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Eleonora Conti
Ungaretti giornalista del «Don Quichotte».
Letteratura e politica tra Francia e Italia
Sommario
I. Il giornalismo di Ungaretti: un vero e proprio "genere marginale"
La parabola intellettuale di molti romanzieri e poeti del Novecento è stata segnata dalla pratica del giornalismo, per motivi economici o ideologici, e Ungaretti non si sottrae a questa pratica. Benché spesso protesti la necessità di avere un tempo maggiore da dedicare alla poesia, in realtà egli collabora a periodici e quotidiani per tutta la vita.1 Gli anni del primo dopoguerra, in particolare fra il 1918 e il 1929, sono un periodo di densissime collaborazioni e presentano caratteristiche peculiari: sono infatti gli anni in cui egli crea un genere giornalistico personale e ben riconoscibile.
Gli articoli di Ungaretti nascono in genere da un'occasione esterna (un evento da celebrare, una pubblicazione appena avvenuta, un fatto d'attualità), ma non si limitano mai alla semplice recensione: inglobando l'occasione di partenza in una riflessione più ampia, si strutturano piuttosto come costruzioni complesse in cui entrano elementi di poetica, abbozzi lirici, considerazioni d'ordine generale che collocano sempre il testo in un preciso clima storico e culturale. Essi hanno poi spesso una «natura preparatoria, trasformativa, di commento»2 che li colloca a pieno diritto nella categoria dei "generi marginali" del Novecento e incide a tal punto sulla scrittura creativa "alta" o "ufficiale" da trasformare l'intera opera ungarettiana in un unico grande libro.3
Un genere particolare di articolo, a cui Ungaretti si applica in particolare fino alla metà degli anni Venti, è l'articolo di mediazione culturale, spesso in lingua francese, destinato a periodici che si presentano come ponte di scambio fra Italia e Francia. Questi sono per lo più fondati da intellettuali italiani, ma redatti in francese per facilitare lo scambio fra i due paesi. È il caso del «Don Quichotte» nel 1920 e de «L'Italie Nouvelle» nel biennio 1923-1924, a cui Ungaretti destina un certo numero di articoli in francese, molto utili per definire la sua fisionomia di intellettuale e mediatore culturale.4
Questo genere di periodico ebbe molti esempi, di maggiore o minor successo, nei primi tre decenni del secolo, mentre perse terreno quando la politica del fascismo si orientò piuttosto verso una difesa della lingua nazionale e, dopo aver tentato di sfruttare il mezzo a fini propagandistici, si scontrò con l'impossibilità di raccogliere consensi all'estero praticando la più rigida chiusura nazionalistica.5 La coesistenza di letteratura e politica è una costante dei periodici di mediazione dell'immediato dopoguerra, come è evidente nella breve parabola de «La Vraie Italie» di Papini (1919-1920),6 a cui Ungaretti collaborò da esterno, ossia consigliando linee di condotta e cercando di diffondere l'impresa a Parigi. Dunque non meraviglia che in quello stesso 1920, in cui la rivista fiorentina naufragava fra mille contraddizioni, un altro giornale italiano in lingua francese, di interessi non esclusivamente letterari, coinvolgesse Ungaretti, questa volta in modo più assiduo e per tutto l'anno 1920, «Don Quichotte. Quotidien d'action latine». Il giornale, fondato a Parigi dal giovane esiliato socialista Luigi Campolonghi il 21 febbraio 1920, esce regolarmente fino al 31 dicembre di quell'anno.7 Qui Ungaretti svolge quotidianamente il ruolo di cronista delle vicende politiche, come già aveva fatto sul «Popolo d'Italia» l'anno precedente, ma con tre eccezioni significative: tre articoli di informazione sulla Letteratura italiana che attestano il suo ruolo di mediatore letterario fra Italia e Francia.
II. «En route!»: antenati e obiettivi del giornale
Ma di che periodico si tratta e come era arrivato Ungaretti a collaborarvi? La redazione giustifica la scelta del titolo del giornale nell'editoriale del numero 2, dove enumera gli antenati del «Don Quichotte».8 Tra questi, il più "nobile" è l'omonimo giornale fondato da Giosuè Carducci a Bologna nel 1881, il cui editoriale è riprodotto sulle pagine del nuovo «Don Quichotte» in italiano e in francese. Tra i punti più significativi del programma, che Campolonghi farà propri, spiccano la volontà di affermare i diritti, gli interessi e la dignità della nazione, di sviluppare le libertà politiche avendo come unico limite la volontà del popolo liberamente espressa, di accogliere tutti i progressi dei tempi nuovi restando fedeli alla tradizione nazionale. Le parole-chiave dell'intero programma sono «libertà» e «ideale», con cui si richiamano i giovani italiani a combattere in nome della patria, della libertà e della giustizia. Il forte elemento di idealità espresso fin dal titolo del giornale è dunque il tratto più evidente dell'impresa carducciana, insieme all'enfasi che ne sottolinea gli obiettivi, dovuta certo anche al momento storico in cui il giornale vede la luce, ossia nel ventennale dell'unità d'Italia.
Campolonghi, circa quarant'anni dopo Carducci, si richiama alla forza ideale contenuta nella figura del cavaliere Don Quichotte per riuscire a collegare Italia e Francia, le nazioni sorelle, forti delle loro tradizioni comuni e dei loro territori confinanti, in un momento in cui era necessario opporre un blocco latino alla minaccia di una Germania ancora pericolosa, benché sconfitta in seguito alla guerra. L'altro lievito che alimenta la sua sfida è il forte amore, da parte di numerosi collaboratori, per gli ideali della rivoluzione francese. Mettendosi en route, Campolonghi enuncia i suoi obiettivi:
«Ce journal voudrait être précisément la modeste table autour de laquelle viendront s'asseoir, d'abord les représentants de la France et de l'Italie, et ensuite ceux de tous les autres peuples latins d'Europe et d'Amérique (bloc formidable de presque 200 millions d'hommes), pour se regarder dans les yeux - c'est-à-dire pour se connaître et pour discuter - c'est-à-dire pour s'entendre».9
Concretamente, il giornale si augura che l'alleanza fra paesi latini non sia solo sentimentale o romantica, ma che abbia a cuore anche i problemi economici e sociali delle nazioni in causa: l'intesa deve avvenire anche su questo piano. La sfida è amichevole: l'editoriale si conclude con l'immagine di Don Quichotte che depone la sua pesante armatura, a significare il desiderio che il torneo si svolga senza spargimenti di sangue. Anche Campolonghi chiama a raccolta i giovani, rivolgendosi in particolare agli operai, da cui dipenderà l'esito dell'impresa: la sua militanza politica gli suggerisce di proporre soluzioni pratiche ai problemi italiani. Infine, «Don Quichotte» nasce anche col proposito di contribuire a risolvere una questione politica attualissima e spinosa per l'Italia: la questione adriatica.
L'orientamento del giornale di Campolonghi è un socialismo riformista, fortemente influenzato da Leonida Bissolati. Tuttavia esso è aperto a scrittori di idee diverse, ciò che rende il dibattito più vivo e costruttivo. In effetti «Don Quichotte» si avvale di collaboratori di prim'ordine: Bissolati, Garzia Cassola, Alceste De Ambris, Romolo Murri, Giuseppe Prezzolini, Ungaretti, e, tra i francesi, l'italianista Benjamin Crémieux, il direttore dell'Istituto francese di Firenze Jean Luchaire, il sindacalista Léon Jouhaux, il fisico, matematico e politico Paul Painlevé, il ministro e giornalista René Viviani. Il giornale propone dunque una doppia tribuna che vorrebbe veramente raggiungere un'intesa profonda fra i due paesi sulla spinosa questione internazionale. «Don Quichotte» presenta anche rubriche fisse;10 nello specifico, i diversi «Courriers» intendono informare i lettori della produzione italiana più attuale e interessante. La sola eccezione è rappresentata dal «Courrier littéraire», che si occupa soprattutto di lettere francesi. Tuttavia, alcuni articoli specifici sono dedicati alla Letteratura italiana e ai problemi culturali del paese e portano la firma di Crémieux, Prezzolini e Ungaretti.11 «Don Quichotte» dimostra che il desiderio di una pace solida e duratura passa attraverso una conoscenza approfondita delle culture reciproche, come si enuncia fin dal secondo numero del giornale:
«Nous nous attacherons tout particulièrement à la vie intellectuelle latine et nous ferons très large la place de la France et de l'Italie qui, après avoir vaillamment combattu ensemble pour la victoire du Droit et de la Liberté, ont maintenant le devoir urgent de travailler, par une coopération étroite et de chaque jour, au triomphe de la civilisation la plus belle et la plus humaine, seule capable de donner au monde la véritable Paix.
L'Italie aime, goûte et connaît les œuvres françaises [...]. À son tour, le public français ne doit pas rester étranger à la littérature moderne de l'Italie, si pleine de jeunesse et de force.
Il aura à cœur de la mieux connaître et nous nous efforcerons, pour notre part, de la guider et de le documenter».12
III. Ungaretti nel «Don Quichotte»: opinionista politico e mediatore culturale
A questo punto è d'obbligo chiedersi come si erano incontrati Ungaretti e Capolonghi e perché quest'ultimo gli aveva affidato il doppio ruolo di opinionista politico e mediatore culturale sulle pagine del suo giornale.13 L'ipotesi più verosimile rimanda alla comune appartenenza alla «Repubblica d'Apua»: questa associazione, nata nel 1906 dalla fantasia del poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, riuniva intellettuali socialisti e anarchici.14 Oltre a Ungaretti, Console d'Egitto, e Campolonghi, Gran Console di Francia, la «Repubblica d'Apua» contava, fra i suoi adepti, l'amico "egiziano" di Ungaretti, Enrico Pea, il pittore viareggino Lorenzo Viani, Alceste De Ambris, amico d'infanzia di Campolonghi, Spartaco Carlini, il futuro deputato comunista Luigi Salvatori e altri intellettuali toscani.15 Nel medesimo contesto anarco-socialista, altre esperienze legano Ungaretti e Campolonghi, come la collaborazione, nel 1915, alla rivista toscana «La Critica Magistrale»,16 organo del socialismo estremista presso i maestri elementari, animata da Franco Ciarlantini, Giovanni Capodivacca, detto Gian Capo, e Dante Dini. Ungaretti e Campolonghi collaborarono anche, nel 1919, a «L'Azione» di Genova, rivista animata ancora una volta dall'amico d'infanzia di Campolonghi, De Ambris.17
Fino al 1982, anno in cui Vegliante ha presentato sommariamente il quotidiano, «Don Quichotte» era un giornale misterioso e quasi circondato da un alone mitico, per gli studiosi di Ungaretti. Il poeta, infatti, ne parla spesso nelle corrispondenze con Papini e Soffici, si definisce «un coatto del Quichotte», a significare il suo impegno assiduo sulle pagine del giornale, lascia immaginare un ruolo di mediatore letterario molto importante, ma non dà indicazioni molto precise sulle modalità della sua collaborazione. Ancora nel 1981 Paola Montefoschi, nelle sue note alle lettere a Soffici, afferma che il giornale è introvabile ed effettivamente, fino ad allora, nessun ricercatore si era soffermato su questa collaborazione, che è invece la più assidua di Ungaretti - insieme a quella per il «Popolo d'Italia» - all'inizio degli anni Venti.18
È vero che è difficile formulare un giudizio complessivo su questa partecipazione ungarettiana, perché il suo impegno più assiduo finora accertabile è quello della rubrica «L'opinion latine», un puro copia-incolla di notizie politiche, salvo rare eccezioni più interessanti, che non appaga chi sia interessato all'aspetto letterario della collaborazione.19 Si tratta di testi molto diversi da quelli per il «Popolo d'Italia», analizzati in parte da Ossola e Ostenc, importanti per i continui rinvii al lavoro poetico e dai quali la personalità di Ungaretti emerge con chiarezza. Questo forse spiega anche perché questi testi siano rimasti a lungo nell'ombra. Fanno eccezione le volte in cui le notizie che raccoglie dalla stampa internazionale danno occasione a Ungaretti di discutere di questioni che gli stanno molto a cuore, come la necessità di un'intesa franco-italiana e l'invocazione a non seminare l'odio, ma a trovare una soluzione pacifica sulle questioni territoriali. In questo senso, Ungaretti condivide pienamente la linea del «Don Quichotte» e il suo sforzo per la pace e la collaborazione.20
IV. Ungaretti giornalista-mediatore nel «Don Quichotte»
Sono tre gli articoli firmati da Ungaretti sul giornale e riguardanti la Letteratura italiana: Les écoles littéraires en Italie (7 marzo 1920), Le mouvement littéraire en Italie: Giuseppe Prezzolini et la «Voce» (15 aprile 1920)21 e Brève histoire de notre jeunesse (7 giugno 1920). Il terzo di essi è noto da tempo per essere stato incluso nei Saggi e interventi del 1974. In questo caso, non si tratta di un articolo originale, concepito per il «Don Quichotte», perché Ungaretti l'aveva destinato a «L'Esprit Nouveau» con il titolo La doctrine de «Lacerba». Questo è il motivo per cui non compare sul presente numero di «Bollettino '900». Questi tre articoli sono importanti perché testimoniano del ruolo di mediazione di Ungaretti, in un'epoca in cui egli era ancora considerato, sia in Francia che in Italia, solo un giovane poeta.
V. Ritratto di Giuseppe Prezzolini
Dei tre articoli in questione, quello su Prezzolini è sicuramente il più originale perché è uno dei rari testi dedicati da Ungaretti a questo autore, su cui spesso egli formula giudizi assai polemici. Qui invece gli riconosce diversi meriti, forse perché, in quel periodo, lo sentiva ancora vicino, dato che collaboravano agli stessi giornali, compreso il «Don Quichotte». Ungaretti apprezzava il fervore di Prezzolini nello sforzo di far rinascere, insieme a Papini, la cultura italiana a inizio secolo, e questo poteva far passare in secondo piano le divergenze d'opinione.22
Ungaretti si chiede innanzitutto come definirlo, se come un filosofo, un sociologo, uno storico, un mistico, un poeta o un filologo. La sua versatilità e l'indifferenza a specializzarsi in un campo preciso gli rendono difficile darne una definizione. Coerentemente con il proprio ruolo di mediatore, egli cerca allora paralleli con gli intellettuali francesi e, sottolineandone la finezza di filologo, gli corrono sotto la penna i nomi di Albert Thibaudet e Jean Paulhan, attingendo dunque al serbatoio della «Nouvelle Revue Française»; vi aggiunge Marcel Proust, confermando la propria attenzione precoce per l'autore della Recherche.23
Ma il ruolo principale di Prezzolini, quello a cui egli stesso maggiormente teneva, è quello di «prodigioso animatore», ruolo che sentiva quasi come missione, come bisogno «je voudrais dire apostolique» - insiste Ungaretti - di diffondere in Italia la miglior produzione intellettuale mondiale, a sottolineare la fede e la passione profonda con cui Prezzolini si dedicava a questo compito. Oltre a ciò, tratto peculiare della sua missione culturale risulta essere, per Ungaretti, il binomio di idealità e senso concreto delle azioni (l'attenzione posta agli interessi nazionali, alla realtà sociale del paese): dalle pagine della «Voce», infatti, Prezzolini esortava i suoi lettori a conservare «l'ideale nel cuore; le cose reali nella volontà», per evitare di creare «regni perfetti sulle nuvole», «lasciando il disordine e la sporcizia sulla terra».24 Questo atteggiamento ricorda gli scopi e le intenzioni del «Don Quichotte», dunque l'omaggio di Ungaretti si inserisce con coerenza nella linea del giornale. «La Voce» si rivela un argomento interessante per i lettori del «Don Quichotte» anche perché essa ospitava, sulle sue pagine, collaboratori di orientamento diverso: la compresenza di punti di vista diversi rendeva stimolante il dibattito. Anche il giornale di Campolonghi, abbiamo visto, sollecitava tale confronto.25
Seppure sfumate, le riserve di Ungaretti su Prezzolini si manifestano quando egli rileva la sua tendenza a farsi sedurre dalle correnti di pensiero più attuali. Questo tuttavia non nuoce al suo ruolo di stimolatore delle coscienze, ruolo esercitato attraverso le riviste: dal «Leonardo», «la revue que [Papini] devait lancer comme un énorme obus sur tout ce qui était en vogue à l'époque, et où se trouve le grain de tout ce qui fleurit chez nous aujourd'hui» - di cui era condirettore -, alla «Voce», che manteneva «presque une idée religieuse de l'étude en vue de se préparer à constituer une classe dirigeante en Italie»; compito portato avanti dalla libreria della «Voce», il cui lavoro di aggiornamento del pubblico si estende ai più diversi campi della cultura (politico, economico, scientifico, letterario, poetico, artistico, musicale): «il s'agit de préparer l'intelligence à tout comprendre, à élever les qualités morales du citoyen, et à offrir ce qui, dans les différents domaines, a été fait de plus parfaitement "actuel"».26 Qualche anno dopo, Ungaretti affermerà che «"La Voce" era stata allo stesso tempo la nostra "Revue des deux mondes", il nostro "Mercure de France" e la nostra "Nouvelle revue Française"».27 In sostanza, le qualità della «Voce» che qui Ungaretti enuncia sono molto simili a quelle del «Don Quichotte» che ospita l'articolo, mentre è il senso morale che dà coerenza a tutto il percorso intellettuale di Prezzolini, conclude Ungaretti.
VI. Les écoles littéraires en Italie: un esercizio di mediazione letteraria
Les écoles littéraires en Italie riflette l'autentico spirito del «Don Quichotte»: Ungaretti procede per confronti con la situazione della Letteratura francese per illustrarne nel modo più chiaro le caratteristiche ai suoi lettori. Nell'introduzione, egli confessa che le lettere italiane si trovano in un momento d'impasse per via della guerra appena terminata, ma il problema è capire se questa crisi implicherà una nuova fioritura di talenti ed opere entro breve, come era avvenuto a inizio secolo, durante la grande stagione delle avanguardie, o se la crisi è profonda e la soluzione lontana. Un qualche senso di incertezza e di mancanza di direzione precisa Ungaretti l'aveva espressa fin dal 1918, nelle lettere agli amici, quando si proponeva di fondare una rivista per uscire dalla stagnazione del momento: nella prima metà degli anni Venti, però, prevalgono in lui l'entusiasmo e la fiducia, mentre negli anni seguenti darà voce a tutto il suo sconforto.
All'origine di questo articolo per il «Don Quichotte» c'è un profondo senso di gratitudine verso Papini e Soffici, i due amici toscani che agli occhi di Ungaretti si erano prodigati più di ogni altro per rinnovare la cultura italiana, fin dall'inizio del secolo. Questo sentimento, che vorrebbe trovare sbocco in un articolo, è espresso in una lettera a Papini dell'agosto 1919:
«Avevo fatto un lunghissimo studio su te e Soffici, e piaceva moltissimo; ma era troppo lungo per Littérature; vedrò di farlo passare alla Nouvelle Revue Française. Dicevo quello che di te e Soffici ho sempre pensato: avete rinnovato l'aria da noi; se oggi ci sono da noi degli uomini, non provinciali, è merito vostro; e intorno alla tua opera davo dei giudizi critici che forse non ti sarebbero dispiaciuti; consideravo le cose con giustizia e entusiasmo. Ho fatto quel che ho potuto; non è passato giorno ch'io non avessi detto a qualcuno che tu e Soffici eravate due scrittori che in Francia ci avrebbero invidiato, se i Francesi si fossero decisi a guardare anche da noi».28
È costante in Ungaretti il desiderio, qui ribadito, che il pubblico francese conosca ciò che di buono si produce in Italia, e, come dicevo all'inizio, questo è lo scopo dei periodici italiani in lingua francese, come dimostrano spesso anche i loro titoli («La Vraie Italie», «L'Italie Nouvelle»). Ecco perché l'articolo di Crémieux, che dalle pagine della «NRF» bollava come «démi-réussites» la produzione italiana contemporanea, «Lacerba» compresa, irrita violentemente Ungaretti. Sul «Don Quichotte», egli parte proprio da «Lacerba» per indicare, non senza aver prima mostrato la sua buona conoscenza della situazione francese, l'evento più importante del periodo prebellico e per stabilire confronti e differenze con l'Italia.29
Egli tratteggia rapidamente le personalità di Papini, Soffici e Palazzeschi. Di Papini evidenzia in particolare l'impegno religioso, che gli permette di cogliere la sostanza del dramma umano. È una sottolineatura importante: in un primo momento, infatti, Ungaretti aveva accolto senza entusiasmo la conversione di Papini, che era coincisa con l'allontanamento dall'antico maestro. Questa attenuazione dell'interesse di Ungaretti per Papini è evidente ne Le départ de notre jeunesse, pubblicato sul «Don Quichotte» tre mesi dopo. Qui invece, questa evoluzione non si percepisce ancora, anzi, Ungaretti valorizza l'esplorazione dell'animo umano effettuata da Papini:
«Quant à Papini, fidèle à ses inquiétudes, il parviendra, sinon à nous rapporter la foi, à laquelle il aspire, du moins à nous prouver que le calme visage humain n'est qu'une suprême grimace».
Lo sguardo acuto di Papini riesce a percepire il dramma profondo di un'epoca sconvolta. È un giudizio positivo, questo di Ungaretti, più vicino a quello espresso nella recensione a Giorni di festa, che non a quello presente ne Le départ de notre jeunesse. La vicinanza fra Les écoles littéraires en Italie e Giovanni Papini. Giorni di festa è testimoniata da forti richiami intertestuali. Su «Littérature» infatti scriveva:
«Depuis vingt ans chacune de ses expériences est comme une grimace faite à la précédente, l'inlassable scaphandrier n'aspirant qu'à nous rapporter cette suprême grimace qu'est le calme visage humain».
Ungaretti sottolinea dunque non solo lo spirito corrosivo dell'opera di Papini (dove ogni nuovo risultato è «una smorfia» a ciò che è stato fatto prima), ma anche la profonda coerenza di questo lavoro di scavo, che ha per scopo lo smascheramento del vero volto umano: una smorfia (di dolore, di angoscia) nascosta sotto una calma apparente. Questa descrizione del volto nascosto dietro una smorfia (una maschera?) mi sembra una prefigurazione dell'attenzione che Ungaretti rivolgerà al barocco e alla sua rappresentazione drammatica dell'uomo. Del resto, Ungaretti parla spesso a Papini del «pudore», che lo spinge a coprirsi di una maschera di buffone per proteggere la propria autenticità, le aspirazioni più segrete e le preoccupazioni più profonde dallo sguardo degli altri. Una maschera che dice di togliersi dal volto solo davanti agli amici più cari, Papini in primis.30 È ugualmente significativo che Ungaretti definisca questo lavoro di scavo dell'animo umano come l'opera di un «inlassable scaphandrier», di un instancabile palombaro, se si tiene conto che tale immagine è una delle matrici maggiori dell'opera poetica di Ungaretti.31 Piuttosto, Ungaretti fatica a trovare un equivalente francese per Papini, «le plus italien de nos écrivains».
Quanto a Soffici e Palazzeschi, i confronti con gli autori francesi sono molto curiosi. Le ricerche del primo sembrano ad Ungaretti vicine a quelle di Mallarmé, tese come sono alla «satisfaction "intellectuelle" de tous les sens» (qui egli pensa alle soluzioni metriche e tipografiche dei Chimismi lirici e alla rivoluzione della punteggiatura di Un coup des dés mallarmeano). Ma in Soffici l'insegnamento dei francesi non si disgiunge mai dal forte amore per la natura e la campagna toscana, fonte d'ispirazione dei suoi quadri. Di Palazzeschi, invece, Ungaretti si sofferma sul Codice di Perelà, in cui vede il punto d'arrivo di una linea poetica che affonda le proprie radici nelle ricerche di Leopardi, come ricordava in una lettera a Soffici del febbraio 1920.32 Se si tiene conto di questo accostamento Leopardi-Palazzeschi, a significare che la poesia del poeta toscano raccoglie l'eredità di un patrimonio classico, la definizione di Palazzeschi come precursore del dadaismo assume un senso originale:
«Palazzeschi, qui a écrit ce parfait Codice di Perelà que notre grand ami, l'auteur du Poète assassiné, estimait d'une façon particulière, était à Lacerba le précurseur de Dada et il y a publié, en ce sens, un manifeste célèbre».
Il manifesto del Controdolore, espressione della fase avanguardista e futurista di Palazzeschi, giustifica, agli occhi di Ungaretti, la definizione di un Palazzeschi «dadaista». Ne deriva un accostamento, a prima vista strano, tra Leopardi e Dada, considerati come tappe della stessa linea evolutiva a cui si rifà Palazzeschi. Fatto non nuovo per Ungaretti, che tre anni dopo definirà il poeta quattrocentesco Burchiello il primo dei Surrealisti, chiamando in causa Petrarca e Dada.33 Questo doppio esempio spinge a chiedersi quale idea avesse Ungaretti di Dada e del Surrealismo e quale idea avesse, più in generale, del rapporto fra avanguardia e classicità, dato che egli cerca di affiancarli a due poeti come Petrarca e Leopardi. A mio avviso, attraverso questi accostamenti azzardati, egli tenta di riaffermare la propria concezione di un'arte in cui ordre e aventure si armonizzano (non a caso, nel passo citato, compare anche Apollinaire, che aveva manifestato questa idea nel proprio testamento poetico, La jolie rousse). Un'idea molto cara ad Ungaretti, che l'aveva espressa qualche settimana prima di questo articolo, in una lettera a Soffici:
«Credo, fermamente credo, che se togli all'arte il principio dell'avventura, se tu togli, dico, all'arte la possibilità di crearti una specie di leggenda imprevedibile, se tu togli all'arte la possibilità di determinarti una nuova atmosfera, [...] è meglio mettersi a fare i buffoni».34
In questa lettera molto importante, Ungaretti dà due esempi di scrittori che, innestando le ricerche più innovatrici su una tradizione mai rinnegata, hanno creato un'arte imperitura: Apollinaire e Gide. Il risultato di questo innesto è un'arte «miracolosa», un equilibrio senza pari («equilibrista impareggiabile» e autore di un'arte «miracolosa» sono due definizioni che Ungaretti dà di Gide.35)
La seconda parte dell'articolo Les écoles littéraires en Italie è dedicata al ritorno alla tradizione, caratteristico dell'Italia postbellica. Date le premesse, Ungaretti vede il ritorno alla tradizione come un momento di grande drammaticità.36 Ecco perché nella conclusione torna l'accostamento tra Leopardi, Breton e gli amici di «Littérature». Ciò che li accomuna è il grido annientante che rivela la scoperta del tragico della condizione umana:
«C'est encore toujours le même tragique qui faisait, il y a un siècle, pousser au grand Giacomo Leopardi le même cri qui s'échappe aujourd'hui du cœur de mes chers amis de Littérature :
Rien ! rien ! rien ! rien ! rien !».
Se in Francia le risposte alla crisi sono venute dalle sperimentazioni e dalle provocazioni dei dadaisti e dei futuri surrealisti, in Italia, afferma Ungaretti, due riviste hanno cercato di costituire gli appigli per arginare questa atmosfera di crisi, «Valori plastici» e «La Ronda». Quest'ultima ha puntato su due direttrici: l'humor e la critica, grazie alle quali ha cercato di esprimere il malessere di un momento storico particolarmente difficile. Per spiegare ai lettori il profilo della «Ronda», ad Ungaretti viene spontaneo il paragone con la «NRF», per poi soffermarsi su Cardarelli e Baldini, che egli considera i due maggiori scrittori della rivista: il tono umoristico della loro opera rivela uno sforzo di comprensione dei problemi letterari che non è puro ritorno alla tradizione. In un contesto, come quello italiano, in cui il ritorno alla tradizione sembra «plus un parti pris, une pose esthétique qu'une passion réelle», «le pire, le plus poussif des arrivismes et des esthétismes» e «du point de vue moral, un sentimentalisme niais et fanatique»,37 l'opera di Cardarelli, Soffici, Carrà e Papini (come Ungaretti afferma nella lettera-bilancio a Soffici sopra citata) si rivela coerente, il risultato di ricerche sincere, fuori dalle mode e da pose effimere.
La definizione dell'arte di Cardarelli merita qualche considerazione, tenuto conto del disaccordo fra le posizioni critiche dei due intellettuali che di lì a qualche anno si sarebbe manifestato: qui Ungaretti dispiega una teoria di nomi suggestiva, paragonando Cardarelli a Goethe (interprete di un classicismo alto, solenne), a Baudelaire e a Lautréamont. Evita il nome di Leopardi, suggerendo implicitamente che solo Palazzeschi e lui stesso si collocano su quella linea di sviluppo (elemento che emerge anche negli anni successivi dalle lettere e dalle strategie di mediazione ungarettiana).
Quanto ai riferimenti francesi, Baudelaire e Lautréamont si coniugano, nella sua definizione, per indicare lo spirito tormentato, «la perfection du noir», le visioni caricaturali, «il torbo», che stanno alla base dell'opera di Cardarelli, da cui pure scaturisce una poesia adamantina, pura. È questa, mi pare, la definizione indiretta che si può ricavare da questo breve ritratto di Cardarelli, unito all'altro che Ungaretti traccia in una lettera a Giuseppe Raimondi, in cui accosta ancora Cardarelli e Baudelaire:
«Mai come oggi Baudelaire, con la sua anima promiscua, stanca e tendenziosa, volubile e perfetta "la perfection du noir", con la sua voluttà lavorata sul [?] verso come la carne delle luci d'un diamante, mai come oggi, che usciamo dal caos è stato vivo e sorprendente; in lui ci specchiamo, - come su un'acqua che a furia di scorrere sulle pietre abbia perduto tutto il suo torbo. [...]Il nostro amico Cardarelli, che ha a lungo vissuto quel clima, "da antenato["] rispetto a noi che soltanto oggi ci arriviamo, potrà darti l'unica prefazione nella quale il senso di questa nostra misteriosa aderenza d'anime apparirà».38
Infine, anche la presenza di Lautréamont si giustifica in questo quadro in cui Dada e il Surrealismo fungono da punti di riferimento: Breton infatti aveva pubblicato i Chants de Maldoror in «Littérature» e «le grand Ducasse» sarà ancora «il vangelo dei surrealisti», secondo la definizione di Ungaretti in una lettera a Soffici del 1925.39
VII. Bilancio di un'esperienza
Quale bilancio letterario si può ricavare dalle pagine del «Don Quichotte»? Quale Letteratura italiana trova eco sulle sue pagine? A me sembra che si impongano due modelli: da un lato l'esempio della «Voce», ossia di un'idea del lavoro intellettuale fortemente impregnato di moralità; dall'altro l'esempio della «Ronda», che interpreta le esigenze della tradizione in senso dinamico e, senza cadere in atteggiamenti reazionari, cerca una soluzione al dramma del suo tempo.
Questo si coniuga perfettamente con le tendenze del «Courrier littéraire » del giornale - il bollettino delle lettere francesi -, che a sua volta riserva la propria attenzione al binomio tradizione-avanguardia, rappresentato da un lato dalla «Nouvelle Revue Française», una linea alta che non disdegna talora le ricerche tecniche più audaci, e dall'altra dalla linea «moderata» di Dada (Breton e «Littérature»), un'avanguardia che, una volta abbandonate le tendenze più estremiste di uno Tzara o di un Picabia, pur mettendola in discussione e sottoponendola a tensioni rivitalizzanti, non teme la «letteratura».
Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 1995-2003
Giugno 2003, n. 1
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