Juan Gelman, Nel rovescio del mondo, con note di G. Conte e J. Boccanera, trad. it. di L. Branchini, testo spagnolo a fronte, Novara, Interlinea, 2003, pp. 74, € 10,00.
di Laura Toppan

 

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Nel 2003 il premio di poesia LericiPea è stato assegnato alla voce più autentica, viva e drammatica dell'America Latina: Juan Gelman. Nato a Buenos Aires nel 1930 da famiglia ebrea emigrata in Argentina, da giovane studente fu portavoce della resistenza politica alla dittatura militare del generale Rafael Videla. Ricercato dalla polizia si rifugiò in Italia e la furia dei suoi persecutori si scagliò contro il figlio e la nuora che furono barbaramente assassinati. La loro figlia nacque in campo di prigionia e se ne persero le tracce: «ti cerco, nipote, per riconoscere in te mio figlio. Siamo entrambi orfani della stessa persona». Solo nel 2000, dopo ventitré anni di ricerche, è riuscito a ritrovarla e pur avendo ottenuto la grazia ha scelto il Messico, paese della moglie, alla "patria".
Malgrado una vita segnata dalla sofferenza e dalla perdita, la poesia di Gelman non gronda di ideologia, anzi si chiede: «perché [...] / [...] avrebbe dovuto raccontare / le processioni della memoria terribile / dentro la carne che si incurva?». Il suo è un percorso verso la Conoscenza e la Verità, al di là degli eventi, al di là della storia e la fede in questa "negletta" tra le arti ritorna in apertura del volumetto Nel rovescio del mondo con l'inedito Noblezas: «Non chiede nemmeno una visita. / Le basta quel che non è successo». Un procedere per negazioni, tipico della poesia di Gelman, come per interrogativi (che in spagnolo si sdoppiano e si specchiano reciprocamente), per antinomie ed ossimori. Li ritroviamo in Carta a mi madre, una sorta di lunga riflessione e questionnement ove il poeta, dall'esilio siderale ed incolmabile in cui si trova, dialoga con la madre lontana, da poco morta in patria. In una nota Giuseppe Conte ne sottolinea «il moto ondoso e sincopato, a tratti singhiozzante» e colpisce l'uso della barretta "/" che rende la musica «quasi matematica, come scandita da un metronomo interiore, capace di sbalzi, umori, visioni»: «[...] / ¿por eso escribo versos? / ¿para volver al vientre donde toda palabra va a nacer? [...] ¿te déstruís conmigo como palabra en la palabra?» La poesia è un simulacro della madre? Il poeta scrive per distruggere la madre, e lei non gli rinascerà? Nascono sostantivi come «morirvivir», ove «corpo e anima sono volti di una stessa misteriosa lontananza cosmica e il miracolo eterno della poesia che si rinnova».
La seconda parte del volumetto si apre con una nota fine e delicata di Jorge Boccanera sulla raccolta Valer la pena (poesie scritte tra il 1996 e il 2000) edita nel 2001 a Buenos Aires, inedita in Italia. Già il titolo conduce all'essenziale, alla ricerca del senso delle cose e della vita. Ed è proprio la doppia ricerca, della nipote scomparsa e della parola, che orchestra l'intera raccolta di Gelman. I titoli dei singoli componimenti partono dal quotidiano, come Fumi, Misure, La seggiolina, La chiave del gas, per scatenare una serie di riflessioni metafisiche, come in, alternate ad un'attenzione al mondo naturale, come Tortore, Le acque, Vigne. Il ritmo interno delle poesie alterna una serie infinita di enjambements, che suscitano l'impressione di un fiume in piena, ad un verso spezzato dalle cesure, dalla puntuazione e basato sulla ripetizione, quasi un martellamento della parola: così all'impeto del dolore della ricerca («racconto ossa e sangue del sogno che verrà»), si alterna la volontà di non dimenticare, di fissare nella memoria volti e immagini. La storia dialoga con la speranza, i «vuoti» e i «pieni» si alternano, ed una volta di più la poesia di Gelman si presenta come un «linguaggio calcinato» in un territorio in cui è il silenzio a detenere l'ultima parola.

 

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