Marcello Simonetta
Un esempio di saggistica televisiva: "Le ceneri di Pasolini" di Pasquale Misuraca

 

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È lecito parlare di un documentario televisivo all'interno di una rivista di italianistica? La sede multimediale (un bollettino letterario telematico) seduce a queste contaminazioni. Le ceneri di Pasolini di Pasquale Misuraca è un film-documentario in soggettiva, il tentativo di una autobiografia come totalità di opera e vita, usando il linguaggio audio-visivo. I materiali inclusi nel montaggio sono di vario tipo: sequenze dal primo film di Misuraca, Angelus Novus, lirica ricostruzione degli ultimi giorni di Pasolini fino al brutale omicidio allo Scalo di Ostia; brani di film pasoliniani; spezzoni di interviste televisive; riprese di luoghi pasoliniani (Bologna, Casarsa, Roma) da documentari d'epoca; fotografie dei familiari drammatizzate con sfocature e tagli d'inquadrature... Le associazioni di pensiero e di parola sono guidate dalle immagini e dai suoni. Una intervista televisiva è più eloquente di una trascrizione verbale, grazie alle pause, alle ripetizioni, ai lapsus, agli sguardi e ai gesti incontrollabili del parlante. Si ottiene così una impressionante evocazione fisica (notata con acutezza già da Lietta Tornabuoni all'uscita berlinese del film). Il risultato è il ritratto in movimento di un uomo che era ossessionato dal movimento.
Non sta a me (che ho avuto parte attiva nel montaggio) decidere se l'intento di Misuraca, di dare il respiro spazio-temporale del cinema di poesia al linguaggio audio-visivo della televisione, sia raggiunto. La tradizionale oggettività del documentario con voce fuori campo viene sostituita dalla visionarietà soggettiva. Tutto parte da Pasolini e a Pasolini ritorna; è una esemplificazione pratica dell'idea pasoliniana che il montaggio è come la morte: dà senso ad un'intera esistenza.
A questo punto, ci si può porre una domanda più attinente ad un discorso teorico-critico: è possibile il linguaggio «postumo» in televisione? Uso l'aggettivo «postumo» nel senso definito da Giulio Ferroni nel suo recente Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura (Einaudi, 1996). Al libro di Ferroni ho dedicato una recensione (in uscita sulla «Rivista di Studi italiani»); qui vorrei occuparmi di un singolo aspetto ivi accennato. Scrive Ferroni a pagina 159, dopo una dura requisitoria sulle responsabilità culturali ed educative degli «operatori dei media»: «A questa spirale collaborano in prima istanza alcuni intellettuali che sostengono un uso critico interno e paradossale della televisione (e perfino della pubblicità), a partire da una cultura di origine letterario-filosofica, di stile «negativo», che mescola residui di «Kulturkritik», anarchismo sessantottesco, vulgata semiologica e tensioni alternative: l'orizzonte di costoro è però ancora quello miseramente e tardivamente avanguardistico (dopo tutto quello che è successo nel Novecento!) di un'aspirazione ad accelerare i processi in atto». Il bersaglio polemico non nominato da Ferroni è Enrico Ghezzi. Che Blob abbia avuto un significato provocatorio in un preciso momento della crisi politica italiana, è innegabile; ma qui ci si riferisce soprattutto a Fuori Orario e all'ideologia estetica che presiede a questa snobistica raccolta notturna di ri-fiati e ri-fiuti (N.U., per dirla con il titolo di un grande maestro, Antonioni): la programmatica svalutazione dell'autore e dell'opera, per cui tutto diventa il pre-testo per una decostruzione forsennata e compiaciuta nella mancanza di senso.
Il saggio televisivo di Misuraca ha l'indubbio merito di non indulgere in queste pose pseudo-avanguardistiche e si misura con tutto il tragico senso di una vita autenticamente anti-intellettualistica come quella di Pier Paolo Pasolini. Per uscire dalla «spirale» dell'eterno e irreale presente televisivo occorre non accelerare, ma rallentare «i processi in atto». Invece di adottare con inconscio acriticismo il linguaggio della frammentazione e della realtà fittizia, bisogna scegliere quello della distanza e della riflessione intelligente, senza pascersi di retoriche ellittiche che alla fine del Novecento fanno sorridere per la loro falsa ingenuità.
Un capitolo a sé meriterebbe il destino distributivo di questo documentario: selezionato e premiato nei maggiori festival internazionali, trasmesso dalle televisioni europee, proiettato nei più prestigiosi campus americani, Le ceneri di Pasolini non ha ancora trovato una degna collocazione nei palinsesti ex-nazional-popolari della RAI.

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 1997-1999

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Giugno-Dicembre 1997, n. 2