Angelo Fàvaro
Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"

Moravia torna a scuola. «Gli indifferenti»: una proposta critica (e un percorso interdisciplinare)

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
Alberto Moravia nella "culturaccia" italiana
«Gli indifferenti»... dell'insensatezza o dell'impossibilità dell'azione
Dentro o fuori! Qualcosa sul canone del XX secolo
Come, quando e perché invitare Michele e Carla in aula?


 

 

Quale debole sforzo basterebbe per essere sinceri, e come invece si faccia di tutto per andare nella direzione opposta.

A. Moravia, Gli indifferenti

 

§ II. «Gli indifferenti»... dell'insensatezza o dell'impossibilità dell'azione

 

I. Alberto Moravia nella "culturaccia" italiana

Che Alberto Pincherle possa tornare, post mortem e ultracentenario, in un'aula scolastica, lo si colga soltanto come un moto provocatorio, poco più di un sapido divertissement, che accordi a chi ricerca e a chi studia di sostenere una duplice visione: in primis più compiutamente biografica; in secundis consentanea a quel peculiare catalogo canonico della letteratura, stilato anno dopo anno nelle aule della scuola secondaria, e che, per mera opportunità e per perimetrare il concetto, definiamo scolastico.
Partiamo da un interrogativo. In questo secondo decennio del XXI secolo, concertando una eventuale ricognizione del canone scolastico, vi è ancora incluso, fra le proposte didattiche,1 Gli indifferenti, il romanzo scandalo, pubblicato allo scoccare del primo decennio fascista?
A oltre trent'anni dalla morte del romanziere romano, riecheggia esuberante quanto nel 1990 pronunciò, non senza la consueta punta di malizia, e non di meno con l'inconsolabile percezione di una perdita irrecuperabile, Alberto Arbasino, quando scrisse: «Aveva inventato uno stile italiano "semplificato", chiarificatore e nitido, intellettuale e immediatamente comunicativo, in una culturaccia dove la prosa appariva per lo più oratoria e lutulenta (Bacchelli) o casereccia e marpiona (Baldini) dunque più noiosa e più goffa del "Times" e del "New Yor Times"». E quel gran lombardo non poteva esimersi dall' individuare che perfino Albert Camus si era espresso in una prosa «"bianca", neutra e funzionale nei confronti dei compiacimenti retorici e dei birignao estetizzanti degli Accademici in feluca e ciabatte. E Italo Calvino lo seguirà nella ricerca della chiarezza efficace»; pervenendo Arbasino a vaticinare che la nitidezza razionalizzatrice costituiva un rischio: quello della semplificazione, «che per far contenti tutti rinuncia all'oscurità, alla notte».2
Già dalla fine degli anni Settanta pesava su Moravia l'onere di rappresentare la Letteratura italiana, in Italia e nel mondo, e si accresceva il fastidio per l'onnipresenza non solo nei contesti specificamente letterari, ma anche giornalistici, editoriali e latamente socio-culturali, perfino politici, malgré lui. Umberto Eco, alla sua morte, aveva spiegato che quel romanziere era stato un testimone della dittatura, del suo rifiuto, del dopoguerra e dei decenni successivi, così come dei dibattiti letterari e ideologici più recenti, senza tuttavia mai essersi assunto il compito di padre-maestro, con un occhio vigile su ogni evento del proprio tempo. E Giulio Ferroni, soltanto due anni dopo, dalle colonne di «Repubblica», sosteneva che: «Moravia è uno scrittore che conta molto e, con il passare del tempo, con una sua progressiva inattualità, [...] diventerà anche più grande ma - per i suoi modi di scrittura e per il suo rapporto tra narrativa e mondo - non mi pare possibile che l'opera moraviana possa essere un punto di riferimento». Concludeva: «Voglio dire che, per accostarsi davvero al suo mondo, occorre uno scrittore di razza capace di penetrare in strutture letterarie molto complesse».3 Dato accertato, tuttavia, che, fra gli anni Settanta e Novanta, Moravia era già stato emarginato, insieme ai suoi romanzi, racconti, scritti giornalistici, dai contesti scolastici e formativi.
Si intende, pertanto, percorrendo un terreno non poco scosceso e scivoloso, appena tentare di immaginare un metonimico "ritorno a scuola" di Alberto Moravia, o anche una semplice entrata nella scuola secondaria superiore, considerando un vario ordine di fattori relativi alla sua prima prova romanzesca. Un primo dubbio impegna la riflessione e riguarda se e quanto Gli indifferenti sia ormai effettivamente accolto nel pantheon dei classici "indiscutibili" del Novecento. Dal momento che, almeno fino all'inizio del XXI secolo, non è stato agevole considerarlo tale, così sfuggente alla categorica definizione di classico e al suo inserimento nel canone. Con ciò non si vuole insinuare l'irrilevanza di un romanzo che, al contrario, si è rivelato cardinale4 ed è passato al vaglio di un autorevole e ormai quasi secolare impegno critico, ma appare, tuttavia, doveroso precisare che la ridda di valutazioni e svalutazioni, tanto di detrattori quanto di sostenitori, non cessa, nonostante l'apparente esclusione del suo autore dalle classifiche di lettura e dai palinsesti editoriali, di mantenere desta una tentennante perplessità e una molesta titubanza sulla collocazione dell'autore fra i classici contemporanei e sull'ingresso nel canone de Gli indifferenti.5
Non del tutto infondato interrogarsi se c'è mai stato un momento, dalla fine del secondo conflitto mondiale a questo primo scorcio del XXI secolo,6 nel quale, nell'ultimo anno di uno degli attuali sette Licei7 o degli Istituti tecnici e professionali si sia mai affrontata la lettura integrale o parziale, lo studio in ambito storico-letterario o attraverso percorsi interdisciplinari de Gli indifferenti.

 

§ III. Dentro o fuori! Qualcosa sul canone del XX secolo Torna al sommario dell'articolo

 

II. «Gli indifferenti»... dell'insensatezza o dell'impossibilità dell'azione

Ad una neutra constatazione, quel primo romanzo di Moravia, un originale Bildungsroman,8 rispecchia completamente l'intentio auctoris e il suo arrovellarsi senza filtri, con una comprovata coerenza, su uno stato di crisi, che evolve dalla consapevolezza del disfacimento di una intera società, contro la quale non rimane che rivoltarsi. E quando si tenta di attuare la rivolta, si impone la questione delle ragioni dell'azione, e preso atto dell'insensatezza o dell'impossibilità dell'azione, non rimane che dichiarare esplicitamente una patologia morale incurabile e testimoniarla fino alla disperazione. L'autocoscienza e la conoscenza dei meccanismi del reale, espressa dai comportamenti e modi d'essere dei personaggi de Gli indifferenti, sospesi fra un inconcludente pragmatismo e un convulso ragionare, conduce inevitabilmente all'impietosa analisi e alla disincantata rappresentazione della morbosità, della conflittualità famigliare borghese, dell'ambiguità e dell'ipocrisia della società, alle quali quell'affabulatore nato, con la sua capacità di reperire storie, animato da un controconformismo,9 sempre equilibrato, non sa offrire un'alternativa. Al realista utopico, secondo la definizione formulata da Geno Pampaloni, o al realista critico indovinato da Sanguineti, sempre più, con la distanza con la quale si può leggere oggi la narrativa maggiore di Moravia, si deve ormai avvicinare l'anatomopatologo della degradazione morale, che ha archiviato il romanzo ottocentesco, rimedita le prove e le sperimentazioni del Modernismo,10 affronta e collauda nuovamente il realismo, a suo modo impastato di freudismo e incompreso marxismo, che segmenta e dimostra l'insuperabile amoralità della civiltà moderna, portando nella rappresentazione della realtà l'attualità nella narrazione, grazie a quel «suo linguaggio fenomenologico», come ha rimarcato Walter Pedullà, quando ha individuato che la svolta del realismo, fra Avanguardie e d'Annunzio, avvenne con Gli indifferenti.11 Quale spazio concedere a questo ordinato, lucido, spietato e estremo processo alla società fra gli anni Venti e Trenta nelle odierne aule scolastiche? Quanto possono ancora raccontare sull'adolescenza e postadolescenza Michele e Carla ai tanti adolescenti e postadolescenti contemporanei? Le domande si addensano e sciamano in molteplici direzioni formalizzando e autorizzando una prima constatazione: Gli indifferenti è il romanzo che corrode ogni rapporto con la scrittura romanzesca precedente, sperimenta il magma di una condizione epocale e il disagio del personaggio impotente, quando ancora non si sono spenti gli ardori superomistici, ma in particolare nasce dall'interno della velleitaria e ignorante borghesia italiana e ne analizza vizi e misfatti, attraverso l'allegoria della famiglia e della sua squallida ipocrisia, nell'impossibilità di ogni forma di autenticità. Così come si coglie da un episodio, che emblematicamente si presta a condensare quella condizione umana di sofferenza e di smascheramento dalla rutilante falsità di una collana di perle alla cupezza grottesca di un pianto impuro:

«"Si tratta..." spiegò la madre sforzandosi di parer disinvolta, e nervosamente giuocando con la sua collana di perle false "di affari... Il nostro Leo" soggiunse con voce più alta guardando in aria e accelerando il giuoco della collana, "è un uomo d'affari... occupatissimo... un affarista come ce ne sono pochi... tutti lo sanno... oh! oh!..." Rise tremando per tutto il corpo e bruscamente strappò la collana; si udì un tintinnio secco, là, sul pavimento: le prime perle cadevano: rigidamente seduta, col busto eretto e le mani posate sui bracciuoli della poltrona, la madre lasciava che la collana si sciogliesse e le perle rotolassero sul suo petto raccogliendosi nell'incavo del grembo; era molto degna, teatrale e, pur nella sua innata ridicolaggine, tragica. Poi d'improvviso, come aveva rotto il filo, pianse; dagli occhi dipinti due lacrime impure scivolarono sopra il suo viso denso di cipria lasciandovi le loro tracce umide, altre due seguirono... e dal collo le perle continuavano a cadere nel grembo tremante; come le lacrime; e tutto l'atteggiamento era rigido, con grandi pieghe, come di statua; e quelle cose che cadevano, lacrime e perle, si confondevano sull'eguale rigidità del volto e del corpo, ambedue contratti, tremuli e dolorosi».12

Moravia è, dunque, uno scrittore estremo fin dalle prime prove narrative, secondo la provocazione che dal '46 aveva formulato nel suo saggio Estremismo e letteratura, e, in quanto tale, è «conseguente e inflessibilmente e totalmente sincero»:13 tutto ciò crea al pedagogismo scolastico ministeriale e all'ottusità educativa di molti professori di scuola superiore un'irritante e indisponente insofferenza, che si trasforma rapidamente in indisponibilità a trattare temi e problemi che potrebbero scandalizzare i discenti della scuola secondaria superiore e i loro genitori, trasformando in tal modo l'insegnamento, attraverso una selezione del tutto conformistica, in qualcosa di asettico, capace al più di un costante processo di musealizzazione distanziante e neutralizzante di autori e opere. Come si può, nella scuola superiore italiana del XXI secolo, affrontare un discorso sul fallimento della famiglia, sullo smarrimento esistenziale, sulle ragioni e sul senso dell'azione, sulla disubbidienza e sul sesso, sul disgusto per l'ipocrisia perbenista e sull'intensità del desiderio, su esistenzialismo e sull' indifferenza, sul conformismo? Dopo quanto fin qui osservato, è necessario domandarsi se Gli indifferenti sia romanzo leggile, illeggibile, o in quale misura leggibile rispetto al canone scolastico.

 

§ IV. Come, quando e perché invitare Michele e Carla in aula? Torna al sommario dell'articolo

 

III. Dentro o fuori! Qualcosa sul canone del XX secolo

Quanto fin qui osservato, inevitabilmente, proietta in un diagramma non chiuso ed esauriente, ma osmotico e ancora aperto, di difficile decifrazione e definizione rispetto alle inclusioni così come alle esclusioni, nella incerta formulazione di un canone scolastico del Novecento, su cui già elucidava Romano Luperini:

«Nel Novecento il canone della poesia è più stabile e definito di quella della narrativa. Parlo, ovviamente, del canone dei monumenti, cioè dei valori estetici, quale è stabilito dalla comunità cosiddetta scientifica; ma esso in parte si riflette [...] anche nel canone scolastico. Nella narrativa sono indiscussi i nomi dei due classici primonovecenteschi Pirandello e Svevo, mentre si assiste a una progressivo inserimento nel canone dei maggiori di tre autori: Tozzi, Gadda e Fenoglio. In deciso ribasso appaiono i maestri degli anni Trenta e Quaranta, come Moravia, Vittorini e Pratolini, mentre mantiene molte delle sue tradizionali posizioni Pavese. In crescita anche Savinio, Landolfi, Bilenchi, che peraltro non sono certo entrati nel canone dei classici. [...] Fra scuola e contemporaneità letteraria si è aperta una frattura che prima non esisteva, e di cui è responsabile non solo la riforma Gentile ma la progressiva estraneità della società alle vicende della letteratura».

Tradizionalmente ciò che attiene alla scuola italiana è affidato all'improvvisazione e a logiche che sfuggono a processi razionali. Procede Luperini, riconoscendo la casualità dell'aggiornamento dei programmi ministeriali, ormai trasformati in indicazioni nazionali,14 e non si ravvisa alcun riferimento in base al quale individuare i criteri fondativi di un eventuale canone scolastico del XX secolo:

«E infatti quei professori che si provano a superare le colonne d'Ercole di d'Annunzio, Pirandello e Svevo si limitano ad aggiungere, per la poesia, un po' di Montale e di Ungaretti; ma, quando si tratta della prosa, procedono a tentoni: c'è chi fa leggere Moravia e Silone, chi Cassola e magari Berto o la Tamaro, in una totale libertà che sfiora la licenza. [...] L'idea che il Novecento, d'altronde ormai esaurito, abbia i suoi classici stenta a penetrare non solo in alcuni settori accademici particolarmente retrivi, ma nei circoli ministeriali, nei manuali scolastici e dunque anche fra gli insegnanti».

Non possiamo per altro non raccogliere le obiezioni, miste ad oscura impotenza, di coloro che ritengono sia impossibile storicizzare il XX secolo, e dunque non arrischiano a inferire nemmeno la proposta di un canone; mentre si fa strada il timore che lo studio degli autori e di qualche opera del secondo Novecento possa impegnare discenti e docenti ben più di un solo anno. Sarebbe opportuno rimembrare che originariamente, sia nella nota Storia letteraria desanctisiana, sia nelle proposte scolastiche degli anni Trenta, era previsto lo studio dei contemporanei (viventi), così come anche fino agli anni Cinquanta.
Oggi, dobbiamo considerare che testi e contesti, in una stimolante indagine, ancorata ad alcuni dati basilari estetici, linguistici, cronologici, filologici, retorici, possono essere resi capaci di costruire un orizzonte di senso, in chiave italiana e latamente europea, che coinvolga, attraverso un dialogo fecondo studenti, docenti, autori e opere, anche se solo in forma antologica. In che modo? Considerando l'insegnamento e lo studio della letteratura italiana, in specie quella contemporanea, un opificio permanente di elaborazione di snodi fra testo, autore e contesto, inteso non solo nella sua pur sollecitante matrice di inquadramento storico, ma come percorso culturale, artistico, sociale, dove stupirà scoprire fenomeni di lunga durata, insieme a eventi precisamente epocali e che di un'epoca divengono quasi paradigma, liberi finalmente da ideologie, ma fondati sul riconoscimento delle contraddizioni, delle sfasature, della precarietà e variabilità degli orizzonti valoriali. In tale direzione si recepisce il tentativo di formulare un canone scolastico non esaustivo, né esauriente, non quantitativo, ma qualitativo, dove la qualità è indicata, fra l'altro, da un non semplice compromesso fra l'urgenza educativa e di crescita di ogni gruppo classe, e alcuni autori-opere ineludibilmente formativi una coscienza critica, o, per dirla con l'immagine formulata da Edgar Morin, "una testa ben fatta". Inoltre, seguendo ancora il filo dipanato da Luperini ammettiamo che:

«Studiare il Novecento vuol dire rivedere tutto il patrimonio letterario dalla prospettiva, dall'orizzonte di valori, dalle urgenze del presente, non per appiattirlo sulla contemporaneità o per porre in risalto solo le analogie, ma anche per poter apprezzare e valutare le differenze. Ricostituire il rapporto passato-presente comporta tanto una messa a punto storico-filologica del primo quanto una piena assimilazione del secondo. Senza una conoscenza critica dei maggiori problemi storici, filosofici e letterari della contemporaneità, lo studio del passato rischia di risolversi sempre - e ancor più a scuola - in sterile accademia o in noioso filologismo. Introiettare il Novecento comporta l'opportunità di metterlo in campo in ogni occasione e non solo al momento finale di un percorso cronologico di storia letteraria».15

È palmare, almeno a chi scrive, che la condizione pressoché anarchica e senza guida alcuna nella quale versa lo studio di autori e opere del XX secolo, nel quinto anno di Licei e Istituti tecnici e professionali, pone numerosi problemi e sospende docenti e studenti nella confusione più insoffribile; uno smarrimento perfettamente speculare ai criteri di organizzazione, ancora storicistica, costruzione e selezione dei più recenti manuali scolastici, tutti capaci di offrire finestre di un superficialissimo gusto europeista, ove ormai il testo letterario, ben lungi dall'essere protagonista secondo una vantata "centralità", viene ridotto a misero fragmentum antologico, disperso come in un pieghevole reclamistico fra percorsi artistici, ricognizioni cinematografiche, escursioni nella filosofia e nella sociologia, proposte "operative di esperienze professionali", Invalsi, Nuovo Esame di Stato, o annichilito da suggerimenti didattici di flipped classroom e fact chekching, inframezzando ludiche riscritture creative a esercizi dall'ormai superato tenore strutturalistico-narratologico, nel nozionismo più astruso e con vertiginose liste di titoli e date, il cui unico scopo non pare tendere ad altro che alla banalizzazione dell'educazione linguistica e a una funzione puramente ancillare della critica letteraria, affidate a variopinte e schematiche note, o confinate in divertenti e accattivanti box.16
Quel che anche un lettore distratto può osservare, sfogliando i manuali scolastici editi in questi ultimi anni, è, dunque, che il canone dei cosiddetti classici, almeno fino alla fine dell'Ottocento, è stabile o immobile, al contrario di quel che accade dai primi vent'anni del XX secolo fino ai nostri giorni: dove cogliamo variazioni, mutamenti, numerose esclusioni anche eccellenti, rispetto a manuali degli anni Trenta o Cinquanta (leopardianamente: «Tutto è pace e silenzio, e tutto posa/Il mondo, e più di lor non si ragiona»), numerose inclusioni di minori, e una variazione o diminuzione di spazi concessi ad alcuni autori irrinunciabili del XX secolo.
Tutta la più recente editoria scolastica, essenziale chiarirlo, dipende ed è prona alle note, ai suggerimenti, alle circolari ministeriali. Notevole e incontrovertibile che il nome di Alberto Moravia non appare mai nelle Indicazioni nazionali, e questo dato, un puro fatto e inappellabile, pone un problema indiscutibile e affatto semplice: non si tratta di una svista o di una dimenticanza burocratica, ma, a mio parere, configura una esclusione voluta e meditata, perché autore tanto scomodo quanto limpido, e non facilmente manipolabile o fraintendibile, e che ha composto capolavori, per fermarsi soltanto ai testi dichiaratamente letterari della sua narrativa e del suo teatro,17 che costringono a ripensare criticamente tanto la società fascista e conformista, sempre nuovamente possibile, in forme differenti, quanto l'omologazione della civiltà dei consumi, permanente e imperante fino al presente.

 

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IV. Come, quando e perché invitare Michele e Carla in aula?

Moravia è autore che interroga e induce a interrogarsi sui meccanismi repressivi e neutralizzanti, sulle distorsioni della civiltà occidentale che provocano l'indifferenza e la costante invenzione di frustranti nuove necessità. Inoltre, anche solo per quanto attiene ad una condizione specificamente letteraria, come conferma Renzo Paris, quando leggiamo i testi di Moravia possiamo avvertire «gli echi della grande letteratura russa, del Sei-Settecento francese e delle prime avanguardie del suo secolo»;18 c'è, oltre a quanto rilevato, dunque, anche la possibilità di riannodare i fili di tutta una tradizione latamente culturale e letteraria occidentale ed europea che si distilla nei suoi romanzi, negli scritti di viaggio, negli articoli giornalistici e di critica.
Mi è sovente accaduto di considerare e scrivere che ogni romanzo di questo intellettuale vocato allo smascheramento traccia una sintesi epocale: Gli indifferenti, seguendo questo indizio ermeneutico, raccoglie agglutinandole le istanze letterarie e narrative tardo ottocentesche, le rielabora alla luce del romanzo modernista19 e delle sperimentazioni narrative primonovecentesche, e, superando le definizioni categoriche, prepara la via tanto a quello che sarà il Neorealismo, dunque un romanzo pre-neorealista,20 quanto all'esistenzialismo.21 Fu Moravia a presentarsi come uno scrittore esistenzialista, formatosi alla scuola dostoieschiana, forte della conoscenza di Kierkegaard, Pascal e Nietzsche, e allertato alla complessità della condizione umana dalla lettura della tragedia greca antica e dei drammi shakespeariani. Nonostante tutto quanto fin qui acclarato, necessita ribadirlo, non c'è più traccia del suo nome nei documenti ministeriali.
Come, quando e perché invitare Michele e Carla in aula? È un'idea non completamente balzana quella di arrischiarsi ad accogliere in un'aula scolastica (ancora postmoderna o neomoderna?) due personaggi "balzati vivi", con la loro tragedia mancata e tutta da farsi e che forse si consumerà al momento della notizia che qualcuno dovrà pur riferire a Maria Grazia del matrimonio fra la ragazza e Leo, o forse no, tutto si accomoderà grazie alla machiavellica capacità di trovare una soluzione purchessia, secondo il mos ipocrita borghese, "balzati vivi" appuunto dal romanzo alla quotidianità di studentesse e di studenti di questo primo ventennio del XXI secolo. Michele e Carla sono quasi coetanei di quelle studentesse e di quegli studenti, giova rimembrarlo.
In un percorso scolastico di ultimo anno, ove si decida di affrontare Gli indifferenti è comunque e sempre auspicabile tracciare, anche se per cenni ed eventi significativi, il contesto storico-politico, includendo dati sulla mentalità e sulle condizioni di vita, sulla cultura e sulla letteratura, e sulle manifestazioni economico-sociali. Contesto rilevante non solo per la letteratura italiana, ma anche europea. Come ha concluso Debenedetti: dalla pubblicazione degli Indifferenti inizia il «romanzo contemporaneo»,22 proto-neorealista ed esistenzialista, nell'esaltazione della solitudine dei personaggi, che agiscono liberamente o meglio non riescono ad agire per eccesso di libertà. Cinque personaggi, che si scontrano in una "camera della tortura", Villa Ardengo, in due giorni: l'analisi testuale formale, costruttiva e sintattico-espressiva del romanzo permette agli studenti di cogliere una complessità, apparentemente celata dalla semplicità, e l'arte di alludere smascherando di Moravia, stimolante un profondo senso critico. La solitudine del personaggio moraviano non è emblematicamente dissimile dalla solitudine e dalla condizione dell'uomo contemporaneo, e se ancora incerta ed indefinibile appare la ragione del successo all'epoca della pubblicazione, al contrario convince una rilettura odierna, per effettuare quella semplice operazione di rispecchiamento e di riflessione speculare nella condizione di massificazione conformistica dalla quale si è travolti, nell'epoca della post-verità, con la conseguente incapacità di discernere la propaganda dai fatti. È proprio l'incertezza morale, oscillante e pencolante fra libertinismo privato e pubblico moralismo, priva di riferimenti ideali e valoriali a far da sfondo al romanzo, non differentemente da quel che accade nell'odierna società occidentale.
Incomunicabilità, incomprensione, egoismo, esclusione sociale, orrore per la miseria e la povertà, fascinazione per la condizione superficialmente borghese, celebrazione della famiglia tradizionale in un'epoca nella quale la tradizione convive contraddittoriamente con la modernità, con il desiderio e il sostegno obnubilato d'un uomo forte alla guida dello Stato... e non si sta alludendo al presente, bensì all'atmosfera nella quale si svolge la vicenda de Gli indifferenti. L'indifferenza patologica narrata da Moravia, nel ventennio fascista, marcherebbe un'apatia, o più precisamente un'accidia indomabile, che sembra ricorrere anche oggi.
A partire dal primo romanzo moraviano sembrerebbe ipotizzabile e altamente auspicabile e sfidante la proposta di un'unità didattica di apprendimento (UDA) interdisciplinare, che consenta il conseguimento di obiettivi didattici, formativi, competenze e conoscenze funzionali ad una crescita consapevole e allo sviluppo di un pensiero autonomo e divergente.23 Nel caso specifico, si ipotizza una UDA interdisciplinare e trasversale per un quinto anno di Liceo Classico, Scientifico o Linguistico, che contempli inoltre lo sviluppo di alcune competenze di cittadinanza.24
Il titolo dell'UDA interdisciplinare che si vuole proporre come specimen della valenza e validità didattica e, dunque, dell'incomprensibile esclusione dalle Indicazioni nazionali dell'autore, è Gli indifferenti e l'indifferenza da A. Moravia a Noi: costituisce un segmento curriculare di apprendimento che ruota intorno al cardine del tema-problema dell'indifferenza.25
Il romanzo moraviano nel laboratorio interdisciplinare di un'aula scolastica, nella costellazione delle discipline del corso di studi, consente inedite e fertilissime intersezioni e corrispondenze. Il punto d'avvio è quello dell'indifferenza, ignoto nella chiave proposta da Moravia alle civiltà antiche, con richiami alla filosofia senecana e in particolare alle Epistulae ad Lucilium. L'analisi dei cinque personaggi, Mariagrazia, Carla, Michele, Leo, Lisa, che interagiscono nelle stanze di Villa Ardengo, come sul palcoscenico di una tragedia sempre sul punto di una catastrofica conclusione ritardata, induce a reperire nel confronto con eroi ed eroine classici, ad esempio Oreste e Elettra nelle Coefore di Eschilo, o Elettra e Egisto nell' Elettra di Sofocle, con echi delle vicende dei Tantalidi e dei Labdacidi, un capovolgimento antieroico e antifrastico, fino a decretare l'impossibilità del tragico nella modernità, come del resto aveva solo otto anni prima dimostrato Pirandello con Sei personaggi in cerca d'autore. Al modello della tragedia si ispira Moravia anche per le unità aristoteliche, che rinviano ad una lettura anche soltanto antologica della Poetica. Come in un capitolo del Gioco delle perle di vetro le vicende dei Tantalidi e dei Labdacidi origina dalla famiglia e dai delitti che al suo interno si consumano atrocemente, così il confronto fra la famiglia nell'antichità occidentale e nella civiltà italiana del Ventennio fascista pone in correlazione un dato storico-antropologico che serba una lata continuità, stante la discontinuità delle esperienze storiche e dell'introduzione e diffusione del Cristianesimo. Non sufficientemente rilevata la relazione fra la data della firma dei Patti Lateranensi in quell'11 febbraio del 1929, la pubblicazione del romanzo e la ricezione del pubblico di lettori.26 Altra data da considerare è quella del 29 ottobre 1929 con l'inizio della Grande depressione a seguito del crollo dei titoli azionari di Wall Street, di cui note sono le ripercussioni planetarie.
Il concetto di libertà e del suo opposto di necessità, e quello di responsabilità e del suo opposto di incoscienza costituiscono il fulcro della cristallizzazione di una società, in particolare quella europea fra Ottocento e Novecento, giungendo fino alle più avanzate considerazioni esistenzialiste heideggeriana e sartriana: questa prima prova narrativa di Moravia ne costituisce un palinsesto concettuale. Inoltre, permanendo in questa randomica esperienza di lettura interdisciplinare, che molto gioverebbe agli studenti, ma non meno ai docenti, come tralasciare l'ausilio delle immagini desunte dalla produzione artistica degli anni Venti e Trenta, italiana e europea, con riferimenti alle Avanguardie di primo Novecento, nel nesso di ricostruzione-ricostituzione dell'atmosfera del romanzo,27 con opportuni riferimenti ad oggetti, luci, pose, luoghi, così facilmente visualizzabili, grazie alla prosa tersa e scarna del romanziere romano? Le lingue inglese e/o francese, spagnola offrono esempi di letteratura modernista, che pongono Gli indifferenti nell'alveo della scrittura narrativa del primo trentennio del Novecento,28 e inoltre in queste e molte altre lingue abbiamo traduzioni del romanzo moraviano, che impongono un lavoro di comparazione traduttiva, intentato finora, foriero di inattesi esiti.29

«Ma aveva veduto, aveva provato quel che sarebbe diventato, se non avesse saputo vincere la propria indifferenza: senza fede, senza amore, solo, per salvarsi bisognava o vivere con sincerità e secondo degli schemi tradizionali questa sua intollerabile situazione, o uscirne per sempre; bisognava odiar Leo, amar Lisa, provar del disgusto e della compassione per la madre, e dell'affetto per Carla: tutti sentimenti che non conosceva; oppure andarsene altrove a cercare la sua gente, i suoi luoghi, quel paradiso dove tutto, i gesti, le parole, i sentimenti avrebbero avuto una subita aderenza alla realtà che li avrebbe originati».30

Vincere l'indifferenza: Michele cerca qualcosa per la quale valga la pena agire, vorrebbe uscire dal cono d'ombra e di inconsistenza della sua vita, ha compreso che "pensare è vivere", ma soprattutto intuisce la propria inettitudine a padroneggiare sé, gli eventi, una semplice pistola, il suo Bildungsroman si può facilmente trasferire dalle pagine di un libro alla vita degli studenti, ai quali delittuosamente viene negato non solo dall'ipocrisia ministeriale, ma anche da tanti docenti proni alle Indicazioni nazionali. Tanti, ma non tutti.

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gennaio-maggio 2022, n. 1-2