Thea Rimini, Album Tabucchi. L'immagine nelle opere di Antonio Tabucchi, Palermo, Sellerio Editore, 2011, pp. 186

di Franca Roverselli

 

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Il 7 aprile 2011 la casa editrice Sellerio pubblica nella collana «La memoria» Racconti con figure, di Antonio Tabucchi, a cura di Thea Rimini. Si tratta di una raccolta di racconti ispirata a quadri e fotografie, riprodotti all'inizio di ogni capitolo.
A distanza di una settimana, il 14 aprile, la stessa casa editrice presenta in libreria, nella collana «Nuovo Prisma», il saggio di Rimini, Album Tabucchi. L'immagine nelle opere di Antonio Tabucchi.
Le due pubblicazioni costituiscono un affondo in una delle caratteristiche più costanti dell'opera dello scrittore: il rapporto fra le sue narrazioni e le arti visive.
«Spesso la pittura ha mosso la mia penna. [...] Se l'immagine è venuta a provocare la scrittura, la scrittura a sua volta ha condotto quell'immagine altrove [...]».
In queste parole, tratte dalla Nota dell'autore di Racconti con figure (p. 9), Tabucchi esplicita la dinamica che esiste fra i suoi testi e le immagini, e per la prima volta colloca in maniera diretta e programmatica alla radice dei suoi scritti opere pittoriche e fotografiche.
Il saggio di Rimini, che da anni si è dedicata ad analizzare l'opera di Antonio Tabucchi nell'intersezione con le arti figurative e il cinema, si divide in tre parti, riguardanti rispettivamente l'intertesto cinematografico, quello fotografico e infine quello pittorico nell'opera narrativa dello scrittore toscano.
L'autrice ripercorre l'opus tabucchiano effettuando un'analisi puntuale dei rimandi alle arti visive rintracciabili nei testi, in un percorso che per la prima volta collega in un organico quadro d'insieme riferimenti espliciti e impliciti, dichiarazioni dell'autore e, soprattutto, un approfondimento delle matrici figurative che influenzano la poetica dello scrittore fin dalle sue prime opere.
La prima parte del saggio, intitolata La cineteca di Tabucchi, è dedicata all'intertesto cinematografico. Un'affermazione dell'autrice riassume brillantemente il ruolo della Settima Arte nella narrativa tabucchiana: «[...] Tabucchi vive (e impiega) il cinema come "totalità" interartistica, non come arte confinata alla sola immagine» (p. 28). Lo dimostra l'importanza, ben evidenziata nello studio, non solo delle citazioni filmiche rintracciabili nei suoi testi, ma anche delle tecniche di narrazione cinematografica utilizzate nella stesura dei suoi libri.
Di quest'ultimo aspetto è un chiaro esempio la teoria del montaggio di Ejzenštejn, da cui Tabucchi dichiara in svariate occasioni di essere stato influenzato nella redazione di Piazza d'Italia (1975). E ancora, la scansione temporale delle narrazioni, in cui spesso l'autore abbandona la diacronia a favore di flashback e flashforward, tradotti in analessi e prolessi, o l'uso della reiterazione della messa a fuoco di un particolare che, tradotto in una frase ripetuta, crea nella narrazione un tessuto ritmico: Tabucchi destruttura la temporalità in Tristano muore (2004), la condensa e la allarga in Requiem (1992), la incanala in percorsi circolari in Piazza d'Italia. Per dirla con parole dell'autrice del saggio, «[...] il cinema ha duplicato il testo scritto, moltiplicando e insieme frantumando il continuum narrativo [...]» (p. 85).
Rimini riprende anche le citazioni filmiche presenti nei testi e che rimandano spesso all'immaginario collettivo creato dal cinema: riferimenti a film hollywoodiani, anche dei meno conosciuti, personaggi cinefili o con soprannomi ispirati ad attori famosi. Se su questo versante Tabucchi rivela la sua frequentazione di sale cinematografiche popolari, molto importante è anche l'influenza che su di lui esercita il cinema più colto. Essa viene messa in evidenza dal saggio, oltre che nell'analisi della struttura narrativa, nel ripercorrere varie dichiarazioni dell'autore, che più volte cita Theo Anghelopulos come referente, più per una "sintonia a posteriori" con i film del regista greco, che per puntuali influenze; o François Truffaut, la cui scena iniziale di Effetto notte fa capolino nell'incipit del racconto Cinema, mentre la canzone Tourbillon de vie, colonna sonora di Jules et Jim, viene parafrasata in Tristano muore.
La dimestichezza di Rimini con gli studi filmici le permette inoltre di tessere una trama di richiami precisi e documentati tra la scrittura di Tabucchi e l'opera di altri registi e teorici del cinema, da Antonioni ad Almódovar, passando per Bazin e Les cahiers du cinéma.
La seconda parte del saggio, intitolata Intermezzo fotografico, è dedicata al ruolo della fotografia nella narrativa tabucchiana. Fotografie costellano molti dei testi di Tabucchi, accompagnandone i personaggi: succede ne Il filo dell'orizzonte (1986), in cui una foto è alla base della ricerca del protagonista; in Sostiene Pereira (1994), in cui la foto della moglie del vecchio giornalista diventa la sua interlocutrice più fidata; in La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997), e in vari racconti.
Molto interessante è il legame che Rimini individua tra la fotografia ne Il filo dell'orizzonte e il maggior referente intertestuale letterario di Tabucchi, Fernando Pessoa. La stretta relazione tra il lavoro critico di Tabucchi sul poeta portoghese e la sua narrativa, viene qui riportata alla luce collegando l'immagine descritta nel romanzo e una fotografia familiare dell'infanzia di Pessoa, già oggetto di un suo articolo (Sopra una fotografia di Fernando Pessoa, in «L'Illustrazione italiana», n. 1, ottobre-novembre 1981, n.1, p. 77).
In Sostiene Pereira la fotografia della moglie morta del protagonista, assurge al ruolo di vero e proprio personaggio fantasmatico: la fotografia, memento mori, ma anche costante presenza quotidiana, dimostra come il tempo della vita e quello della morte siano categorie trattate dallo scrittore secondo il paradigma di una sostanziale continuità.
E viene sottolineato da Rimini come «Il paradosso ontologico della foto, che assottiglia il tempo alla dimensione effimera dell'istante e azzera le distanze tra gli anni, trova così un perfetto pendant nella forma disarticolata, e franta della sintassi» (p. 92).
In La testa perduta di Damasceno Monteiro il passaggio delle foto dal ruolo di testimonianza e denuncia a quello di prodotto, mette invece in luce il pericolo di manipolazione a cui è sottoposta l'immagine. Pericolo già sottolineato in Notturno indiano (1984) quando, nel capitolo finale, una fotografa mette in guardia il protagonista dal rischio delle immagini come «[...] morceaux choisis » (p. 108) che, offrendo una visione circoscritta del reale, escludono il contesto, limitando la comprensione del fatto riprodotto.
Quest'ultimo aspetto acquista per Tabucchi una valenza ontologica nella lettura e nell'uso delle immagini, siano esse fotografiche, pittoriche o cinematografiche. Esse sono e restano testimoni dell'ambiguità, della limitazione, del fraintendimento: la cornice, escludendo tutto ciò che è al di fuori di esse, ne costituisce il limite, ma ne aumenta anche la ricchezza semantica, permettendo allo spettatore la creazione di infiniti contesti, e rivelando l'ambiguità di fondo di ogni tipo di presunta conoscenza.
Cosí succede anche nella narrativa: le storie di Tabucchi, piene di squarci narrativi e spesso prive di un finale certo, lasciano sempre ampie aperture a ciò che sta fuori dalla cornice, cioè dal testo stesso.
Nell'ultima parte del libro, intitolata La pinacoteca di Tabucchi, l'autrice offre infine un'analisi dell'intertesto pittorico.
E se l'inventario delle citazioni ancora una volta è ampio, il maggiore interesse di questa sezione dello studio risiede una volta di più nella lettura non deterministica che vi si fa dell'influenza di alcune opere pittoriche sulla narrativa di Tabucchi. Rimini infatti non le tratta come mero oggetto di ispirazione, ma allarga il suo orizzonte a tutto ciò che queste opere hanno prodotto in precedenza in ambito letterario, critico e meta-artistico. Precisa così la relazione dell'autore con l'oggetto figurativo: «[...] il suo rapporto con l'immagine: mai un commercio diretto, ma un avvicinamento obliquo, perché mediato dagli scrittori che su quel quadro si sono già interrogati» (p. 118).
E così il Velasquez de Las Meninas, il Bosch de Le tentazioni di Sant'Antonio, e il Goya delle Pitture nere, per citare solo i tre principali artisti che percorrono con un fil rouge vari testi di Tabucchi, dialogano nelle pagine del saggio con Foucault e gli scrittori portoghesi cari all'autore (da Cardoso Pires a Lobo Antunes), con critici e scrittori spagnoli (da Ortega y Gasset a Vila-Matas), con Baltrušaitis e Chastel, Buzzati e Thomas Bernhard. Tabucchi è sempre «a colloquio con le biblioteche di altri scrittori [...]» (p.133).
E il saggio non esclude il dialogo di Tabucchi con l'arte figurativa contemporanea, citando gli svariati cataloghi di mostre per cui lo scrittore ha prodotto dei testi (da Pomar a Pericoli, da Paula Rego a Benati).
In conclusione, Rimini ci mostra come il rapporto epistemologico di Tabucchi con le immagini sia omogeneo: falsarie del reale, che d'altra parte non si può conoscere che attraverso di esse; limitatrici della conoscenza, attraverso l'inquadratura, lo scatto, la cornice; nello stesso evocatrici di innumerevoli mondi possibili. Allo stesso modo si sviluppa la narrativa tabucchiana, che, pur assurgendo talvolta al ruolo di testimone, ci svela la sua ambiguità nelle reticenze e nelle ellissi che la caratterizzano, e spinge il lettore a creare un "fuoricampo", una conclusione o soluzione che il testo non fornisce.
«L'idea di una comprensione assoluta del mondo è ormai svanita» (p. 17), afferma l'autrice a chiusura dell'introduzione: al lettore il compito di completare la narrazione.

 

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