Claudia Boscolo e Franca Roverselli
Scritture precarie attraverso i media: un bilancio provvisorio

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI
Introduzione
Accenni al quadro legislativo e lessicale
Luoghi e tempi della flessibilità
Un nuovo personaggio
Lo scrittore precario
Bibliografia



§ II. Accenni al quadro legislativo e lessicale

I. Introduzione

La pratica di inserimento nel mercato del lavoro italiano è mutata a partire dall'introduzione della Legge 30, che regolamenta in primo luogo l'occupazione a tempo determinato. Questo articolo tenta di offrire una panoramica dell'influsso che la trasformazione della mappa sociale originata dall'attuazione della Legge ha esercitato sulla narrativa contemporanea italiana. In tempi recenti si è assistito alla nascita della scrittura del precariato, contraddistinta da un linguaggio derivato proprio dalla Legge 30, e di un protagonista, il precario, incarnazione letteraria di un nuovo profilo esistenziale, la cui caratterizzazione trasforma la figura giuridica del lavoratore atipico in personaggio di narrativa.
Questa non può che essere un'analisi parziale e transitoria: una fotografia, un fermo immagine sul nostro presente, senza intenti definitori assoluti. Una presa d'atto, o meglio, una testimonianza dell'esistente in campo narrativo, di quella che Aldo Nove definisce «una nuova, potente letteratura del lavoro».1 Una narrativa, in ultima analisi, che porta ad interrogarsi sulla questione del genere.

 

§ III. Luoghi e tempi della flessibilità Torna al sommario dell'articolo

II. Accenni al quadro legislativo e lessicale

Il tema del lavoro in Italia aveva già acquistato rilievo alla fine degli anni Novanta, quando iniziò la riflessione giuridica sull'attualità dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che regolamentava il licenziamento senza giusta causa. Uno dei protagonisti di questa riflessione fu il giuslavorista Marco Biagi, docente di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza di Modena e consigliere di vari governi. Biagi fu assassinato dalle Nuove Brigate Rosse il 19 marzo del 2002 sotto casa sua a Bologna. Il suo ruolo nella formulazione della Legge 30 fu di primaria importanza, e questo ha fatto sì che ci si riferisca ad essa come legge Biagi. L'assassinio di Biagi ha reso nel tempo questa dicitura sovraccarica di coinvolgimenti emotivi, che ne autorizzano la strumentalizzazione: la Legge 30 viene nella maggior parte dei casi indicata come "legge Biagi" da chi implicitamente intende riconoscere che si tratta del frutto di un martirio, e quindi non è criticabile. Viene invece indicata molto più correttamente come Legge 30 da chi ne contesta il contenuto e ne indica le molte responsabilità nella creazione di un clima di tensione sociale. Così fanno anche gli autori della produzione narrativa presa in esame, con lo scopo preciso di scindere il campo delle tematiche che trattano il disagio sociale dalle implicazioni emotive della vicenda Biagi.
La Legge 30 è una legge complicatissima, composta da più di 80 articoli e applicabile solo in minima parte. Contiene specificazioni riguardanti la materia del lavoro subordinato e parasubordinato a termine, e una serie di definizioni che hanno introdotto nella lingua italiana parole nuove, il cui carico semantico si è dilatato proprio grazie all'utilizzo ironico fattone dagli autori della narrativa cosiddetta precaria. Le stesse narrazioni risultano incomprensibili a chi non ha dimestichezza con le definizioni fornite dalla nuova normativa.
La legge 30 e il decreto legislativo che la attua stabiliscono «i principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera», come recita l'articolo 1 della legge. Fin dall'inizio viene quindi introdotta una specificazione che sarà poi utilizzata molto in letteratura: il lavoro è definito «somministrazione di manodopera».
Quella di lavoratore somministrato è solo una delle varie definizioni del precario che vengono fornite dalla legge. La parola "precario" è stata semplicemente obliterata dal linguaggio normativo e sostituita da altre formulazioni. Tuttavia, i termini precario e precariato sono stati protagonisti in questi ultimi anni di una straordinaria diffusione, tanto da apparire quotidianamente nei titoli dei giornali associati al discorso sul mondo del lavoro, e da divenire oggetto di svariate inchieste sociologiche e ricerche antropologiche2 fino ad assurgere a definizione di un'intera generazione. Insieme ad altri attributi che tentano di definire la realtà contemporanea, come "liquido", "fluido", "mutante", il termine precario ci dà la misura dello stato di incertezza, indeterminatezza e continuo cambiamento in cui si trova a vivere un numero sempre crescente di lavoratori. Il termine precarietà indica una provvisorietà, contrassegnata dall'attesa di un peggioramento. Nel linguaggio giuridico, indica la concessione gratuita di un oggetto la cui restituzione può essere richiesta dal concedente a suo arbitrio. Si può dire, quindi, che oggi l'oggetto principale della precarietà è il lavoro, che da paradigma fondante, e quindi inamovibile, dello statuto italiano,3 sembra essersi trasformato in una sorta di concessione sottoposta ad una sempre maggiore arbitrarietà. Il lavoro precario diviene uno degli aspetti della società liquida in cui viviamo:4 l'incertezza e l'inafferrabilità del reale si applicano a quello che fino a un decennio fa era uno dei capisaldi più solidi nella definizione dell'identità personale.
Il lavoro somministrato è quello fornito da un'agenzia interinale ad un'azienda. Lo scrittore Andrea Bajani, nel descrivere il ruolo ambiguo delle agenzie interinali, segue la metafora medica:

«La disoccupazione è una delle malattie più diffuse della società contemporanea. La funzione delle agenzie di lavoro è quella di aiutare a individuare il farmaco da somministrare per debellare il virus. Come sui pacchetti delle sigarette sta scritto "il tuo medico o il tuo farmacista possono aiutarti a smettere di fumare", così la scritta implicita sulle vetrine delle agenzie di lavoro temporaneo è: "L'agenzia può aiutarti a smettere di non andare a lavorare la mattina"».5

La legge dimostra come i termini possano essere presentati in una versione deformata rispetto al significato attribuitogli nella realtà. Per esempio, il termine "lavoratore". L'articolo 2 del decreto legislativo fornisce alcune Definizioni: per iniziare, definisce "lavoratore" «qualsiasi persona che lavora o che è in cerca di un lavoro»6, e "lavoratore svantaggiato" «qualsiasi persona appartenente a una categoria che abbia difficoltà a entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro».7 Si desume dalla legge che anche chi è disoccupato è lavoratore, e nel caso di disoccupazione cronica si parla di lavoro svantaggiato. Quindi, secondo la Legge 30 tutti lavorano, anche i disoccupati, in quanto occupati a cercarsi un lavoro. I disoccupati non esistono più. Questo è uno dei nodi principali della legislazione, ed è stata nel corso degli ultimi anni fonte di ispirazione per ritratti di "lavoratori disoccupati", che variano dal registro della commedia a quello più tragico. Un caso per tutti è la premessa a Mi spezzo ma non m'impiego (2006) di Bajani:

«Basta, parlare di precari. I precari non esistono, e se mai sono esistiti adesso si sono estinti. La Legge 30, conosciuta anche come Legge Biagi, lo dice molto chiaramente: lavoratore è "qualsiasi persona che lavora o che è in cerca di lavoro". È un lavoratore anche chi il lavoro non ce l'ha, e questa è una buona notizia».8

Ma la trasformazione della figura del lavoratore si va progressivamente definendo attraverso altri articoli del DL. Uno dei punti fondamentali afferma che il rapporto di collaborazione fra il lavoratore e il committente si basa sulla messa in atto di un progetto che deve essere completato dal lavoratore entro i tempi stabiliti. Ma questa è una delle parti più contorte del decreto legge, in quanto conferisce al giudice la facoltà di giudicare se si tratti in effetti di un contratto a progetto, tuttavia gli nega la possibilità di valutare la validità del progetto stesso. Di conseguenza, possono diventare progetti anche vendere il pane al supermercato, rispondere all'utenza a uno sportello, fornire informazioni in un centro di servizio alla clientela.
Il lavoratore, recita inoltre il DL, non è tenuto a rispettare il vincolo di subordinazione: ognuno è capo di se stesso.9 Questo ha portato alla diffusione capillare della Partita Iva. Ma quando gli autori parlano di Partita Iva non si riferiscono alla modalità fiscale, bensì per antonomasia al lavoratore autonomo:

«Sempre più spesso si finisce per identificarsi con una tipologia di contratto anziché con un impiego, proprio perché l'impiego cambia ogni pochi mesi, mentre la tipologia contrattuale può durare all'infinito. Ci si incontra, ci si stringe la mano e ci si dice "sono una Partita Iva", "sono un co.pro", e via così».10

Nella realtà, che confluisce in narrativa, sempre più di frequente scompaiono le professioni sostituite dalla tipologia contrattuale. Non si dice più, faccio il bibliotecario, faccio il venditore, faccio l'imbianchino, ma sono una Partita Iva, sono un co.co.pro. come se si potesse spazzare via la dignità della professione attribuendole un mero valore fiscale. Chi si presenta come Partita Iva è percepito come detentore di un ruolo sociale fluttuante: quello che veramente fa la differenza ai fini dell'interazione sociale è se il tipo di contratto sia a tempo indeterminato, o a tempo determinato, autonomo, a progetto. Emerge anche nella narrativa il senso della perdita delle garanzie e della tutela, e la malinconia per la stagione terminata dell'impiego fisso:

«Mutua, indennità, ferie, maternità: c'è tutto un vocabolario da cui alcune parole sono state cancellate. E quando scompaiono le parole scompaiono le cose. Quando scompaiono le cose le parole perdono di significato».11

La perdita di potere contrattuale collettivo camuffata da privilegio nella beffa dell'autonomia lavorativa ha creato uno slittamento del conflitto dal collettivo all'individuale, cosicché qualsiasi tipo di rivendicazione contrattuale è circoscritta all'ambito personale ed inficiata dagli stessi termini di legge. Questa idea è espressa efficacemente sempre da Bajani: «Sono storie che parlano della scomparsa di un mondo, che è quello dei padri, e dello smantellamento di un ormai anacronistico diritto del lavoro».12 E più avanti:

«Quello è un lavoro brutto [catena di montaggio], dice tuo padre [...]. I lavori brutti si vedono dal fatto che la gente si lamenta, e nei suoi trent'anni di lavoro tuo padre ha fatto tante volte sciopero davanti ai cancelli. Se si fanno gli scioperi, vuol dire che la gente sta male. Se non si fanno, tanto male evidentemente non si sta. E quelli dei call center di scioperi ne fanno molto pochi».13

 

§ IV. Un nuovo personaggio Torna al sommario dell'articolo

III. Luoghi e tempi della flessibilità

L'impossibilità di fatto della protesta sociale rende invisibile il problema. Lo slittamento del conflitto dal collettivo all'individuale, insieme all'impossibilità della rivendicazione contrattuale, definisce il campo di azione del precario: uno spazio di solitudine, che diventa anche paesaggio esistenziale.
Essendo la precarietà lavorativa un fenomeno assolutamente trasversale, il panorama degli ambienti che ne costituiscono lo sfondo è estremamente variegato. I luoghi-emblema della flessibilità più selvaggia rappresentati nella letteratura presa in esame sono l'agenzia interinale e il call-center, microcosmi in cui si condensano tutte le caratteristiche del lavoro precario: ossessione del rendimento, rapporti umani manipolati dalle strategie di marketing, inautenticità e creazione di una realtà chiusa e fittizia:

«L'agenzia interinale no.
È un negozio che vende lavoro.
Un'assurda matrioska.
Un vero non-luogo dove la merce messa in vendita è il cliente, che viene acquistato dalle inserzioni che lo attirano».14
«[...] le agenzie interinali [...] sono caporalato legale».15

Il territorio quasi esclusivo delle narrazioni è quello urbano: spazi claustrofobici, stanze in cui si lavora gomito a gomito con colleghi che rimangono lontani ed estranei; appartamenti condivisi con altri giovani perché è impossibile pagarsi un affitto da sé. La stessa frammentarietà dell'esperienza lavorativa si riflette nella dimensione spaziale. Claustrofobia e chiusura: le stesse condizioni si vivono negli spazi esteriori come nell'interiorità.
La frammentarietà si riversa anche nel tempo della narrazione. I racconti della precarietà non hanno quasi mai un andamento lineare, sono scomposti, ci presentano episodi, frammenti di realtà, testimonianze, riflessioni. Anche nelle opere in cui ci si avvicina di più alla tipologia del romanzo, l'inizio è in media res ed i finali sono aperti.
La linearità narrativa, già messa in crisi nella letteratura postmoderna, ha subito una ulteriore evoluzione con la scrittura in Rete. Paradigma e allo stesso tempo specchio, fino ad una generazione fa, dell'esistenza umana, la linearità narrativa è scomparsa: i genitori della generazione precaria erano votati a obiettivi "a lungo termine", e la linearità esistenziale compensava i sacrifici: volgendosi indietro o guardando avanti la vita assumeva un senso, un senso narrativo. Adesso invece:

«l'assenza di tutele, di sicurezze, il precariato, sono tutte facce della stessa medaglia, la condizione attuale, in cui tutto viene vissuto con ansia, un "qui e subito" che non ha certo a che fare con Goethe e con la bellezza dell'attimo, ma con il fatto che la realtà è spezzettata e ci atteniamo al dato biologico, quello imprescindibile. Un eterno adesso, gonfio di paura, tanto poi tra un'ora è un altro giorno».16

Oggi il futuro sembra scomparso, sia dagli orizzonti dei nuovi modelli economico-sociali, sia da quelli individuali. Tutto ciò si rispecchia nelle narrazioni legate alla precarietà, in cui si realizza un'intensificazione del presente, del qui ed ora, degli episodi spiccioli e quotidiani come unico orizzonte temporale possibile, praticabile, e che spesso si trasforma in una specie di dannazione, in una condanna dell'individuo all'ossimoro di un'eternità limitata e ripetitiva, senza tempo e senza storia.
La scrittura in Rete si configura come il veicolo ideale per comunicare questo stato d'animo. La caratteristica principale del post e dell'intervento all'interno dello spazio per i commenti nel blog è quella di essere concepito per la fruizione veloce, spesso con lettura a video, e di prestarsi all'innesco di una dinamica di scambio di punti di vista fra blogger, rimanendo nell'ottica che la vita di un post è limitata al tempo in cui rimane visibile nella pagina principale del blog. Si tratta quindi di una scrittura non concepita per la durata, ma per la riflessione immediata e senza futuro. Una scrittura nella quale si registra la volontà di fotografare il quotidiano, inteso anche come riflessione sugli eventi del giorno. La caratteristica della narrativa tratta dai blog è di essere di veloce lettura, e di non aspirare ad essere ricordata in quanto di rapido consumo.

 

§ V. Lo scrittore precario Torna al sommario dell'articolo

IV. Un nuovo personaggio

Il precario, come già dicevamo, è figura in cui si incarna l'ultima generazione. È una figura "sfigurata", sfuggente, definibile più per ciò che non è che per ciò che è, per ciò che non ha che per ciò che ha: non è un lavoratore, secondo la percezione comune, non è stabile, non ha autonomia, non ha un ruolo sociale definito. Scrive Mario Desiati: «Io, quasi trent'anni, precario in tutto - a trent'anni ti dicono che non sei abbastanza adulto e non sei abbastanza giovane -, io che ho quasi trent'anni e sono precario in tutto».17
È un personaggio che rischia, nello slittamento continuo da un ruolo lavorativo all'altro, di sfuggire a qualsiasi definizione che non sia quella di non essere:

«questo mese ho fatto quattro lezioni di computer all'Università della Terza Età, quattro al laboratorio di InformaGiovani, cinque traduzioni per quel tipo della Cattolica che studia tedesco, tre giorni di volantinaggio e la correzione delle bozze del libro del mio prof di tesi».18

È un personaggio che non vive un'esperienza definita; la precarietà che ne deriva ne affievolisce le certezze e appanna la sua identità, i suoi desideri. Quando può vivere un'esperienza di lavoro, le strategie della provvisorietà annullano ogni possibilità di antagonismo e tendono a spersonalizzarne le prestazioni, imponendo modelli che ne plasmano l'azione secondo paradigmi fissi e volti unicamente ad un'efficienza transitoria e limitata. Ciò impedisce qualsiasi investimento sulla propria crescita personale a favore del mero interesse aziendale. Un'evoluzione estrema della alienazione, cominciata con il processo di industrializzazione, continuato con la catena di montaggio, passata dal lavoro operaio a quello impiegatizio e persino intellettuale. E, paradossalmente, pur essendo la sua una condizione ormai di massa, il precario diventa un soggetto sociale invisibile:

«Quando gli "atipici" cominciano a diventare sufficientemente diffusi da diventare "tipici", perché continuare a definirli "atipici"? Detto altrimenti: se quella che sta diventando sempre più una norma viene considerata una situazione di "eccezione", non si sta forse sottovalutando, scientemente, il problema?»19

E la precarietà si sposta dal campo del lavoro agli altri aspetti dell'esistenza: amori "liquidi", impegno politico, quando c'è, confuso e mutante, rapporti familiari esili. L'unica certezza è quella dell'incertezza. Il precario rischia anche, letterariamente, di trasformarsi in una maschera, come nella commedia dell'arte: la maschera dell'italiano del Ventunesimo secolo.
Si registra inoltre in questi personaggi una forte componente autobiografica. Parliamo quasi esclusivamente di giovani scrittori, spesso alla loro opera prima. Vi è una sostanziale identità tra la loro esperienza di vita e la materia narrata: testi autobiografici, diari, blog sono all'origine dei loro libri. È il caso di Michela Murgia, il cui romanzo Il mondo deve sapere (2006) è la versione cartacea del suo blog. Gli autori hanno quindi un rapporto coinvolto con la materia narrata, ma raggiungono il punto di vista della distanza mediante un'ironia pervasiva ed amara. Tutti hanno vissuto, almeno una volta, l'esperienza del lavoro precario, nei più svariati ambiti. In vari casi la loro scrittura si è sviluppata anche a partire dall'incontro con altri protagonisti di storie di precariato, attraverso interviste o inchieste sul campo, come nel caso di Nove, che traccia una mappa del lavoro precario attraverso una serie di colloqui collegati da un suo commento di autore-narratore, o di Bajani, il cui Mi spezzo ma non m'impiego nasce da una vera e propria indagine sul mondo dei precari. Scrittori outsider, protagonisti della blogosfera e coinvolti nella modalità della scrittura fluida, investiti in pieno dal flusso di ibridazioni e contaminazioni che contraddistingue la nostra epoca e la nostra cultura: questi sono i narratori del precariato.
Non ci troviamo di fronte al romanziere-scrittore tradizionale, ma piuttosto a figure che stanno al crocevia tra l'antropologo, il saggista, l'osservatore di costume, l'aforista, lo sceneggiatore, l'autore di teatro.
Uno degli aspetti più paradossali di questi autori è che ribaltano, almeno ad una prima lettura, l'equivalenza consolidata tra "giovane" e "nuovo": nei loro scritti si esprime la nostalgia per un passato, peraltro recente, in cui i diritti dei lavoratori sembravano acquisiti per sempre, come si percepisce in questo brano della Murgia:

«Il contratto è il micidiale Co.co.pro, il contratto a progetto varato dalla nuova riforma sul lavoro del governo Berlusca, che ha fatto passare come giuste e legali tutte le violazioni dei diritti minimi del lavoratore ottenute in anni di lotta sindacale, quando i sindacati erano ancora una cosa seria: non ci sono ferie, non ci sono malattie retribuite, non ci sono tredicesime, i contributi te li devi pagare tu per un terzo... a conti fatti, se ti ammali sono cazzi tuoi, se devi assentarti anche, se rimani incinta cerca di fartela durare al massimo due mesi, altrimenti il tuo posto decade con un preavviso di sette giorni senza condizionale».20

 

§ VI. Bibliografia Torna al sommario dell'articolo

V. Lo scrittore precario

Nasce con questi scrittori la prima narrativa giovanile, e quindi antagonista, che si potrebbe definire "conservatrice": un ossimoro, in termini di tradizione letteraria. Rispetto alla contaminazione21 della prosa con il linguaggio parlato, quello televisivo e pubblicitario, questa narrativa compie un ulteriore passo in avanti: emerge da questi libri l'evoluzione continua e rapida delle forme di scrittura, con inclusione di SMS, di e-mail (che appaiono nella loro forma originale ad esempio nel libro Generazione mille euro di Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa) fino, da un punto di vista strettamente linguistico, all'adozione di anglismi. Ma la novità è l'uso estremamente diffuso di termini derivati dal linguaggio legislativo, politico, dell'analisi sociologica e economica, che passano dal glossario puramente tecnico a definire una nuova situazione esistenziale, mentre scompaiono tutte quelle parole che rimandavano alla stabilità lavorativa:

«Marketing di te stesso [...]. "La tecnica delle quattro P". Posizionamento, Prezzo, Punti vendita, Promozione. Si tratta di una strategia diffusa di marketing di prodotto. L'elemento innovativo è che il prodotto sei tu. Il posizionamento è spiegato così: "Siete una 'merce' rara? O siete un 'prodotto' generico che si può trovare dovunque? Avete delle particolarità? Siete più da boutique o da supermercato?" La descrizione del Prezzo è più prosaicamente didascalica ("Quanto costate all'azienda?"), così come quella dei Punti vendita nei quali andarsi a mettere in vetrina ("A quali tipologie di impresa intendete offrirvi?")».22

I nuovi narratori usano consapevolmente un linguaggio basso, incentrato sulla descrizione dell'azione quotidiana e corredato da dialoghi battenti, spesso senza indulgere nello psicologismo e nell'intimismo: sembrano quasi spremere la loro vita e le loro conoscenze per dare energia alla lingua. Usano inoltre nuove forme del raccontare che sono difficilmente catalogabili secondo i canoni letterari tradizionali.
La loro scrittura mostra refrattarietà alla forma romanzo, riconfermando in questo un dato costante di tutta la letteratura italiana contemporanea, approfitta dell'apertura del genere, per creare opere che intersecano il reportage-inchiesta con il saggio, l'intervista con il diario/blog.23 Ed è interessante osservare come in questi ultimi anni lo slittamento di contenuti e modi di scrittura sia bidirezionale, e vada non solo dalla saggistica alla narrativa, ma anche viceversa: parole e concetti che dimorano nei romanzi (quando non nella poesia) - deriva, destino, insensatezza, ricerca di sé, viaggio - compaiono nei saggi di economisti, sociologi, filosofi per descrivere la "nuova economia".
Inoltre in questi ultimissimi anni la rappresentazione della gente comune alle prese con i problemi della vita quotidiana, soprattutto quelli del versante lavorativo, è entrata di prepotenza nella pagina scritta. Dalla immediatamente precedente stagione pulp che sostituiva alla realtà la sua simulazione televisiva e pubblicitaria, si è passati ad una trascrizione del reale e del tessuto sociale della precarietà. Afferma in un'intervista Mario Desiati:

«Sotto il sole c'è una fortissima letteratura delle cose. Sta tornando la scrittura della realtà e su questo credo che sarà molto importante un genere di narrazione a metà strada tra romanzo e reportage narrativo. Credo che Gomorra di Roberto Saviano sia la vera novità del 2006».24

Il riferimento esplicito al caso editoriale degli ultimi anni riporta ancora una volta in primo piano la difficoltà di classificare i testi di cui ci stiamo occupando: non sono romanzi, non sono saggi, non è nulla di immediatamente identificabile. Questo genere di letteratura, al crocevia fra romanzo e saggio, è la novità editoriale degli ultimi anni. Wu Ming 1 sostiene che

«non è soltanto un'ibridazione "endo-letteraria", entro i generi della letteratura, bensì l'utilizzo di qualunque cosa possa servire allo scopo. [...] Oggi dobbiamo registrare l'inservibilità delle definizioni consolidate. Inclusa, quella di "postmoderno", perché qui l'uso di diversi stilemi, registri e linguaggi non è filtrato dall'ironia fredda nei confronti di quei materiali».25

Il saggio sul New Italian Epic di Wu Ming 1 tocca anche la questione della transmedialità,26 o passaggio dei temi e motivi da supporto a supporto, e dell'interazione fra scrittore e lettore. La percorribilità del medium interseca quella dei generi. Non si tratta più del cross-genre postmoderno, ma di un innesto che presenta peculiarità nuove. Con transmedialità intergenerica si tenta di definire il quasi-romanzo27 o gli Unidentified Narrative Objects (UNO). Il punto centrale della discussione sugli UNO o quasi-romanzi, consiste nella considerazione che una certa compagine creativa italiana, che si colloca a metà fra l'impegno sociale e la narrazione, è artefice di un prodotto editoriale il cui genere è impossibile da definire e quindi si sta tentando di coniare per lo meno un termine di riferimento. Gli oggetti narrativi si sono moltiplicati nel mercato editoriale italiano, cominciando dai casi più eclatanti, cioè Gomorra di Roberto Saviano, La Casta di Gianantonio Stella, e appunto grande parte della narrativa del precariato.
Nell'ultimo secolo in Italia c'è stata un'importante letteratura industriale: quella che ha raccontato il lavoro, i lavoratori, le lavoratrici, le loro lotte, le loro passioni, dal Verga di Rosso Malpelo agli impiegati di Svevo, dal Calvino di Marcovaldo al Pratolini di Metello fino al Balestrini di Vogliamo tutto. Oggi è possibile una letteratura del lavoro? Si può scriverne, nonostante il precariato, come forma liquida, fluida, destrutturata, sia refrattario alla rappresentazione? Un carattere distintivo del precario è apparentemente questa sua irrapresentabilità, che non è solo segno di una difficoltà della teoria e della politica a comprenderne i mutamenti e a interpretarli, ma anche di una fuga soggettiva da una realtà incomprensibile. Le opere di questa nuova generazione di scrittori, tuttavia, sembrano rispondere positivamente a questo quesito: si può scriverne, se ne possono rappresentare inquietudini, ambiguità e incertezze innestandole direttamente nel flusso stesso della precarietà. È l'ultimo atto della letteratura degli antieroi, degli inetti. E da narrativa del lavoro precario si estende a narrativa del precariato esistenziale, con protagonista un tipo antropologico nuovo, difficile da raccontare con le categorie e il linguaggio della letteratura tradizionale. La posta in gioco "narrativa" ci dà la misura dell'importanza letteraria di questi scritti: solo una vita raccontabile è una vita dotata di senso, ed è con la narrazione che si dà senso al mondo. Sembra ora, dalla frammentarietà e parzialità dei mondi narrati, che ciò sia diventato molto difficile. Come scrive il già citato Incorvaia in Generazione mille euro:

«Precario, precario, precario.
Nessuna garanzia, terrorismo psicologico, ricatti, minacce. Contratti a tempo che si schiantano contro binari morti o, nella migliore delle ipotesi, altri contratti a tempo. Senza poter programmare né il futuro né il presente».28
«Questo non è precariato di lavoro, questo è precariato sociale. Una spada di Damocle che pende costantemente sulla tua testa, sulle tue ambizioni, sui tuoi progetti».29


Se la forma del romanzo moderno era l'occasione per la costruzione dell'idea moderna di individuo, oggi questo strumento diventa sfuggente quanto il tipo umano che si propone di rappresentare. Può darsi che la narrativa della precarietà sia anche una moda, in parte sfruttata dal mercato editoriale: c'è quindi il rischio di trasformare la precarietà in feticcio, e il mercato editoriale ha sicuramente colto questo aspetto. Ma essa è anche voce di un'urgenza:

«Parlano, queste storie, di drammi piccoli.
Drammi meschini.
Irraccontabili.
Tragedie normali.
Meschine come la vita che ci hanno cucito addosso.
E che controlliamo vesta bene.
[...]
Parlano di noi.
Storie.
Urgenti.
Sono dappertutto.

Vanno raccolte.
Dobbiamo dircele».30

Aggirando completamente l'ostacolo della tendenza editoriale in cui il mercato, cavalcando l'onda di questa letteratura, ha tentato di trasformarla, uno degli ultimi UNO apparsi è Personaggi precari (2007) di Vanni Santoni. Si tratta, più che dell'ennesima pseudo-cronaca romanzata dell'esperienza precaria, di un libro sulle occasioni perdute, sulla necessità di scavare a fondo nel personaggio precario senza necessariamente contestualizzarlo in un plot. Di particolare rilievo è il dettaglio naturalistico che emerge da alcuni dei bozzetti in cui consiste la non-narrazione. Questi quadri aprono squarci di realtà, che conferiscono una qualità da dimensione globale a questa precarietà, quasi a dimostrare che il senso di precarietà è un tratto della natura umana, scollegato dal contesto economico e sociale strettamente italiano. Nelle caratterizzazioni abbozzate di Santoni si avverte un senso fortemente creaturale, una simpatia per l'umano in eccesso rispetto al discorso sulla narrativa del precariato, che qui si amplifica in maniera vertiginosa. Il tono narrativo qui eccede l'esistenziale e diventa, appunto, creaturale. Santoni punta a spogliare l'uomo e presentarlo nudo, i plot che potrebbero veicolare i personaggi restano sospesi nell'infinita possibilità di intrecci e nel conseguente azzeramento dell'intreccio, la caratterizzazione di molti dei personaggi basata esclusivamente sull'abbigliamento e sugli accessori veicola impossibilità di definirsi, in mancanza del ruolo sociale dato dal lavoro fisso, se non consumando. Come recita l'apertura:

«Mai come in quest'epoca di creatività spente e stereotipi c'è stato bisogno di personaggi disposti alla flessibilità. Solo così, ci dicono gli esperti, avremo una ripresa nel livello della creatività media. I personaggi offerti da "personaggi precari" sono disposti ad apparire indifferentemente in commedie, racconti, cortometraggi e lungometraggi, giochi di ruolo, serial tv, atti teatrali tradizionali e sperimentali, cartoni animati, romanzi, fumetti, trasmissioni radio e telefilm. I personaggi offerti da "personaggi precari" sono disposti ad accettare ruoli sia primari che marginali, a tempo determinato o indeterminato, e autorizzano il datore di lavoro a disporre delle proprie prestazioni in modo assolutamente arbitrario, arrivando anche a umiliarli o ucciderli se il plot dovesse richiederlo. I personaggi offerti da "personaggi precari" sono pienamente consapevoli della propria condizione di personaggio flessibile, atipico, interinale, sostanzialmente precario, e perciò non opporranno alcuna obiezione di utilizzo pur di lavorare. Perchè la ripresa passa attraverso la flessibilità, o no?»31

Questo approccio alla precarietà come condizione esistenziale emerge soprattutto dai nuovi modi di "fare comunità", che comportano un rinnovato rapporto con il reale. Le nuove generazioni utilizzano internet come filtro tra sé e la realtà. I contenuti condivisi negli ambienti in rete, come blog e social network, sono generati dal basso e rappresentano quindi una diffusione capillare del pensiero critico. Per quanto riguarda gli effetti già rintracciabili nella narrativa di questi anni, quello che salta più agli occhi è la riaffermazione del sé, il produrre contenuto attraverso l'analisi dell'esperienza. Non si tratta di una realtà virtuale e alternativa rispetto a quella attuale, ma della realtà in cui gli scrittori e i fruitori di narrativa formano comunità attraverso la condivisione e la discussione dei contenuti. La produzione transmediale degli ultimi anni conferma che i contenuti si diffondono in maniera capillare sui diversi medium. Il caso emblematico di Vanni Santoni, progetto maturato in rete grazie al commentario critico32 dei lettori, e in seguito divenuto libro, poi rubrica su un quotidiano, atto teatrale, e infine pièce radiofonica. Il fenomeno relativamente recente del precariato ha fatto sì che si sia creata comunità in rete sia per discutere in modo critico, sia per creare forme di narrazione che veicolassero la natura esistenziale del problema. Il caso più recente di narrazione in rete sul tema del precariato, è quello del blog Scrittori precari di Simone Ghelli e Gianluca Liguori, da cui vengono tratti reading pubblici e antologie di racconti.33 La decisione di narrare il precariato ancora una volta deriva dall'esperienza diretta e conferma il tratto esistenziale comune ad un'intera generazione.
La comunità in rete quindi si crea spontaneamente quando vengono sollevate tematiche che vengono percepite come condivise: su internet l'interesse di un gruppo di persone per un tema specifico si traduce immediatamente in community. D'altro canto, la narrativa pubblicata che tratta tematiche condivise da una potenziale comunità di lettori trova in rete terreno fertile per spin off narrativi (come per esempio il blog di Personaggi precari). 34
Questo è all'altezza del 2009 lo sviluppo che sta avendo la narrazione della precarietà come esperienza condivisa, in rete e in forma pubblicata.

 

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VI. Bibliografia

  • Accornero, Aris - San Precario lavora per noi, Milano, Rizzoli, 2006.
  • Adinolfi, Mario - Email, lettera dalla generazione invisibile, Matelica (Macerata), Halley Editrice, 2004.
  • Bajani, Andrea - Cordiali saluti, Torino, Einaudi, 2005.
  • Id. - Mi spezzo ma non m'impiego, Torino, Einaudi, 2006.
  • Bauman, Zygmunt - Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2006.
  • Biagini, Maurizio - Tempo determinato. Racconti di precariato militante, Lulu.com, 2008.
  • Cassini, Maria Teresa e Alessandro Castellari (a cura di) - La donna è mobile. 11 storie di normale precariato femminile, Bologna, Alberto Perdisa Editore, 2006.
  • Desiati, Mario - Vita precaria e amore eterno, Milano, Mondadori, 2006.
  • Id. e Tarcisio Tarquini - Laboriosi oroscopi. Diciotto racconti sul lavoro, la precarietà e la disoccupazione, Roma, Ediesse, 2006.
  • Dezio, Francesco - Nicola Rubino è entrato in fabbrica, Milano, Feltrinelli, 2004.
  • Falco, Giorgio - Pausa caffè, Milano, Sironi, 2004.
  • Ferro, Vito - Cerco lavoro, Lulu.com, 2007.
  • Furini, Luigi - Volevo solo lavorare, Milano, Garzanti, 2008.
  • Giovannetti, Paolo - La letteratura italiana moderna e contemporanea, Roma, Carocci, 2001.
  • Incorvaia, Antonio e Alessandro Rimassa - Generazione mille euro, Milano, Rizzoli, 2006.
  • Jones, Babsi - Sappiano le mie parole di sangue, Milano, Rizzoli, 2007.
  • La Porta, Filippo - La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.
  • Lognoli, David - Ricerca precaria, Lulu.com, 2007.
  • Monaco, Marilisa - Il momento è atipico, Milano, Terre di mezzo, 2006.
  • Murgia, Michela - Il mondo deve sapere, Milano, Isbn Edizioni, 2006.
  • Nove, Aldo - Il mio nome è Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese, Einaudi, Torino, 2006.
  • Paris, Renzo - Romanzi di culto. Sulla nuova tribù dei narratori e sui loro biechi recensori, Roma, Castelvecchi, 1995.
  • Platania, Federico - Buon lavoro, Ravenna, Fernandel, 2006.
  • Santoni, Vanni - Personaggi precari, Milano, RGB, 2007.
  • Tu quando scadi?, San Cesario (Lecce), Manni Editore, 2005.
  • Wu Ming - New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009.

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2009

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Giugno-dicembre 2009, n. 1-2


 

 

 

 

 

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