Enza Biagini
La Repubblica europea delle lettere. Teoria

Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata


Sommario
I.
II.
III.
Premessa
La questione della letteratura europea
Lo stato attuale della questione



§ II. La questione della letteratura europea

I. Premessa

La traccia che segue è da intendersi, in quanto ai presupposti, sotto il segno del percorso riflessivo di Adrian Marino e del suo ampio affresco storico-teorico, dedicato proprio alla «Repubblica delle lettere».1 Mi pongo sotto l'ala di Marino, non solo per la sua esemplarità ma anche per prudenza: da Vico in poi si usa ricordare che si può parlare solo di ciò che si conosce. Perciò, l'invito a varcare la soglia un po' rischiosa della cittadella che, a partire dai vari Bayle, Voltaire, viene definita anche in modo satirico come la «Repubblica delle lettere», mi pone subito dei problemi di identità: assimilando questo io all'orticello che io coltivo, quello della teoria della letteratura.2
Un hortus abbastanza conclusus dove, è noto, hanno corso domande circa le definizioni sulla natura e sulla funzione della letteratura. Definizioni che, in un certo senso, sono indirizzate verso identificazioni e identità che presumono una secondarietà o, per lo meno, una messa tra parentesi dei rapporti e delle differenze. Intendo dire, che l'obbiettivo primario e privilegiato del teorico della letteratura è quello di considerare le zone speciali come le letterature europea e extraeuropea, importanti, ma da un punto di vista storico, metodologico, operativo. Le domande «che cos'è la letteratura», «a cosa serve la letteratura» sono domande esclusive, identitarie in modo inglobante. Questo è noto a tutti. Certamente, la storia della teoria della letteratura dalle poetiche precettistiche, alle definizioni della letteratura come uso diverso del linguaggio (questo vale in pratica dalla Poetica di Aristotele fino alla rifondazione della disciplina con i formalisti russi e con Wellek e Warren) ha assunto un profilo più esteso e onnicomprensivo; ad esempio, nelle frontiere allargate tracciate da Eagleton e Culler o nel concetto stesso di «letteratura eteronoma», usato da Marino. Tuttavia, il punto di vista del teorico rimane puntato su identità più generali, scavalcando zone di frontiera e steccati. Qui entriamo nel campo del rapporto tra teoria letteraria e letteratura comparata in cui alcuni studiosi sono entrati (Wellek e Warren, Guillèn) e che potrebbe essere tema di riflessione, data la convergenza degli oggetti comuni all'una e all'altra disciplina (lo studio delle poetiche, dei generi, dei temi: solo che per la teoria della letteratura la comparazione è un metodo utile alle definizioni; questo vale ovviamente anche per la comparatistica, che tende, però, essenzialmente a preservare la differenza dei rapporti, mentre alla teoria della letteratura interessano soprattutto gli aspetti "identitari" e unificanti, si è detto). Guillén fa una osservazione molto utile ed è la seguente: «È opportuno non confondere la proprietà del termine "teoria" con le occasioni d'impiego dell'aggettivo "teorico". Oggi l'aggettivo ci è molto più necessario del sostantivo. Cioè, la profusione degli scritti teorici che leggiamo - scritti che contengono, come oggetti elettrizzati, un'intensa carica teorica - è inversamente proporzionale al numero, realmente esiguo, di teorie che si producono o che si sviluppano» […] e conclude: «L'importante, davanti a questi problemi, è che i comparatisti attuali ammettano che la teoria della letteratura rappresenta per loro una sfida almeno così fondamentale e necessaria quanto lo fu la letteratura generale per i loro predecessori. La struttura interna della nostra disciplina è, insomma, la tensione o la polarità che esiste fra gradi diversi di teoricità».3

 

§ III. Lo stato attuale della questione Torna all'inizio della pagina

II. La questione della letteratura europea

Allora il teorico della letteratura, non può rispondere alle domande che cos'è la letteratura europea o perché la letteratura europea o quali aspetti problematici, linguistici, storici, culturali, la caratterizzano? Diciamo, che il teorico non avrebbe interesse a porsi queste domande, bensì altre, ad esempio: quali teorie hanno circolato o circolano sulla questione della letteratura europea? Ma qui, ancora una volta, si tratta di attraversare le differenze per rivolgersi all'identificazione. Ad una identità per così dire astratta. Non uso la desueta parola "specificità" perché troppo caratteristica delle modalità di ricerca che hanno teso e tendono a sottostimare i passaggi intermedi delle differenze e della comparazione. Quello che al teorico è più utile rilevare, ad esempio, è proprio il fatto che, storicamente, l'idea della letteratura europea sia e sia stata attraversata dalla ricerca di una identità. E che questa ricerca di identità si sia formulata innanzi tutto come indicazione di differenze e supremazie: la «querelle des anciens et des modernes», Italia e Francia, Francia e Inghilterra, Italia e Spagna, ecc.4
Una delle prime teorie della letteratura (ed è tale perché non passa attraverso il richiamo all'autorità della poetica di Aristotele, come invece accade ancora in Batteux),5 illustrata non più come tensione alla riduzione ad uno «medesimo principio», quella di Madame de Staël, è comunque fondata su identità che presumono differenze.6 Tuttavia, per Madame de Staël le differenze non sono viste sistematicamente come errori e antagonismi, ma come occasione di interpretazione delle relazioni tra differenze e soprattutto come ricerca di una identità, che già si svolge entro i confini di un contesto europeo. Così in De l'Allemagne7 si legge una sostanziale arringa in difesa della Prussia, del suo popolo, delle sue idee e della sua letteratura, e accade così, per l'Italia, in De L'amour (1822) di Stendhal. In quanto alla validità delle teorie di Madame de Staël, se ne troverà una eco duratura: persino Valéry, il 24 novembre 1923, nella conferenza Inspirations méditérranéennes, identifica sé stesso cominciando col riconoscersi un'identità mediterranea. Ad esempio, davanti allo spettacolo dell'«affreux amas des viscères et des entrailles de tout le troupeau de Neptune que les pêcheurs avaient rejeté à la mer», osserva: «Divisé entre la répugnance et l'intêret, entre la fuite et l'analyse, je m'efforçais de songer à ce qu'un artiste d'extrême-Orient, un homme ayant les talents et la curiosité d'un Hokusaï, par exemple eût pu tirer de ce spectacle».8 A un certo punto Valéry confessa: «Mais je procède, dans ces confidences relatives, du concret vers l'abstrait, des impressions aux pensées, - et je dois, à present, vous évoquer des sensations plus simples, plus profondes et plus complètes, ces sensations de l'ensemble de l'être, qui sont aux couleurs et aux odeurs ce que les formes et la composition d'un discours sont à ses ornements, à ses images, à ses épithètes. Quelles sont ces sensations générales?».9 Ma l'atteggiamento di Valéry, si sa, era indirizzato verso la teoria, al punto che, inaugurando l'insegnamento della Poétique al Collège de France, auspicava una «Histoire de l'esprit en tant qu'il produit ou consomme de la "littérature", et cette histoire pourrait même se faire sans que le nom d'un écrivain y fût prononcé».10
Tornando all'Ottocento (il Settecento è stato, in realtà, l'ultimo grande secolo dei teorici della letteratura), all'idea di una letteratura europea, dopo Goethe, penserà Mazzini: ma curiosamente l'esempio mazziniano sconfessa le teorie staeliane (senza citare Madame de Staël e i suoi «principi fissi», Mazzini dice: «le singolarità, che la storia delle diverse letterature presenta, sono troppe, perché il clima possa riuscirne mai interpretazione valevole».11 Mazzini propone una teoria che basa il principio di individuazione sempre sul rapporto tra differenze e identità, riferendolo però alle «istituzioni e le vicende politiche che hanno prodotto le differenze che sceverano una letteratura dall'altra».12 E, di fatto, si rivolge alla storia delle individualità letterarie che compongono l'identità della letteratura europea. Ma forse sia il quesito mazziniano,13 sia la sua consapevolezza dell'equilibrio fra identità e differenze necessari per realizzare tale sogno ci possono ancora servire. Cito: «Esiste dunque in Europa una concordia di bisogni e di desideri, un comune pensiero, un'anima universale, che avvia le nazioni per sentieri conformi ad una medesima meta - esiste una tendenza europea. Dunque la letteratura - quando non voglia condannarsi alle inezie - dovrà inviscerarsi in questa tendenza, esprimerla, aiutarla, dirigerla, - dovrà farsi europea».14
«Uno dei caratteri fondamentali di questa letteratura europea è indicato, a mio parere, nelle parole di Goethe poste in esergo.15 Parmi, ch'esse racchiudano un alto senso, un risultato di profonde considerazioni sull'opera tacita e progressiva de' secoli: parmi ch'esse stabiliscono una differenza essenziale fra le antiche lettere, e le moderne. E so, che a molti il vocabolo di letteratura europea suona di distruzione d'ogni spirito nazionale, d'ogni carattere individuale de' popoli: ad altri, stranezza, sogno utopistico. I primi confondono l'indipendenza d'una nazione col suo isolamento intellettuale - ed è errore di mente; i secondi disperano degli uomini, e delle cose - ed è difetto di cuore. A me non superbisce tanto nell'anima la vanità cittadina, da farmi avverso alla idea d'una letteratura, che stringesse in una col santo vincolo del pensiero, tutte le umane tribù: né m'arride tanto la nuda realtà della vita ch'io possa rinunziare a tutto ciò che può comparire sorriso d'immaginazione, anziché figlio del freddo intelletto».16 Mazzini mostra che la ricerca dell'identità della letteratura europea, passa attraverso la ricognizione delle differenze riconosciute ma di fatto unificate, ma non neutralizzate nella configurazione di un'"anima universale". Mazzini è in cerca di una visione conciliante tra l'idea di una identità della letteratura europea e le singole identità delle letterature nazionali, e cioè le varie differenze interculturali e interlinguistiche.

 

Vai alla fine dell'articolo Torna all'inizio della pagina

III. Lo stato attuale della questione

Che cosa è cambiato rispetto a Mazzini? Storicamente molto; culturalmente forse i risultati sono meno evidenti: specie guardando il solo aspetto delle esigenze, ancora attuali, di interrogazione intorno all'identità di una "letteratura europea". Certamente, proprio lo sviluppo della comparatistica documenta una consapevolezza generalizzata (di riflessioni ma anche di diffusione nei manuali di letteratura), per cui la "Repubblica europea delle lettere", non appare esclusivista o indirizzata a delineare delle supremazie; ormai ha sperimentato, in modo amplificato, movimenti e tendenze comuni, ed appare sempre più attraversata da identità diversificate, forse non più rivendicate, ma riconosciute; a ragione si può credere che lo stato multiletterario, più che multiculturale, sia diventato un nuovo soggetto identitario, ipotizzato, appunto, sul riconoscimento delle singole diversità (si vedano le esperienze come "bouillon de culture", "double je" nella televisione francese). Ci siamo nutriti fino a qualche decennio addietro di miti e di rappresentazioni della disidentità, del «non importa chi parla» (Blanchot). Da qualche tempo sta riaffiorando l'esigenza che, invece, "importa chi parla" e "dove parla" e "quando parla". La storia e la geografia, le lingue (ad esempio, non a caso, in Francia, tutti gli italianisants sono o sono stati comparatisti: Isida Cremona, Bouyy, Hauvette, Maugain, ecc. perché praticano letterature nazionali diverse dalla propria) si stanno imponendo come garanti di identità non antagoniste ma non omologabili. Lo scenario, veramente poco adatto al teorico della letteratura (anche quello attento alla mouvance e all'eterogeneità), che voglia guardare dentro la cittadella (non più protetta ormai) della «repubblica delle lettere», è, di fatto, popolato dai molti sguardi rivolti alla ricerca di "soggetti" e di identità.17 Per questo, la teoria, da alcuni decenni, è in crisi. Compagnon recentemente si è chiesto: «que reste-t-il de nos amours»; avrei piuttosto voglia di verificare che cosa, oltre al vasto interesse per le teorie della traduzione, nel dialogo fra identità e differenze, può sussistere nelle mete generali, metastoriche, metageografiche, metaculturali dei teorici della letteratura?
(E se il sospetto nei confronti della teoria derivasse anche dai suoi intenti troppo "globalizzanti"?).

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio della pagina Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2003

Giugno 2003, n. 1