Luca Perrone
Poesie

 

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Sommario
I.
II.
Poesie
Postfazione di Carlo Giordano



§ II. Bibliografia

I. Poesie

 

***

Dietro il muro
Acquattato a frignare
Riposa disgustato
L'ambizioso artista

Quando nacque pareva
La meta e il mezzo
Alla portata della poesia
S'inframezzò di sconcerto

Il cranio ruppe sulla pietra
E tuono pareva il fragore
Mentre essiccava la luce
Quel primo fango estivo

La luce del temporale
Velata di anelito al sereno
Spegne come secondino
Al coprifuoco la noia

Giunge il sonno?
Sollievo non cede
Al piede calloso
Immemore del proprio devo

 

 

***

È sbiadito il sussurro
Ma la traccia è un calco
Percorro a ritroso un arco
E quel marmo è l'antitesi

Morbide membra scuotono
Il placido sciabordio degli uomini
Il corpo rivela un'apertura
Al fianco d'un brivido inspiro

Ti imploro di baciarmi
Appoggia le labbra al collo
Regala un momento la lingua
Alla mia avvinta dal seno

Stringerti i fianchi bianchi
Cullare la testa al petto
Carezzarti le dita
Strattonare via l'attesa

Non trattengo i fiori
Del sentiero luminoso
La Luna assale stanca
Il calpestio della brama

 

 

***

Esalo l'abbandono
Mi assale la rinuncia
Armata d'un coccio
Di bottiglia scolata

Immemore naufrago
Nell'ultima stilla
Del succo d'un acino
Velenoso come arsenico

Senza lingua il serpente
Elabora visioni biforcute
Il calore elude per morire
Abbraccia il patimento

Nel seno di lei
Quiete e sale
Nutrivano pace
Che lieta cresceva

Ingordigia d'artista
Mai pago o fermo
Spinse il pennello
Al colore di troppo

 

 

***

L'evocazione d'un suono
Silenzio restituisce
Molti giorni o forse due
Sono trascorsi in pace

Ambii a sprofondare
Nell'oblio seminare
Le antiche ferite
Le croste ormai secche

Il vapore salato
La forte paura
Spazzati via da anelito
Capace e legittimo

D'interrare la vita
Mai si smette
E promette sempre
Quella stolta, di tornare

La ruota è detta
Ma di sentiero si tratta
Che principia dalla Stella
E nella sabbia muore

 

 

***

La croce blu elettrico
D'un esperimento
Di lussuria è indizio
Sulla mappa del talamo

Il tesoro è l'effige
Piccola d'un sogno grande
Che stia nel comodino
Che indichi la rotta

Inspiro sollievo
Espiro angoscia
Mastico frutta
Sputo veleno

Sul viso greve
Del malaugurio
Fra i funesti vaticini
Del chirurgo, dichiara fame

La spocchia sempiterna
E saccente inganno
È perpetrato, lo smeriglia,
Fiera di sé, la Luna

 

 

***

Piove delorazepam sull'asfalto
Fra gli schizzi l'auto corre veloce
Raggiungerò il vessillo d'un'ambizione
Ingannata dallo sterile potere

Promesse coglierò di salario
Giusto e meritato e allori
Spenderò denaro perché miele
Otturi le orecchie e il cervello veleno

Spenderò fino all'ultima parola mortale
Nel sapere l'immortale contributo
Di poeta non vano né vanesio
All'edificio d'Arcadia, vero

Perde aderenza l'auto
E lo schianto è inevitabile
Sommo al passivo del fraintendimento
Il compenso del carrozziere

Affrontare lo sguardo
D'un padre analfabeta e contabile
Incide la schizofrenia nel marmo
Della pietra tombale del poeta

 

 

***

Se mi lasciassi andare all'improvvisazione
Il sentimento tirerebbe il candore dei capelli
Trascinerebbe il corpo nella terra come aratro
E più non parrei che zotico afflitto

S'io potessi concedermi il lusso di poetare
La pena che provo sarebbe nulla
E cullare la tua bocca potrei già all'alba
Fra vezzi amorosi e giochi proibiti

Se conducessi la parola giusta
Dal petto alle labbra in battaglia
Schermaglia parrebbe il dubbio tuo
E niente potrebbe resistere alla luce

I tuoi occhi promettono fiori di ciliegio
Il sorriso è lo scrigno Sacro
E custodisce la fiamma
Sola creatura racchiudi in un sogno

Ogni mio respiro è volto
A rendere puro il mondo
E pulito il cielo e approssimare
La volta celeste che ci separa

 

 

 

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II. Postfazione

Nella poesia di Luca Perrone si avverte una frizione costante, elettrica, che perturba e strania. Ogni verso, ogni parola è uno scavo profondo, deciso e doloroso, un'incisione nella pelle del lettore, attraverso cui si insinua l'abile e talvolta sadica capacità affabulatoria del poeta. Una capacità che ricorda un rampicante, sensualmente avvinghiato all'architrave della tradizione, qui l'uso del sonetto e della rima (Cavalcanti, Cecco) accoppiati a echi di tutta la poesia che dall''800 arriva ai giorni nostri (Blake, Shelley, Novalis, Whitman, Campana, Rebora), rubata, masticata tra stridore di denti e vomitata a macchie accecanti per vividezza e abilità di sorprendere. Una capacità che ci ricorda quanto importante sia re-immaginare ciò che sappiamo.

Non si scandalizzi il lettore se dico che Luca ruba. Del resto, i piccoli poeti imitano. I grandi, rubano.

Questa frizione continua, tra tradizione e innovazione, è la cifra stilistica di Luca; ci si trova di fronte a un antico palazzo derelitto, dai pavimenti spaccati da radici che premono in cerca d'ossigeno, in attesa di una spaventosa epifania, spaventosa eppur desiderata. Una bocca spalancata su di un gorgo, sul cui fondo nascono inaspettati fiori e frutti succosi che fremono al ritmo e alla musicalità magistralmente impressa dall'autore (Non ti bacio ma voglio / Di trasparente alito armato / Assalirei il tuo dubbio / Se non mi baci non posso). Attento lettore, alcuni sono velenosi ...

I suoi versi toccano l'amore, prisma scivoloso e cangiante, semema avvolto in strati depositatisi nel tempo dei tessuti umani. Talvolta lo sfiorano, in una grata contemplazione, un bimbo che sbircia dalla porta socchiusa la madre che si sveste e l'ispirazione fa spazio alla riflessione, l'equilibrio o la ricerca di questi, benda piaghe, suppura ferite (Ti ho baciata in un prato notturno / La prima notte della vita fu acqua / Venne il riposante abbraccio).

Col procedere della lettura il verso accelera e stordisce, la mistica dell'amore esplode, supera con eleganza e indifferenza banali dicotomie (sacro/profano) e spossessa il lettore del diritto a fermarsi, a prendere fiato; non c'è pausa nell'amplesso. I riferimenti alla carne, al sangue, a processi biologici, agli umori, a baci morsicati e slanci brucianti svellono le palizzate del canone (Non dormivo più / Cianciare sapevo / A sprazzi meno / Troppo ingordo d'aria / Aperti cancelli cavalco / Da brividi scosso / Adolescente nuovo / Carne cruda e pepe nero).

L'amplesso finisce, i corpi si separano mentre la lingua del poeta vellica ancora le nostre sinapsi. La sua potenza evocatrice e distruttiva ha lasciato uno squarcio slabbrato, una spaccatura nel terreno da cui esce tenebra in cerca di luce; un solco arido e petroso, in attesa, nuovamente, di spore e semi (Non al porto dei profani / Giungerai con piede greve / Ma alla baia florida e fertile / D'un principe pirata; Nel sogno mio quel buio / Si rischiara d'avvenire).

In Dio è lei Luca scortica l'idea di amore, ne porta alla luce, strato dopo strato, le diverse declinazioni con una energia sciamanica che si fa lampo a unire ciò che prima era diviso: il segno e il senso.

Ma soprattutto, con quella la sensibilità di chi l'amore l'ha vissuto. Ma l'ha anche perso.

 

Carlo Giordano, Università Cattolica di Milano - Università di Utrecht

 

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