Gian-Luca Galletti
Le manie di un tifoso di calcio tra vita e psicoanalisi:
Nick Hornby, Febbre a 90'

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Alienato, nevrotico, depresso, l'immagine che traccia Nick Hornby del tifoso di calcio non è certo delle più confortanti. Un uomo eterno bambino, il calcio funzionando su di lui come «grande ritardante»,1 un vero monomaniaco, che sogna e consuma football.
Con un colpo umoristico abbastanza riuscito, qualcosa - per intenderci - tra lo stile di Woody Allen e la vita di Zeno Cosini, veniamo a conoscenza soltanto a metà lettura dell'espediente che genera il libro, e cioè che l'autore ha inteso concepire un diario sul calcio, e sui tormenti stravaganti del tifoso, dietro il consiglio del suo analista.
Ma indagare le manie di un tifoso, si capisce, può rivelarsi un esercizio complesso, e di fronte ad esperienze eccezionali come quelle calcistiche, le leggi ferme della psicoanalisi parrebbero inadatte. Il calcio è un elemento imponderabile, un fattore esterno che scardina tutte le teorie, per cui una vittoria fuori casa, per un tifoso alquanto sfortunato, sarà di gran lunga pių convincente, e pių produttiva, della psicoterapia.

Nella maggioranza dei casi, ad ogni modo, la vita quotidiana non è dissimile dal calcio e un'indagine seppur problematica delle manie del tifoso può ancora essere tentata. Calcio e vita, in fondo, dispensano le medesime emozioni (sebbene le emozioni della vita siano senza dubbio una versione pių pallida di quelle che sa riservare il calcio: l'amore, la gioia, l'ambizione frustrata, il dolore per una sconfitta, cose che il tifoso avrà sperimentato tutte precocemente, per la prima volta, sugli spalti di uno stadio), il medesimo ripetersi del tempo, tra fasi deprimenti e dolci minuti, tra estasi e sconforto.
Perciò, se seguiremo il gioco dei rimandi tra vita, calcio e psicoanalisi, anche a noi sarà dato scoprire, ad esempio, che George Graham, oltre a essere un celebre allenatore, non è altri che il padre perfetto, cosė rassicurante, autoritario, insondabile; oppure che gli avversari del Chelsea, per un adolescente tifoso dell'Arsenal, sradicato e ribelle, «in conflitto con le sue radici provinciali»,2 rappresentano tutto il meglio che la grande città può offrire, gente alla moda per un gioco alla moda, «perfettamente consapevole di essere al centro del mondo»;3 o ancora, che l'eterna fantasia maschile è proprio la donna tifosa, quella che sa comprendere e apprezzare la frenetica esultanza "post-goal" e che mai oserà insorgere con la frase "è solo un gioco" (ma che non si riveli pių accanita dei maschi! Come reagire altrimenti, si domanda Hornby, nel caso in cui lei occupasse «il mio posto allo stadio, guardando la mia squadra che io le avevo presentato solo qualche anno prima»,4 e ancor peggio rivendicando come suo «quel territorio emotivo»?).5
E quando l'attaccamento alla squadra ci verrà descritto nei termini di una relazione sentimentale, non potremo affatto stupirci; anzi, oramai si era già immaginato che il legame era solido e austero e a prova di tradimenti («i matrimoni sono ben lontani da tale rigidità: non beccherai mai un tifoso dell'Arsenal che sgattaiola verso il Tottenham per una scappatella extraconiugale»).6 Ebbene, se la squadra di club rappresenta in questo senso l'amore di tutta una vita, ciò non impedisce al tifoso intraprendente di ripartirsi tra squadre minori, e di instaurare con esse, a patto che militino in campionati differenti, e che mai e poi mai si trovino nell'imbarazzante condizione di doversi incontrare, un nuovo legame affettivo. Forse, per valore e intensità, di natura diversa dal primo, ma con il vantaggio di dimostrarsi alla lunga pių spontaneo e spensierato, libero dalle responsabilità pressanti di una relazione ufficiale. Allora, sorprendentemente, dopo anni di convivenza con l'Arsenal, ci si può innamorare di nuovo, e l'oggetto di questa passione sarà il Cambridge United, squadra giovane e sgangherata, per la quale - ci confessa Hornby - «era impossibile non provare un forte senso di protezione e di tenerezza».7
Tra le squadre che contrassegnano una vita, alcune c'è permesso di sceglierle, altre ci capitano per destino. È il caso, quest'ultimo, della madre Nazionale, una parentela ricevuta ma non sempre desiderata, nei riguardi della quale i legami affettivi appaiono talvolta controversi, se è fondato ciò che sostiene l'autore, ovvero che la maggior parte dei tifosi inglesi odia da sempre l'Inghilterra (d'altronde è questo un requisito solenne per chi, come Nick Hornby, incarna il "perfetto inglese") e prova imbarazzo e disagio di fronte alle sue prestazioni.
Talvolta la storia di qualche giocatore può persino apparire esemplare, e in tale misura e con tal evidenza che le stesse vicende sportive serviranno da parametri di vita. Introducendo la storia di Gus Caesar, ad esempio, Hornby si diverte a svilire la propria carriera di scrittore, restituendoci una parabola stravolta sul tema del talento e su come il senso acuto della propria vocazione si riveli spesso fuorviante. Nella storia di Liam Brady, invece, incentrata com'è sulla morte dell'arte del passaggio, è facile scorgere una riflessione sulle diverse intelligenze e un confronto di doti artistiche e creative tra giocatori e scrittori.

A questo punto, se la trama del libro ci avrà in qualche modo persuaso del parallelismo tra calcio e vita, persino noi che, forse, seguiamo da lontano il mondo delle gradinate, sapremo godere di simili frasi: «la condizione naturale del tifoso di calcio è l'amara delusione, indipendentemente dal risultato»,8 oppure «la vita non è e non è mai stata, una vittoria in casa per 2-0 contro i primi in classifica con la pancia piena di patatine fritte».9
D'altro canto, se frasi cosė radicali ci suonano stonate ed eccessive, certo perché siamo ancora distanti da nozioni quali «l'intrattenimento come dolore»10 o «gli anni che vanno da agosto a maggio»11 («giugno e luglio non esistono neanche, soprattutto negli anni dispari, che non hanno i mondiali e gli europei»),12 allora non potremo neppure comprendere l'estenuante «tirannia del calcio»;13 e le ingegnose e bizzarre manie di ogni tifoso, ai nostri occhi, non saranno mai saggezza.

Dal libro Febbre a 90' è stato tratto il film omonimo,14 diretto da David Evans. Poiché la sceneggiatura del film è opera dello stesso Hornby, sarebbe interessante analizzare le differenze che intercorrono tra i due testi, mettendo in luce la diversità d'approccio alla narrazione della storia. La tesi che si vuole qui sostenere, è che Hornby, di fronte all'esigenza di "mettere in scena" la propria autobiografia, ovvero di trasporre in racconto scenico un racconto letterario, abbia optato per una soluzione di non consequenzialità, producendo per la sceneggiatura del film una versione del racconto in buona parte nuova, che del libro conserva soltanto il tono scanzonato e alcuni spunti narrativi. Già a partire dalla trama, in realtà, fino alla scelta del narratore principale e dei personaggi secondari, ci si può accorgere quanto le differenze di tipo meramente narrativo appaiano decisive e considerevoli.
In sostanza, mentre il libro rientra nel genere dell'autobiografia (Hornby si fa biografo di se stesso e ripercorre la sua esperienza di tifoso), ed è presentato come un diario sul calcio scandito da date precise (ogni data corrisponde ad un incontro reale disputato dall'Arsenal, da cui la trama ad intreccio tra aneddoti di calcio ed episodi di vita), il suo riadattamento cinematografico è invece una storia d'amore a lieto fine, che racconta coi toni brillanti della commedia la relazione tra Paul e Sarah, entrambi insegnanti di scuola, entrambi single intorno ai trent'anni. Sebbene il personaggio di Paul, in qualità di tifoso dell'Arsenal, sia fatto portavoce del punto di vista dell'autore, rare sono le scene del film che riprendono il libro fedelmente; rari anche i personaggi e gli episodi di vita condivisi da entrambi i racconti (la maggior parte circoscritta alle avventure dell'infanzia di Hornby e ai rapporti controversi con la propria famiglia); nessun riferimento, infine, alla psicoanalisi, nonostante il tema dell'ossessione, negli atteggiamenti di Paul, sia esibito e ricorrente.
Se nel film, d'altra parte, l'insegnamento e la storia d'amore sono temi imprescindibili per lo sviluppo delle vicende, nel libro, al contrario, essi occupano un posto più che marginale e non hanno affatto contorni definiti. L'esperienza d'insegnante di scuola è trattata nel libro con parole sbrigative, senza alcun riferimento preciso alle mansioni professionali; la storia d'amore, anch'essa, non è mai approfondita, non c'è alcun accenno al nome di Sarah, né ad alcuna relazione tra colleghi insegnanti, e, in ogni caso, di storie d'amore, nel libro, ce ne sono diverse, tante avventure sentimentali quante le età della vita, raccontate ognuna con accenti e sapori particolari.

Abbiamo sostenuto che ciò che distingue ad una prima analisi le due opere è proprio la diversità di trama (diversità di genere? Risulta difficile introdurre qui una riflessione sui generi narrativi, e sulla persistenza delle loro distinzioni anche all'interno della narrazione filmica), in quanto la sceneggiatura del film si rivelerebbe in buona parte indipendente dal libro, originata, in sostanza, dall' ampliamento e dalla rivisitazione di alcuni episodi ad esso marginali. Ma al di là della trama, al di là della scelta degli eventi e dell'ordine in cui essi verranno dipanati, i luoghi in cui questo radicale processo di riscrittura si rende più esplicito, sono probabilmente i dialoghi filmici; in questo senso potremmo far nostra l'espressione di Todorov in relazione alle tecniche di scena del teatro, secondo cui «il racconto è contenuto nelle battute dei personaggi».15 Nel nostro caso, poi, questa formula sembrerebbe assumere un significato ancora più marcato, dovuto fondamentalmente a un doppio ordine di ragioni. In primo luogo, per la quasi totale assenza di dialoghi nel libro, assenza che lo stesso autore commenta ironicamente con queste parole: «È abbastanza naturale che i dialoghi, nelle opere autobiografiche, siano visti con qualche sospetto. Come cavolo fa l'autore a ricordarsi, parola per parola, conversazioni che hanno avuto luogo quindici, venti, venticinque anni fa?».16
In secondo luogo, poiché attraverso l'alternarsi delle battute, spesso fitte e spiritose, dalla sceneggiatura emergono quei temi e quegli argomenti che nel libro svolgeva la voce autobiografica. A questo proposito, ci sembra di constatare che, nella trasposizione del libro in dialoghi scenici, Hornby abbia adottato per ogni scena decisiva una stessa situazione modello. Una situazione, in pratica, a due personaggi, aventi caratteri inconciliabili e punti di vista divergenti, accompagnata da uno scambio serrato di battute e smentite intorno ad un tema preciso, quale potrebbe essere l'infantilismo del protagonista, la natura eccezionale dell'ossessione del tifoso, la violenza negli stadi, il disprezzo delle donne per il calcio.
L'accostamento tra caratteri opposti, il malinteso, l'incomprensione, sono temi che già ricorrono nel libro, e che ne segnano la trama in modo profondo. Nell'autobiografia di Hornby, d'altronde, non sono insoliti episodi del genere, in cui le ragioni del tifoso si scontrano con quelle di chi tifoso non è, generando il gioco piacevole degli equivoci. La sua sconsiderata devozione, la sua pretesa di mettere l'Arsenal sopra ogni cosa (a tal punto che «il calendario delle partite ha sempre l'ultima parola su qualsiasi progetto»),17 devono inevitabilmente scendere a compromessi con le esigenze del mondo reale, con gli amici, il lavoro, la famiglia e in generale con ogni tentativo di mantenere rapporti sociali.
Ma nell'economia del film, come abbiamo affermato, questo accostamento che genera scintille è elevato a situazione modello ed è riscontrabile in ogni scena decisiva. A partire, ovviamente, da quelle che pongono di fronte Paul e Sarah, i cui contrasti d'opinione animano i dialoghi del film sino al lieto fine e investono temi e argomenti dei più disparati. Diversa, ad esempio, è la loro concezione del lavoro, diverso, di conseguenza, il loro rapporto con gli alunni. Se Paul, difatti, da tifoso accanito qual è, si dimostra più preoccupato delle sorti dell'Arsenal che della carriera scolastica, Sarah, al contrario, è una donna tutta dedita al lavoro, solerte e metodica. E mentre Paul, grazie alla sua stravagante ossessione, riscuote simpatie tra gli alunni e benevoli consensi tra i loro genitori, Sarah, per il suo rigore, ha fama di persona intransigente.

Per fare maggior chiarezza sul procedimento di riscrittura che abbiamo postulato in precedenza, potrebbe essere utile, a questo punto, esporre una serie di casi in cui esso risulta applicato; l'intento sarà quello di mostrare come alcuni temi generali già presenti nel libro vengono sviluppati nel film e in che modo prendono forma e significato attraverso lo scambio di battute tra due personaggi.
L'infantilismo del protagonista, ad esempio, nel libro non si trova associato ad alcun episodio specifico, ma è tema ricorrente che serve da commento a una gran quantità di fatti. Nel film, invece, questo tema è calato in una scena precisa, una cena al ristorante tra i due protagonisti, durante la quale Sarah rivela a Paul di essere incinta. La reazione di Paul è assolutamente inadatta, e il suo discorso sulle responsabilità che implica avere un figlio si dimostra irreale e sconclusionato. Tanto che Sarah esclama incredula: «Mio Dio, mi sono fatta mettere incinta da un dodicenne!».
Il tema della violenza del tifo occupa uno spazio importante in entrambe le opere, ed in entrambe si trova intrecciato alla cronaca della tragedia di Hillsborough, un incontro di calcio durante il quale morirono, sulle gradinate, decine di tifosi. Nel libro, Hornby sviluppa un'amara riflessione sulla ragioni che hanno provocato l'evento, scegliendo di trattare problemi gravosi e delicati come il fenomeno degli hooligans e l'incapacità organizzativa delle società calcistiche. Ma, in primo luogo, l'autore compie un coraggioso esercizio d'autocritica, ritenendo di aver contribuito, come ogni altro tifoso non violento ma tollerante, alla crescita di quella cultura dell'aggressività e dell'insulto che ritiene alla base di tragedie simili.
Nel film, la tragedia in questione si traduce in un aspro litigio tra Paul e Sarah, davanti alle immagini drammatiche del telegiornale. Sarah è convinta che Paul, persuaso dalla gravità dell'evento, saprà rinunciare allo stadio, e che tale sarà la decisione di tutti i tifosi assennati. Paul, al contrario, seppur profondamente affranto dall'accaduto, rivela la sua diversa intenzione e accusa la ragazza di non comprendere affatto le ragioni dei tifosi. Un episodio del genere, sostiene Paul, non può privare un tifoso di una passione che lo accompagna da tutta una vita; solo i tifosi, inoltre, hanno la tenacia di sopportare vergogne simili e di perseverare nella loro romantica devozione.

Anche nel film, tuttavia, ci sono scene in cui i dialoghi a due lasciano spazio ad una riflessione prolungata, dal carattere altamente autobiografico, laddove cioè il commento degli eventi è affidato a una voce fuori campo, attribuibile con certezza al personaggio di Paul. I temi preferiti, in tal caso, sono intimi e confessionali, una dichiarazione autoironica sopra i propri eccessi di tifoso, la presa di coscienza del proprio amore per Sarah, un ravvedimento circa la propria ostinazione. In questi momenti, grazie ad una manifesta sovrapposizione di prospettive, la voce di Paul si avvicina in modo sensibile a quella di Hornby, inteso qui tanto come autore della sceneggiatura, quanto come protagonista della propria autobiografia, e ne riproduce, forse, le sfumature più autentiche.
 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2001

Dicembre 2001, n. 2


 
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