François Dosse
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I. II. III. IV. V. VI. VII. |
Primi anni Demistificare gli stereotipi Il sogno scientista La querelle Barthes/Picard La nascita del secondo Barthes Il sogno vuoto I piaceri di sé |
I. Primi anni
Barthes manifesta una nuova esigenza negli studi letterari già dal 1953, con un saggio che si presenta come un atto di rottura con la tradizione e l'espressione di un profondo disappunto: Le degré zéro de l'écriture. Con questo libro, Barthes partecipa alla corrente formalista, difendendo un'etica della scrittura liberata da ogni costrizione. Riprende il tema sartriano della libertà conquistata dall'atto della scrittura, ma innova situando l'impegno che la scrittura rappresenta non nel contenuto, ma nella forma. Il linguaggio passa dallo statuto di mezzo a quello di fine, identificato con la libertà riconquistata. Ora, la letteratura si trova ad un punto zero da riconquistare, tra due forme di degenerazione rappresentate dalla sua dissoluzione nella lingua quotidiana fatta di abitudini, di prescrizioni e dalla stilistica che rinvia ad un modo autarchico, ad un'ideologia che presenta l'autore separato dalla società, ridotto ad uno splendido isolamento. La motivazione essenziale di Barthes nel 1953 è soprattutto di trovare le maschere dell'ideologia sotto forma di espressione letteraria e, in seguito, con altri oggetti, questo orientamento rimarrà un parametro costante della sua opera.
Le degré zéro de l'écriture deve il suo successo al fatto di partecipare di una nuova sensibilità letteraria, di un'esigenza che si incarnerà in quello che si chiamerà nouveau roman, una nuova stilistica, fuori dalle norme tradizionali del romanzo. C'è quindi un aspetto manifesto nelle idee di Barthes, ma anche un aspetto disperato nella ricerca di una scrittura nuova, separata da ogni linguaggio di valore, che sembra esprimere l'impasse di ogni forma di scrittura dopo il traguardo raggiunto da Marcel Proust nel romanzo.
Barthes passa in rassegna nella sua opera tutte le forme di scrittura alienata: «ogni scrittura politica può solo confermare un mondo poliziesco, così ogni scrittura intellettuale può solo istituire una para-letteratura».1 Per quanto riguarda il romanzo, esso è l'espressione caratteristica dell'ideologia borghese nella sua pretesa di universalità che è scomparsa a partire dalla metà del XIX secolo, per lasciare il posto ad una pluralità di scritture attraverso le quali lo scrittore prende posizione rispetto alla condizione borghese. Barthes continua e sposta la ricerca del tempo perduto di Proust attraverso la ricerca di un luogo non-luogo della letteratura.
Da questa ricerca nascerà al tempo stesso una nuova estetica e, per Barthes, la presa di coscienza dell'impossibilità di scrivere come scrittore e l'abbozzo della teorizzazione dello scrivente come scrittore della modernità.
II. Demistificare gli stereotipi
Dal 1954 al 1956, Barthes invia ogni mese a Maurice Nadeau un articolo per «Les Lettres nouvelles». Vi svolge regolarmente un lavoro di liberazione dei miti contemporanei, una critica ideologica della cultura di massa che comincia, grazie alla ricostruzione ed al secondo dopoguerra, a diffondersi nella vita quotidiana dei francesi negli anni Cinquanta, nella società consumistica. Barthes oppone il sarcasmo a quella che considera l'ideologia piccolo-borghese che si esprime attraverso i gusti, i valori diffusi dai media, che assumono un ruolo sempre più preponderante.
Barthes svolge, contro la naturalizzazione dei valori trasformati in stereotipi indiscussi, un'opera di smontaggio, di demistificazione, mostrando come funziona un mito nella società contemporanea, a partire da casi concreti della vita quotidiana. Questi cinquantaquattro articoli vengono raccolti da Barthes e confluiscono in una delle maggiori opere di questo periodo, Mythologies, pubblicata da Seuil nel 1957. Soltanto in seguito, Barthes elabora la teorizzazione di questi casi concreti, nella seconda parte dell'opera Le mythe aujourd'hui,2 che si presenta come la definizione di un programma semiologico globale, nutrito in questo caso da una formazione linguistica recente, dal momento che Barthes, nel 1956, ha letto da poco Saussure e appena scoperto Hjelmslev grazie a Greimas.
La formalizzazione è quindi successiva agli studi sui miti proposti dall'attualità in cui l'idolo polemico è la piccola borghesia. Ora, sono proprio le false evidenze che Barthes vuole destabilizzare, di cui vuole distruggere le maschere. La parte teorica che chiude l'opera si pone nella scia di Saussure, di cui riprende essenzialmente le nozioni di significante e significato, e di Hjelmslev, da cui riprende le distinzioni tra denotazione e connotazione e tra linguaggio-oggetto e metalinguaggio. Con Le mythe aujourd'hui Barthes compie, nel 1957, la sua conversione alla linguistica, momento decisivo ed essenziale nella sua opera e in generale.
Già affascinato dal Formalismo, Barthes trova i mezzi per imbastire il suo programma scientifico nella semiologia, disciplina che gli permette di mettere in secondo piano il contenuto a vantaggio delle forme. Da Saussure riprende anche lo studio sincronico e da questo dipende lo sguardo più spaziale che temporale presente in tutta l'opera di Barthes.
III. Il sogno scientista
La diffusione del modello della linguistica strutturale nel campo della letteratura è presentata come un programma
da svolgere nel 1964, sul n. 4 della rivista «Communications». L'articolo di Barthes Les éléments de sémiologie
diventa una sorta di manifesto di una nuova scienza: la semiologia. Questa presentazione teorica si offre del resto
come un quadro adeguato alle sue personali ricerche, poiché scrive contemporaneamente Le système de la mode.3
In questa tensione tra il semiologo e lo scrittore, Roland Barthes nega la sua natura di scrittore, la sua soggettività è sacrificata in nome della scienza.
Les éléments de sémiologie offre un discorso didattico che presenta gli insegnamenti di Saussure e di Hjelmslev, nella prospettiva della fondazione di questa nuova scienza.
Barthes fa propria la portata generale della rivoluzione linguistica, per la costruzione di una scienza nuova e, a questo proposito,
rovescia l'idea saussuriana di una semiologia come orizzonte dello sviluppo della linguistica. Al contrario, definisce il programma
di una semiologia intesa come sottoinsieme della linguistica e, per mostrarne l'efficacia, fa appello a tutti gli sforzi fatti nelle
diverse discipline. Questa scienza futura, ancora da costruire, la semiologia, si presenta come la scienza per eccellenza
della società in quanto portatrice di significato: «la portata sociologica del concetto Lingua/Parola è evidente».4 La sociologia s'identifica allora con una socio-logica ed il senso
deriva dal processo che unisce signifiant e signifié. La semiologia deve tracciare le sue linee di demarcazione, i suoi
limiti; si organizzerà attorno al principio di pertinenza, a partire da una situazione di immanenza. A questo proposito, il corpus
deve essere omogeneo e rifiutare per definizione gli altri sistemi, di ordine psicologico, sociologico... L'altro orientamento di
questa scienza sarà il suo astoricismo, che si traduce nella volontà di eliminare ogni forma di diacronia. Compito del semiologo non
è decifrare un senso sottinteso, già presente nell'opera presa in esame, ma rendere conto dei vincoli legati all'elaborazione del
senso, delle condizioni della sua validità.
IV. La querelle Barthes/Picard
Una sfida spettacolare oppone Roland Barthes et Raymond Picard, due protagonisti di segno opposto. Picard rappresenta
la venerabile Sorbona; Barthes invece parla a nome di un'istituzione moderna ma marginale, l'École Pratique des Hautes Études.
Questo scontro segna una data ed i rispettivi fronti lo metteranno in esergo per solcare le rispettive linee di demarcazione.
Nel 1963, Roland Barthes pubblica Sur Racine. Che la nouvelle critique si occupasse del nouveau roman poteva
ancora essere tollerabile, dal punto di vista della Sorbona, ma che si impossessasse del cantore del classicismo per operare su di
lui gli esperimenti diabolici con la sua griglia di analisi, mescolanza di metodi linguistici, dell'approccio psicanalitico e di
ambizioni antropologiche, è al limite dello scandalo. Del resto Barthes prende di petto, senza mezzi termini, la
tradizione: «se si vuol fare della storia letteraria bisogna rinunciare all'individuo Racine».5
Barthes sottopone Racine ad una lettura al tempo stesso analitica e strutturalista. L'autore non è più un oggetto di culto, ma un
terreno d'indagine della validità delle nuove metodologie di interpretazione.
L'analisi di Barthes provoca una reazione particolarmente violenta da parte del più erudito fra gli studiosi di
Racine alla Sorbona, autore di La carrière de Jean Racine e curatore dell'edizione di Racine per la Biliothèque de la Pléiade,
Raymond Picard, che pubblica nel 1965 un'opera dal titolo provocatorio, Nouvelle critique ou Nouvelle imposture.6
La replica di Picard si concentra soprattutto sullo spazio eccessivo dato agli strumenti psicanalitici, di cui Barthes si serve per
elaborare un'interpretazione del teatro di Racine. Picard si affretta a rimettere un velo pudico sui personaggi di cui Barthes svela
le segrete e contrastate passioni sessuali: Picard fa a pezzi la sistematicità della chiave interpretativa di Barthes, denuncia la
sua dichiarazione di impotenza a dire il Vero su Racine, e quindi gli nega il diritto di dire qualsiasi cosa su un autore di cui non
è specialista. La replica di Barthes è veloce: pubblica nel 1966 Critique et Vérité. La pubblicazione di questo libro è del
resto annunciata, con estrema teatralità, da una fascetta sulla copertina che dice: «Bisogna bruciare Barthes?» È l'occasione
giusta per infiammare un'intera comunità intellettuale attorno al programma ambizioso degli Éléments de sémiologie,
che può conquistare così un pubblico più vasto. Barthes denuncia il fatto che per Picard «nello Stato letterario,
la critica dev'essere "controllata" come la polizia».7 A suo parere
questo stato di dipendenza rivela la volontà della storia letteraria più tradizionale di aggrapparsi ad una nozione vaga, come quella
di «verosimiglianza critica», che va da sé e non ha quindi bisogno di poggiare su una dimostrazione.
Barthes oppone alla posizione positivista l'atto critico come atto di scrittura nel senso più ampio del termine, come lavoro sul
linguaggio e, a questo titolo, facendo convergere la figura dello scrittore e quella del critico, smussa gli angoli, i limiti, i
divieti che sono stati alla base della costituzione dei distinti generi di scrittura. La linea di difesa di Barthes contro Picard è
duplice; rivendica i diritti del critico come scrittore, portatore di senso, vero e proprio creatore nella lettura attiva dell'opera
e, del resto, diventa il portavoce di un discorso più scientifico che non considera più la scrittura come un ornamento, ma come una
fonte di verità. In questa prospettiva, Barthes fa leva su tutta la corrente strutturalista e si richiama a Lacan, a Jakobson ed a
Lévi-Strauss. Sostituisce alla tradizionale storia della letteratura una scienza della letteratura - di cui si fa portavoce - che
non si può definire come una scienza dei contenuti, ma delle condizioni del contenuto.
V. La nascita del secondo Barthes
A partire dal seminario del 1968-'69 all'École Pratique, Barthes riorienta il suo lavoro verso la nozione di
intertestualità, che confluirà nella pubblicazione di S/Z nel 1970. Questo libro rappresenta una svolta decisiva: Barthes
smonta la propria griglia concettuale per lasciare più libertà all'intuizione letteraria. Al discorso sul metodo segue l'apertura
alla scrittura, all'espressione della sensibilità, ed al carattere infinito e inafferrabile del senso. Fin dall'inizio di S/Z,
Barthes prende le distanze da ciò che considera oramai illusorio, la riduzione di tutti i racconti del mondo «in una sola
struttura». Questa ambizione strutturalista era smisurata, ed era inoltre inficiata da una prospettiva contestabile, poiché
approdava faticosamente alla negazione delle differenze fra i diversi testi.
Con S/Z Barthes si propone di moltiplicare, esacerbare le differenze, di farle giocare al di fuori del significato, in un
infinito nel quale esse si dissolvono. Alla fine degli anni Sessanta, Barthes riconosce in modo assolutamente esplicito che c'è una
vera svolta, una rottura, come spiegherà poi nelle interviste rilasciate tra il '70 e il '71.
Esprime il desiderio di lavorare all'interno del significante, o di scrivere in quello che chiama «il
romanzesco senza romanzo»;8 è quel che comincia a fare con
S/Z, prendendo come oggetto una novella di Balzac, scritta nel 1830, Sarrasine. Il principale obiettivo del Barthes
di S/Z è di realizzare una nuova forma di scrittura/lettura, che sia la risultante della nozione di intertestualità. La sua
scomposizione del testo di Balzac e la dissoluzione nei linguaggi e nei codici attuali traducono quindi l'aspirazione ad una
scrittura senza limiti, che non ha nulla a che vedere con la ricerca di un sistema di causalità unico o plurimo, che possa dare vita
ad una spiegazione ristretta del testo, alla sua interpretazione definitiva.
Barthes ha elaborato il lutto delle sue ambizioni scientiste. Trionfa ora l'intuizione sensibile sotto la rigidità dei codici;
quelli che rimangono in uso, del resto, si attengono scrupolosamente ad una gerarchia fondata su un principio che non ambisce più
alla scientificità, il principio del gusto.
VI. Il segno vuoto
Sempre nel 1970, Barthes pubblica L'empire des signes,9
che conferma la svolta degli anni precedenti. Questo libro, in cui Barthes racconta il suo Giappone, gli permette di prendersi una
totale libertà e di scegliere una forma particolare di scrittura, quella del frammento. Barthes esce dall'avventura concettuale e,
come aveva avuto uno sguardo molto caustico e critico a proposito della vita quotidiana occidentale, ha ora un'ammirazione assoluta
per l'Oriente. Ciò che più lo affascina - ed è anche ciò che permette di trovare una continuità tra i due periodi - è che il
Giappone che scopre, che scrive, è un Giappone che si è liberato dalla pienezza di senso. Barthes vi sente il piacere intenso di
entrare per la prima volta, completamente, nel Significante, finalmente privo di ogni significato, in un mondo del segno vuoto,
vuoto di senso, e di tutte le forme di contaminazione che l'Occidente conosce, denunciate in Mythologies. Non perde per
questo la prospettiva critica e si serve in realtà dell'Oriente per contestare a fondo i valori occidentali: «come molti di noi,
io rifiuto profondamente la civiltà, fino alla nausea. Questo libro esprime la rivendicazione assoluta di
un'alterità totale che mi è diventata necessaria».10 Tutto nel
Giappone di Barthes è frammentazione, pluralizzazione, al contrario dell'Occidente in cui tutto si ordina, si struttura, si concentra.
Ciò che affascina Barthes è ciò che ha rimosso a lungo e che costituisce comunque il suo vero essere, la libertà dello scrittore di
fronte alla scrittura, la capacità di staccarsi da ogni discorso didattico, dimostrativo per dare all'intuizione la possibilità di
esprimersi appieno.
VII. I piaceri di sé
Il ritorno del soggetto permette a Barthes di sbarazzarsi di quel carapace teorico che gli aveva impedito di
lasciare libero corso al suo piacere della scrittura. Decide di operare una cesura netta, all'interno della tensione che lo aveva
fino ad allora attraversato, tra l'uomo di scienza e lo scrittore, scegliendo questa volta, chiaramente, il secondo personaggio.
Dopo aver difeso Le plaisir du texte nel 1973,11
compie un altro passo verso la soggettivizzazione delle sua modalità di scrittura, prendendo come oggetto se stesso, in
un'autobiografia tuttavia non lineare, fatta di una raccolta di informazioni parziali e sparse, che esce dai canoni abituali del
genere, a cui sostituisce dei «biografemi». Se la forma resta fedele ad una certa decostruzione, il ritorno su di sé,
l'esposizione degli affetti personali rivelano a qual punto sia spettacolare il ritorno del rimosso.
Quando esce, nel 1975, Roland Barthes par Roland Barthes,12
lo scrivente ha lasciato il posto allo scrittore. Certo, il soggetto Barthes si espone alla terza persona, sotto forma di un «egli»
che mantiene una distanza tra chi scrive ed il suo oggetto. Ma lascia apparire dei frammenti essenziali di sé, si offre
ai suoi lettori, si abbandona alla comunicazione intersoggettiva, fonte d'amore più che di una struttura. Il soggetto che traspare
vuol essere un effetto di linguaggio, più che un referente di natura extratestuale. Egli deve dare vita ad un effetto-Barthes,
immagine in movimento, fonte polifonica di molteplici composizioni e ricomposizioni, di cui sono date soltanto alcune indicazioni
per eseguire una partitura che vuol essere prima di tutto libera, aperta sull'indefinito delle interpretazioni.
Questo passaggio alla letteratura, alla rivendicazione soggettiva che si allontana dalle ambizioni di scientificità delle scienze
umane, si compie finalmente nel 1977, quando Barthes pubblica Fragments d'un discours amoureux.13
Barthes rinuncia all'idea di pubblicare un trattato sul discorso amoroso e decide di scrivere, accettando la soggettività dell'intenzione,
un discorso di un soggetto innamorato. Il soggetto prevale quindi e si tratta qui in modo esplicito di un soggetto singolare, che
altri non è che Barthes stesso. Accetta stavolta di dire «Io», anche se si tratta evidentemente di una composizione, di
un montaggio che non si svela come l'espressione del solo Barthes, che resta comunque fedele alla sua preferenza per una scrittura
frammentata, e non pretende affatto di riprendere l'ordine di un racconto lineare che parli di una storia d'amore.
Sempre nel 1977, Barthes riceve una doppia consacrazione, letteraria ed istituzionale con l'ingresso al Collège de France. Tiene
la lezione inaugurale il 7 gennaio, davanti ad una sala in cui si accalca tutta l'elite parigina. È dall'alto di questo luogo che
lancia, quasi come un monito a se stesso, all'impulso critico presente in tutta la sua opera teorica, al suo orrore sempre rinnovato
delle diverse forme di costrizione sociale e di ripulitura dei cliché piccolo-borghesi, e forse anche per difendersi, al tempo stesso,
da ogni possibile identificazione con un'istituzione, per quanto prestigiosa, la sua celebre formula: «come
performance di ogni linguaggio, la lingua non è reazionaria né progressista; essa è semplicemente fascista; il fascismo, infatti,
non è impedire di dire, ma obbligare a dire».14 Si sente allora
che Barthes è costretto ad inventare questo tipo di formula ad effetto come veicolo della rinuncia all'ambizione scientifica che
aveva formulato negli anni Sessanta, compensando questo abbandono con una radicalizzazione delle sue posizioni su un piano ideologico.
Barthes ha lasciato molti allievi, ma nessuna vera scuola. Il «sistema Barthes» come lo ha definito Jean-Louis Calvet,
appartiene più allo sguardo che alla teoria.
Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2003-2004
Dicembre 2003, n. 2