Romano Luperini, Breviario di critica, Napoli, Guida, 2002, pp. 134, € 9,30
di Bijoy M. Trentin

 

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In questo Breviario Luperini ritorna su alcuni temi e problemi di teoria, critica e didattica della letteratura a lui cari e già presenti in alcuni suoi recenti lavori (si vedano, a esempio, i volumi Il dialogo e il conflitto. Per un'ermeneutica materialiastica, Roma-Bari, Laterza, 1999; Controtempo. Critica e letteratura fra moderno e postmoderno: proposte, polemiche e bilanci di fine secolo, Napoli, Liguori, 1999; Insegnare la letteratura oggi, Lecce, Piero Manni, 2000, seconda edizione di Il professore come intellettuale, Milano-Lecce, Lupetti-Manni, 1998). L'articolato e complesso, seppur sintetico, percorso di Luperini, che procede a spirale nell'indagine e nella costruzione della teoria (si noti, infatti, la disposizione dei capitoli: I La lezione di Timpanaro, il materialismo e la formazione di una generazione; II Ancora sulla formazione di una generazione: la critica e le riviste letterarie; III Critica letteraria e insegnamento della letteratura; IV La situazione attuale: la critica della crisi; V Il modello Debenedetti; VI La critica, la lettura, il canone; VII Ancora sul canone: il caso del Novecento; VIII Le ragioni della storiografia letteraria; IX La critica e l'allegoria; X L'ermeneutica e il pensiero di Gramsci; XI Il dialogo e il conflitto: per un'ermeneutica materialistica), è condotto attraverso i medesimi punti di vista che sono oggetto del libro, come l'ermeneutica, l'allegoria, la prospettiva storico-antropologica, pragmatica e relativistica. Luperini intende recuperare e rivalutare la dimensione storica e sociale della letteratura e della critica letteraria, contrariamente a quanto avviene in alcune odierne indagini neoidelistiche o nichilistiche, e intende fondare una civiltà del dialogo, anche se oggi esso non è ancora completamente possibile, poiché vive a stretto contatto con le forme del conflitto. La trasposizione didattica del modello teorico è molto importante, perché ha elevate potenzialità educative e formative, come dimostra la recente storia-antologia della letteratura italiana curata da Romano Luperini, Pietro Cataldi e Lidia Marchiani (La scrittura e l'interpretazione. Storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea, Palermo, Palumbo, 1996-98, 6 volumi [edizione blu]), che prende in considerazione il dialogo e il conflitto tra le diverse interpretazioni e il problema della ricezione come elementi fondamentali per la creazione del significato per noi dei testi, e come si può notare anche nelle storie-antologie successive a quella di Luperini (e altri), che prendono in considerazione, solitamente in maniera parziale, la prospettiva ermeneutica o l'importanza del dibattito critico intorno ai testi (si vedano, a esempio, i recenti corsi di letteratura pubblicati presso le case editrici Sansoni e Bruno Mondadori).

L'ermeneutica, che «vuole conoscere l'altro, il diverso, il lontano da noi attraverso la dialettica del dialogo» (p. 125), deve essere, per Luperini, materialistica, cioè deve riconoscere la «materialità» e la «datità» (p. 128) del testo: l'interpretazione e il «contenuto di verità» si devono fondare sul «contenuto di fatto»; ma il senso letterale di un'opera è immediatamente e inscindibilmente collegato «allo spettro dei suoi significati simbolici» (p. 130). L'ermeneutica materialistica è «consapevole della parzialità non solo di ogni posizione - e dunque anche della propria -, ma anche dell'intero assetto culturale, e prima ancora sociale e civile, in cui essa si colloca» (p. 132). La libertà dell'ermeneutica non deve essere intesa come arbitrio, poiché è sempre «vincolata alla conoscenza testuale e storica e alla possibilità di verifica dei lettori»: il critico materialista «accetta pienamente il terreno della relatività dei valori e la pratica di scrittura saggistica che ne deriva», ma «rifiuta tanto il nichilismo quanto il misticismo ontologico e le pratiche di scrittura narcisistiche che ne derivano» (p. 131).
La prospettiva dell'ermeneutica (materialistica) deve essere, per Luperini, presente anche nelle scuole, perché educa al dialogo, allena alla democrazia: la classe si deve trasformare in comunità interpretante e la formula della «centralità del testo», che «implica un atteggiamento piú passivo, piú oggettivo e descrittivo da parte dell'interprete», deve essere modificata con quella della «centralità della lettura», che «esalta invece il momento della partecipazione interpretante, grazie al quale gli studenti diventano protagonisti dell'insegnamento» (p.46). Il lettore può partecipare e essere coinvolto in maniera viva e attiva nel senso del testo: egli, infatti, mira a definire il «significato per noi» dell'opera, non esponendo «solo espressioni immediate e soggettive di lettura», ma tentando anche di «mostrare il carattere universale del suo giudizio» (p. 47). Luperini afferma che l'interpretazione critica dei testi è sempre allegorica: l'allegoria moderna, che è caratterizzata da una concezione della verità di tipo pragmatico e relativistico, non solo è un oggetto di studio, ma anche un «metodo materialistico di conoscenza che presuppone […] la coscienza dei limiti gnoseologici della conoscenza [stessa]» e la critica «dichiara che un testo, il quale ha un senso storico determinato, assume in realtà per noi un "altro" significato» (pp. 115-6).

All'interno dell'orizzonte ermeneutico, la critica, che oggi è in crisi, per riprendersi deve recuperare il proprio «compito sociale volto a configurare una civiltà di dialogo» (p. 66), essendo consapevole dell'importanza della propria «funzione storico-antropologica» e non restando prigioniera del proprio «ruolo istituzionale» (p.80), e il critico - ma anche il professore di italiano della scuola media superiore - deve essere un «mediatore culturale», che «selezion[a], conserv[a] e t[iene] in riuso il patrimonio letterario di una comunità» (pp. 60-1).
Discutere sul canone significa discutere sull'«identità culturale di un popolo o di un insieme di popoli, dunque di una civiltà», «contro ogni dogmatismo come contro ogni nichilismo» (p.83): il canone può essere a parte obiecti, cioè quello che «fanno gli autori, con la loro autorità», oppure a parte subiecti, cioè quello che «fanno i critici, il pubblico, le istituzioni educative, la politica culturale dei governi e delle case editrici» (pp. 81-2). Il canone e la storiografia letteraria sono fortemente legati: questa, infatti, «seleziona, propone e "salva" dall'oblio un determinato patrimonio letterario» (p. 100); la storia della letteratura deve essere anche storia del canone: essa deve tenere in considerazione i processi di costruzione della tradizione letteraria nel tempo e il «dibattito teorico, metodologico e critico da cui l'operazione storiografica è nata e in cui di necessità i suoi autori s'inseriscono» (p. 105).

 

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Dicembre 2003, n. 2