Kerstin Pilz
L'ipertesto: genere letterario marginale o emergente? Un'indagine sugli ipertesti di Italo Calvino

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
Introduzione
Gli iper-romanzi di Calvino
Inizi
Intertestualità
Ridefinire l'autore e il lettore
Conclusione


 

«I romanzi lunghi scritti oggi forse sono un controsenso: la dimensione del tempo è andata in frantumi, non possiamo vivere o pensare se non spezzoni di tempo che s'allontanano ognuno lungo una sua traiettoria e subito spariscono».
Italo Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore


§ II. Gli iper-romanzi di Calvino

I. Introduzione

L'emergere degli ipertesti letterari ha suscitato non poco interesse tra studiosi e docenti di letteratura. Secondo George Landow della Brown University, università all'avanguardia nella ricerca in questo campo, l'ipertesto renderebbe attuabili le proposte teoriche diffuse nella seconda metà del Novecento, che hanno messo in crisi il concetto di autore e proposto nuove forme di testualità.1 Queste ultime mettono in rilievo la centralità del lettore e aprono l'opera narrativa, avvicinandola ad una forma ipertestuale, che indica e, soprattutto, supera la limitatezza della pagina scritta e facilita la multidirezionalità del pensiero. C'è però anche chi ha ravvisato un «eccesso teorico» nell'ormai imponente produzione critica, rispetto alla relativa scarsezza di ipertesti narrativi esistenti. Giulio Lughi, ad esempio, nota che «l'ipertesto narrativo sembra infatti essere nato più per soddisfare il gusto della speculazione narratologica, per riempire una casella vuota della teoria letteraria, che non per aprire la strada a nuove forme di creazioni e fruizione estetica».2 Ci si pone perciò la domanda se l'interesse per la tecnologia dell'ipertesto sia dovuto, finora, soprattutto al fascino delle nuove tecnologie, alle quali ci rivolgiamo, come abbiamo sempre fatto, nell'incessante ricerca di paradigmi per spiegare meglio il mondo e il nostro rapporto con esso.3
In questa sede vorrei soffermarmi sugli iper-romanzi di Calvino, il quale si rivolge, dopo l'esaurimento della prima stagione di letteratura «impegnata», alla teoria dell'informazione che fornisce non solo alcune metafore che illustrano il concetto della letteratura in crisi, ma anche un concreto modello combinatorio di strutturazione aperta del romanzo. A Calvino preme però anche segnalare la crescente e ormai inevitabile interdisciplinarità della cultura. Infatti è solo riconoscendo questa tendenza in atto che la letteratura può, secondo Calvino, sopravvivere al passaggio del millennio: se saprà assumersi, cioè, la responsabilità di un ruolo di mediatrice tra discipline, in un'età caratterizzata dalla crescente frammentazione dei saperi e in cui l'importanza della letteratura come fonte e metodo di conoscenza sembra invece diminuire. Come dice il Nostro nelle sue Proposte per il prossimo millennio: «Solo se poeti e scrittori proporrano imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida delle spiegazioni generali e delle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo».4 Perciò, piuttosto che un caso di «genere emarginato», l'iper-romanzo rappresenta un genere emergente, che in un certo senso cerca di evitare che la letteratura stessa diventi genere marginale.

 

§ III. Inizi Torna al sommario dell'articolo

II. Gli iper-romanzi di Calvino

Calvino vede l'iper-romanzo come un genere che si porta dietro una lunga tradizione, in quanto risalente al romanzo-enciclopedia. Quest'ultimo, nato all'inizio dell'età moderna con Rabelais e Cervantes,5 ha prodotto nel Novecento i suoi romanzi più significativi. Inoltre, esso rappresenta «una vocazione profonda della letteratura italiana che passa da Dante a Galileo: l'opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile, lo scrivere mosso da un spinta conoscitiva».6 Scrivere scaturisce dunque dal bisogno di indicare e di unificare la complessità della realtà e dei diversi saperi e di tracciarne «la mappa, la più particolare possibile».7 Per la natura stessa del concetto instabile di conoscenza che, come si sa, è mutato nel Novecento, secolo che lo ha messo in crisi in quanto processo cumulativo e diretto verso un fine per trasformarlo in un guazzabuglio di diverse forme di sapere,8 la mappa del sapere rimane approssimativa, rendendo il romanzo-enciclopedia un'opera mutabile e aperta. Un tratto significativo del romanzo moderno e postmoderno è dunque, come fa presente Calvino, il concetto di conoscenza come irriducibile molteplicità.9 Non si tratta più di un romanzo-enciclopedia che cerchi di chiudere lo scibile in un ordine esauriente e totalizzante come la Divina Comedia, dove «convergono una multiforme ricchezza linguistica e l'applicazione d'un pensiero sistematico e unitario»,10 ma è, al contrario, «l'idea d'una enciclopedia aperta, aggettivo che certamente contraddice il sostantivo enciclopedia, nato etimologicamente dalla pretesa di esaurire la conoscenza del mondo rinchiundendola in un circolo. Oggi non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima».11
Il modello del romanzo-enciclopedia di Calvino si ispira, da un lato, al concetto della biblioteca infinita e pluricentrica, che Borges rappresenta ne La Biblioteca di Babele, e a «il modello della rete dei possibili»12 del racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano, dall'altro al modello della letteratura combinatoria di Raymond Queneau e Georges Perec. La rete di Borges è una metafora che illustra bene il concetto di mappa del sapere come intreccio di linee che si allacciano e che si intersecano. Il primo romanzo a forma di rete - di file di tarocchi verticali e orizzontali - è Il castello dei destini incrociati, dove «ogni racconto corre incontro a un altro racconto»13 perché, come descrive uno dei personaggi:

«mentre un commensale avanza la sua striscia un altro dall'altro estremo avanza in senso opposto, perché le storie raccontate da sinistra a destra o dal basso in alto possono pure essere lette da destra a sinistra o dall'alto in basso, e viceversa, tenendo conto che le stesse carte presentandosi in un diverso ordine spesso cambiano significato, e il medesimo tarocco serve nello stesso tempo a narratori che partono dai quattro punti cardinali».14

Con questa struttura Calvino indica la limitatezza della scrittura tradizionale del mondo occidentale, che, come si sa, è basata sul fatto che una pagina scritta può essere letta solo in una direzione, seguendo un filo lineare che va dall'alto in basso, da sinistra a destra. Il rettangolo dei tarocchi invece rappresenta una specie di cruciverba che offre una lettura pluridirezionale in cui è rappresentata simbolicamente la fluidità del racconto orale, della conversazione e del pensiero, che non è lineare ma multilineare, a zigzag, costituito da deviazioni e frasi lasciate a metà. La struttura dell'iper-romanzo è quindi una rete interconnessa, policentrica e multilineare «entro la quale», nelle parole di Calvino, «si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate».15
L'altro modello di riferimento per l'iper-romanzo di Calvino sono i romanzi combinatori di Queneau, tra cui Exercices de style (1947) e Cent mille milliards de poèmes (1961), che consiste in dieci sonetti costituiti dagli stessi versi che, in base ad un algoritmo combinatorio, permettono la produzione di miliardi di poesie potenziali. Queste opere, cercando di rappresentare la potenzialità infinita del narrabile, sottolineano la limitatezza del libro convenzionale, vincolato dalla sua forma cartacea, e si avvicinano a una nuova forma di testualità che anticipa la tecnologia dell'ipertesto.
Nell'importante e ormai famosa conferenza del 1967, Cibernetica e fantasmi, Calvino accoglie l'arte combinatoria come il filo che lega l'uomo del paleolitico alla moderna cultura computerizzata. L'autore osserva che, benché la complessità dei discorsi sia cambiata, i modelli organizzatori della comunicazione sono rimasti fondamentalmente gli stessi: il concetto di base è che un mondo di una complessità infinita e apparentemente impadroneggiabile può essere ricondotto a un numero finito di unità discrete o mattoni fondamentali che si possono combinare in infinite variazioni; questo concetto risale a Lucrezio e alla sua teoria dell'atomismo, che a sua volta coincide con il principio dell'alfabeto, come ha dimostrato Galileo. Il sistema combinatorio offre, dunque, un modello che permette allo scrittore di mappare un mondo che rimane refrattario alla parola, in quanto gli permette di dividere il continuo in unità discrete. Gli iper-romanzi che si vogliono trattare in questa sede, Il castello dei destini incrociati e Se una notte d'inverno un viaggiatore, sono basati su strutture combinatorie in cui una quantità finita di elementi discreti, come i 78 tarocchi o i dieci incipit di romanzo scritti ciascuno in uno stile diverso, si presentano sia come catalogo infinito dei destini, sia come enciclopedia dei diversi generi letterari. L'elemento centrale dell'iper-romanzo è, come riassume Calvino, «il principio di campionatura della molteplicità potenziale del narrabile».16
Vorrei ora segnalare alcune delle istanze con cui il genere dell'iper-romanzo di Calvino ha anticipato certe caratteristiche fondamentali dell'ipertesto. Per cominciare, abbiamo bisogno di una definizione di che cosa è l'ipertesto e dei suoi tratti più significativi. La novità rivoluzionaria dell'ipertesto consiste nel fatto che esso supera i limiti della pagina scritta; è vero che anche nei testi scientifici si è spesso cercato di rendere al meglio la multilinearietà del pensiero con note a piè di pagina, glosse, rimandi ad altri testi ecc., ma in definitiva il testo convenzionale è sempre rimasto vincolato dalla sequenzialità lineare.

Un ipertesto, invece, si basa su una organizzazione del testo di tipo reticolare, ed è costituito da un insieme di unità informative (i nodi) e da un insieme di collegamenti (detti, nel gergo tecnico, link) che da un blocco permettono di passare ad un altro, o a più blocchi. Il lettore (o forse è meglio dire l'iper-lettore) non rimane vincolato dalla sequenza lineare di un documento, ma può muoversi da una unità testuale ad un'altra costruendosi ogni volta il proprio percorso di lettura.17

Il lettore di un ipertesto diventa dunque un navigatore o esploratore di rete, secondo una metafora che sembra presa in prestito da Calvino, nelle cui opere combinatorie il personaggio diventa o un viaggiatore testuale, come in Se una notte d'inverno un viaggiatore, o un gruppo di viandanti, come nel Castello dei destini incrociati, o appunto un navigatore ed esploratore, come il Marco Polo di Le città invisibili. È significativo qui lo scambio interdisciplinare: mentre, come si è già detto, Calvino si rivolge alla scienza dell'informazione in cerca di un modello testuale, la nuova tecnologia della rete globale (il World Wide Web) adopera termini che rimandano ad opere letterarie, da Joyce a Borges e, appunto, Calvino.18

 

§ IV. Intertestualità Torna al sommario dell'articolo

III. Inizi

Un ipertesto, a differenza della pagina scritta, non ha né inizio né fine, ma solo molteplici punti di entrata e di uscita; di questo tipo è la forma di testo che Calvino ha creato con Le città invisibili e Palomar, che sono basati su «una struttura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino agli altri in una successione che non implica una consequenzialità o una gerarchia».19 Nel testo inedito di quella che sarebbe dovuta essere la sesta lezione americana, Sul cominciare e finire, Calvino riflette sull'inizio come «luogo letterario per eccellenza».20 Poiché «il mondo di fuori per definizione è continuo, non ha limiti visibili», l'inizio è appunto un atto di limitazione, di esclusione, di interruzione del continuo: l'inizio costituisce il punto in cui un autore si allontana dalla biblioteca universale, o, nelle parole di Calvino, «un distacco dalla potenzialità illimitata e multiforme».21 L'iper-romanzo, o romanzo potenziale, si presenta dunque come un'opera che ha molteplici inizi: si pensi, per esempio, a Il castello dei destini incrociati. Quest'opera consiste, come abbiamo detto, nell'insieme dei racconti di diversi viaggiatori seduti alla tavola di una locanda di passo, dove ogni racconto contiene altri inizi di racconti: due carte appoggiate a caso da un ospite che racconta la propria storia servono come inizio del racconto di un altro ospite e così via, finché alla fine le carte non vengono sparpagliate dall'oste per ricominciare da capo, creando nuove combinazioni di carte e nuovi racconti contenenti nuovi inizi di altri racconti, come in una scatola cinese.
Mentre nel Castello i diversi narratori-viaggiatori creano molteplici punti d'inizio, in Se una notte è il Lettore stesso, con la L maiuscola, vale a dire in quanto protagonista, che si trova di fronte ad una molteplicità di inizi. Anche qui la combinatoria, che rende possibile la dialettica tra continuo e discreto, fornisce la struttura portante. Il romanzo consiste nella combinatoria di dieci inizi che si interrompono, o meglio, di dieci tentativi da parte del Lettore di entrare nel testo, tentativi che però rimangono frustrati. Infatti il testo a sé stante, cioè il libro che il Lettore pensava di aver acquistato, non esiste, gli si presenta invece come una molteplicità di punti d'entrata nel vasto corpo della letteratura, nella biblioteca universale. Questa osservazione ci porta subito a un altro punto di cruciale intersezione tra letteratura e ipertesto: l'intertestualità.

 

§ V. Ridefinire l'autore e il lettore Torna al sommario dell'articolo

IV. Intertestualità

Il libro convenzionale in forma cartacea produce l'impressione di essere un'opera chiusa, organica ed autonoma, mentre il romanzo-enciclopedia del Novecento, da Joyce all'iper-romanzo di Perec e di Calvino, indebolisce l'idea dell'opera letteraria separata ed autonoma, in quanto il testo si presenta volutamente come costruzione intertestuale, cioè come opera che rende esplicita la sua relazione con altri testi che lo precedono e che lo attraversano, sia in forma di cenni espliciti e citazioni, sia in forma di pastiche, o di parodia, o anche di riscrittura. Così, gli iper-romanzi di Calvino si presentano sia come polifonia di voci - per esempio Il castello, dove, nei racconti dei viaggiatori, classici e miti letterari si intersecano - sia come riscrittura.22 Il Castello è liberamente basato sull'Orlando Furioso, mentre Le città invisibili ha come narratore Marco Polo, autore del Milione; infine, Se una notte d'inverno un viaggiatore è un'opera collettiva di molteplici autori fittizi, che anticipa la rete informatica, dove si incrociano molti autori.
Un testo dunque non esiste separatamente da un contesto di altri libri che lo condizionano, come fa presente Calvino in un interessantissimo intervento, Il libro, i libri, scritto in occasione della Fiera del libro di Buenos Aires: «come il computer non ha senso senza i programmi, senza il suo software, così anche il libro che pretenda d'essere considerato "il Libro" non ha senso senza il contesto di molti, molti altri libri intorno a lui».23 È interessante che Calvino abbia scelto il computer come termine di confronto, perché è appunto la tecnologia dell'ipertesto che rende possibile il collegamento di un testo alla biblioteca universale dei molti altri libri che lo precedono, gli stanno accanto e lo seguono; è una testualità del continuo, resa possibile attraverso la combinatoria del discreto, che rende la biblioteca universale uno spazio sincronico.

 

§ VI. Conclusione Torna al sommario dell'articolo

V. Ridefinire l'autore e il lettore

Il concetto di intertestualità comporta la problematizzazione dell'autorità dell'autore e del concetto di chiusura, ossia della compiutezza dell'opera letteraria. L'iper-romanzo combinatorio di Calvino rimane un testo espandibile, una enciclopedia aperta, come dimostra il finale di Il Castello, quando il mazzo di carte viene rimescolato, cancellando la struttura a forma di rettangolo; il libro si chiude con l'annuncio da parte del narratore di testi sempre nuovi: «Allora le sue mani sparpagliano le carte, mescolano il mazzo, ricominciamo da capo».24 Il gioco delle carte è un gioco di costruzione e distruzione - simile al puzzle di Bartlebooth nel romanzo di Perec - un gioco che fa sì che il racconto rimanga fluido e provvisorio, proprio come un ipertesto. Quest'ultimo non è mai un testo definitivo ma un testo che emerge nel momento stesso in cui viene composto dal lettore, il quale crea, spesso arbitrariamente, la sua sequenza di unità discrete di blocchi di testo per sovrapposizioni e connessioni. E questa sequenzialità così creata alla fine della seduta è cancellata con lo spegnersi del computer.
L'ipertesto comporta quindi una forma di lettura che sfuma la distinzione tra lettore e autore. Il testo non esiste in modo univoco separatamente dal lettore; quest'ultimo diventa invece partecipante attivo nella creazione del testo, come in Se una notte, dove egli lo crea attraverso la lettura di dieci romanzi assai diversi. Il Lettore (sempre con la L maiuscola) è allo stesso tempo autore e lettore come già i viaggiatori che si incontrano nel castello e nella taverna dei destini incrociati, ognuno dei quali, dopo aver costruito attraverso le carte la sequenzialità del proprio racconto, diventa subito lettore di un altro racconto che emerge dalla propria sequenza di carte.
Il doppio ruolo dell'autore-lettore è la tematica centrale di Se una notte, il cui capitolo chiave è l'ottavo: Il diario di Silas Flannery. Flannery si autodefinisce come autore «facilmente falsificabile» e si identifica con il copista di manoscritti, che «viveva contemporaneamente in due dimensioni temporali, quella della lettura e quella della scrittura»,25 una figura quindi precorritrice del lettore-autore ipertestuale. Questo capitolo è un catalogo di osservazioni, domande e congetture sul ruolo dello scrittore. Un'osservazione cruciale dello scrittore Flannery, portavoce di Calvino, riguarda la propria limitatezza, cioè il concetto dell'autore univoco:

«Come scriverei bene se non ci fossi! […] Potrò mai dire: "oggi scrive", così come "oggi piove", "oggi fa vento" ? Solo quando mi verrà naturale d'usare il verbo scrivere all'impersonale potrò sperare che attraverso di me s'esprima qualcosa di meno limitato che l'individualità d'un singolo».26

La domanda è posta in termini che ricordano la precedente analogia con l'informatica: Silas Flannery vorrebbe essere come l'io impersonale del computer, che cattura la potenzialità del narrabile e del conoscibile senza ordinarlo in strutture fisse e gerarchie, perché lo scopo della sua attività di scrittore è, come egli stesso dichiara, «di catturare nel libro il mondo illeggibile, senza centro, senza io».27
Il diario dell'autore viene completato dal catalogo delle osservazioni dei dieci lettori dei dieci romanzi di cui è composto il libro, e che si incontrano nell'ultimo capitolo in una biblioteca. Uno di loro modifica l'idea della soggettività della lettura mantenuta dagli altri interlocutori, aggiungendo che «ogni nuovo libro che leggo entra a far parte di quel libro complessivo e unitario che è la somma delle mie letture».28 Il soggetto che legge è quindi allo stesso tempo una biblioteca combinatoria, un io frammentario che assomiglia a una rete ipertestuale, come osserva lo stesso Calvino alla fine delle Lezioni Americane in una conclusione che sembra un omaggio a Roland Barthes:

«Chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d'esperienze, d'informazioni, di letture, d'immaginazioni? Ogni vita è un'enciclopedia, una biblioteca, un inventario d'oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili».29

 

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VI. Conclusione

Un tratto caratteristico e spesso frustrante della tecnologia dell'informazione è la velocità dei suoi mutamenti: un programma che al suo esordio sembra rivoluzionario può essere obsoleto dopo un solo anno, la tecnologia più avanzata invecchia nello spazio di pochi mesi e, quindi, sia il suo sviluppo futuro sia lo sfruttamento del suo potenziale rimangono imprevedibili. Perciò Calvino non avrebbe potuto prevedere la tecnologia dell'ipertesto e della rete globale, benché ne abbia segnalato l'esigenza nelle sue proposte per il prossimo millennio.30 I suoi romanzi combinatori appartengono al periodo in cui il computer passa da mero - sia pure enorme - calcolatore, capace di gestire numeri infinitamente grandi, a wordprocessor, cioè appartengono all'alba dell'esplorazione dell'informatica come tecnica testuale. Calvino si pose in varie occasioni il problema se la nuova tecnologia avrebbe cambiato il testo e la sua lettura, come ad esempio nel già citato intervento in occasione della Fiera del libro a Buenos Aires, in cui dice:

«Certo cambieranno molte cose, se è vero che coi word-processors i nostri libri saranno composti direttamente dalle nostre mani senza passare per la tipografia. Così come cambieranno le biblioteche, che forse conterranno solo microfilms. Questo un po' mi rattrista, perché non sentiremo più il fruscio delle pagine.
Cambierà il nostro modo di leggere? […] Forse in futuro ci saranno altri modi di leggere che noi non sospettiamo. Mi sembra sbagliato deprecare ogni novità tecnologica in nome dei valori umanistici in pericolo. Penso che ogni nuovo mezzo di comunicazione e diffusione delle parole, delle immagini e dei suoni possa riservare sviluppi creativi nuovi, nuove forme d'espressione. E penso che una società più avanzata tecnologicamente potrà essere più ricca di stimoli, di scelte, di possibilità, di strumenti diversi, e avrà sempre più bisogno di leggere, di cose da leggere e di persone che leggono».31

Come correttamente aveva previsto Calvino, nella cultura computerizzata il bisogno di leggere certamente non è venuto meno, anzi è aumentata la quantità di materiali scritti, però stanno cambiando in modo radicale l'atto stesso del leggere e il concetto di testualità. Che l'atto del «leggere» non sia più un'attività continua è dovuto in gran parte, almeno negli Stati Uniti e in Australia, alla televisione, che spezza la nostra attenzione in blocchi della durata massima di venti minuti tra uno spot pubblicitario e l'altro, insieme con, per esempio, libri interattivi per giovani lettori come Ghoosebumps o Fighting Fantasy, diffusissimi nei paesi anglosassoni. Composti da brevi blocchi di testo, il piccolo lettore compone, attraverso una serie di prove e di scelte, un testo personalizzato. Questo genere di libri presenta una forma di iper-romanzo popolare che traduce la struttura dei videogiochi in libro, e segnala che nonostante la crescente diffusione del personal computer, il libro in forma cartacea non appare in via di estinzione. D'altra parte la tecnologia dell'ipertesto offre la possibilità di rendere attuale il potenziale insito in un iper-romanzo. Del resto, come ribadisce lo stesso Calvino, lo scrivere breve è una caratteristica centrale della letteratura italiana, «confermata [oggi] anche dai romanzi lunghi, che presentano una struttura accumulativa, modulare, combinatoria».32 Ma già un romanzo lungo come Il Decamerone è in fondo un iper-romanzo che si presta benissimo a essere trasformato in vero e proprio ipertesto, come ha dimostrato Massimo Riva con il suo Decameron Web.33 Ed è qui che sta, a mio avviso, la grande sfida per i fautori di una cultura in pericolo. Mi riferisco, in particolare, all'insegnamento della letteratura straniera all'estero, in università dove la sopravvivenza dei dipartimenti stessi è in costante pericolo. Bisogna dimostrare la stessa avvedutezza di Calvino e cogliere le possibilità che le nuove tecnologie offrono all'insegnamento per far sì che il patrimonio umanistico non diventi «genere marginale» in un mondo sempre più digitalizzato e virtuale.34

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2001

Dicembre 2001, n. 2


 
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