Edoardo Albinati
Cosa debbo fare con te, amore mio?


Un affermato poeta di cinquant'anni, Rastoni, aveva un fidanzato di vent'anni drogato. Il ragazzo campava di lavoretti rimediati qui e là. Malgrado gli desse parecchio filo da torcere, Rastoni lo amava perdutamente. Cercava di aiutarlo, gli passava soldi, chiedeva agli altri poeti se avevano lavori da fare in casa: il ragazzo se la cavava come manovale. Una volta il poeta seppe da un suo giovane ammiratore, o discepolo, che il padre doveva farsi ridipingere la casa, il soffitto e le pareti, tutto quanto da rasare stuccare e rimbiancare. Propose per il lavoro Diego, il suo fidanzato. Il padre del giovane ammiratore accettò, si accordarono sul prezzo. Diego attaccò con la paletta a scrostare l'intonaco, solo che andò in crisi non appena annusò l'odore della tempera. Cominciò a contorcersi sul pavimento, piegato in due, e a ululare. Voleva la droga. Fu necessario che il poeta Rastoni andasse di persona a calmarlo, ma non ci riuscì, e come tutta risposta Diego gli ruppe in testa il manico di una scopa. «Accidenti, ma cosa fai?» chiese il poeta toccandosi la fronte da cui colava un pò di sangue, «ti sei impazzito, Diego!» Diego urlò e lo colpì di nuovo col pezzo di manico, facendolo sanguinare copiosamente. «Perché sei così violento? Che cosa debbo fare con te, amore mio?» si lamentò Rastoni. Intanto il padrone di casa era allibito perché non immaginava che suo figlio, il quale voleva fare il letterato, e che lui manteneva agli studi, si mischiasse con quella gente: il giovane imbianchino drogato e il poeta finocchio. Ma forse era questa la letteratura. Decise perciò di star zitto, perché non voleva essere d'ostacolo alla carriera del figlio o offendere i suoi strani amici, e dunque, quando davanti ai suoi occhi, Diego si fu fatto la dose che Rastoni era corso a procurargli, e di conseguenza la piantò di strillare, disse che per parte sua non c'erano problemi perché Diego proseguisse il lavoro. In fondo lui non s'intendeva di letteratura, non era il suo campo. Lui era un ingegnere. Però uscì di casa preoccupato.

Il giovane letterato, che amava la poesia e la poesia di Rastoni in particolare ma non era uno sciocco né un ingenuo, vide Rastoni ubriaco d'amore e temette che Diego si approfittasse di avere campo libero: mentre Diego e il poeta si riappacificavano abbracciandosi, radunò gli oggetti di valore della casa, li mise nella camera da letto del padre, chiuse a chiave la camera e portò via la chiave.

Poi accompagnò Rastoni in macchina al Pronto Soccorso. Diego era risalito in cima alla scala e ricominciava a scrostare il soffitto, canticchiando. Al poeta diedero cinque punti sulla testa. Quando tornò a casa, Rastoni si sentì struggere di solitudine e di pena e scrisse una poesia: ci mise un paio d'ore. Alla fine, ricopiandola, era abbastanza soddisfatto e sollevato. Stava invecchiando, questo sì, ma la vena continuava a zampillare. Poi ripensò a Diego con un misto di amore e risentimento: «Brutto bastardo» disse tra sé il poeta, «ora ti concio per le feste» e si mise ad aspettarlo, cucinando la cena. Ogni tanto si toccava il cerotto che copriva la sutura, per controllare che non si fosse staccato. Ma sulla cute quasi calva il cerotto aderiva bene.

L'ingegnere tornò la sera a casa e trovò tutto sottosopra: i mobili coperti di teli di plastica, e sopra la plastica i frammenti e la polvere di intonaco rimosso. Diego aveva fatto un discreto lavoro e l'indomani poteva passare alla fase seguente. Bene. Purtroppo però, quando l'ingegnere cercò di entrare in camera da letto, la trovò chiusa a chiave. Non riusciva a capire come questo fosse possibile e cercò di ricordare se l'avesse chiusa a chiave lui, ma no, non era andata così. E allora? l'aveva chiusa il ragazzo? e perché? Un'altra stranezza: stavolta però qualcuno gliela doveva spiegare, per favore. Si rassegnò al fatto di non poter entrare in camera sua e, scansati i teli di plastica, cercando di non alzare troppa polvere, se ne andò a dormire in salotto su un divano.

Intanto suo figlio, con la chiave scordata in tasca, stava a cena in pizzeria con altri studenti di lettere e poeti e ragazze che volevano fare le pittrici e raccontava l'episodio accaduto tra Rastoni e il suo amante. Usava parole feroci e colorite. Tutti morivano dal ridere, più botte in testa prendeva Rastoni, più ridevano. «Perché sei così violento? Che cosa debbo fare con te, amore mio?»: la battuta veniva ripetuta imitando il timbro nasale del poeta.

Diego non tornò a casa. L'unica cosa che aveva trovato in casa dell'ingegnere era un secchiello d'argento o forse nemmeno d'argento, però abbastanza pesante. Andò in giro col motorino e trovò uno che gli diede ventimila lire per il secchiello, che erano comunque troppo poche. Quindi andò a battere tra la stazione e i monumenti. Rastoni lo attese invano, seduto a tavola, con il vino e la scodella dei maccheroni davanti: quando furono ormai mosci e quasi freddi ne mangiò un piatto, forzandosi a inghiottire. Lasciò apparecchiato per Diego nel caso tornasse tardi e avesse fame. La testa gli faceva di nuovo male e i punti tiravano. Pianse un pò ma poi rilesse la sua poesia e trovò che non era male.

    COSA DEBBO FARE CON TE, AMORE MIO?
    (LACRIME DI COCCODRILLO)

    di Giovanni Rastoni

    Nella forza che ti lega le braccia
    abbandono ogni pretesa di capire, Diego
    tu hai almeno otto braccia quando mi stringi
    quando mi sollevi da terra
    al mercatino vorrebbero venderti
    usando oro al posto del piombo
    ma ti ho comprato io per primo
    e mangerò quando mi viene fame. Ti uccido
    con le mie mani incapaci, le pulsazioni
    sempre più lente nel collo, sennò ti lascio
    vivere ancora per un pò nel mio teatrino
    dove ballerai e ballerai e alla fine
    t'inchinerai, giuro, m'inchinerò
    anch'io davanti alla follia, chiamato
    a gran voce, il tuo amabile tenore
    innamorato e pazzo di te, Diego, olé.
    Mi stai a sentire, coniglio bianco?
    Il mio muso sanguina quando mi chino
    a osservarti dormire: le tue spalle fremono
    le copro col lenzuolo, dalla finestra
    sta entrando il vento bagnato di ottobre
    con lacrime pesanti come noci di cocco
    e io sto tutta la notte a vegliare, asciutto
    tremendamente sobria questa notte
    anche lo spazio tra le note è asciutto
    anche le pause tra gli scherzi di
    quei quindici ragazzi seduti sulle moto
    sotto casa.

 

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