Milena Contini
Tumbleweed

 

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alcuni conoscono bene le varie specie
delle piante altri quelle dei pesci
io conosco le separazioni

N. Hikmet

 

A ben pensarci, non sapevamo nemmeno da dove venisse di preciso. Qualcuno era pronto a giurare che fosse sudamericano, visto il nome e l'accento, altri Naaa, figurati è albanese o, al limite, polacco o qualcosa del genere a est: non dice una doppia nemmeno sotto tortura! I suoi occhi a mandorla erano il cavallo di battaglia di quelli che sostenevano la tesi dell'estremo oriente. Qualche maligno buttava lì addirittura l'ipotesi che fosse di Busto Arsizio e fingesse una lontana origine per racimolare qualche spicciolo in più... insomma la sua esatta provenienza era avvolta nel mistero, ma sicuramente era arrivato da un'altra parte.
Passava la giornata seduto sopra un alto gradino nel locale delle 'macchinette automatiche del caffè' affacciato sul cortile del Bramante dell'Università Statale di Milano. Sua perenne compagnia: piccoli e grandi sacchetti dal contenuto ignoto e un carrellino per trasportarli. Nessun recipiente né cappello rovesciato che invitasse alle offerte. Le monetine bisognava dargliele in mano. Che ci fossero 40 gradi o -2 poco importava: un maglione color carta da zucchero non abbandonava mai le sue spalle.
Non fu immediata la nostra amicizia. La timidezza mi impediva di attaccare bottone con lui come facevano gli altri... entravo, selezionavo la bevanda, attendevo che il bicchierino si riempisse fino all'orlo di un liquido che somigliava a cioccolata calda, gli regalavo il resto tenendo lo sguardo basso e uscivo biascicando un saluto a mezza bocca. Sempre il solito copione tutti i giorni, finché Águila non ruppe gli indugi Giada, perché non ti siedi a bere quella brodaglia qui vicino a me? Ubbidii come se fosse un ordine, senza stupirmi che conoscesse il mio nome: era palese che quell'uomo dall'età indefinita sapesse molte più cose di quelle che dava a vedere. Non parlavamo molto, ma tutti i pomeriggi, nei buchi tra una lezione e l'altra, mi accomodavo al suo fianco e cercavo di guardare il mondo dal suo punto di vista.
Mai avrei pensato che quel gradino fosse un osservatorio antropologico così privilegiato... Águila, agli occhi dei più, non era una persona, ma, quando andava bene, un personaggio: i finti comunistoni radical chic facevano a gara nel mostrarsi suoi intimi compagni... un senzatetto extracomunitario in odore di Sudamerica era un piatto davvero troppo ghiotto! Una sorta di Che Guevara redivivo a portata di mano con cui giocare alla Rivoluzione come fosse Risiko. Me li vedevo la sera al bar Stalingrado con la sigaretta in una mano e un calice di rosso nell'altra... Sai, oggi ho avuto una conversazione davvero illuminante con il mio amico clochard della Statale... da quello che ho capito è un ex guerrigliero scampato per un pelo alle lame fasciste... mi ritrovo molto in lui!... Come no! Soprattutto quando la sera vai a coricarti tra le lenzuola stirate di fresco dalla mammina nella tua stanzetta calda e confortevole. Due gocce d'acqua! Poi c'era la categoria dei "buoni samaritani" a ogni costo che arrivavano a proporgli un'infinità di soluzioni per migliorare la sua esistenza: le mense dove andare a mangiare, le parrocchie dove andare a dormire, le associazioni dove andare a ritirare vestiti decenti, i consultori dove andare a curarsi, i posti dove assumevano stranieri senza fare troppe domande, persino i luoghi dove si riunivano quelli delle sue parti... Quali parti? Beh, dai... quelle parti, no? Nessuno di loro si era mai fermato a pensare che Águila sapesse cavarsela egregiamente da solo... forse lo sospettavano, ma il desiderio di alimentare il proprio serbatoio narcisistico imponendosi come salvatori dell'intera umanità ruggiva troppo forte. Altri gli parlavano piano, scandendo bene le parole come se fosse un bambino di un anno o un individuo con problemi cognitivi... Allooora si-gno-re, mi ca-pi-sce? Fac-cia cen-no? E quando Águila rispondeva loro in brillante e spedito italiano quasi si insospettivano. Una volta si era presentata una signora dai capelli color sugo al pomodoro piccante che voleva convincerlo a tutti i costi ad andare a un incontro degli Alcolisti anonimi... Águila era astemio, ma lei non ci credeva: un barbone russo (a quanto pare, parteggiava per la teoria che lo voleva slavo a tutti i costi) doveva per forza andare a letto abbracciato alla bottiglia di vodka... Su, mi faccia sentire l'alito! Non si comporti come un bambino: io non giudico! No, figurarsi, lei non giudicava affatto: si limitava a dare per scontato che lui bevesse solo perché non aveva fissa dimora e non era afferente alla categoria degli autoctoni... Quanta cazzo di pazienza ci voleva con quelli che cercavano di fare del bene?... figurarsi con gli altri. Alcune addette alla pulizia si rivolgevano a lui come se fosse uno dei suoi sacchetti dal contenuto sconosciuto... non era altro che un ingombrante rifiuto organico. Alcuni gli chiedevano se aveva il permesso di stare lì... Lì dove? Sul gradino? Nel locale delle 'macchinette automatiche del caffè'? Negli spazi comuni dell'Università Statale di Milano? In Italia? Sulla faccia della terra?... Un'altra volta un bibliotecario aveva sentenziato, senza nemmeno guardare nella nostra direzione, Questi che vengono a mangiare a sbafo e a rubarci il lavoro... come tutti i timidi ho i miei momenti d'improvviso coraggio: Quindi lei ha intenzione di lanciare i cataloghi archivistici alle ortiche per diventare un homeless e teme la concorrenza di Águila? Il bibliotecario mi aveva rifilato uno sguardo sbigottito e ancora oggi mi domando se fosse dovuto alla mia impertinenza o al fatto che non sapesse il significato di homeless (propendo per la seconda). Águila portava pazienza e si rollava l'ennesima sigaretta.
Un venerdì pomeriggio di pioggia sembrava che in Statale ci fossimo solo noi, così azzardai una domanda: Ti manca la tua terra? Águila non rispose subito. I suoi occhi allungati assediati di rughette si ricoprirono di una patina umida e tremolante che a poco a poco, con calma, fu riassorbita senza addensarsi mai in una lacrima. Sai, Giada, il problema è che io non so più quale sia la mia terra... è quella dove sono nato? Oppure quella dove ho amato? O forse quella in cui ho vissuto di più? In me, ormai, i ricordi si confondono. Ho perso da tempo la via che porta a 'casa mia' e, anche ricordassi il percorso, forse ora quel posto non esiste più.
Rimasi in silenzio e gli diedi qualcosa di simile a una carezza sulla mano. Mi venne naturale pensare alla tumbleweed, quella strana pianta, immancabilmente presente nei film western, che non mette radici e rotola qua e là sospita dal vento. Ecco, forse per noi stanziali ragazzi di città la vita di Águila era esotica e rocambolesca, ma lui portava con sé tutte le ferite di una migrazione perenne e, per molti aspetti, involontaria e forzata, proprio come la tumbleweed. Un poeta da strapazzo avrebbe detto che la casa di Águila era, appunto, il vento stesso, ma dai suoi racconti risultava evidente che lui quel vento non lo aveva scelto. Nella terra dov'era nato rischiava di morire, una volta sola o tutti i giorni un po', così era dovuto andare via e, osservando quei due occhietti incapaci di sagomare una vera lacrima, capivo che adesso aveva smarrito anche l'entusiasmo di tornare. Poteva vivere ovunque, perché nessun posto gli apparteneva. Mama, I'm Coming Home, cantava Ozzy Osbourne... Times have changed and times are strange/ Here I come, but I ain't the same/ Mama, I'm coming home, ma Águila no... per lui quelle erano parole impronunciabili. Era passato troppo tempo, anzi: erano passate troppe vite in mezzo. A lui era solo concesso raccontare le picaresche avventure di un hobo che girava il mondo senza passaporto e, soprattutto, senza meta. Quel pomeriggio percepii nitidamente lo scarto tra il romanzo e la realtà: fossi stata un'estroversa, lo avrei abbracciato, invece restai in silenzio fissando il tecnico manutentore della macchinetta del caffè, arrivato di colpo come un fantasma, che oliava alcuni ingranaggi e faceva pronostici sul derby del giorno dopo... chissà se lui sapeva da dove veniva e dove voleva andare...
Un giorno trovai il gradino vuoto. Il giorno successivo anche. Era andato via, senza salutare. Va a capire dove... Una ricercatrice che si atteggiava a sua grande amica era certa si fosse imbarcato per il Nordafrica, i più ansiosi lo cercarono negli ospedali, qualcuno azzardò magniloquente La nostra Águila, semplicemente, è volata via. Io sapevo solo che mi mancava...

Parecchi mesi dopo la sua scomparsa, ero capitata nel prato davanti all'abbazia di Chiaravalle. Avevo camminato da sola fino a lì, sospinta da un'ansia feroce che mi addentava i talloni. Aspettavo l'esito di una biopsia: avevo paura di morire? Avevo paura di vivere da malata? Avevo paura di vivere e basta? Non lo sapevo nemmeno io. Notai una figura intenta a raccogliere alcune erbe: era lui. Gli corsi incontro stupefatta. Ciao Giada, amica mia! Che piacere vederti! Sai che sto trovando foglie prelibate di tarassaco selvatico? Sai riconoscerle? Ah, no? Allora ti insegno io... Non gli chiesi il perché di quella ennesima migrazione: non volevo essere invadente. Era passato dal centro al Parco Agricolo Sud: solo otto miseri chilometri, ma il computo della distanza non aveva valore, perché le emozioni non si misurano in metri, e nemmeno in centimetri. Intorno, infatti, si dipanava un contesto completamente diverso: non sempre è necessario frapporre spazi siderali per cambiare prospettiva. Vittima della mia stessa riservatezza, non riuscii a fargli molte delle domande che mi rimbalzavano da una tempia all'altra, ma fui contenta di trovarlo bene in compagnia dei monaci cistercensi.
Rincasai con un sacchetto pieno di insalata e decisi di non rivelare a nessuno il nuovo domicilio di Águila... in verità, non mi aveva chiesto di mantenere il riserbo, ma alcuni segreti si custodiscono a prescindere. Per un paio d'anni andai a trovarlo di tanto in tanto (mai mangiata così tanta verdura in vita mia...), poi, ancora una volta di punto in bianco, decretò di levare le tende anche da lì, senza lasciare la minima traccia circa la sua prossima destinazione, probabilmente perché non la conosceva nemmeno lui. Non l'ho più rivisto, ma qualche volta mi capita di pensare ad Águila, soprattutto quando, insonne, accendo la tv alle tre del mattino e mi imbatto in un film con John Wayne o Lee Van Cleef... Chissà dove sta rotolando il mio tumbleweed? Chissà se il vento - per regalo, per caso o per dispetto - lo ha riportato a casa? Chissà se la casa lo ha riconosciuto e se lui ha riconosciuto la casa? Oppure si fissano come due estranei che in un tempo lontano si sono conosciuti o perfino amati... You took me in and you drove me out/ Yeah, you had me hypnotized, yeah/ Lost and found and turned around/ By the fire in your eyes...

 

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