Antologia del buon mattino
Non ci sono più vagoni vuoti su cui saltare, clandestini?
La città è ancora gravida dei sogni del primo o dell'ultimo sonno. Solo gente intabarrata, legata a cani che pisciano sulle aiuole dure di gelo, compare tra le carreggiate e i binari del tram luccicanti di brina.
Svanisce l'alba. A ogni passo mi dispongo allo stupore. Un sospiro è pronto dietro ogni finestra, come quel primo e dimenticato che ci fece piangere.
I luoghi visitati, le strade frequentate, gli angoli sorpassati con l'indifferenza di una svolta affrettata, o lo sguardo annacquato di contingenze: tutto improvvisamente esiste, anche senza di me.
Mi avvicino a luoghi incisivi, rapidi, lucidi d'olio, denti di porcellana e oro fieri del loro sorriso - e così partecipe si aspettano sia io: sempre in diesis su gradini maggiori in cui non ho mai creduto.
Fanno collette per i morti; si abituano alle dita spettrali degli alberi, al suono della schiuma che si affloscia, all'arco bruciato dell'orizzonte; si abituano persino alla gente che scompare, ma non smettono mai di comparare all'ideale.
Sono io, aspettano me, sperando in qualcosa di più.
Che conta ora la dinamica, la balistica, quando siamo bloccati e astratti all'infinito nel momento in cui il mondo svela lembi di male fisico e paura?
Sono io, aspettano me, sperando in qualcosa d'altro.
From dream to drama
...eppure qualcosa che lenisca le ferite dei nostri occhi ciechi di neve, qualcosa come quel sogno di fondali marini e acque accoglienti, di un oceano enorme come una madre. Ma è ben poca cosa di fronte all'inverno stecchito, sordo a ogni celebrazione, tanto impietoso che nemmeno bere serve più.
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Qualcosa è l'immaginazione distesa su un letto d'ipnosi. La sintassi inorganica dell'unico modo che abbiamo di stare insieme. A volte, le rughe di un libro.
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Ma quella donna che non dorme più e si lamenta del prozac, il vecchio uomo di trent'anni, quei pochi momenti di infinita sopportazione, esodi ebraici casalinghi, e la mancanza di sesso e tutto il male che ne deriva, e il male stesso su cui ogni giorno si appanna lo sguardo - sono passato dal fastidio alla pena, e non so cosa sia peggio.
Obliquamente alla stagione
questo è il giorno, scivola piano di ora in ora, di passo in passo tra i miei passi tanto lenti oggi da sembrare meditati, sul marciapiedi sporco di ghiaia bagnata che scricchiola sotto i piedi, mentre vado senza fretta (come il sole che va e viene) a fare un po' di spesa, il pane il vino e già sono senza soldi, e già suona la sirena della mezza quando ancora nulla è stato deciso, quando ancora il viale è pieno di foglie umide e i vasi rovesciati dal vento hanno ritrovato la loro fissità, e allora provo a chiamarti ma il mio segnale è debole, tu non sei raggiungibile, e nell'etere ci perdiamo ancora, eternamente come le nubi che a migliaia ci hanno oscurato, come le grandi opere andate perdute, come le spalle che diamo al tramonto, come un giorno qualsiasi d'autunno, in ferie
Pension Pilàr
Trovammo parcheggio in una strada chiusa.
Da lì, lo sapevamo, potevamo solo tornare indietro.
Non capivamo - e forse non capiamo ancora adesso - che il rammarico con cui lasciavamo ogni luogo non era la risposta. Si viaggia sempre per tornare. E senza rendercene conto, festeggiammo l'ultima partenza, il lungo ritorno. Festeggiammo con una pizza surgelata divisa in due, in due vestiti bene - avevi messo la gonna, e i tacchi delle scarpe rosse suonavano sinistri nei vicoli scuri e opachi; ticchettavano ai nostri discorsi la cadenza della paura, mai nominata, di quello che ci aspetta e che già conosciamo.
Attraverso una porta mezza sfondata tornammo a un ultimo letto trovato per caso, in una vecchia palazzina che da sempre cede un po' di muro alla salsedine. La vecchia sorda e sospettosa aveva aperto le finestre, ma c'era comunque odore di chiuso. Su una logora cartina ci indicava i luoghi della sua infanzia, ma non ci sembravano altrettanto mitici del nostro presente. Io ne ridevo; figurati se ricorderà due ospiti di una notte.
Nel palazzo di fronte squillò un telefono; nessuno rispose.
Ci accasciammo nel letto, felici: non sarà mai il nostro letto - e solo oggi ci svegliamo con le formiche nella dispensa - e non dovremo lavarci ancora nel bagno sul balcone - e le brutte facce della strada possono già dimenticarci: noi partiamo, noi ci muoviamo, noi andiamo via
(ma al mattino, a mezza luce, accorgersi che quel bagno sul balcone aveva due serrature: una dentro, per chiudersi, e una fuori, per essere rinchiusi).
Esodo regressivo
Andiamo a spiaggiarci, puntati di sghembo al sole a ustionare solo in parte i progetti e il carattere, per forgiarci duri e seri come i grandi, e superare senza paura i tir incolonnati e tristi sull'a4, senza pensare ai fantasmi che si alzano dall'asfalto, nell'afa e nei campi bruciati.
Chiederò al vento di pulire i contorni, delineare i confini, nettàre la prepotenza delle cose. Per capire, finalmente, se è possibile essere soli a sentire il traffico della strada, la notte, e respirare aria limpida da spaccare i polmoni senza sentirsi come gli annegati nei mari lontani.
Un abbozzo di sorriso, azzurro, sopra i denti di pietra. È finita la pioggia. Non parla ancora questa vecchia alpestre e selvosa, così dissimile dalle altre dolci colline, eppure così vicina e parente - non mi dice e non mi spiega.
La linea della terra
un cimitero di lumache
il lungo treno merci per la conta dei vagoni, al tramonto arruffato nella pineta di zanzare
Solo là, un paese d'altri occhi, la noia non annoia e la sera dondola stanca a immaginare cosa succede dove si suona questa musica inquinata dalla distanza,
a immaginare di esserci, un giorno
- finchè qualcuno viene, ti porta a letto.
L'inganno
La strada la sai - una caduta inerte, non resistita, disciolto all'abbraccio delle luci come la preda alle fauci del leone - la strada di chi non ha più scelta e si prepara al biasimo e alla dissezione, la mente
una porta aperta
sul niente.

Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2009
<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2009-i/Nava3.html>
Giugno-dicembre 2009, n. 1-2
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