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Note:


1  Wu Ming, New Italian Epic. Narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009, p. 11. D’ora in avanti soltanto NIE, seguito dal numero di pagina in coda alla citazione.

2  Gli UNO qui sono intesi così come li intende Wu Ming nel memorandum (NIE, 109): «Sintesi di fiction e non- fiction diverse da quelle a cui eravamo abituati (ad esempio, il gonzo journalism alla Hunter S. Thompson), un modo di procedere che oserei definire "distintamente italiano", e che genera "oggetti narrativi non- identificati"». In questa sede non esamineremo i seguenti volumi: Teatri stabili in Italia (1898 – 1918), Bologna, Cappelli, 1959; Le parole raccontate. Piccolo dizionario dei termini teatrali, Milano, Rizzoli, 2001; L’ombrello di Noé, a cura di R. Scarpa, Milano, Rizzoli, 2002. Si tratta di saggi di stampo, per così dire, accademico ed esulano dagli interessi del presente lavoro. Allo stesso modo non prenderemo in esame Il gioco della mosca (Palermo, Sellerio, 1995), una sorta di glossario (che deve aver come modello l’Occhio di capra sciasciano) o raccolta di racconti (Camilleri, nella dedica, lo definisce «un libro con tante piccole storie della mia terra»).

3  G. Bonina, Tutto Camilleri, Siena, Barbera, 2009, p. 78. Corsivo nel testo. In un’intervista fatta dai lettori (Dalla macchina da scrivere al Web. Il Camilleri fans club intervista il "Sommo", del 05 Luglio 1999) e riprodotta in <http://www.vigata.org/intervista/intervista.shtml> (1 novembre 2011) leggiamo: « Con Sciascia non ho avuto un vero e proprio rapporto d'amicizia, ma d'affettuosa, reciproca simpatia. Quando trovai i documenti della Strage dimenticata, glieli consegnai perché ne ricavasse un libretto, come aveva già fatto per Dalla parte degli infedeli. Lui li lesse, venne nuovamente a casa mia a Roma, e mi domandò: "Perché non lo scrivi tu?". Io risposi che non avrei mai potuto scriverlo come avrebbe saputo fare lui. E Leonardo: "E perché lo vuoi scrivere come faccio io? Scrivilo come sai fare tu". Lo scrissi, gli piacque e lo portò alla Sellerio che non conoscevo di persona. Però mi disse che c'erano troppe parole siciliane. Io gli risposi che quelle parole non erano messe a caso. E non si trattava solo di parole. Lui rispose: "Vero è. Però come reagirà il lettore?"».

4  A. Camilleri, La strage dimenticata, Palermo, Sellerio, 1999, p. 9. D’ora in avanti SD in coda alla citazione, seguito dal numero di pagina.

5  «Devo, a questo punto, affidarmi a quella che Leonardo Sciascia chiama la "presbiopia della memoria", non mia, naturalmente, ma della mia nonna paterna Carolina Camilleri la quale, nata una decina d’anni dopo quei fatti, se li senti contare e ricontare, bambina, da sua madre» (SD, 35).

6  È particolarmente suggestiva la parentesi della visita dello scrittore alla Torre in cui la strage fu compiuta un secolo e mezzo prima: «(Ci sono entrato, un anno fa, nella cosìddetta cella di uno dei cosìddetti fortunati. Un cunicolo lungo tre metri e alto poco più di un metro e venti nel primo tratto, quello più vicino alla porta, così che per entrarci si doveva quasi strisciare, e nel secondo tratto, la cella vera e propria, alto non più di uno e sessanta, lungo sì e no due metri e mezzo, le pareti senza intonaco rozzamente scavate all’interno del muro perimetrale, un grosso anello da catena, una finestrella a livello del pavimento munita di una doppia inferriata. Contro quella tana, e ne avevo viste di più confortevoli costruite da lepri o porcospini, si erano rotte le corna le belle parole della riforma carceraria borbonica della fine degli anni cinquanta, della riforma unitaria del 1891 (i cui lavori parlamentari, a conforto dei reclusi, erano iniziati vent’anni prima), delle due circolari di riforma giolittiana del 1902 e del 1903, della circolare aggiuntiva di riforma del 1907, della "moderna" riforma del 1921-22, della riforma fascista del 1931 e della solenne pigliata per fesso detta la "Carta del lavoro carcerario" del 1932. Tana era e tana era rimasta. Dopo pochi secondi che c’ero entrato, mi mancò l’aria al pensiero che un carcerato comune li dentro doveva restarci giorno e notte, senza manco il vantaggio, si fa per dire, di essere, come ergastolano, ogni mattina incatenato al "rastiglio". "Almeno da qui poteva vedere il mare" dissi, cercando di confortarmi, ai due amici che mi accompagnavano. Pepé Fiorentino, uno dei due, mi taliò brevemente: e "Ti stai scordando" fece "che alle finestre c’erano le bocche da lupo che ora hanno levate". "Al massimo" aggiunse Fofò Gaglio "poteva vedere una striscia di cielo se si metteva coricato a pancia sotto e s’impiccicava con la faccia alle sbarre". Per terra, mangiati dai topi, i resti di un pagliericcio, di una scarpa, di una specie di casacca. Miracolosamente intatti, invece, una decina di quaderni con le tipiche copertine degli anni 1930. Nel primo che pigliai a caso, c’erano scritte parole come mamma, papà, figlio, Rosina; nel secondo invece c’erano aste, vocali e consonanti tracciate con mano insicura: si vede che i quaderni non mi capitavano in ordine cronologico. Nel terzo che aprii il carcerato aveva invece cominciato a scrivere. Sulla prima pagina, a stampatello, campeggiava la frase: "la vita è bella". Senza che fosse ulteriormente diminuita la luce dentro la tana, non ce la feci a leggere oltre)» (SD, 29- 30).

7  Nel suo saggio Travaglio analizza il sistema dell'informazione in Italia che definisce «programmaticamente svuotata di contenuti, malata di revisionismo, corrotta, mercenaria, sostanzialmente menzognera.» Dal libro, nel 2011, è stato tratto lo spettacolo teatrale Anestesia totale dello stesso Travaglio e con la partecipazione dell'attrice Isabella Ferrari.

8  G. Bonina, Tutto Camilleri, cit., p. 80. Corsivo nel testo.

9  G. Bonina, Tutto Camilleri, cit., p. 81. Corsivo nel testo.

10  Sul rapporto Sciascia – Camilleri si potrebbe scrivere ancora tanto: «Non so quanto e in che modo Sciascia abbia pesato, il fatto è che ha pesato e continua a pesare. Dico sempre che quando mi capita di capire che ho le batterie scariche, vado dall'elettrauto Sciascia e mi rileggo un suo libro. Sì, il professore Pintacuda del Ladro di merendine è in parte Sciascia [...] ed in parte il mio professore di filosofia al liceo "Empedocle" di Agrigento. Si chiamava Carlo Greca». In Dalla macchina da scrivere al Web., cit.

11  A. Camilleri, La bolla di componenda, Palermo, Sellerio, 2002, pp. 105-107. D’ora in poi soltanto BC, seguito dal numero di pagina in coda alla citazione.

12  Spesso si è portati a credere che si tratti di autofiction, una tendenza già evidenziata, in Camilleri, da Wu Ming: «In Il colore del sole (2007), Andrea Camilleri inventa episodi e circostanze della propria vita recente. Certo, se l’autofiction serve a ricamare all’uncinetto una narrazione tutta "centripeta" e raggomitolata sull’ego, siamo davvero troppo lontani dal Nie» (NIE, nota a p. 15).

13  Anche qui sono numerosi i riferimenti all’attualità italiana: «Non si trattò di un errore tattico, spiega Crocco, ma di un preciso accordo, una componenda, fatta tra lui e il generale Della Chiesa, o Dalla Chiesa, come appare in altri documenti, comandante dei reparti italiani (ahi, questo ritornare agli stessi nomi nella storia d'Italia: non so se il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fosse un suo nipote, quello che invece è certo che componende non ne fece, se finì massacrato dalla mafia con la moglie)» (BC, 21); «E qui mi torna di fare un altro ahi: furono dei merletti inviati e non restituiti che servirono a incastrare il presentatore Enzo Tortora, vittima innocente di un procedimento osceno». (BC, 24).

14  L. Sciascia, Il giorno della civetta, Milano, Adelphi, 2004, p. 52. Tra l’altro l’espressione "la linea della palma" è stata usata dal giornalista Saverio Lodato come titolo del libro – intervista a Camilleri (Milano, Rizzoli, 2002) in cui lo scrittore espone le proprie idee sulla politica, sulla società e sulla cultura italiana.

15  Vasta la bibliografia sull’argomento. Basti pertanto il riferimento a N. Merola, La linea siciliana della narrativa moderna. Verga, Pirandello & C, Roma, Rubbettino, 2006.

16  L. Pirandello, L’Umorismo e altri saggi, a cura di E. Ghidetti, Firenze, Giunti, 1994, p. 116. Corsivi nel testo.

17  A. Asor Rosa, Ritorno in provincia: le cento Italie dei giovani narratori, in «La Repubblica», 15 dicembre 2009.

18  A. Camilleri, La biografia del figlio cambiato, Milano, Rizzoli, 2000, p. 180.

19  Lo sfarfallare dall’italiano al dialetto nei romanzi di Camilleri è ormai cosa cognita, che sfiora quasi l’ammicco al lettore assuefatto. Nella Biografia del figlio cambiato, invece, gli inserti dialettali mimano bene il parlato di certi intellettuali meridionali, che amano proteggere le proprie finezze colte con sprezzature paesane. È uno di quegli espedienti le cui imbastiture restano visibili: mano a mano che Pirandello si fa romano e maturo, gli intarsi dialettali diradano fino a svanire. Alla stregua di Pirandello, anche il suo compaesano Camilleri s’è fatto romano, nel corso degli anni. Così, mentre il dialetto di Girgenti scompare dalle pagine, egli rimirando il suo protagonista, un po’ si specchia. Parlando del volume Camilleri ha infatti dichiarato: «Tutta la mia vita sia privata che di scrittore [...] è un debito con Pirandello» (S.N., Camilleri agli studenti: la mia vita è un debito con Pirandello, in «Corriere della sera», 6 marzo 2001).

20  In un’intervista a Bonina Camilleri confessa: «In Biografia del figlio cambiato mi pare evidente che la presenza del dialetto via via viene meno con l’età di Pirandello fino ad arrivare a un italiano permanente. L’idea era infatti di mitizzare attraverso il dialetto l’infanzia di Pirandello e dunque l’uso che ne faccio è estremamente strumentale» (Camilleri: Per amore della lingua Intervista ad Andrea Camilleri, a cura di G. Bonina, in <http://www.railibro.rai.it/stampa.asp?tb=3&id=210>, 15 ottobre 2011).

21  La favola del figlio cambiato fu scritta da Pirandello tra l'estate del 1930 e quella del ‘32. Fu rappresentata per la prima volta con la musica di Gian Francesco Malipiero nel gennaio del 1934 a Braunschweig.

22  S.N., Camilleri agli studenti: la mia vita è un debito con Pirandello, cit.

23  «Proprio mentre scrivo queste righe, negli ultimi giorni del mese di settembre 2006, in Italia è cominciato un dibattito, politico e no, sul diritto all'eutanasia, sul suicidio assistito, sul testamento biologico. Alcune cose che sono state dette valgono la pena di essere riportate perché in qualche modo possono ricollegarsi ad alcune perplessità da me espresse sul sacrificio delle suore e perché esprimono il pensiero della Chiesa (che del resto non si è mai modificato)» (PP, 122). Ma anche «Non riesco a tirare nessuna conclusione da questa vicenda, né per me né per i miei lettori. O forse le conclusioni mi porterebbero inevitabilmente lontano, tanto indietro nel tempo, quanto in avanti, fino alla tragica attualità dei giorni nostri. Sarebbe il caso?» PP, 125.

24  «Arrivato alla fine, capii che avevo capito benissimo fin dalla prima lettura. In altre parole: dieci giovani donne si erano lasciate morire, o meglio e più brutalmente, si erano in qualche modo ammazzate (posso scrivere suicidate? No, non posso, sarebbe troppo semplicistico), persuase che il loro sacrificio avrebbe salvato la vita del vescovo. L'avevo capito subito, solo che mi ero rifiutato di capire, tanto le parole di suor Enrichetta Fanara m'erano parse incredibili. Dovevo assolutamente saperne di più» (PP, 91).

25  Sono frequenti le affermazioni quali: «Cercherò di riempire, per quanto mi è possibile, alcuni vuoti» (PP, 95) o «Ho una mia idea. Non sorretta da prove, si badi bene» (PP, 99) e «Qui di seguito cercherò di formulare via via alcune plausibili ipotesi sulla sequenza dei fatti, tenterò cioè di raccontare, con una certa verosimiglianza e con qualche ragionevole approssimazione per difetto, quello che avvenne nel monastero del S. S. Rosario dal momento dell'arrivo della notizia del ferimento del vescovo fino alla morte delle monache. So benissimo di muovermi su di un terreno difficile e tradimentoso, sia perché, non essendo per niente informato su come si svolgeva la giornata nei conventi, e quali le norme, gli usi, le abitudini, le regole della vita comunitaria, alcune mie affermazioni possono essere forse abbastanza facilmente confutabili; sia perché, e questo di gran lunga è certamente il punto più delicato, non sono un uomo di fede religiosa e perciò, come disse il vecchio confessore al mio amico, non sarei in grado di capire profondamente le ragioni più intime e, come dire, fideistiche (la parola qui va intesa in senso positivo) di quel gesto estremo» (PP, 103).

26  A. Camilleri, Identità e linguaggio, in A. Dolfi (a cura di), Identità, alterità, doppio nella letteratura moderna, Bulzoni, Roma 2001, p. 35.

27  M. Novelli , L’isola delle voci, in Storie di Montalbano, Milano, Mondadori, 2002, p. LXXI.


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2012

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Giugno-dicembre 2012, n. 1-2