Marina Spunta
University of Leicester

Gianni Celati, una questione di meraviglia

 

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Qualsiasi cosa facciamo comincia prima di noi, noi continuiamo uno svolgimento. In certi momenti c'è qualcosa nell'aria, che arriva come un suono, nel sentito dire in cui siamo immersi: e questi sono incontri avventurosi, o piccole forme di risveglio, o l'annuncio della nostra sorte.

G. Celati1

 

Nella notte tra il 2 e il 3 gennaio scorso, vicino a Brighton, in Inghilterra, dove viveva da anni, si è spento Gianni Celati. Celati è stato uno dei maggiori narratori e intellettuali del Novecento, oltre che finissimo lettore, critico, traduttore, regista e non da ultimo Maestro, perno di una comunità di scrittori e artisti con cui ha dato vita a molti importanti progetti di collaborazione. Nato il 10 gennaio del 1937 a Sondrio, Celati ha studiato a Bologna dove poi ha insegnato letteratura angloamericana al Dams ed è stato protagonista della stagione creativa degli anni '70 e '80, prima di lasciare l'accademia e stabilirsi in Inghilterra con la sua sposa, Gillian Haley. La sua opera sfaccettata testimonia un'inesausta curiosità intellettuale che supera i divari disciplinari, un'acuta sensibilità letteraria e una rara umiltà e ironia di chi rifiuta la dicitura di "professionista" della letteratura, e invece dà la preferenza al «conoscere le cose e poi, semmai, [al]lo scrivere», come suggerisce Enrico Palandri.2 In questo breve, personale ricordo non posso che concentrarmi su alcune immagini e parole tratte dalla sua opera, nel tentativo impreciso di portare omaggio all'enorme lascito intellettuale di Gianni Celati.
Dal suo esordio narrativo con Comiche nel 1971, alla trilogia padana degli anni Ottanta - Narratori delle pianure, Quattro novelle sulle apparenze e Verso la foce, palinsesto generativo sia per l'opera celatiana che per tanta narrativa ma anche fotografia contemporanee - alle Avventure in Africa,3 per citare solo alcuni dei suoi testi principali, l'opera di Celati si distingue per la sua voce inconfondibile, una voce che segue il flusso del raccontare e si apre a una pluralità di direzioni, sulla scia degli amati poemi cavallereschi (Ariosto e Boiardo), seguendo la "vivezza narrativa" del racconto, cioè «il senso che momento per momento tutto cambia sotto i nostri occhi e sotto i nostri piedi».4 Questa nozione di voce, che Celati sviluppa dalla sua raffinata conoscenza della letteratura, in primis la novellistica, ma anche delle teorie sul dialogo e la conversazione (Bachtin, Goffman), presuppone che «studiare una narrazione [...] vuol dire leggerla ad alta voce, e leggerla molte volte», come scrive nel saggio Il narrare come attività pratica, e che «una narrazione consiste in un'infinita cangiabilità, e nel vederla attraverso le parole e le immagini, nel vedere la perpetua mutazione del senso secondo i momenti».5
Tale visione della letteratura presuppone un ascolto inteso come «un'attività non direzionale, univoca» che produce in continuazione nuovi significati, «senza mai fissare il senso»,6 come ci ricorda Roland Barthes, ma anche Jean-Luc Nancy, quindi un ascolto, da parte del lettore, attento e aperto a una «divagazione che segue onde di voce»,7 all'improvvisazione, un po' come nel jazz, e all'immaginazione o meglio la fantasticazione.8 A questo tende l'ascolto del fotoamatore di Gallarate che apre il racconto di apertura di Narratori delle pianure, dal titolo L'isola in mezzo all'Atlantico, come pure l'ascolto del popolo dei Gamuna in Fata morgana, che in conversazione si sforzano di creare un'armonia con la voce dell'interlocutore.9 Tutta l'opera di Celati - la narrativa, il cinema, le tante puntuali traduzioni di classici angloamericani (in ultimo l'Ulisse di Joyce),10 ma anche francesi e tedeschi, le attente letture dei classici italiani (da Tozzi a Delfini), il raffinato pensiero critico che a partire dai saggi di Finzioni occidentali (1975) ha percorso tutto il suo lavoro - tutta la sua opera si accorda a un "orecchio interno" che, lontano da restrittive teorie letterarie, rivaluta l'"esperienza specifica" dei lettori nel dialogo con il testo, come ci ricorda nel prologo al primo numero della rivista Il semplice.11 E secondo Celati l'orecchio era proprio «un punto di discriminazione essenziale tra chi parlando di un testo sa trovare delle parole che si intonano».12 Il suo rinnovato uso della voce, dell'ascolto e della narrazione hanno dato un cambio di direzione alla letteratura italiana che Celati vedeva come segnata dalla "caduta o perdita della voce" a partire da Leopardi, come suggerito in un suo intervento sul poeta recanatese all'Istituto di Cultura Italiana di Londra, il 27 gennaio 1999, dal titolo "Gianni Celati legge Leopardi".13 La voce sussurrata, lenta e cadenzata di Celati che legge Leopardi è la prima immagine sonora che mi è apparsa alla memoria alla notizia della sua scomparsa - immagine sonora che porterò con me e che si unisce alla memoria di successive occasioni di dialogo a cui ho avuto la fortuna di partecipare.
Un'altra immagine che a mio avviso si avvicina alla ricchezza poliedrica dell'opera di Gianni Celati è quella del "rabdomante", che egli riprende da Wittgenstein per rendere l'approssimarsi impreciso all'esterno, nel seguire una voce o «qualcosa che manda un richiamo», come narra in Verso la foce.14 L'immagine del rabdomante descrive i movimenti erratici di tanti suoi personaggi, come pure la sua indefessa esplorazione di innumerevoli percorsi creativi, da solo o in importanti collaborazioni con tanti amici scrittori e con il fotografo Luigi Ghirri, scomparso proprio trent'anni fa. In questo senso trovo illuminante l'immagine proposta da Ermanno Cavazzoni di un "pinocchio" impegnato in «un'attività leggermente ascetica, più che [...] una professione», intento a «[s]cappare dalla letteratura facendo della letteratura», nel senso di fuga dalla letteratura ufficiale, «quella circolante e premiata», per Celati sinonimo di «prigione mentale».15 Come ricorda anche Marco Belpoliti, l'opera di Celati è improntata a una «rinuncia molto evidente alla figura dell'autore come sapiente»,16 una figura che Celati ha spesso ironizzato nei suoi scritti, ponendosi invece, nelle sue parole, come «una cassa di risonanza corporea» nei confronti di una tradizione condivisa.17 In questo senso l'immagine del "pinocchio ascetico", nel far convivere poli apparentemente opposti di una comicità improntata allo stupore - a un tempo bassa, corporale e leggera, in levare - rende la ricchezza e vivezza della narrativa e di tutta l'opera celatiana, che rifugge dal fossilizzarsi in schemi asfissianti e abbraccia un "moto perpetuo",18 riconoscendo che il nostro può solo essere un andare "verso" qualcosa.
Nel convegno del 2003 a Oxford Celati parlava del fenomeno della meraviglia, derivato dal narrare dei poemi cavallereschi e della novellistica, come un «traboccamento», come qualcosa di «antitetico al modo di narrare moderno».19 Nella sua narrativa questo stato spesso oscilla verso il «delirio malinconic[o]» e visionario di vari personaggi, catturati da un suono o da «una rapita attenzione per quel miracolo che si stava producendo», come narra ad esempio il protagonista del racconto Notizie ai naviganti, nella bozza autografa intitolata Voci da terra, conservata nel Fondo Celati presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia.20 Oltre alle narrazioni, una simile tensione verso la meraviglia informa la riflessione celatiana sul visibile, le immagini, e la sua visione del luogo e del paesaggio - padano, ma non solo - che ha a lungo descritto, immaginato, guardato nell'opera di tanti fotografi a partire da Ghirri, e filmato - nei bellissimi documentari Strada provinciale delle anime (1991), Il mondo di Luigi Ghirri (1999), Visioni di case che crollano (2003), e, in Africa, Diol Kadd. Vita, diari e riprese in un villaggio del Senegal (2010). E il paesaggio e il luogo, come spazio vissuto, sono temi su cui ha riflettuto in pagine di rara chiarezza.21 Anche rispetto al luogo, Celati mostra lo stesso sforzo di «entrare in dialogo, o meglio in forme di risonanza con [...] la natura»,22 e di «aprire il senso della meraviglia su un paesaggio»,23 pur nel mostrare la desertificazione culturale odierna, ma sempre nel tentativo di riattivare quello che Ghirri chiamava i «circuiti dell'attenzione, fatti saltare dalla velocità dell'esterno».24 Prendendo spunto da Wittgenstein, nel saggio inedito La media oscurità dell'esperienza Celati riflette su questa disposizione all'esterno, o stato di affezione, e su ciò che definisce il "sentire-pensare-immaginare", cioè «un apprendimento a immaginare delle possibilità»; come spiega Celati: «Solo tenendo d'occhio il possibile riusciamo a sentire quella meraviglia, che dà il senso di potersi orientare nell'oscurità media dell'esperienza come un terreno da sempre pronto ad accoglierci».25
In una recensione al libro di Massimo Rizzante Non siamo gli ultimi, Celati suggerisce che il "deficit d'ascolto" discusso da Rizzante «nasce dai processi di velocizzazione dell'attualità, con l'adesione a un immediato presente, in cui non c'è tempo per le pause del pensiero».26 Con la sua opera, Celati ci ha offerto un esempio altissimo di scrittura che opta per le "pause del pensiero" al fine di ricreare uno stato simile al conversare fra amici che si raccontano delle storie, uno stato che in sé «genera l'incanto della meraviglia», come racconta Ivan Levrini ne Il semplice.27 Nelle parole di Celati: «Scrivere è come conversare con chi ci leggerà, e il conversare è qualcosa che ci trasporta come il vento, non sappiamo mai in quale direzione».28 Sulla scia del Bartleby di Melville, insegnato e tradotto insieme ai suoi studenti di letteratura angloamericana a Bologna negli anni '80, Celati ci ha inoltre mostrato che:

«La potenza della scrittura non sta in questa o quella cosa da dire, bensì nel poco o niente da dire, in una condizione in cui si annulla il dover scrivere. Ogni dover scrivere e voler scrivere è la patetica vittima delle proprie aspettative. La potenza della scrittura sta nell'essere senza aspettative, nell'essere rassegnazione e rinuncia al dovere di scrivere, possibilità di rimanere sospesa soltanto come "preferenza"».29

In questa sospensione di una scrittura come "preferenza" e come dialogo con ciò che è prima di noi sta la meraviglia dell'opera di Gianni Celati. Ed è bello sapere che tanti lettori e studiosi continuano a rimanere affascinati dalla sua voce e dalla sua pratica della letteratura, ad entrare in dialogo con la sua opera e ad esplorarne l'enorme lascito alla cultura italiana.

 

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Giugno-dicembre 2022, n. 1-2


 

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