Intervista a Beppe Benvenuto
Nascita scoppiettante, declino inglorioso: la storia dell'elzeviro ricostruita da Beppe Benvenuto
a cura di Francesco Cisternino

 

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In occasione dell'uscita del suo Elzeviro (Palermo, Sellerio Editore, 2002), Bollettino '900 incontra il responsabile delle rubriche di cultura e spettacolo del «Foglio» per discutere della gloria e dell'arte di un genere letterario da reinterpretare.


Quando ho comprato il suo libro, la parola elzeviro mi ha fatto venire in mente «Il Corriere della Sera», la terza pagina, le due colonne in apertura scritte da Emanuele Severino, Paolo Isotta, Pietro Citati eccetera. L'elzeviro è sempre stato così?

Quello che oggi compare quotidianamente sul «Corriere» è un oggetto d'antiquariato. Formalmente assomiglia all'elzeviro storico, quello fra le due guerre per intenderci, soprattutto per la collocazione nella pagina; e però non è il pezzo forte delle pagine culturali, è immerso in un contesto completamente diverso. La terza pagina era realmente tale, mentre oggi si trova in fondo al giornale e l'elzeviro in genere non figura nemmeno nella sua apertura. Ancora, è rarissimo trovare dei pezzi di intrattenimento, mentre prima il boccone forte della terza e dell'elzeviro era il racconto, la divagazione letteraria. Gli autori erano scrittori e letterati quali Moravia, Cecchi, Pancrazi, Prezzolini, Ungaretti, Bilenchi, Vittorini e così via; c'erano anche pezzi di storici e filosofi come Gentile e Volpe durante il periodo fascista, ma scrivevano su aspetti ai loro occhi minori sebbene con un piglio comunicativo efficacissimo. Altro concetto importante è il seguente: mentre oggi l'elzeviro è collocato nell'ambito della cosiddetta prosa d'arte, coloro i quali scrissero nel periodo aureo dell'elzeviro sapevano scrivere in italiano e oltretutto sapevano di dover scrivere in italiano. Gli attuali elzeviristi non possono vantare questa capacità comunicativa.
Le pagine culturali sono diventate qualcosa o di nicchia o per addetti ai lavori; all'epoca che si diceva erano invece uno degli elementi che davano prestigio e facevano anche vendere copie ai giornali. Negli anni trenta «La Stampa» faceva la concorrenza al «Corriere della Sera» non tentando di rubare il Giorgio Bocca del tempo bensì Emilio Cecchi, non ci riusciva e allora promuoveva i giovani.


A dire il vero, gli elzeviri che leggiamo oggi sono complicati da leggere e sembra anche difficile immaginare chi possa essere interessato a essi.

Esatto. Facciamo un esempio: io ho delle opinioni non molto chiare su quanto valga il Moravia scrittore. Però negli ultimi anni sono stati in molti a sostenere che le cose migliori di quel Moravia furono i suoi reportage. Ognuno la veda come gli pare, ma quello che è certo è che scriveva dei bei pezzi. L'elzeviro storico era bello, di qualità e soprattutto leggibilie.


Su quali basi nasce l'elzeviro?

Il giornalismo italiano è molto letterario, soprattutto per il fatto che molti giornalisti sono stati o dei letterati mancati o dei letterati veri, magari non di primissima fila, però hanno scritto dei romanzi. E poi per la borghesia del tempo la cultura era letteraria e non scientifica: il Risorgimento, non dimentichiamolo, era un fenomeno anche letterario e questi erano i figli di quel movimento. E dunque alle prese con un mercato editoriale non particolarmente vivace e con poche occasioni di guadagnare da vivere, molti letterati giovani provarono a collaborare più o meno regolarmente con i quotidiani. La terza pagina vera e propria nacque invece nel 1901, per idea di un signore rampante ma in verità piuttosto austero di nome Alberto Bergamini il quale voleva lanciare il suo nuovo «Giornale d'Italia» a Roma e pensò bene di fare questo tentativo in occasione della prima della Francesca da Rimini di D'Annunzio. Sull'evento serpeggiava un'enorme attenzione in tutta la penisola, niente affatto inferiore a quella riguardante la politica e il direttore del quotidiano romano realizzò un servizio in grande stile mediante quattro pezzi scritti da redattori differenti: uno scrisse della scenografia, un altro dell'esecuzione musicale, poi veniva il critico teatrale vero e proprio e infine l'ultimo che ricostruiva il dopo-spettacolo, con i commenti del pubblico sulla tragedia e l'interpretazione, straordinaria si diceva, di Eleonora Duse. L'idea di racchiudere le cronache culturali in uno spazio con un'identità definita andò bene e come tutte le cose che funzionano venne imitata.


Cosa spinse invece gli accademici a scrivere per le terze pagine?

La vanità. Poi c'è un fatto, ossia che se per un aspirante letterato scrivere per la terza pagina di un quotidiano significava l'ingresso nel salotto buono della letteratura, per un professore universitario era una specie di punto di arrivo: dopo avere sudato a fare il libero docente o il professore di liceo, a scrivere saggi su Vittorio Alfieri eccetera, arrivar lì voleva dire che era diventato non solo un barone, ma anche uno che poteva comunicare... coloro i quali scrivevano sui giornali erano quasi sempre i più brillanti. E poi anche loro non disprezzavano il denaro.


Si può considerare l'elzeviro un genere minore?

Non ne sarei così sicuro. Premessa: io penso che la storia della letteratura del Novecento sia da riscrivere, sotto tanti punti di vista; quello che noi facciamo correntemente è applicare ad essa una sorta di filosofia della storia. Detto questo, nel suo periodo aureo l'elzeviro era la letteratura o, quantomeno, una sua parte fondamentale. Basti pensare ai nomi che hanno debuttato negli anni del fascismo, vivissimi dal punto di vista culturale: Guido Piovene, Mario Soldati, Alberto Moravia, Cesare Zavattini, Corrado Alvaro, Vasco Pratolini; tra i poeti, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale.
È stata una scuola con tante luci ed ombre, ci mancherebbe, c'era anche un alone di conformismo, però i lati interessanti erano veramente tanti: l'elzeviro ha rappresentato un modo di farsi capire, per via della capacità di sintesi che era richiesta. Penso agli storici, per i quali la sintesi non è che sia mai stata la massima vocazione. Ma ormai è cosa morta, è un modello che appartiene al passato e non si può riproporre oggi come se stessimo uscendo da una parentesi durata cinquant'anni.


Che cosa ha portato al declino dell'elzeviro?

Quando le dicevo la filosofia della storia: negli anni Cinquanta e Sessanta prevaleva un'interpretazione secondo la quale quelli che scrivevano elzeviri non erano abbastanza impegnati. Ad inferire il colpo di grazia è poi arrivato il Gruppo 63, che ha annichilito i tentativi di fare il romanzo.
Si può anche pensare che Cassola non sia un grande scrittore, che Bassani sia un epigono molto modesto di Proust e così via ma questa era gente che tentava di scrivere dei romanzi, mentre invece quegli altri non sono riusciti a scriverne uno oppure l'hanno fatto quarant'anni dopo con tanto di senso di colpa, come nel caso di Umberto Eco. E insomma i giornalisti, che arrivano sempre per ultimi, hanno pensato e capito ad un certo punto che quel modo di scrivere per le terze pagine fosse il simbolo del vecchiume e forse col senno di poi si può dire che lo fosse veramente, quel simbolo. Con il sessantotto ci si era poi resi conto del fatto che uno dei difetti del giornalismo italiano era di essere poco legato all'attualità; a forza di applicare le regole auree del giornalismo siamo finiti alle due pagine culturali scarse di oggi. Il fatto che l'elzeviro sopravviva ha in ogni caso una sua importanza, sia al livello dei grandi che dei piccoli giornali perché ad esempio a Palermo scrivere sul «Giornale di Sicilia» dà una certa autorevolezza. Mi rendo conto che se io sono critico letterario di quel quotidiano, a Roma o a Milano conterò poco però lì ho la mia importanza. Anche la «Gazzetta di Parma» li ha, non so se siano interessanti o meno, però ce li ha.


Non sarà che l'obiettivo di farsi capire si sia spostato dall'elzeviro e dalle terze pagine alla tv Educational, quella in cui filosofi, linguisti e scrittori tornano a parlare in maniera semplice pur di brillare davanti alla telecamera?

Attenzione, la necessità di farsi capire è solo un aspetto, ma l'essenza dell'elzeviro non è stata solo questa. Un altro lato fondamentale era la capacità di gerarchizzare, cioé di avere dei criteri di giudizio magari discutibili, ma che avevano una loro efficacia e che si sono persi. La critica militante non esiste più, trovare qualcuno che scriva di libri con buona competenza è diventato difficile. La figura del critico è diversa da quella del cronista che racconta un evento culturale; se i due ruoli invece si uniscono, se l'uscita di un libro diventa di per sé un evento al di là del contenuto, ecco allora che ci si trova davanti ad un'aberrazione. Ciò che conta ormai è che il libro riesca a sfruculiare, ad entrare nell'attualità culturale: non bisogna andare tanto lontano per accorgersene, basta prestare attenzione al modo in cui si parla dei libri sui newsmagazine tipo «Panorama» o «L'Espresso», sui quotidiani. Una volta passato più o meno un mese il libro è cotto, perché non è più interessante; le terze pagine dei quotidiani maggiori vivono oggi rubandosi le anteprime di libri che spesso vendono poco, a volte pochissimo e così perdono credibilità. Vorrei farle un esempio... ha presente l'operazione fatta sui "Cannibali"?


No.

Sono autori giovani, pulp, sui quali si è costruita anche la fortuna (o la sfortuna, secondo i punti di vista) della nuova Einaudi e scrivono libri il cui successo di pubblico è scarso. Eppure sono iperpresenti, non presso il pubblico o i critici bensì presso i giornali e le presentazioni. Per non parlare poi dei premi letterari, che in verità hanno sempre rivestito un'importanza discutibile e però sono tornati ad attirare una certa attenzione perché rappresentano un evento: c'è la televisione locale, magari anche quella nazionale, c'è l'assessorato, i giornalisti, qualche starlet eccetera. Un caos mediatico, insomma. Io non sono di certo un moralista, però se uno tiene distinte le cose...


Un medio quotidiano in Italia oggi pubblica una quantità di recensioni enorme.

Il più delle volte sono tutte soffiette...


...e magari scritte da qualcuno che non ha letto il libro.

Sì.


E dunque visto che alle redazioni il lettore comune non interessa, di libri spinti così ce ne sono a palate e dietro al mercato editoriale non è che circolino tutti questi miliardi, allora per quale ragione esiste il culto della novità editoriale?

Ma guardi che nei fattori che rendono importante l'essere di una persona al mondo non è che ci siano solo i quattrini, c'è anche qualcos'altro. Libri, giornali e pagine culturali, ad esempio, danno uno status. Un certo status, diciamo così.

 

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Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2002-2003

Giugno-dicembre 2002, n. 1-2