Claude Bremond
Il matrimonio del castrato
(a proposito della concezione barthesiana dell'antitesi)

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.
XII.
Introduzione: il codice simbolico
Dentro il testo: Sarrasine
L'antitesi fondatrice
La vita e la morte
Oltrepassare la barriera
Un insieme di modelli
Il ritorno del personaggio
Zambinella e Sarrasine
Psicopatologia dell'antitesi
Paradossismo: domare l'inespiabile
Una morte simbolica?
Conclusioni



§ II. Dentro il testo: Sarrasine

I. Introduzione: il codice simbolico

Barthes, nel capitolo XI di S/Z, I cinque codici,1 presenta il quinto e ultimo codice, detto «simbolico», come refrattario a ogni tentativo di analisi strutturale:

«ancor più ci guarderemo dallo strutturare il campo simbolico, campo che è il luogo proprio della plurivalenza e della reversibilità; il compito principale, quindi, resta sempre quello di mostrare che vi si accede da più ingressi uguali, rendendone così problematici la profondità e il segreto».2

Ciò non toglie che il simbolico, fin dalla sua prima e cruciale apparizione nell'analisi di Sarrasine, è reso tangibile attraverso un'operazione che assomiglia molto ad una strutturazione. Già dalla lessia 2 «ero immerso in una di quelle fantasticherie profonde»,3 ci viene detto in effetti, da una parte che questa fantasticheria «sarà fortemente articolata, secondo la più nota figura retorica, dai termini successivi di un'antitesi», dall'altra che questa antitesi disegna una «vasta regione» sulla superficie del campo simbolico. Di conseguenza sembra difficile non concludere che l'analisi dei termini successivi dell'antitesi, che poggia sulle articolazioni fortemente marcate di questa figura retorica, operi una strutturazione locale considerevole (quella di «una vasta regione») del campo simbolico. Quando Barthes garantisce che si tratterrà dallo strutturare come da un atto sacrilego, forse sottintende che si tratterrà dal tentare una strutturazione totale; questo gli lascia ogni possibilità di operare delle strutturazioni parziali, che corrispondono alle diverse "entrate" del campo, ogni volta che il testo gliene darà l'occasione.

 

§ III. L'antitesi fondatrice Torna al sommario dell'articolo

II. Dentro il testo: Sarrasine

Come si svilupperà l'antitesi così annunciata? Cominciamo, limitandoci a un'articolazione del testo balzacchiano secondo il criterio della sua semplice "leggibilità": abbiamo apparentemente a che fare, se non con molte antitesi successive, almeno con molte metamorfosi della figura che Barthes chiama Antitesi (con la A maiuscola). Potremmo così distinguere:

I - L'antitesi giardino/salone (lessie 2-12)
II - L'antitesi gamba sinistra/gamba destra (lessia 13)
III - L'antitesi presente/passato dei Lanty (lessie 14-27)
IV - L'antitesi Vegliardo/ Giovane donna (lessie 28-105)

Riassumendo: l'antitesi ha contrapposto in un primo tempo il giardino e il salone, in un secondo tempo gli effetti psichici e fisici opposti di questo doppio spettacolo sulla coscienza e sul corpo del narratore; in un terzo tempo il lustro presente della famiglia Lanty alle tenebre del suo passato, infine, in un quarto momento, il vegliardo e la giovane donna.
Il movimento d'insieme obbedisce ad una sorta di crescendo, poiché la portata retorica dell'antitesi è rafforzata dal paradosso di una contiguità spaziale inattesa: tra il salone e il giardino, tra la gamba che segna la misura e quella che sembra in una bara, tra il lustro presente dei Lanty ed il mistero del loro passato, prolungato nel presente immediato dal vegliardo inquietante, poi dal rapporto tra il vegliardo stesso e la ragazza.
Tuttavia lo sviluppo dell'antitesi non si ferma qui: all'opposizione del vegliardo alla ragazza, spettacolo obiettivamente offerto al narratore e da lui interpretato simbolicamente, si sovrappone in effetti un altro approccio alla stessa contrapposizione, temuta come dramma soggettivo, o per meglio dire, intersoggettivo, vissuto da questi due personaggi.
Secondo l'aneddoto balzacchiano, il vegliardo, attirato nella sala di danza dal canto di Marianina, si attacca a Mme de Rochefide, la giovane donna condotta al ballo dal narratore. Divisa tra il riso e la paura, la donna si allontana dal vegliardo e va a sedersi di fianco al narratore; il vegliardo la segue e va a sedersi di fianco a lei.
In questo episodio, Mme de Rochefide, che simboleggia per il narratore la Vita, è angosciata in presenza del vegliardo, che simboleggia per lei come per il narratore, la Morte: la donna si chiede se in effetti questo vegliardo appartenga al regno dei vivi o a quello dei morti. Per vederci chiaro, superando la repulsione, tocca il vegliardo, ma il risultato di questa esperienza non serve a dissipare l'angoscia ma ad aumentarla di un grado: il vegliardo emette un suono, provando così la sua appartenenza al mondo dei vivi, ma il suono non ha nulla di umano e questa inumanità connota una sorta di appartenenza al mondo dei morti. L'ansia della donna si trasforma in terror panico; fugge e la confusione è aggravata dallo scandalo mondano che ne segue immediatamente.

 

§ IV. La vita e la morte Torna al sommario dell'articolo

III. L'antitesi fondatrice

Un'interpretazione aneddotica della scena si limiterebbe quindi a registrare piattamente, secondo le indicazioni del testo balzacchiano, l'ostinazione senile del vegliardo, attaccato alla giovane donna come avrebbe fatto con Marianina, e la mescolanza di terrore e di fascino della donna. Ma l'interpretazione di Barthes, che mira a decifrare il simbolo, vuole andare oltre il piano di queste semplici evidenze. La lessia 61 offre l'occasione di scandagliare. Il testo dice: «stavano lì, dinanzi a me, tutti e due, insieme, uniti e così vicini che lo straniero sfiorava e il vestito di velo, e le ghirlande di fiori, e i capelli leggermente crespi, e la cintura svolazzante».4
Barthes codifica due volte come «simbolica» la lessia 61: una prima volta, come continuazione diretta dell'Antitesi, in una fase AB caratterizzata come «mescolanza»; una seconda volta, sotto forma di simbolo relativamente indipendente, designato come «Matrimonio del castrato».
Grazie a questa doppia codifica, e facendo valere il principio della rilettura, che autorizza l'inserimento a livello dell'interpretazione simbolica di informazioni non ancora date dal testo leggibile, il tema della castrazione fa il suo ingresso sulla scia dell'Antitesi. Ne deriva subito una mutazione: « simbolicamente assistiamo al matrimonio del castrato: i contrari si stringono, il castrato prende la donna (che del resto, per un incantesimo equivoco di cui si sarà reso conto più tardi, si avvolge su di lui)».5
L'equazione «i contrari si stringono» = «il castrato prende la donna» richiede una sottolineatura. L'assimilazione operata poggia in effetti su coppie radicalmente distinte: la donna si opponeva fin qui al vegliardo come l'interno all'esterno, il caldo al freddo, la vita alla morte, la giovinezza alla vecchiaia e forse, estrapolazione che ci pare accettabile, la fecondità alla sterilità; la coppia Giovane donna/Vegliardo funzionava quindi come matrice di una serie di antitesi fondate sull'opposizione dei contrari concettuali o lessicali in senso stretto. Ma ecco che, attraverso una simbolizzazione di altro tipo, questa giovane diventa la Donna, questo vegliardo diventa il Castrato e questi archetipi, ben lontani dall'accontentarsi passivamente della loro contrarietà virtuale (ammettendo che l'uno simboleggi la fecondità e l'altro la sterilità), diventano due superpersonaggi che cercano di realizzarsi (o di distruggersi) reciprocamente, unendosi ciascuno al suo contrario.
Non sarebbe quindi l'opposizione di Vita e Morte, e nemmeno la caccia alla Vita della Morte e la fuga disperata della Vita davanti alla Morte, a simboleggiare l'ultima fase dell'antitesi, bensì un'attrazione reciproca esercitata dalla Donna sulla castrazione e dalla castrazione sulla Donna.
Volendo riferirsi al testo leggibile, l'affermazione di questa reciprocità non poggia su nessun indice. La coesione fisica della coppia è dovuta solo alle due iniziative del vegliardo: niente nello schiacciamento degli elementi vaporosi spiegazzati (vestito di garza, ghirlande di fiori, capelli cotonati, cintura ondeggiante) giustifica il commento di Barthes, che immagina che questa pressione sia avvertita dalla giovane donna non come un abbozzo di stupro che ispira repulsione, ma con il consenso estasiato di una sostanza vegetale «offerta all'avvolgimento». L'astuzia di quest'ultima espressione merita di essere notata: suggerisce in un primo tempo che la donna è offerta al vegliardo come una liana all'arrotolarsi di un serpente, vale a dire passivamente, ma il resto del commento, scivolando dal passivo all'attivo, trasferisce l'iniziativa alla giovane donna, che si arrotola attorno al castrato come un vilucchio attorno ad un bastone secco.
Questa lettura, che poggia solo su una connotazione falsata (un arrotolamento reciproco al posto di uno schiacciamento unilaterale), è sostenuta poi dal rifiuto di tenere conto delle reazioni della «sposa», almeno così come Balzac le presenta e le spiega. Le manifestazioni dello spavento della giovane donna (lessie 69, 72, 92), la protezione che cerca schiacciandosi non contro il vegliardo, ma contro il narratore (lessie 67, 93), la sua elaborazione simbolica della situazione sotto forma di allusione al tema de «La jeune fille et la Mort» (lessia 94), il gesto stesso con cui «port[ando] la mano sul fenomeno», si decide a stabilire un contatto fino ad allora rifiutato con il vegliardo (lessie 94, 95, 96): sono tutti dati testuali che Barthes tralascia, in quanto smentite "letterali" alla sua interpretazione.
Commentando a proposito della lessia 54 il testo della lessia 53 («ma d'improvviso il riso soffocato di una giovane donna mi riscosse»), Barthes ha già interpretato come spontaneamente trasgressiva la reazione nervosa di Mme de Rochefide:

«sostituto del grido, agente allucinatorio, il riso è qualcosa che scuote il muro dell'Antitesi, cancella nella medaglia la dualità del rovescio e del davanti, fa cadere la barra paradigmatica che separa "ragionevolmente" il freddo dal caldo, la vita dalla morte, l'animato dall'inanimato».6

Ciò significa scegliere di parlare come se la donna, attraverso il riso, diventasse la complice perversa della contiguità stabilita con il vegliardo, per iniziativa di quest'ultimo. Ma in effetti il riso ha qui (cioè nell'aneddoto balzacchiano) un valore completamente diverso da quello dell'abbandono al godimento; è la messa in atto di un meccanismo di difesa sociale che sanziona il carattere incongruo della situazione. Lungi dal far tremare il muro dell'Antitesi, la reazione emotiva della giovane donna mira a ristabilire la distanza, quindi a consolidare il muro.
Il narratore, bisogna precisarlo, resta cieco di fronte alla mutazione che sostituirebbe al vegliardo (che simboleggia la vecchiaia di fronte alla giovinezza) il castrato (che simboleggia la castrazione che affascina di fronte alla Donna già consenziente). Nessuna ragione per lui - come si può vedere dall'espressione lirica dei sentimenti che gli ispira il quadro che ha sotto gli occhi - di smettere di decifrare l'antitesi come un simbolo dello scontro fra la Morte e la Vita: « Vedere, accanto a questi resti umani, una giovane donna il cui collo, le braccia e il petto erano nudi e bianchi»,7 ecc. (lessie 89 e 90). C'è qui in effetti, come nota Barthes, una nuova metamorfosi dell'antitesi (termine A: il vegliardo, termine B: la giovane donna), ma qual è il valore simbolico? Non deve forse essere cercato nell'opposizione dei predicati contrastati attribuiti ai due termini A e B dalla descrizione che ne viene fatta? Quando la lessia 90 oppone ai «resti umani» che sono appena stati descritti lo spettacolo di una giovane donna

« il cui collo, le braccia e il petto erano nudi e bianchi; le cui forme piene e fiorenti di bellezza, i cui capelli ben piantati sopra una fronte di alabastro ispiravano l'amore, i cui occhi non ricevevano ma diffondevano la luce, che era soave, fresca»,8

la pertinenza di questi dettagli non deve essere riscontrata nel loro contrasto con gli elementi corrispondenti che sono appena stati dati nel ritratto del vegliardo? Non è forse possibile considerare, per esempio, che l'irradiazione attribuita agli occhi della giovane donna risponda all'opacità degli occhi del vegliardo «quei globi incapaci di riflettere una luce» (lessia 88)?
Ora, cosa fa Barthes? Nella fretta di lanciare nell'arena il suo cavallo di battaglia, sostituisce l'opposizione pertinente con un'altra, di certo ingegnosa, ma che per il momento non è affatto necessaria: «la giovane donna è stata dapprima una donna-bambina penetrata dallo sguardo dell'uomo (n. 60). Qui la sua situazione simbolica è invertita; eccola nel campo dell'attivo: " i suoi occhi non ricevevano ma diffondevano la luce"; raggiunge la Donna castratrice, di cui Mme de Lanty è stata il primo esemplare» (commento della lessia 90).9
Una volta scritto questo, Barthes, per quanto ossessionato dall'immagine della donna castratrice, si accorge dell'incongruenza di una simile asserzione: è nel momento in cui la giovane donna, spaventata dal suo contatto con il vegliardo, si stringe al narratore (lessia 93), che è opportuno diagnosticare una «mutazione» che la farebbe passare dallo statuto di donna-bambina a quello di donna-regina? Si dovrebbe supporre che, per grazia di questo primo contatto, dia già i primi segni della contaminazione che trasmetterà, nello stesso modo in cui i film del terrore fanno spuntare i canini sulle labbra di una giovane morsa da poco da un vampiro? No, poiché questa catastrofe deve essere tenuta in serbo per il momento in cui la giovane donna, posando la sua mano sul vegliardo, abolirà la «la separazione sacra dei poli paradigmatici». Sentendo di dover gettare la zavorra, Barthes tenta di ritrarsi e si ripiega sull'evidenza:

«questa sostituzione si può spiegare con le necessità puramente paradigmatiche dell'Antitesi : in 60, di contro a un vecchio pietrificato ci voleva una giovane donna fresca, fragile, floreale ; qui, di contro ai "resti umani" (squallido plurale), ci vuole una vegetalità potente, che raccolga, che unifichi».10


Non si potrebbe dire meglio. Ma è chiaro che Barthes, adducendo le «necessità puramente paradigmatiche dell'Antitesi», intende designare solo un livello di simbolizzazione retorica superficiale, un inganno del «leggibile» che è importante eludere per capire il simbolo a livello profondo. Con grande tranquillità ritorna immediatamente alla sua prima idea e prosegue:

«Questo nuovo paradigma, che fa della giovane donna una figura castratrice, dovrà gradatamente consolidarsi e travolgere lo stesso narratore nella sua distribuzione; egli non potrà più avere vantaggio sulla giovane donna (come in 62), ma rovesciando anche lui il ruolo simbolico si presenterà presto nella posizione passiva di un soggetto dominato».11

 

§ V. Oltrepassare la barriera Torna al sommario dell'articolo

IV. La vita e la morte

Vediamo il seguito dei fatti. Secondo l'aneddoto balzacchiano, Mme de Rochefide, che simboleggia per il narratore la Vita, è angosciata in presenza del vegliardo, che simboleggia per lei come per il narratore, la Morte: la giovane donna si chiede se il vegliardo appartenga al regno dei vivi o a quello dei morti. Ed è per vederci chiaro che, superando la repulsione, lo tocca, con gli effetti catastrofici che sappiamo.
Come legge questo episodio l'autore di S/Z? Si tratta, secondo lui, della figurazione simbolica di un matrimonio consumato fra fidanzati consenzienti; i novelli sposi sono, da una parte il vegliardo (non in quanto vegliardo, ma in quanto castrato), dall'altra Mme de Rochefide, in quanto figurazione allegorica della Donna e della Fecondità. Ma questo matrimonio, volendo credere a Barthes, spingerebbe lo scandalo dell'Antitesi al di là del punto di tensione estrema che questa può sopportare. La figura della «chimera» aveva riavvicinato i termini antitetici in una contiguità paradossale. Tuttavia i contrari contigui, nonostante il reciproco avvolgimento rimangono protetti da una sottile barriera, la «barra» paradigmatica che ha funzione di diga contro i loro straripamenti. Quando la giovane donna tocca il vegliardo con il dito, la diga si rompe: le sostanze antitetiche entrano in contatto, producendo una miscela detonante la cui esplosione polverizza e getta da tutte le parti gli elementi indebitamente riuniti. Invece di dirci cosa il vegliardo ha guadagnato o perso nell'affare, Barthes ci rende noto il male che Mme de Rochefide ha appena contratto: niente di meno che il virus della castrazione!

 

§ VI. Un insieme di modelli Torna al sommario dell'articolo

V. Oltrepassare la barriera

Sulla base di quali indici testuali obiettivi si costruisce questo ambizioso edificio? Abbiamo già visto che non è vero che il vegliardo (castrato o no) eserciti sulla donna un'attrazione simmetrica a quella che lei esercita su di lui. Certo, l'attrazione che prova per il vegliardo la mette

«sotto il fascino di quella pavida curiosità che spinge le donne a procurarsi emozioni pericolose, a vedere tigri incatenate, a guardare serpenti boa, piene di spavento all'idea di non esserne che da deboli barriere» (lessia 72).12

Mossa da questa curiosità, poco dopo «port[a] la mano sul fenomeno con quell'ardire che le donne attingono alla veemenza dei loro desideri» (lessie 95-96).13 È sufficiente ad autorizzare l'identificazione del desiderio curioso di Mme de Rochefide con una pulsione di tipo sessuale? Si tratterebbe in ogni caso di una sessualità estesa a ogni comportamento: di conseguenza, così diffusa che la sua affermazione non avrebbe più una pertinenza precisa.
Ci permettiamo ora di aggiungere che non è meno gratuito interpretare il gesto con cui Mme de Rochefide tocca il vegliardo come un gesto capace di rompere la barriera che avrebbe fino ad allora evitato la catastrofe. Superando lo spazio vuoto che separa le due persone sedute di fianco, la mano della giovane donna, dopotutto, non stabilisce tra le due persone un contatto più intimo di quello che sarebbe risultato, poco prima, dall'ostinazione del vegliardo ad incollarsi alla giovane donna. La differenza principale deriva da questo: nella fase iniziale il vegliardo prendeva l'iniziativa di aderire con tutto il corpo alla persona della donna mentre quest'ultima si sforzava di staccarsene; ora invece è la giovane donna che prende l'iniziativa di stabilire un contatto, anche solo con la punta delle dita. Questo contatto è percepito dal destinatario come un'aggressione, non per la sua violenza passionale, ma perché l'estrema fragilità del vegliardo, se lei gli lascia una minima libertà d'azione, gli toglie ogni capacità di sopportare la reazione. Non ci sono dubbi su questo punto perché Balzac insiste nel descrivere la sollecitudine inquieta della famiglia Lanty e per esempio di Filippo «tenero e attento, come se il contatto con gli uomini o il minimo soffio avessero dovuto spezzare quella creatura bizzarra» (lessia 46).14
Si noterà infine che l'esplosione che dovrebbe respingere i corpi indebitamente ravvicinatisi corrisponde, nel testo balzacchiano, non ad un fenomeno istantaneo e unico, ma ad una serie di avvenimenti distinti, separati da lassi di tempo, e che chiamano in causa non solo la psicofisiologia dei due personaggi, ma dei fattori sociologici esterni: ci sono innanzitutto i suoni inumani emessi dal vegliardo come reazione al gesto della giovane donna, poi lo spavento della donna, indicato dal sudore freddo che le esce dai pori, poi l'intervento di rimprovero dei parenti del vegliardo ed è solo allora che la donna lascia precipitosamente il salone. Fuga questa, che non è quindi l'effetto immediato del contatto col vegliardo, ma un comportamento di circostanza perfettamente motivato dopo lo scandalo mondano appena provocato.
Andiamo oltre la difficoltà di stabilire una concordanza stretta tra le fasi dell'interpretazione di Barthes e le articolazioni dell'aneddoto balzacchiano. Cerchiamo piuttosto di mostrare la sistemazione interna della nuova trama che ci viene proposta.
Come ha proceduto Barthes? Ha innanzitutto sradicato l'antitesi dal suo impianto iniziale nella coscienza del narratore, poi ne ha innestati due germogli sulle coscienze rispettive del vegliardo e della giovane donna: questi partecipano ormai di una doppia natura: continuano a figurare simbolicamente i termini dell'antitesi, ma sono anche, almeno sul piano aneddotico, ma forse - eventualmente - sul piano simbolico, gli istigatori e gli utilizzatori di questa antitesi. Fruitori dell'antitesi, come se ne servono? Secondo la regola, postulata da Barthes, di una massima drammatizzazione: la giovane donna, poiché simboleggia l'interno, il caldo, la fecondità, la vita, non può unirsi al vegliardo, che simboleggia l'esterno, il freddo, la sterilità, la morte senza dar vita ad un mostro, l'interno-esterno, il caldo-freddo, il fecondo-sterile, il vivo-morto, nonsenso distruttore delle categorie fondamentali sulle quali si fonda l'ordine del linguaggio, cioè l'ordine del mondo. Continua Barthes nel capitolo XXVII:

«così tutto ciò che avvicina questi due lati avversi è propriamente scandaloso (del più rozzo degli scandali: quello della forma). Era già uno spettacolo stupefacente […] vedere strettamente congiunti i due termini dell'antitesi, avvolti l'uno all'altro, il corpo della giovane donna e il corpo del vecchio».15

Lo scandalo restava allora perlomeno contenuto: se i due «promessi» rimanevano sostanzialmente distinti, come due «calamite» incollate l'una all'altra sulle due facciate di un sottile foglio di carta, la barra dell'antitesi restava attiva: contatto lubrico, ma non penetrazione! La catastrofe accade quando questa barriera cede: «quando la giovane donna tocca il vecchio, è un parossismo della trasgressione; questa non è più limitata allo spazio, diventa sostanziale, organica, chimica».16

 

§ VII. Il ritorno del personaggio Torna al sommario dell'articolo

VI. Un insieme di modelli

Ciò che colpisce di più, in questo immaginario è la sovrapposizione, per non dire l'ammasso, di molti modelli presi in prestito a diverse discipline e chiamati in aiuto, con una predilezione per le scienze «dure». Mobilitati ciascuno a sua volta, senza che si sappia chiaramente se ciò avviene in ragione della loro capacità di evocazione metaforica o alla virtù di spiegare «letteralmente», questi modelli forniscono all'implosione dell'antitesi il supporto di «codici di riferimento» scientifici mai così rispettabili. Si passa così dal piano linguistico-retorico, che mira a conferire all'Antitesi una serie di proprietà sacrali ed anche tragiche, ad un modello psicanalitico, destinato a fornire all'Antitesi così caratterizzata un primo radicamento antropomorfo, poi ad un modello psicofisiologico, punteggiato inoltre di riferimenti etnologici, per sigillare il radicamento organico abbozzato dal riferimento psicanalitico; infine, e alla base ancora più materialista, ad un modello psicochimico, o più esattamente ora elettromagnetico ora pirotecnico, che garantisce analogicamente la gravità catastrofica degli effetti prodotti dalla trasgressione: perversamente calamitati l'uno verso l'altro, i contrari sono destinati ad esplodere, a causa del superamento della massa critica autorizzata. Tutto questo dovrebbe convincere il lettore che una perturbazione del sistema dei paradigmi retorici fa almeno tanti danni quanti ne fa un'eruzione vulcanica, un sisma di magnitudo otto o un'esplosione atomica.
Tutto questo anche perché il modello iniziale, fondato sull'opposizione dei contrari linguistici da una parte e dall'altra della barra paradigmatica, non è sembrato abbastanza evocativo da rendere sensibile l'intensità degli effetti suggeriti. Barthes aggiunge innanzitutto il rinforzo di un secondo modello, anch'esso strano e strutturale e più chiaramente materialista: quello dei due fluidi la cui combinazione genera una mescolanza esplosiva. I termini antitetici sono quindi ora considerati come coppie di forze reali, cariche di elettricità o di qualche mana sacro, ed il cui contatto sarebbe tanto pericoloso quanto sacrilego. Poiché queste coppie hanno la loro sede nel corpo, la spiegazione del fenomeno comprenderà inoltre un terzo modello, preso in prestito dalla psichiatria psicanalitica, per spiegare la loro perturbazione.

«Il gesto della giovane è un piccolo acting out: lo si prenda per una isteria di conversione (sostituto dell'orgasmo) o per il passaggio del Muro (dell'Antitesi e dell'allucinazione), il contatto fisico di queste due sostanze esclusive, la donna e il castrato, l'inanimato e l'animato, produce una catastrofe: è uno choc esplosivo, una conflagrazione paradigmatica, una fuga smarrita dei due corpi indebitamente ravvicinati».17

Si noterà di passaggio l'astuzia della scelta liberamente lasciata al lettore d'interpretare a suo modo il gesto della giovane donna secondo il modello psicanalitico o il modello linguistico. L'autore ha infatti bisogno di due modelli linguistici per ricoprire di una vernice nuova tipicamente barthesiana il modello psicanalitico, ed ha altrettanto bisogno di inserire delicatamente questi innesti sul gambo vigoroso del modello psicochimico, in particolare nella sua versione pirotecnica, per garantire la plausibilità della loro capacità di esplosione.
Quest'ultimo modello fornisce in effetti un'illustrazione letteralmente detonante alla tesi dell'inconciliabilità dei contrari. Riassumendo una delle due lezioni che trae dall'episodio del «matrimonio del castrato», Barthes scrive:

«simbolicamente è affermato che il corpo doppio, il corpo chimerico, è invisibile, votato alla dispersione delle sue parti: quando viene prodotto un corpo supplementare, che viene ad aggiungersi alla distribuzione già completa dei contrari, questo supplemento […] è maledetto: il troppo esplode: l'assembramento si rivolta in sparpagliamento».18

 

§ VIII. Zambinella e Sarrasine Torna al sommario dell'articolo

VII. Il ritorno del personaggio

Questo concatenarsi di riferimenti scientifici ha ancora per obiettivo di mascherare il peccato originale del modello vero e proprio: questo riposa, per essere messo in azione, solo sul principio esplicativo di un antropomorfismo psicologico rudimentale. Barthes ha un bel da mettere di punto in bianco, all'inizio del capitolo XXVII, «l'Antitesi, è il muro senza porte»: la frase seguente mostra che è solo nell'ambito del diritto che l'antitesi non può essere trasgredita. In effetti, è un muro attraverso il quale ciascuno, se osa, può passare: «varcare quel muro è già la trasgressione ».19 Ma a chi dunque è rifiutata in teoria, ma concessa in pratica, la possibilità di trasgredire? Non certo ad entità linguistiche astratte, nemmeno a forze materiali grezze come due corpi calamitati, ma a persone liberamente dotate delle capacità di sentire, pensare e agire: si tratta necessariamente di una libertà esistenziale concessa a due personaggi allegorici nascosti sotto i contrari messi in opposizione, che li manipola dalle quinte come le marionette del Teatrino di Lione. Le marionette erano inizialmente il vecchio e la giovane donna, la cui antitesi era presente dapprima soltanto nella mente del narratore (che mostra le marionette) per simboleggiare la Morte e la Vita; ma il ruolo di presentatore delle marionette va in seguito al vecchio e alla giovane; ciascuno di loro prende in mano per conto proprio il destino della coppia antitetica che simboleggia insieme al compagno. Dobbiamo supporre, benché Barthes ometta questa semplice precisazione, che il vecchio concepisca la sua castrazione come antitetica alla fecondità simboleggiata dalla donna e che, attirato dal contrario che potrebbe colmare la sua mancanza, vada a incollarsi alla barra che lo separa dal suo opposto; in modo simile, che la giovane donna, mossa da una certa pulsione di morte che rimarrà nascosta, ceda al fascino che le ispira il suo contrario e commetta questa infrazione.
Barthes ha già da allora reintrodotto come sostrato antropomorfo dei termini dell'antitesi, i personaggi dell'aneddoto (o di qualche aneddoto da esso derivato) e le loro motivazioni. Uno psicologismo aggiornato con una pennellata di lacanismo dà il cambio al modello linguistico per dare conto della statica e della dinamica dell'Antitesi. Il vegliardo che perseguita la giovane donna non è solo una figurazione simbolica della Morte o dell'Impotenza, è un umanoide il cui comportamento si spiega in parte con il desiderio di ciò che gli manca, in parte con la sua fragilità sotto l'effetto di ciò che gli manca; allo stesso modo, la giovane donna non è soltanto una figurazione simbolica della Vita o della Fecondità, ma un essere di carne e sangue, il cui appetito di vivere è segretamente minato da un desiderio di morte e di castrazione. Barthes, che inizialmente sembrava voler porre la simbologia dell'episodio esclusivamente a livello di una tensione tra due entità astratte (linguistiche o concettuali) separate da una linea tanto più insuperabile quanto immateriale, non ha potuto astenersi dal dare a questa improbabile logomachia, per metterla in movimento, il supporto del suo radicamento in due coscienze (o subcoscienze) antropomorfe.
Ma questa psicologizzazione dell'Antitesi, se ha il vantaggio di conferire un minimo di credibilità intuitiva al divenire delle relazioni tra i termini opposti, presenta in compenso l'inconveniente di reintrodurre il personaggio: in questo modo, l'interpretazione simbolica ricade a livello di un aneddoto, segnata certo da un timbro di modernità più seducente di quella di Balzac, ma non così profondamente diversa nella natura come il richiamo al modello linguistico aveva fatto sperare. Come rimediare a questa carenza? Barthes ricorre allora a un terzo assortimento di modelli, metaforico esattamente come i primi due, ma capace di fornire l'appoggio di un materialismo robusto quanto elementare. I due termini dell'antitesi non sono più due entità linguistiche o concettuali che troneggiano nel cielo intelligibile da una parte e dall'altra della barra paradigmatica, non sono più nemmeno (scendendo di un grado nell'empirismo sublunare) due subcoscienze affascinate l'una dall'altra fino a trasgredire il tabù che vieta il congiungimento corporeo; sono adesso due «sostanze» chimiche, due liquidi separati da una parete sottile; un buco in questa parete (aneddoticamente raffigurato dal dito della giovane donna che tocca il vecchio, ma che denota in ogni caso una volizione perversa) permette ai due liquidi di mescolarsi; ma si tratta di una mescolanza detonante la cui esplosione getta violentemente i due elementi (già più o meno mescolati) a distanza l'uno dall'altro.
Eppure Barthes persiste nel sostenere che la catastrofe, dalla sua causa prima fino alle conseguenze più lontane, dev'essere decifrata come una perturbazione di ordine linguistico. È nella base più profonda dell'organismo, al congiungimento stesso del corpo e della psiche che si inscrivono secondo lui i condizionamenti e i traumi del linguaggio, e per esempio la separazione dei contrari e la loro mescolanza, l'antitesi e la sua trasgressione. Al contrario dello scientismo volgare, che cerca nelle lesioni del cervello la causa delle patologie del linguaggio, la rivoluzione copernicana inaugurata in S/Z non è lontana dal professare che sono i disturbi del linguaggio a provocare le lesioni del cervello. Mettendo in parallelo la trasgressione dell'antitesi della coppia Vecchio/giovane donna con quella che imputerà alla coppia Zambinella/Sarrasine. Barthes conclude infatti: «allo stesso modo, copiando la Donna, prendendo il suo posto al di sopra della barra dei sessi, il castrato trasgredirà la morfologia, la grammatica, il discorso, e di questa abolizione del senso Sarrasine morirà».20

 

§ IX. Psicopatologia dell'antitesi Torna al sommario dell'articolo

VIII. Zambinella e Serrasine

Assimilazione, diagnosi e prognosi delle più discutibili. È esatto che Zambinella copia la donna; così facendo, prende il posto della donna. Si può però allo stesso modo dire che lo fa «al di sopra della barra dei sessi»? Dipende: se lo si considera come un ragazzo travestito da ragazza, la sua infrazione consiste nel passare dall'altra parte della barra sociologica (e non linguistica) che separa i sessi (e non i generi) maschile e femminile; se lo si considera come castrato e se inoltre si postula che la castrazione lo metta sociologicamente a margine del gruppo degli uomini senza tuttavia permettergli di integrarsi nel gruppo delle donne, la sua infrazione consiste nel volersi e forse potersi mettere da una parte o dall'altra della barra, mentre non può farlo senza usurpare questa posizione. In ognuno di questi casi, la barra dei generi, se non quella dei sessi, resta intatta dalla trasgressione. Zambinella, con il suo travestimento e la sua psicologia, scivola in modo fraudolento dalla parte della donna, in una relazione di complementarità con un principio maschile (incarnato da Sarrasine) di cui non cerca affatto di sovvertire gli attributi caratteristici, al contrario: la sua eventuale ipocrisia è un omaggio alla virtù.
Di cosa morirà del resto Sarrasine? Essenzialmente non dell'avere scoperto che Zambinella è un castrato, e che in questa qualità ha trasgredito «la morfologia, la grammatica, il discorso», ma semplicemente che il musico ha «copiato» la donna ideale, cosa che, ragazzo o meno, non era: è la non-femminilità di Zambinella che uccide Sarrasine, la sua castrazione interviene solo come fattore aggravante. Se Zambinella fosse stato un ragazzo «intero» e non un castrato, in cosa sarebbe cambiato il destino di Sarrasine? La sola alternativa sarebbe stata per lui l'accettare una relazione omosessuale con il suo «ideale femminile» decaduto. Soluzione che Balzac evita, naturalmente, di fargli immaginare, ma che la trama dell'intrigo rende teoricamente ipotizzabile e non necessariamente destinata al fallimento: ne è testimone il vigore fiorente del cardinale Cicognara, per niente toccato dai suoi rapporti col castrato, né per quanto riguarda i suoi gusti artistici, né per quanto si può giudicare, nell'esercizio della sua sessualità.

 

§ X. Paradossismo: domare l'inespiabile Torna al sommario dell'articolo

IX. Psicopatologia dell'antitesi

L'Antitesi, quella che Barthes solitamente gratifica di una A maiuscola, è all'opera in Sarrasine: rappresenta un'eccezione tragica o corrisponde alle caratteristiche normali dell'antitesi, figura della retorica classica per eccellenza? O, per meglio collocare la portata di una domanda che ogni lettore di S/Z, come utilizzatore occasionale di diverse antitesi, non può non porsi: siamo tutti esposti come Sarrasine al rischio di morire per una trasgressione di antitesi mal curata?
Il capitolo XIV, L'Antitesi I: il supplemento, che pone i fondamenti di una teoria barthesiana dell'antitesi e il capitolo XXVII, L'Antitesi II: il matrimonio, che riprende brevemente la stessa idea, danno a questa domanda angosciante una risposta tragicamente affermativa.
Cominciamo a vedere quel che Barthes dice dell'antitesi in generale. Si tratta, secondo lui, di una delle figure più stabili che la retorica, nel suo lavoro di classificazione, abbia prodotto, per nominare, fondare il mondo. La sua funzione (Barthes, sempre prudente, dice con garbo: la sua funzione «apparente») consiste nel «consacrare (e addomesticare) con un nome, con un oggetto metalinguistico, la divisione dei contrari».21 Da questo capiamo che l'antitesi dà l'impressione illusoria di padroneggiare i contrari come il caldo e il freddo, l'interno e l'esterno, la morte e la vita. Si tratta di opposizioni paradigmatiche come quelle che i linguisti, e dopo di loro i semiologi, mettono al centro della produzione del senso. Ma Barthes si premura di precisare che il paradigma dell'antitesi costituisce un caso molto particolare: «lungi dal differire per la sola presenza o assenza di un semplice tratto (come accade ordinariamente nell'opposizione paradigmatica) i due termini di un'antitesi sono "marcati" l'uno e l'altro».22 Sono contrari, come per esempio l'uomo, inteso come essere umano di sesso maschile, in opposizione alla donna, e non semplicemente termini che si differenziano per un grado di determinazione più o meno profondo come per esempio l'uomo, da sempre inteso come essere umano di sesso maschile in opposizione all'uomo, inteso semplicemente come rappresentante del genere umano: l'uomo, rappresentante maschile della specie umana, non può mai essere la donna, mentre è sempre uomo, individuo appartenente al genere umano. È ciò che Barthes esprime nel suo tipico stile, quando scrive che la differenza dei termini, nell'antitesi, «non viene da un movimento complementare, dialettico (vuoto contro pieno)», ma dalla divisione dei contrari, che consacra e addomestica «in questa divisione, la sua stessa irriducibilità».23
Una ricca serie di paragoni o metafore glossa questa irriducibilità e l'arricchisce di connotazioni bellicose: «l'Antitesi separa da sempre; in tal modo, essa fa appello a una natura dei contrari, e questa natura è feroce»; «l'Antitesi è lo scontro di due pienezze, messe ritualmente di fronte come due guerrieri tutti armati: l'Antitesi è la figura dell'opposizione data, eterna, eternamente ricorrente: la figura dell'inespiabile»;24 e, come abbiamo visto in apertura dello sviluppo XXVII: «L'Antitesi, è il muro senza porte».
I termini dell'antitesi sono quindi come cane e gatto, fuoco e acqua, Dio e diavolo: in guerra perpetua. Da questa reciproca intolleranza risulta, secondo Barthes, che l'antitesi può esibire i due contrari e giocare sull'effetto incisivo del loro antagonismo, ma a condizione di tenerli a distanza come due galli prima del combattimento mortale. Eliminare la distanza, accettare o provocare il corpo a corpo, ritorna a far vacillare una distinzione fondante l'ordine del linguaggio, quindi l'ordine del mondo: «ogni associazione di due termini antitetici, ogni mescolanza, ogni conciliazione, in una parola ogni passaggio del muro dell'Antitesi costituisce dunque una trasgressione».25

 

§ XI. Una morte simbolica? Torna al sommario dell'articolo

X. Paradossismo: domare l'inespiabile

Non sarebbe allora possibile concepire una forma d'espressione nella quale questa trasgressione si operi senza danni evidenti? Barthes ammette che una tale forma di espressione esiste, codificata dalla retorica, ma ne minimizza la frequenza e la virtù: «certo la retorica può inventare di nuovo una figura destinata a nominare il trasgressorio; questa figura esiste: è il paradossismo (o accostamento di parole): figura rara, è l'ultimo tentativo del codice per domare l'inespiabile».26 Applicando l'affermazione di Barthes ad un esempio di ossimoro classico, possiamo concludere da una parte che Rodrigo, evocando «cette obscure clarté qui tombe des étoiles», opera una trasgressione dell'antitesi selvaggia che esprime la separazione della luce dalle tenebre, d'altra parte che conferendo a questa trasgressione il nome di paradossismo, di unione di parole o di ossimoro, la retorica fa un ultimo tentativo, apparentemente derisorio e destinato al fallimento, per esorcizzare lo scandalo.
Questa trasgressione prevede una sanzione? Sì, secondo Barthes, e sarà una sanzione terribile. Una prima illustrazione è stata data dalle conseguenze del contatto stabilito tra Madame de Rochefide, che simboleggia uno dei termini dell'antitesi, e il vecchio castrato, che simboleggia l'altro:

«ogni partner è il luogo di una vera e propria rivoluzione fisiologica : sudore e grido : ognuno, attraverso l'altro, è come rivoltato da un agente chimico di straordinario potere (la Donna per il castrato, la castrazione per la Donna), il profondo è espulso, come in un vomito. Ecco che cosa succede quando si sovverte l'arcano del senso, quando si abolisce la separazione sacra dei poli paradigmatici, quando si cancella la barra dell'opposizione, fondamento di ogni
"pertinenza"».27

Tale è ancora, fatale per Sarrasine, la sanzione della trasgressione commessa dal castrato stesso «copiando la Donna, prendendo il suo posto, al di sopra della barra dei sessi ». Dall'attentato così commesso contro «la morfologia, la grammatica, il discorso» risulta in effetti «l'abolizione del senso». Di questa abolizione del senso, Sarrasine, pagando per il castrato, morirà come altri muoiono di un brutto raffreddore: «strutturalmente viene detto che la figura principale prodotta dalla sapienza retorica, vale a dire l'Antitesi, non si può trasgredire impunemente: il senso (e il suo fondamento classificatorio) è una questione di vita o di morte».28

 

§ XII. Conclusioni Torna al sommario dell'articolo

XI. Una morte simbolica?

Il lettore di queste ultime righe riceve dunque la conferma di ciò che la sua angoscia gli faceva temere. Certo, può ancora aggrapparsi alla speranza che la morte di cui viene minacciato sia, non biologica, ma soltanto simbolica o strutturale. Quando Barthes, decodificando il messaggio di Sarrasine, scrive solennemente «simbolicamente, è affermato che», «e strutturalmente viene detto che», possiamo farci una domanda sulla portata ontologica si simili affermazioni. Si tratta di sapere se ciò che viene affermato e detto per mezzo di un simbolo o attraverso la struttura riguardi effettivamente il mondo reale, e non un universo a sua volta strutturale o simbolico, cioè più o meno fittizio. Chi si porta garante, in effetti, del messaggio dato per mezzo di un simbolo o della struttura? La fonte di questo oracolo è un'istanza impersonale che si sottrae a ogni presa, cancellata com'è dalla costruzione passiva di un'asserzione priva di un autore preciso. Barthes ne riproduce con deferenza le idee (ciò che è affermato simbolicamente o detto strutturalmente merita considerazione a colpo sicuro!), ma si guarda bene dall'impegnarsi in prima persona per garantirne la validità letterale oppure per precisarne la portata metaforica.
Eppure questo pone un problema. O in realtà la trama simbolica tratta da Sarrasine e sviluppata in S/Z è pura fantasia senza conseguenze pratiche, una sorta di saggio di fiction retorica, e in questo caso il tono tragico dei commenti di Barthes, a meno che non rientrino in un'intenzione parodica che non è tipica del suo stile, suscita il riso; oppure dev'essere possibile dire precisamente dove e come, secondo Barthes, sopravvenga una trasgressione dell'antitesi, in cosa consista materialmente, e a quali conseguenze cliniche ci esponga: simbolica o strutturale che sia, questa morte dovrà pur corrispondere ad un'esperienza sgradevole ed empiricamente tangibile: quale?
Cerchiamo di circoscrivere il problema a partire da quello che sappiamo dell'antitesi. Si ammetterà senza sforzo che questa figura (come tanti altri tropi) gioca sullo scandalo di una trasgressione alla norma. Il Petit Larousse dà il seguente esempio: «la natura è grande nelle piccole cose». L'antitesi gioca qui sull'avvicinamento dei termini contrari grandezza/piccolezza. La norma alla quale è fatto implicitamente riferimento sarebbe espressa da: «A petites entreprises, petit talent; à grandes entreprises, grand talent». L'antitesi, come già il paradosso, consiste nell'accettare l'anomalia apparente che risulta dalla congiunzione del grande e del piccolo (un grande talento applicato a piccole cose), e nello scoprire che questa anomalia si riassorbe in un ordine superiore, o in ogni caso più originale, più interessante, più dotato di senso di quello che è appena stato turbato: la natura è grande perché il suo talento si applica con la stessa cura non solo alle grandi, ma alle piccole cose.
L'esempio del Petit Larousse basta a mostrare che l'antitesi comune non ha affatto il carattere tragicamente inflessibile che Barthes le attribuisce. E innanzitutto perché l'antitesi in senso stretto non gioca, come ci induce a pensare, a livello della lingua, su opposizioni di termini lessicali, ma a livello della parola, su frasi costruite. In «a padre avaro figlio prodigo» l'antitesi non si gioca su una trasgressione delle coppie padre/figlio o avaro/prodigo, che rimangono intatte, ma su una perturbazione della norma banale «tale padre/tale figlio» che sussumerebbe a «padre avaro, figlio avaro, a padre prodigo figlio prodigo»: non sono parole (o concetti astratti), sono sintagmi grammaticali (o proposizioni logiche) articolate sull'antitesi classica. Le trasgressioni non riguardano quindi, come vorrebbe Barthes, le coppie dei contrari che costituiscono la base fondamentale del linguaggio e del pensiero, ma su concrezioni abitudinarie/meccaniche che possono essere spostate, non solo senza danni, ma anche con profitto.
Cos'è in realtà l'antitesi? Secondo la definizione del Petit Robert, «un'opposizione di due pensieri, di due espressioni che avviciniamo nel discorso per farne emergere meglio il contrasto». Ma se il contrasto di due termini sollecita l'attenzione e risveglia l'interesse, non significa che ci sia contraddizione nella frase o nella proposizione, come esito della loro combinazione. Non ci si aspetta che la natura sia grande nelle piccole cose come nelle grandi; che questa uguaglianza sia rivelata può, di primo acchito sorprendere, ma non comporta nessuna contraddizione, a pensarci bene.

 

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XII. Conclusioni

Da dove viene allora l'accezione in cui Barthes considera il termine di antitesi? Non si tratta in realtà della figura della retorica in senso proprio, ma di un'estensione metaforica di questo senso. I dizionari notano in effetti che, con un passaggio dal proprio al figurato, l'antitesi comincia a designare, a partire dal XIX secolo, non più un'opposizione frastica che gioca su parole o pensieri espressi, ma un'opposizione referenziale tra due individui o due principi: «un tale è l'antitesi vivente di suo fratello». È in questo senso derivato o imbastardito che Hugo, su scala cosmica, parlerà di un' «antitesi universale» tra principi in lotta. È anche in questo spirito manicheo che all'inizio di Sarrasine il narratore può, senza peraltro utilizzare la parola, interpretare lo spettacolo che gli è offerto come una figurazione simbolica dell'«antitesi» che oppone la Vita e la Morte.
Barthes, preoccupato di dare alla sua ipotesi l'appoggio di una base linguistica o semiologica, si sente in dovere di identificare verbalmente la sua idea dell'antitesi con quella della retorica classica. Ma questa concezione non resta in lui meno allineata a quella dei romantici (e qui anche di Balzac), con la sola differenza che i principi antinomici che si affrontano nella cosiddetta antitesi non hanno più come campo di battaglia il mondo, oggettivo o soggettivo, naturale o soprannaturale, sociale o materiale, ma lo spazio misterioso del corpo, come principio materiale di fatto smaterializzato, concepito come un campo chiuso in cui bruciano a forza di battersi, per fortuna separati da muri senza porte che si superano come «passe-muraille», le coppie di contrari lessicali. Barthes ha decapitato la figura retorica della realizzazione frastica in cui essa trovava un senso. Ha trasformato un fatto di parole in un fatto di langue. Ma inciampa sull'impossibilità di drammatizzare questa forma di opposizione: quale senso trarre dallo scontro mitico dei termini interno ed esterno, caldo e freddo, vita e morte, legati sintagmaticamente dalla barra paradigmatica che ad un tempo li unisce e li oppone? Possiamo spremere finché vogliamo questa frutta secca, ma non ne uscirà nessun succo. Sola risorsa possibile: a prezzo di una certa dose di iniezioni antropomorfiche, riconvertirli in attori di una favola allegorica. Grazie a questo trattamento, che riporta il simbolo all'aneddoto che si diceva di voler ripudiare, l' «opposizione» linguistica diventa inimicizia, la «barra paradigmatica» funge da muro di Berlino, ed i termini antagonistici, mossi da qualche pulsione viziosa, saltano il muro per dare e ricevere il bacio della morte tra le braccia dell'avversario. Questo immaginario così approssimativo porta in sé la sua stessa condanna. Barthes, riferendosi di passaggio all'ossimoro, avrebbe dovuto riconoscere che la barra dell'antitesi, lungi dal costituire l'ultimo parapetto contro una mescolanza esplosiva dei termini, può essere alzata senza inconvenienti: questo tropo, classico quasi quanto l'antitesi, gioca proprio su questa soppressione. Anche se Hugo avesse definito Olivier non «aquila dagli occhi di colomba», ma «aquila-colomba» o «eroe dagli occhi di aquila-colomba», la compresenza all'interno di uno stesso soggetto di due predicati solitamente incompatibili non avrebbe posto un problema molto più difficile da risolvere. Se la trasgressione dell'antitesi nell'ossimoro presentava per i contravventori l'ombra di un pericolo, il Cardinale di Richelieu avrebbe certamente proibito il Cid per il fatto che certi versi, che trasgredivano l'inflessibile barra che separa l'oscurità dalla luce, provocava negli spettatori delle convulsioni tali da turbare l'ordine pubblico. Naturalmente si possono sempre immaginare, a proposito di certe coppie antitetiche, delle forme di sacralizzazione, individuali o collettive, dei condizionamenti pavloviani che conferiscano alla trasgressione un carattere di scandalo intollerabile: «sudore e grido»! Per fare un esempio non privo di rapporti con il nostro argomento, l'espressione «ces messieurs-dames» applicata da Proust alla coppia Charlus-Morel può divertire gli uni e produrre sugli altri l'effetto castrante del riso. Ma tali rigidità non possono riguardare la figura dell'ossimoro e, ancor meno, quella dell'antitesi, né nella sua generalità né nella sua normalità.
Una frittata norvegese non produce eventuali disturbi gastrici perché confonde le categorie linguistiche di caldo e freddo. Lo scandalo della forma, che è secondo Barthes «il più rozzo degli scandali», non ha la stessa intensità a seconda che l'antitesi si impadronisca di questa o di quella coppia di contrari. Minimo nel caso di una ricetta gastronomica che mescoli il caldo e il freddo, l'agro e il dolce, diventa rozzo (di una rozzezza del contenuto, non della forma) solo quando un divieto di origine extralinguistica raddoppia l'opposizione lessicale (o concettuale) dei contrari, segnando la loro contiguità con il marchio della mescolanza tra puro e impuro, profanazione del sacro, trasgressione di un tabù. L'anticlericale può cercare di scandalizzare il benpensante rivelandogli che il lupanare della sua villa, proprietà del vescovado, è addossato al muro della cattedrale. Antitesi che mette in un rapporto di contiguità la casa di Dio e quella di Satana, il tempio della castità e quello della lussuria. Questa contiguità dei contrari diverte l'uno, è insopportabile all'altro, fa alzare le spalle a un terzo impavido. Perché è vissuta diversamente, benché sia percepita da tutti e tre, dal punto di vista formale? Perché conta anche il contenuto dei contrari messi in opposizione e nessuno è condizionato culturalmente a dare loro lo stesso valore di un altro.
L'antitesi, intesa come antagonismo reale (e non essenzialmente verbale) di due forze antinomiche, sarà forse, più dell'antitesi retorica classica, capace di giustificare la concezione barthesiana di due termini che si affrontano in una condizione di ostilità feroce e implacabile? Non si capisce perché. Forse certi manichei irrigidiranno in un antagonismo senza uscita principi contrari come il Bene e il Male, la Vita e la Morte, la Castità e la Lussuria, la borghesia e il proletariato, il Leggibile e lo Scrivibile, ecc. condannati a sfidarsi al di sopra della barra della loro opposizione come due cani di maiolica, che si guardano in cagnesco, su un caminetto. Ma questa rigidità è solo un'opzione tra altre, che ammette in ogni caso altre scelte alternative alla trasgressione catastrofica a cui Barthes pretende di ridurre la soluzione del conflitto. Ci si stupirà di come l'autore di S/Z, ben poco marxista in questo, ragioni senza ipotizzare un progresso dialettico capace di operare la sintesi dei termini antinomici.
È la norma dell'antitesi retorica, e non un'ideologia antiquata, che richiede l'integrazione dialettica dei due termini contrari in una sintesi che operi la loro conciliazione. È vero anche per il modo in cui il narratore di Sarrasine trae la morale dalla sua chimera: dapprima stupefatto dal capriccio della natura che ha messo in contiguità, sotto il contorno dell' «arabesco», il corpo del Vegliardo e della giovane donna, si riprende e realizza che questa entità mostruosa, da una parte illustra con una sineddoche, in una delle sue realizzazioni parcellizzate, la coesistenza universale dei contrari Vita e Morte, e dall'altra figura metaforicamente una sorta di matrimonio a cui si può assistere ogni giorno a Parigi. Questa integrazione dell'antagonismo iniziale sarà decifrata nella prospettiva di Barthes solo come un'illusione automistificatrice, una banalizzazione della tensione tragica dei contrari: Barthes scommette sul peggio. Ma perché, da parte nostra, non considerare come un partito preso drammatico, magniloquente fino al burlesco, il rifiuto di prendere in considerazione lo sforzo di normalizzazione operato dal narratore e apparentemente convalidato dal solo testo che sia effettivamente stato scritto, quello di Balzac?

 

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Dicembre 2003, n. 2