Stefano Severi
Quattro quarti
Recensioni poetiche

 

Scheda bibliografica Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata Salva il frame corrente senza immagini Stampa il frame corrente



Mauro Caselli

1/4: Arsenij Tarkovskij
La steppa e altre poesie
Collana «acquamarina», Pistoia, Via del Vento Edizioni, 1998.


In questa steppa esiste una voce poetica che dice io, e che si pone come punto di riferimento forte e saldo in un vuoto tanto spaziale quanto umano. Questo io emerge da una condizione psicologica di solitudine esistenziale; ma proprio in questo isolamento la voce cresce e trae nutrimento, si scontra con un mondo squallido e per contro si riconosce nella propria consapevolezza alternativa. Vuoto subito e vuoto ricercato: questa voce cattura per la sua natura affettuosa e dolente, dignitosa e consapevole; ha saputo riconoscere nelle distese e assenze della steppa la dimensione di un viaggio in profondità, dentro se stessi. E così può affrontare la natura nel mondo moderno, quella percorsa dal brivido della civilizzazione, da segnali di distruzione e di morte; ma la natura umiliata rimane il corrispettivo di quell'io umiliato e offeso che non è mai umile però, mai piegato veramente. Certo, i bulldozer e la contemporaneità logorano quell'io e quell'erba, li legano con il doppio filo della rassegnazione, della marginalità... Ma nelle profondità non raggiunte dalla voracità umana, la natura conserva intatta la sua vitalità brulicante, la sua enfasi, i suoi archetipi, riscattandosi nella totale indifferenza per la storia dell'uomo. Questo la voce che dice io nella steppa lo sa: si riconosce non più negli oggetti e nei meccanismi fagocitanti del suo tempo, ma in quella dimensione naturale di pre-storia, e quindi di destino.


«L'erba sotto un ferro di cavallo,
l'anima dentro un telaio di ossa,
e solo una parola, una parola
nella steppa traluce sotto la luna».

(da La steppa, p. 5)


«Come gli Urali ho attraversato il tempo,
l'ho portato sulle mie spalle,
come un agrimensore l'ho misurato,
fortificato ho sostenuto i giorni trascorsi».

(da Vita vita, p. 10)


«Io sono ombra tra le ombre, che una volta
bevuta a fondo l'acqua della terra, non hanno placato la sete
e ritornano al loro cammmino di pietra,
agitando il sonno dei vivi, per un sogno d'acqua viva».

(da Io sono un'ombra tra le ombre, che una volta, p. 21)



 

Nadia Agustoni Torna all'inizio del testo

2/4: Mauro Caselli
Il giogo
Collana di poesia «Opera Prima», Verona, Cierre Grafica, 2004.


Questo libro è testimonianza di un simbolo ossessivo, quello del giogo, che si propone come gioco intellettuale in un labirinto di suoni che sono sempre echi, immagini che sono sempre riflessi, percorsi che sono sempre fughe geometriche nelle strade del sonetto (ecco un primo giogo) e di un mondo naturalmente elusivo. E questa vocazione al non poter afferrare veramente il mondo esterno se non nei suoi simulacra è ben retto dal poeta, che si affida alla bussola della sua continuità raziocinante. La voce non conosce interruzione, non vuole interrompere la sua corsa verso un punto di fuga che si sposta continuamente verso l'oltre, asservendo punteggiatura e periodare all'assenza di un approdo sicuro. Le immagini sembrano fissarsi solo sulla superficie della retina, per poi sfuggire lungo corsie tangenziali che il poeta non può possedere, né memorizzare, né approfondire. In cambio, c'è la concretezza oggettuale delle metafore e delle percezioni, la volumetria delle suggestioni ricevute, la corposità delle analogie che diventano boe reali attorno a cui girare, per continuare una fuga indiavolata e senza fine. Il filo del viaggio è impalpabile ma non può venire reciso, si nutre di suoni, bagliori, oscurità e solitudini, metropoli e natura. L'appetito sensoriale è onnivoro: tutto viene attraversato, visto e sentito, nulla raccolto, nulla conosciuto. Ma perché questo giogo (di forme tradizionali rievocate e di fantasmi della vita da vivere...)? Probabilmente la percezione leggera ma febbricitante si vuole qui strumento relazionale per studiare cose e persone da vicino, senza mai veramente compromettersi; probabilmente l'unico modo che il poeta sente proprio per vivere sinceramente nel mondo reale è attraversarlo alla sua stessa folle velocità, rivelando la natura spettrale delle apparizioni che si avvicendano. C'è un pericolo imminente nell'aria...


«Tempio di polvere, altare di rei
spazio fuori norma che esiste piano,
una zona franca, piccolo neo
che attira e rimane punto lontano,
paradiso sicuro di ogni via
per tutto quel ch'è lordo e brutto invano,

oh, caro e tenero peccato urbano
triste tana d'un rifiuto d'un dio».

(p. 15)


«Ma non rimane nulla, più che tanto,
solo il silenzio che lascia insinuare
nel momento continuo dell'attesa
che tutto è inutile, e che, d'altro canto,
non c'è niente di meglio d'ammazzare
il tempo per legittima difesa».

(p. 32)



 

Pulvis, coperta materna Torna all'inizio del testo

3/4: Nadia Agustoni
Quaderno di San Francisco, San Casciano V. P. (Fi), Edizioni Gazebo, 2004.


Lontano da certi poetici eccessi di ginsberghiana memoria, ecco un bellissimo equilibrio fra sospensione riflessiva (talora gnomica), elementi topici metropolitani, lacerti dialogici. Il tempo allora si ferma, ma riprende a scorrere cordiale e implacabile nella narrazione di episodi minori, quelli della quotidianità urbana e delle relazioni personali (a volte semplicemente... sfiorate per strada). E la quotidianità qui domina, come si addice a una scrittura che si vuole "da quaderno", propria di un diario che compone la sua vocazione vitale a un intimo letterario. Il filo logico è rappresentato da una discreta ma continua interrogazione delle proprie emozioni, rivelate più concrete e durature quando entrano in contatto con luoghi, tempi, etnie diverse. Gli incontri minimi si trasfigurano sotto il riflettore dell'intimità drammatica, si relazionano fra di loro per analogie lievi e surreali. Una continuità centrifuga, questo diario, che viene inanellata da un allenato senso della misura, rivelato dalla massima tagliente ed improvvisa, meditata e infine presentata come intuizione risolutiva per un annoso problema. Davvero un libro piacevole e consapevole.


«Tu non sai dove sia la festa
Ma i caffè sono pieni di ragazze che ridono
E ragazzi in canottiera si sfidano
Come dei bravi
E danno l'idea di un coro lieve
Di re in esilio.
Ti verranno le ali così indifesa
O vesciche ai piedi
E non senza gentilezza
Stai già amando questa gentilezza
E sei ancora giovane per piangere».

(da Due, p. 10)


«M'intenerisce l'approdo
A un altro tempo.
Felice questa fortuna
Ma cos'è poi se non ore più forti?
Gioco a scacchi sull'Avenue
Con un signore simpatico
Ma non so niente di scacchi
E lui ride, dice "italiano"
"molto grazia" dice.
Non posso capire tutto!
Chi vive e chi muore
E' lo stesso
E non sono più le mie parole».

(da Tre, p. 11)



Vai alla fine del testo Torna all'inizio del testo

 

4/4: AA.VV. (Anna Elvira Balestracci, Miriam Cividalli Canarutto, Renata
Galasso, Barbara Pumhosel, Maria Vettori, Anna Maria Volpini)
Pulvis, coperta materna. Antologia poetica
San Casciano V. P. (Fi), Edizioni Gazebo, 2004.


Lascio intatto il motto dell'introduzione, «Il fascino del titolo sta nel serbare il segreto». E sotto questa coperta (o coltre lieve di pulvis?) vengono intessute le voci poetiche tutte al femminile di questo curioso volumetto, nato come momento di pausa e di riflessione fra poetesse. Tutto questo ha il sapore dell'incontro... con un'altra se stessa: e non solo fra le diverse autrici che hanno scelto questa forma antologica come modo di fare della poesia un'esperienza relazionale. Ciascuna incontra un po' la se stessa di un tempo o emozioni lontane, si rintraccia con stupore nelle occasioni minime della vita di ogni giorno. Ma l'introduzione è alquanto esaustiva: lo scopo di questa coperta materna che si stende sulle parole delle autrici è quello di «coprire e insieme rivelare, riscaldare oppure partorire, gettare fuori. Trattenere, sopportare, conservare; ma anche denunciare, liberare, comunicare. Un manto in cui ciò che si protegge non sarà nascosto, ma esaltato, come la neve sotto la quale si covano le nuove gemme; sferico come il globo terrestre, utero ricolmo di beni». La dolcezza si coniuga alla drammaticità dei sentimenti. La cifra comune è l'essenzialità espressiva, la forma sovente colonnare, il taglio breve dei componimenti, l'intensità del dettato. Il tratto più originale del volume sta a monte, quindi, proprio nell'intenzione organizzativa meno fredda della consueta scelta antologica pura e semplice. Questo manto intessuto da tutte ha il sapore di una poesia che crea in primo luogo confronti, e poi rapporti, infine legami. Non male in un periodo in cui fare poesia significa troppo di frequente isolare l'io nella sua parola senza possibilità di ponti da lanciare attorno, come su una montagna senza cannocchiali (o telescopi...). Confronto reciproco, insomma? Perché no, perché no... Fra autrici prima, fra poesie e lettori poi. Più che di coperta, io parlerei volentieri di patchwork da contemplare tutto insieme, a distanza di qualche passo.


«Se le tue braccia mi sono rifugio
la mia quiete è un abisso:
lo riveste l'ulivo silenzioso
un cielo chiaro è la sua soglia».

(Anna Elvira Balestracci, p. 15)


«Lasciar morire ciò che deve morire.
è quel che deve fare la quercia a dicembre».

(Maria Vettori, p. 67)


«è un ribollire ardente - un pulsare
nel battito del'essere.
esistere. Cantare senza controlli
porgere senza donare
prendere per contenere».

(Anna Maria Volpini, da (rosso vermiglio), p. 84)



Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio del testo Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Altri testi pubblicati in «Bollettino '900»


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2007

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2007-i/Severi.html>

Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

Free counter and web stats