Francesca Cadel
Intervista a Davide Rondoni

 

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Sommario
I.
II.
Intro
Intervista


 

§ II. Intervista

I. Intro

Davide Rondoni è nato a Forlì nel 1964. Oltre a essere un poeta affermato, è il direttore del Centro di Poesia Contemporanea dell'Università di Bologna e conduce con impegno attività didattiche di diffusione della poesia in Italia e all'estero. L'ho incontrato per la prima volta negli Stati Uniti, credo fosse il 2002: era l'ospite che mi era stato chiesto di accogliere, nell'università dove insegnavo allora. Lo conoscevo di fama, perché a Bologna - dove ci siamo laureati entrambi - il suo era un nome conosciuto sin dagli anni '80 e, come si usa in Italia, precisamente collocato: secondo ideologia. Avevo qualche dubbio, il limite è interamente mio, ma l'ospitalità è sacra, e il primo incontro con Rondoni resta per me memorabile. La sua simpatia umana e le sue doti intellettuali hanno delle caratteristiche transnazionali e puramente cosmopolite: iper-contemporanee. Pur rimanendo italianissimo, attraverso la sua poesia e un'incredibile capacità di comunicare (non necessariamente attraverso le diverse lingue), ho visto Davide rompere vari schemi: studenti canadesi o americani, ma anche eritrei, italo-canadesi, cileni, bulgari mi hanno detto improvvisamente "ho capito". È accaduto anche con i colleghi, e insegno in un dipartimento dove sono presenti le più svariate nazionalità, dal Togo, al Canada-Québec, alla Spagna, la Colombia e il Perù. L'attenzione e lo scambio che si instaura in un incontro pubblico con Rondoni è un fenomeno ricco e cordialissimo: gentile. Le sue letture dalla grande tradizione lirica italiana, oppure i testi che Rondoni legge dalle sue raccolte più note, Il bar del tempo, Apocalisse Amore, Avrebbe amato chiunque, ma anche gli inediti che vengono offerti in lettura per aprire possibilità di confronto e verifica, producono sempre nel pubblico che lo segue un desiderio di approfondimento, e di ascolto sensibile, direi quasi emotivo. Come intellettuale e come insegnante ho imparato molto da Rondoni e gli sono grata per aver acconsentito a questo dialogo.


 

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II. Intervista


Quando hai cominciato a sentirti/diventare poeta, e come si sono sviluppati i contatti che ti hanno aiutato a capire che eri un poeta davvero (anche se dici che siamo tutti potenzialmente poeti/artisti), e che lo saresti diventato?

Mah, sentirsi poeti non so cosa vuol dire... ho iniziato a pasticciare con le parole e i ritmi molto presto... «Ecco arriva l'inverno/ i bambini accendono il termo» diceva un mio versicolo scritto a otto anni (uno dei pochissimi che ricordo tra tutti quelli che ho scritto) e che denotava nella assonanza sbilenca già una traccia di poetica! Ho avuto poi più grandicello l'occasione di pubblicare. A 18 anni feci il mio primo libro grazie alla vittoria in un concorso intitolato a un motto gandhiano (Satyagrah), in cui come giuria popolare i turisti di Riccione votavano le poesie, tradotte per l'occasione in varie lingue. Lo pubblicò il grande Piccari, mio concittadino, con la sua Forum/Quinta Generazione dove esordirono tanti poeti, anche più maturi di me. E mentre lavoravo a quelle poesie cercai direttamente, personalmente di incontrare i poeti che mi avevano colpito e influenzato di più. In primis Luzi, Caproni e Testori. Con il primo e l'ultimo è durato un rapporto frequentissimo per vent'anni, con lunghe conversazioni e scontri e amicizia. Non dico che siamo tutti poeti o artisti in potenza... No, credo che questo talento sia dato a molti e poi pochi ne perseguono il duro lavoro che consegue.

La raccolta che ti ha portato al successo: cosa ha significato per te, cosa è cambiato?

Non esiste il successo in poesia. Non mi sono mai curato molto della "buona accoglienza" delle mie raccolte, che infatti han sempre ricevuto poche recensioni o poca attenzione dalla critica più nota o riconosciuta. Solo di recente qualche antologia accoglie i miei testi e di certo in ambito accademico non ho grandi fans... La raccolta che mi fece uscire un poco dall'ombra dove i poeti comunque stanno fu Il bar del tempo del 1999. Per molti rappresentò - come scrissero - una specie di boccata di ossigeno in una poesia contemporanea stretta tra fughe "culturaliste" o appiattimenti sociologi, in favore invece di un realismo vivo, profondo, movimentato. Ma non sta a me dire altro. Lo stesso è stato per i due libri successivi, editi da Guanda e da Mondadori, e per alcuni libretti sparsi, apparentemente laterali, dedicati a opere d'arte, a figure... Cambiato qualcosa nella mia vita? Solo un aumento di viaggi, di offerta, di incontri... Un aumento di vita, più che un cambiamento. Compreso l'aumento di debiti e di caos! Ma di certo, ho la ventura e la gioia e la sofferenza di conoscere molti uomini e donne, molte voci, molte situazioni dell'umano...

Le difficoltà, in generale: quali sono le difficoltà che incontra un poeta? Ogni ambiente ha le sue asperità, potresti descrivere lo scenario della poesia contemporanea in italiano oggi? ci sono poeti più giovani che ti riconoscono come un punto di riferimento?

Le difficoltà nella poesia - quelle vere - riguardano l'interiore lavoro che il poeta deve fare su di sé e sulla propria visionarietà. Occorre farsi un'anima "mostruosa" diceva Rimbaud, intendendo mostruosa rispetto ai canoni dell'epoca e del luogo comune. La vera difficoltà è restare e progredire concentrati nel movimento della propria vocazione artistica. Lo "scenario", come amate dire, è fantastico, incasinato, pieno di simpatiche canaglie, e di supponenti professorini, ma né più né meno come altri ambienti. Non so se e quanti giovani mi prendono come riferimento. Spero di aver dato una mano a qualcuno di loro a essere se stesso. Di fatto io prendo a riferimento un bel po' di ragazzi giovani la cui voce mi commuove e persuade.

Come Gramsci per primo aveva messo in luce, nel sistema borghese, la distinzione tra pubblico e privato vale solo per i dominati dalla legge e dall'autorità borghese: lo Stato (che è stato della classe dominante borghese) non è né pubblico né privato, ma sta alla base della distinzione pubblico/privato. Tu sei (secondo me) un poeta nazionale e una figura pubblica di grande rilievo, un punto di riferimento soprattutto per i giovani: dove ti situi nell'ambito di questa distinzione? E che legame instauri tra cristianesimo e anarchia?

Usta! Non credo proprio d'esser un poeta nazionale... Altri godono del favore e dello spazio dei media e dei circoli più "ufficiali" della cultura italiana e più trendy in ambito culturale e istituzionale... Dall'inserto del «Sole 24 ore» dove ho tenuto una rubrichetta di poesia per qualche mese mi hanno cacciato appena han potuto e addirittura qualche simpatico totalitarista travestito da poeta negava ch'io avessi il diritto di scriverci sopra... Alla presentazione del mio primo libro Il bar del tempo a Milano vennero a gridare che Guanda non poteva pubblicare "uno come me"... Me ne sono sempre fottuto. E non faccio mai la vittima. Ma vedo le cose come stanno. La mia poetica e la mia cultura di cattolico anarchico è certo minoritaria. Qui van forte il clericalismo e lo statalismo. Ma la mia poesia parla a tutti. Ho certo lavorato molto finora e questo lavoro forse in molti lo hanno incontrato e qualcuno anche tra i giovani l'ha apprezzato. Le cose a cui accenni intorno al rapporto stato/privato introducono problematiche molto complesse, rese ancor più complesse da una storia tipicamente italiana. In estrema sintesi, resto convinto che la società (o chiamalo popolo) venga prima dello Stato, e che il principio di sussidiarietà, se più applicato, farebbe meglio all'Italia, anche in campo culturale, dove la riduzione dialettica a Stato/privato ha creato molti danni. Il cristianesimo a mio avviso è anarchico perché pur concedendo all'autorità dello stato un compito, non la assolutizza. Non la rende valevole in sé e per sé.

Nella tua poesia (e nei tuoi saggi) il paesaggio italiano ha una risonanza maestosa, che a volte mi ricorda Pasolini, soprattutto nel dialogo instaurato tra spazio e tempo. C'è l'Italia, ma esiste anche il mondo 'grande', la globalizzazione, e la tua vocazione al nomadismo. Puoi parlare di questo riferimento a un paesaggio globale sempre presente (io credo) nei tuoi testi?

Mi piace guardare, mi colpiscono le linee del mondo, le colline in Romagna come in Brasile, le ombre in Sierra Leone come a New York. I disastrati in un bar di Caracas o di Bologna. Il paesaggio non è "il paesaggio" ma è un movimento in cui sono immerso, una scena in movimento con la mia scena interiore, e che anzi ad essa dà alimento, correzione (a volte anche dura) e inquietudine.

Hai dato grande spazio al tema dell'amore, a volte onorando la rima più semplice suggerita da Saba (cuore/amore) altre entrando nelle strettorie di temi difficili e di personaggi devastati dal dolore che trovano nei tuoi testi accoglienza e rispetto (penso in particolare a un testo che amo molto, in cui citi un fatto di cronaca, un padre ha ucciso il figlio disabile che voleva diventare ballerino). Puoi parlarne?

L'amore - come mostra la storia intera della poesia europea dai suoi primordi - è la questione della poesia. Perché l'amore è un modo di conoscere il reale. È il "trasporto" come dicevano innamorandosi i nostri vecchi in Romagna ("Signorina sento del trasporto per lei") ed è compagno lottatore della morte - come dice il Cantico dei Cantici - e in Romagna il termine trasporto si usa anche per il funerale, dunque due movimenti, amore e morte, in cui non decidi tu se e quando andare... L'amore è il modo più completo e poetico per conoscere. L'amore non è un sentimento. E "poetico" significa del profondo, non del brivido passeggero. È una forza, che "move". Sto scrivendo un saggetto su queste cose, proprio perché dopo la fine e i cascami di un'epoca illuminista e postmoderna che riduceva la ragione a un goniometro per misurare le cose freddamente e astrattamente si sta riaffacciando prepotente in tutti i campi una domanda circa la conoscenza e il valore dell'affectus nel conoscere.

La Romagna: Rimbambimenti (Raffaelli, 2011) è secondo me un libretto davvero prezioso, e anche qui ritrovo questa tua particolare accezione/declinazione del verbo amare, attenta alla diversità alla discordanza alla singolarità degli individui onorati nel loro mistero/dialetto. Puoi parlarne?

I Rimbambimenti che l'editore Raffaelli ha avuto la gentilezza di pubblicare sono un omaggio alla mia terra. E una poetica. Il poeta è letteralmente un rimbambito, uno che s'incanta e non sa bene neanche perché, pensando "un pensiero che non pensa niente". In questo senso il movimento d'amore - alla ricerca perenne di un oggetto adeguato - e il pensiero coincidono.

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2013

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Giugno-dicembre 2013, n. 1-2