Giuseppe Lupo (a cura di), Sinisgalli a Milano. Poesia, pittura, architettura e industria dagli anni Trenta agli anni Sessanta. Con testi inediti, Novara, Interlinea, 2002, pp. 272, € 15,00
di Matteo Veronesi

 

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Non è certo possibile, nella breve economia di questa segnalazione, ripercorrere, fosse pure per sommi capi, la complessa questione dei rapporti tra scienza e poesia, due domini la cui separazione (che data almeno da quando, per alludere a certi versi di Eliot su cui medita anche il Morin della Tête bien faite, la Sapienza si è declinata in scienza, e la scienza si è frantumata in miriadi di saperi) segna un trauma forse immedicabile - una sorta di "ferita fonda", come direbbero Ungaretti e Jaspers - della civiltà moderna. È però interessante almeno accennare ad uno degli aspetti più rilevanti su cui si è imperniata, dal Richards di Science and poetry al celebre saggio dello Snow (ma si pensi già a quella pagina del Saggiatore sulla natura che "non si diletta di poesie" e rigetta "favole e finzioni") la polemica intorno ai rapporti e agli equilibri che si pongono fra le "due culture": quello del conflitto di linguaggi che si crea fra queste due modalità di espressione delle facoltà umane, fra gli "statements" referenziali, concreti, tendenti ad uno statuto di oggettività quantitativa e descrittiva, propri del discorso scientifico, e gli "pseudo-statements", evocativi, allusivi, analogici, di cui si avvale quello poetico. Sinisgalli è forse, accanto all'ultimo Calvino (che peraltro il poeta di Montemurro, in un diario inedito reso noto proprio nel volume ora in questione, accusava di usare, nel suo "dilettantismo" e nella sua "tenera confusione", la scienza come materia, se non puro pretesto, di "fantascienza"), uno degli scrittori italiani del Novecento che con maggior convinzione hanno tentato - in modo tenace, assiduo, pienamente autocosciente, e si potrebbe quasi dire sistematico - di assottigliare le barriere fra questi due emisferi della ricerca intellettuale, facendoli interagire in una sorta di cortocircuito o di processo osmotico.
Proprio questo ampio e ricco volume, che raccoglie diversi contributi (tra cui ricordo almeno quello, finissimo come di consueto, di Silvio Ramat, che ricostruisce i rapporti del poeta con Milano, intesa sia come fonte di suggestione e d'ispirazione che come crocevia di rapporti, contatti e sodalizi culturali, e quello di Antonio Di Silvestro, che muove da minuti rilievi di natura lessicografica e concordanziale per approdare ad una intensa illuminazione della "geometria interiore" del poeta, della sua "armonica dissonanza", della quasi matematica "misura" compositiva e strutturale che egli impone alla sua "voce") e presenta per la prima volta al lettore moderno materiali inediti, può sollecitare, nell'attesa che veda finalmente la luce il "Meridiano" da troppo tempo auspicato, un'interpretazione d'insieme dell'opera di Sinisgalli, che comprende, accanto ai versi, e in organica e quasi sistematica connessione con essi, anche la saggistica di vario argomento, la prosa d'invenzione e di memoria e una critica figurativa condotta secondo quelle stesse modalità, raziocinanti e insieme immaginose, che troviamo nell'Éluard di Donner à voir o nel Valéry interprete di Degas.
È stato già sottolineato più volte come la poetica di Sinisgalli sviluppi al proprio interno (in stretto contatto con la riflessione di Valéry da L'Âme et la danse a Eupalinos ou de l'architecture a Monsieur Teste, e prima ancora con la linea di pensiero che dal Poe della Philosophy of composition conduce al Baudelaire della Genèse d'un poème, risoluto nel porre alla radice del fatto poetico la "sobrietà crudele" dell'"espit analytique") una sorta di geometria delle sensazioni, di algebra dell'ispirazione, di calcolo razionale e progettuale che domina e coordina i sussulti dell'afflato lirico e il discontinuo fluire delle esperienze e delle memorie; "geometria barocca", peraltro, come la definisce l'autore stesso, non euclidea, aperta alle dissimmetrie, alle anomalie, agli imprevisti, finanche alla casualità della mano e della penna che inseguono se stesse e il proprio estro - un po', si potrebbe dire, come nell'ininterrotto e infinitamente variato discorso figurativo dell'amico Lucio Fontana, dedicatario di un'Ode del poeta, e i cui Concetti spaziali accolgono, nelle strutture profonde e nelle pieghe segrete celate sotto la loro razionalità e le loro geometrie severe e quasi ostentate, anomalie, squilibri, impure e contaminanti irruzioni di materiali e di scorie.
Mi pare che proprio questa interazione e questa sintonia di invenzione poetica e lucida coscienza critico-estetica (accanto all'identificazione, comune anche agli ermetici, di vita e letteratura, esistenza e poesia, attestata, in questo volume, da una splendida lettera inedita del '47 ad Alberto Mondadori, in cui Sinisgalli confida di avere dolorosamente decantato e trasfuso, "parola per parola", tutta la propria esistenza in quella poesia che sola sapeva donargli una ungarettiana "rara felicità") possa rappresentare, per così dire, l'ardente crogiolo, il calor bianco che accende e rastrema, fondendoli nella sua fiamma unita e duplice, il pensiero della scienza e quello dell'arte.

 

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