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Note:


1  La raccolta, uscita nel 1966, ha origini più lontane nel tempo; di seguito diamo indicazioni sulle prime pubblicazioni di ogni racconto: Il Versificatore, «Il Mondo», 17 maggio 1960; Censura in Bitinia, «Il Mondo», 20 gennaio 1961; Il centauro Trachi (poi Quaestio de centauris), «Il Mondo», 4 aprile 1961; L’amico dell’uomo, «Il Mondo», 16 gennaio 1962; Angelica farfalla, «Il Mondo», 14 agosto 1962; Il sesto giorno (pensato tra il 1946-47 e concluso del 1957), «Il Caffé», 1964; La bella addormentata nel frigo, scritto nel 1952; Cladonia rapida e L’ordine a buon mercato, «Il Giorno», 1964; Alcune applicazioni del mimete (col titolo La moglie in duplicato), «il Giorno», 15 agosto 1964; La misura della bellezza, «Il Giorno», 6 gennaio 1965; Versamina, «Il Giorno», 8 agosto 1965; Pieno impiego (uscito col titolo La scoperta del pieno impiego), «Il Giorno», 27 febbraio 1966; I Mnemagoghi, scritto nel 1946; di Trattamento di quiescenza non si hanno informazioni. La bella addormentata nel frigo fu registrata in Rai come atto unico nel giugno del 1961 con la regia di Marco Visconti e la Compagnia di Prosa della Rai di Firenze; Alcune applicazioni del Mimete, Il Versificatore e Versamina sono stati registrati in Rai con la regia di Massimo Scaglione e la Compagnia di Prosa della Rai di Torino, il primo nella serie "Racconti umoristici del 900" il 3 maggio 1965, il secondo nell’ottobre del 1965, il terzo il 21 luglio 1966. Il sesto giorno, La bella addormentata nel frigo, Il Versificatore sono andati in onda in tv sulla Rete Due per la regia di Massimo Scaglione nel 1978.
In una lettera del 22 novembre 1961 Italo Calvino, (I. Calvino, I libri degli altri, Torino, Einaudi, 1991, p. 382) pur considerando i racconti «fantabiologici» di Levi buoni e dicendogli «è una direzione in cui ti incoraggio a lavorare», non li considera ancora pronti per essere pubblicati in volume: per questo motivo la pubblicazione avverrà alcuni anni dopo, nel 1966 appunto, con il titolo Storie naturali sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Tale scelta viene così giustificata da Levi: «ho scelto uno pseudonimo per staccare un gruppo dall’altro delle mie opere, nell’atto di proporre al pubblico un volume di "trappole morali". L’ho fatto per rispetto a un’opinione, che tuttavia non condivido, e secondo la quale io, che vengo da Auschwitz, non avrei dovuto scrivere Storie naturali. Lo pseudonimo segna, dunque, questo distacco» (G. D’Angeli, Il sonno della ragione genera mostri, in «Famiglia cristiana», 27 novembre 1966, p. 53); e ancora: «credevo di averlo scelto casualmente: è il nome di un esercente, davanti alla cui bottega passo due volte al giorno per andare al lavoro. Poi mi sono accorto che, fra il nome e i racconti, un rapporto sussiste, un’allusione compresa e raccolta da qualcuno di quegli strati profondi della consapevolezza intorno a cui oggi tanto si argomenta. Malabaila significa "cattiva balia"; ora, mi pare che da molti dei miei racconti spiri un vago odore di latte girato a male, di nutrimento che non è più tale, insomma di sofisticazione, di contaminazione e di malefizio. Veleno in luogo dell’alimento: e a questo proposito vorrei ricordare che, per tutti noi superstiti, il lager, nel suo aspetto più offensivo e imprevisto, era apparso proprio questo, un mondo alla rovescia, dove "fair is foul and foul is fair", i professori lavorano di pala, gli assassini sono capisquadra, e nell’ospedale si uccide» (L’ha ispirato un’insegna, in «Il Giorno», 12 ottobre 1966, p. 7).

2  G. D’Angeli, Il sonno della ragione genera mostri, cit.

3  E. Fadini, Primo Levi si sente scrittore "dimezzato", in «L’Unità», 4 gennaio 1966, p. 12.

4  A. Barberis, Nasi storti, «Corriere della Sera», 27 aprile 1972, p. 33.

5  G. Grassano, La musa "stupefatta". Note sui racconti fantascientifici, in E. Ferrero (a cura di), Primo Levi: un’antologia della critica, Torino, Einaudi, 1997, p. 124.

6  L’idea di "faglia" e di "vizio di forma", il passaggio di soglia tra normale e anormale, tra ordine e disordine, rappresentano la teoria del fantastico di Levi in sintonia con quella di altri maestri del fantastico novecentesco; per Cortázar, ad esempio, «il sospetto che un altro ordine più segreto e meno comunicabile» esista nello studio della realtà e che risieda non «nelle leggi bensì nelle eccezioni a tali leggi, sono stati alcuni dei principi orientativi della mia ricerca personale di una letteratura al margine di qualunque realismo troppo ingenuo» (J. Cortázar, Alcuni aspetti del racconto, in Id., I racconti, a cura di E. Franco, Torino, Einaudi-Gallimard, 1994, p. 1312).

7  M. Belpoliti (a cura di), Primo Levi, Milano, Bruno Mondadori, 1998, p. 77.

8  Tutte le citazioni da Storie naturali si riferiscono all’edizione Torino, Einaudi, 1993 [1966].

9  P. Levi, Opere, a cura di M. Belpoliti, Torino, Einaudi 1997, vol. II, p. 911.

10  P. Levi, Il sistema periodico, Torino, Einaudi, 1994, [1975], p. 217.

11  S. Bartezzaghi, Cosmichimiche, in Primo Levi, a cura di M. Belpoliti, «Riga», n. 13, pp. 293-294.

12  P. Levi, Opere, cit., vol. II, pp. 837, 840.

13  C. Cases, Difesa di "un" cretino, in «Quaderni piacentini», VI, 1967, n. 30, pp. 98, 100.

14  G. Poli, Primo Levi l’alfabeto della chimica, in «Tuttolibri», II, 4 dicembre 1976, n. 47, p. 12.

15  Nello stesso periodo anche Italo Calvino, sia pure con ottica e intendimenti diversi, parla di computer-scrittori: nell’articolo Cibernetica e fantasmi, (ora in Una pietra sopra, Milano, Mondadori, 1995 [Torino, Einaudi, 1980] pp. 199-219) dopo aver parlato del gruppo Tel Quel e della loro scrittura «riconducibile a combinazioni tra un certo numero di operazioni-logico linguistiche o meglio sintattico-retoriche» (pp. 202-203) e poi dell’Ou-li-po e soprattutto di Queneau che aveva dato alle stampe Cent mille milliards de poèmes, «un rudimentale modello di macchina per costruire sonetti uno diverso dall’altro» (p. 206), si chiede «avremo una macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore?» (p. 206) e preconizza «una macchina letteraria che a un certo punto senta l’insoddisfazione del proprio tradizionalismo e si metta a comporre nuovi modi d’intendere la scrittura» (p. 207).

16  M. Belpoliti (a cura di), Primo Levi. Conversazione e interviste 1963-1987, Torino, Einaudi, 1997, p. 59.

17  P. Levi, Opere, cit., vol. II, pp. 992-993.

18  Dal risvolto di P. Levi, Storie naturali, cit.

19  Elémire Zolla dice: «lenta lenta si va scaglionando la bibliografia della realtà virtuale, con pochissime opere per ora e spesso con un’ostentazione di puerilità da lasciare allibiti. Eppure un primo contributo, quasi impeccabile, uscì addirittura nel 1966 [...] nel racconto intitolato Trattamento di quiescenza » (E. Zolla, Un miracolo di Primo Levi profeta della realtà virtuale, in «Corriere della Sera», 1 giugno 1993, p. 35).

20  «È probabile che il lettore ritrovi nei miei racconti dei lineamenti dell’uomo prigioniero [...] In Versamina e Angelica farfalla certamente ho fatto apposta a ricollegarmi a esperienze antiche [...] l’esperienza del Lager è traumatica e il trauma lo si porta dentro e salta fuori anche in modo non percepito da chi scrive» (G. Grassano, Conversazione con Primo Levi, in E. Ferrero (a cura di), Primo Levi: un’antologia della critica, cit., p. 176).

21  Il centauro come simbolo di due nature opposte che convivono e si arricchiscono a vicenda è più volte usato da Levi per descrivere se stesso: «Io sono un anfibio, un centauro» (E. Fadini, Primo Levi si sente scrittore "dimezzato", cit., p. 12) e l’uomo in generale: «l’uomo è centauro, groviglio di carne e di mente, di alito divino e di polvere» (P. Levi, Il Sistema periodico, cit., p. 9); qui afferma che i centauri erano «una progenie nobile e forte, in cui si conservava il meglio della natura umana ed equina» (p. 170).

22  P.V. Mengaldo, La tradizione del Novecento. Terza serie, Torino, Einaudi, 1991, pp. 301-302. Sostiene Levi: «nel pubblicare un libro di racconti, il rischio, per l’autore, è quello di essere giudicato flebile; [...] perché un libro di racconti dev’essere meno nobile, o più flebile, di un romanzo? [...] Io lettore leggo volentieri racconti, perché li sento più spontanei. Potrei citare diversi scrittori che, per consenso generale, riescono meglio nel racconto che nel romanzo; i primi che mi vengono in mente sono Maupassant, Cortázar, Singer, e naturalmente Boccaccio» (G. Tesio, Credo che il mio destino profondo sia la spaccatura, in «Nuovasocietà», 16 gennaio 1981, n. 208; ora in P. Levi, Conversazioni e interviste, cit., pp. 186-187).

23  G. Grassano, Conversazione con Primo Levi, cit., pp. 173-174.


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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2