Aldo Nove, Milano non è Milano, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. VI-145, € 30,00.
di Guido Michelone

 

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Esistono grosso modo tre differenti tipologie di guide turistiche: la più antica riguarda i Baedeker, le Michelin, le rosse del Touring e in genere gli asettici dettagliatissimi elenchi di templi, musei, palazzi, monumenti; la più recente concerne la moda delle riviste trendy di pubblicare itinerari d'attualità all'interno del presenzialismo merceologico: liste commentate di negozi, caffè, ristoranti, che invecchiano con la pubblicazione medesima, insomma questione di giorni, settimane o mesi; la più innovativa forse è la guida d'autore, di cui esiste un abbondante letteratura a partite dal gran tour di origine preromantica: ma lo scopo primigenio qui viene però a mancare, trattandosi più di viaggi iniziatici dei singoli poeti o romanzieri, che di sguardi obiettivi da turista, viaggiatore, pellegrino o villeggiante.
La proposta di Aldo Nove con Milano non è Milano apparterrebbe a quest'ultima tipologia se non altro per l'autorialità dello scrivente, personaggio di spicco da circa un decennio nella cosiddetta letteratura pulp: tuttavia l'idea e l'articolazione del singolare volumetto di proposito sfuggono alla tradizionale prosa dell'occhiata personalistica sul luogo amato: non è la guida ai particolarismi che nessun lettore sa riconoscere, come accade per molti classici (e moderni) che si sono confrontati con città famose o località amene. Al contrario la Milano di Aldo Nove è riconoscibilissima, proprio perché affrontata in tutte le ordinarie peculiarità, con una visione a 360 gradi, che non risparmia il bello, ma nemmeno il brutto di un'importante metropoli, forse l'unica a vocazione europea che possa vantare l'Italia degli ultimi cinquant'anni.
Aldo Nove indossa i panni dell'esploratore postmoderno, ricavando un'etnografia urbana di grande fascino letterario, perché riesce intelligentemente a comportarsi tanto da scienziato antropologo quanto da artista pop che da un lato coglie riti sociali, immaginari collettivi, abitudini quotidiane, tic di massa, dall'altro descrive le cose alla Blanchot, alla Perec, alla Benjamin, lo cose ovvero gli oggetti, le merci, gli ambienti, le genti con l'oggettività serializzante che in apparenza, come Andy Warhol, fotografa con iperrealtà obiettiva, ma che nel profondo critica duramente il sistema con l'arma dell'ironia, della citazione, del moltiplicare all'infinto (ancora Warhol, ma anche il Nanni Balestrini degli anni Settanta) gli specchi ingannevoli di una neorealtà superplastificata.
Tutto questo appare già nel titolo, quasi filsoficamente ontologico, Milano non è Milano, come a dire che la città non è più la stessa, non è più se stessa o forse è ormai un pallido simulacro o solo uno squallido luccicante non-luogo alla Marc Augé.
Tanto i teatrini urbani descritti da Aldo Nove sono brutti, quanto lo stile narrativo risulta entusiasmante: la scrittura dell'Autore è infatti uno strumento fenomenale nel parafrasare, rincorrere, emulare, seguire, adulare la prosa alta e quella bassa con la quale storicamente furono inventate le guide turistiche: e le tre tipologie, di cui si parlava all'inizio, vengono genialmente presentate, riunite, stravolte in un pot-pourri di genio assoluto.

 

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Giugno-dicembre 2005, n. 1-2