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BOLLETTINO '900 - Discussioni / A, gennaio 1997
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Desidero precisare alcuni punti, che riguardano la situazione in cui si
trovano gli insegnamenti di letteratura italiana, letterature comparate,
linguistica italiana e linguistica comparata nelle nostre scuole e
universita'. La situazione, come sanno ormai tutti gli osservatori, č
confusa e piena di contraddizioni.
1. L'Italia e' il paese in cui si insegna, piu' di qualsiasi altro che io
conosca, in modo esteso e sistematico la letteratura nella scuola superiore.
C'e' chi lo giudica un segno di arretratezza, c'e' chi lo considera un dato
distintivo e di eccellenza. Puo' anche essere che la nostra arretratezza,
dovuta al fallimento dei progetti di riforma, finisca paradossalmente per
essere un vantaggio, quando metteremo finalmente mano alle riforme. In altri
paesi si sta ritornando a pensare che una preparazione culturale piu' ampia,
che ospiti anche e in maniera non estemporanea, i grandi testi (le "grandi
opere") della letteratura, dovrebbe essere offerta ai giovani dalla scuola.
2. L'insegnamento della letteratura nella scuola secondaria italiana e'
sostanzialmente organizzato come insegnamento della storia letteraria. C'e'
una precisa ragione storica per questo: quando il paese e' stato unificato
politicamente, esso e' risultato terribilmente differenziato culturalmente.
La tradizione letteraria, e il modello della lingua letteraria, si sono
presentati come le uniche basi unificanti, consolidate nel tempo, e capaci
di offrire un sostegno alla formazione della coscienza nazionale. La
tradizione letteraria, allora, e' stata semplificata e orientata
ideologicamente perche' servisse allo scopo: Dante e' divenuto poeta
nazionale italiano (nonostante il suo localismo fiorentino e universalismo
imperiale); Petrarca, che pur era il modello del letterato italiano
cosmopolita, e' stato allineato alla causa, avendo per fortuna scritto due
canzoni molto umanistiche e molto letterarie sul concetto astratto di
"nazione italiana": la canzone "All'Italia" e "Spirto gentil", che per
questo sono finite in tutte le antologie; lo stesso trattamento e' stato
riservato ai vari Machiavelli, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Carducci.
3. Essendo questa l'impostazione dell'insegnamento letterario (e anche
linguistico, storico, generalmente formativo) nella scuola secondaria, anche
l'insegnamento della letteratura nelle facolta' di lettere dell'universita',
che avevano lo scopo principalmente di formare insegnanti di scuola, ha
preso questo forte atteggiamento storicistico e questa ristretta
impostazione nazionale.
4. Negli anni Sessanta c'e' stata una ventata forte di rinnovamento negli
studi letterari italiani, con l'arrivo dello strutturalismo linguistico,
della semiotica ecc. Per un po' di tempo sia nelle scuole che nelle
universita', la' dove c'erano gli insegnanti piu' moderni e vivaci, si e'
cominciato a rifiutare l'insegnamento storico-letterario e a privilegiare la
lettura e analisi dei testi. Si e' trattato di tentativi generosi, a volte
ingenui, ma sempre, nonostante le apparenze, minoritari. L'insegnamento
storico-letterario e' rimasto quello prevalente in gran parte delle scuole.
E con la crisi della critica strutturalistica ha ripreso totalmente il
sopravvento. Ne fan fede non solo la fortuna di manuali scolastici come
quello di Giulio Ferroni, che ha un'impostazione storicistica molto
tradizionale, ma anche la fortuna di tanti grandi opere collettive, dalla
Garzanti alla Laterza, dalla Einaudi alla Utet alla fallita Rizzoli alla
nuova, in corso di pubblicazione, a cura di Malato. Nessun paese al mondo ha
tante storie della letteratura nazionale (e anche storie delle letterature
straniere) come l'Italia. Spesso mi e' capitato di dire che se noi avessimo
uno strumento televisivo in grado di entrare nelle case di tutti gli
italianisti in questo momento e di vedere quello che stanno facendo,
scopriremmo che nella grande maggioranza non stanno producendo edizioni di
testi e neppure saggi di interpretazione, ma capitoli di storie letterarie.
5. La stagione piu' viva e produttiva degli studi letterari in questo secolo
e' stata quella in cui si e' realizzata una collaborazione fra filologia e
critica letteraria (secondo il binomio pasqualiano rilanciato da Caretti:
"filologia e critica") e anche quella in cui gli studi di storia della
lingua e quelli di storia della letteratura sono andati di pari passo
(secondo gli insegnamenti di Dionisotti e Contini). Alcune delle scuole piu'
prestigiose di studi filologici, linguistici e stilistici (quella padovana
di Folena e Mengaldo, quella pavese di Caretti e poi di Corti e Segre,
quella bolognese di Spongano, Raimondi, Heilmann, quella fiorentina di
Contini, De Robertis, Avalle, quella romana di Roncaglia, ecc.) sono state
anche i centri piu' vivaci di rinnovamento della critica letteraria nel
nostro paese.
5. L'impostazione fortemente "nazionale" dei nostri studi letterari spiega
la grande debolezza, soprattutto istituzionale, della comparatistica
italiana. Paradossalmente i grandi comparatisti italiani sono stati alcuni
studiosi di filologia romanza (per loro natura comparatisti, confortati dai
grandi modelli di maestri come Auerbach, Spitzer, Curtius) e poi numerosi
studiosi di letterature straniere (si pensi a Praz, Macchia, e via via a
Cases, Orlando, Boitani, ecc. ecc.). La funzione che in altri paesi hanno
svolto i dipartimenti di comparatistica, e cioe' di stimolare gli studi
teorici, le metodologie critiche, le sperimentazioni didattiche, da noi
l'hanno svolto, in modo non istituzionale, e quindi non complessivo e
incisivo, i dipartimenti e gli insegnamenti di filologia romanza, di storia
della lingua, delle varie letterature straniere.
6. E' indubbio che gli studiosi della linguistica e della storia della
lingua italiana hanno dato un forte prestigio, anche internazionale, alle
loro discipline, hanno prodotto ottimi manuali, rinnovato gli strumenti di
studio. I risultati pratici di tanti sforzi non sono esaltanti,
probabilmente per la presenza preponderante di potenti fattori sociali e
culturali che hanno inciso negativamente sulla salute complessiva
dell'italiano; e tuttavia ha ragione Merz a pensare in termini abbastanza
ottimistici ai programmi di insegnamento all'estero, ai successi ottenuti,
alla complessiva situazione di presenza e buona capacitā di penetrazione
dell'italiano nel mondo.
7. La crisi dell'italianistica, di cui si parla, e' soprattutto crisi
dell'insegnamento della letteratura italiana ed e' dovuta ai cambiamenti nel
frattempo intercorsi: bene o male una coscienza nazionale italiana si e'
formata (piu' grazie ai programmi televisivi che tutti vedono che non ai
classici della letteratura che nessuno piu' legge o impara a memoria), una
unificazione linguistica si sta gradualmente realizzando (anch'essa su basi
diverse da quelle previste da chi discuteva di questione della lingua
nell'Ottocento). Il fatto drammatico e' che i professori di letteratura
italiana, sia nelle scuole sia nelle universita', quasi non se ne sono
accorti. Di recente hanno costituito, a Pisa, una associazione professionale
e hanno cominciato pubblicamente a discuterne.
8. Il nodo principale rimane quello dell'impostazione dell'educazione
letteraria, distinta dall'educazione linguistica, nelle scuole secondarie.
Ormai e' chiaro a tutti che un programma ampio e completo di educazione
letteraria, a tutti i livelli e in tutte le scuole, non e' ne' obbligatorio
ne' scontato. Quasi tutti quelli che intervengono nelle discussioni
continuano a pensare al loro bel liceo classico di un tempo, quello in cui
loro hanno studiato, e non sanno che ormai si tratta di una realta'
estremamente marginale e minoritaria nel sistema scolastico italiano. Non
sono mancati coloro che hanno apertamente sostenuto che la scuola secondaria
unificata, che uscira' dalla riforma, dovra' accontentarsi di un buon
obbiettivo generale di educazione linguistica, mentre l'educazione
letteraria andra' relegata a materia opzionale nella scuola secondaria e poi
a un vero e proprio corso di studio completo nell'universita'. Qualcun altro
(per esempio, di recente, Franco Brioschi in un intervento a una tavola
rotonda a Sulmona, dibattendo con Petronio, Malato, Ghidetti, Palermo e me
stesso) ha sostenuto l'ipotesi di dedicare gli anni della scuola secondaria
non allo "studio" della letteratura, ma alla sua libera consumazione, con
programmi di lettura (anche individuale e silenziosa in classe), educazione
insomma al "piacere" del testo - rinviando i momenti dell'interpretazione
critica e della contestualizzazione storica all'universita'. Una proposta
come questa cambierebbe radicalmente non solo l'insegnamento della
letteratura nella scuola secondaria, ma anche quello nell'universita', con
programmi articolati per anni, un'alfabetizzazione letteraria graduale e
completa, il rafforzamento dei corsi istituzionali, l'indebolimento della
pratica dei corsi monografici, ecc.
9. Se si vuole mantenere un insegnamento consistente della letteratura nella
scuola, a questo punto, non si puo' piu' darlo per scontato e appoggiarsi
alla tradizione. Bisogna motivare una tale scelta e sostenerla contro le
ragioni non prive di forza degli avversari. Bisogna scegliere fra
insegnamento antologico e libero dei testi e insegnamento per percorsi
storici. A una scelta in questo senso spingono anche le indicazioni venute
dalla commissione che ha preparato i nuovi curricula e i nuovi programmi, la
cosiddetta commissione Brocca, la quale ha raggiunto una interessante
posizione di equilibrio in questa materia, grazie alla presenza intelligente
del linguista Sabatini e anche di alcuni insegnanti di letteratura. In ogni
caso non e' piu' possibile pensare in termini di percorso di tipo
"desanctisiano", che vada dalle origini a oggi. Delle scelte vanno fatte
anche rispetto alla lunghissima vicenda storica della letteratura italiana.
10. A complicare le cose c'e' l'esigenza, sacrosanta, di allargare
l'insegnamento alle altre letterature, che in molti momenti storici hanno
contribuito in modo molto rilevante, e preponderante, alla costituzione
dell'immaginario letterario collettivo (e anche del "canone" delle grandi
opere).
11. Spesso si sono levate voci in favore di una netta concentrazione
dell'insegnamento letterario sui testi del Novecento. In ogni caso i recenti
interventi ministeriali sui programmi di storia fanno prevedere che si avra'
presto un intervento simile per i programmi di letteratura, con l'invito a
dedicare tutto l'ultimo anno di corso alla sola letteratura del Novecento. A
favore di questa scelta c'e' il dato storico significativo che la nostra
letteratura, dopo aver avuto una posizione preminente nel Medioevo e nel
primo Rinascimento, e' tornata a contare sul piano mondiale solo nel nostro
secolo, con autori come Pirandello, Svevo, Montale, Calvino che ormai fanno
parte di molte reading lists per l'insegnamento letterario in tutto il
mondo. Trattandosi di un tipo di letteratura fortemente integrata con quella
delle altre culture del Novecento (Svevo e' un autore mitteleuropeo, tutti
gli altri hanno continuamente dialogato con altre letterature e altre
culture) un simile insegnamento si presterebba facilmente a una
organizzazione allargata e comparatistica. E pero' la letteratura del
Novecento e' anche fortemente nutrita di elementi di intertestualitā
storica, ha spesso i connotati della piena maturita', giunta alla fine di
una lunga tradizione. Essa stessa rinvia alla dimensione della storicitā e
sembra indicare la necessita' di esplorazioni, su base selettiva e mirata ma
non casuale e saltuaria, di altri universi culturali, sia sul piano
geografico che su quello storico.
© Bollettino '900 - versione e-mail
Electronic Newsletter of '900 Italian Literature
DISCUSSIONI / A, gennaio 1997. Anno III, 1.
Redazione: Vincenzo Bagnoli, Daniela Baroncini, Stefano Colangelo,
Eleonora Conti, Stefania Filippi, Anna Frabetti, Federico Pellizzi.
Responsabile: Flavio Niccoli. Editor: Federico Pellizzi.
Dipartimento di Italianistica
dell'Universita' di Bologna,
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Fax +39 051 2098555; tel. +39 051 2098595/334294.
Reg. Trib. di Bologna n. 6436 del 19 aprile 1995.
ISSN 1124-1578