralunati dalla luce fra i batteri
una volta di mitili incastonati dai denti
salpati in un miracolo
di costa
una stazione centrale semiabbandonata
dalle onde è il naufragio dell'annegato
che non torna
è la vetta che esce allo scoperto
e sputa l'aria in un boato che stride
il linguaggio come cupola d'acciaio
apre il peso del mantello tra le pietre
ciò che rimane della stazione dell'umano
arcipelago di ormai scomparsi
palazzi con profonde spaccature, invasi d'edera
un vortice rubicondo una tempesta li attacca
finché il fulmine con tutta l'energia
esplode ed incendia l'etere,
esplode ed incendia i muri
dove hanno nidi i volatili
il cielo delle evoluzioni
il mare di una luce sfolgorante
illumina sulle rotaie che portano indietro
di nuovo
all'abisso
irruppe nel cielo grigio come una ciminiera
scaduta
in un pacchetto di terreno
artico, desolata
come prateria d'anima
in bianco e nero, uno squalo
che sembri essersi impossessato
senza volto
del cielo che spolpa, una foglia
sull'albero scarno di un abito
che cerchi una preda,
il vento appeso
del deserto
la sabbia,
per morire nuda
nuda
sulle tue labbra
una bomba
sciolse
noi
ma il tempo non parla,
non c'è
nessuno che pensi,
non c'è
il tempo
increspate
grandi bolle colorate
e fili che giungono al cielo
nel chiarore che avanza sempre più
scompaiono, e dal promontorio
scendo; blu
di sasso
i chip
battono
forti l'immensità
dentro
il corpo:
profuma
a poco a poco il vento di ciliegie,
il vento di ciliegie scopre l'osso
del mondo
in sinfonia perfetta grilli elettronici
scandiscano valvole di sfogo nel ritmante
battiti perenne, cuore, in andirivieni
sotto la ceramica
del corpo...
sono l'ultimo della specie
ordinato dal centro di controllo,
sarò l'ultimo con bioniche membra
in giunture vertebrali:
l'ultimo che sente i profumi
trasmette i pensieri,
chi ordina la mente non progetta
più il corpo
il centro di controllo mi dice dal satellite
che verrà l'angelo dell'embrione solare
e supererà tutti i modelli,
verrà l'angelo distruttore di fuoco
che polverizzerà il mondo
il corpo
ma non aver paura
ultimo uomo
dopo di te
l'angelo dell'embrione solare
brucerà il vento e scoprirà
l'osso del mondo,
il vento di ciliegie
sarà
stella
nella solitudine
qui
sui monti della Luna
gli angeli
non sanno quello che fanno ma dipingono
graziose creature
un Mondo opaco
bimbi, piccole mani
assonnate
qui
sui monti della Luna
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2013
<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2013-i/Sinicco.html>
Giugno-dicembre 2013, n. 1-2