Giuseppe Gliozzo
La narrativa breve sulla rivista «La Lettura»
nel triennio 1938-1940

 

Scheda bibliografica Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Inserisci testata Salva il frame corrente senza immagini Stampa il frame corrente


Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
Il rapporto tra letteratura e regime
«La Lettura»
L'invenzione letteraria ne «La Lettura»: la narrativa breve
Nel territorio medio
Immagini da «La Lettura»



 

§ II. «La Lettura»

I. Il rapporto tra letteratura e regime

Gli anni Trenta del XX secolo costituiscono il culmine della fase storica nella quale si compie il totale assoggettamento dello Stato italiano alla dittatura fascista; tutti i livelli economici, tutti i rapporti sociali e giuridici sono permeati e controllati dalla logica di accentramento propugnata dal Duce.
«Il fascismo ereditò un'impressionante - ma altamente eterogenea - serie di tradizioni culturali. [...] Mussolini tentò di equilibrare tra loro le posizioni culturali in conflitto che cercavano da lui sanzione ufficiale, tollerandole tutte e da ciascuna prendendo ciò che gli abbisognava».1 Pochi e semplici capisaldi costituiscono le basi ideologiche sulle quali si regge l'edificio fascista e tutti sono oggetto di una minuziosa propaganda da parte del regime. Gli editori si aggrappano a qualunque spiraglio sia loro concesso pur di limitare al massimo i danni prodotti dalla politica di controllo e di censura messa in atto dal regime, si mostrano quindi favorevoli alle scelte dei censori fascisti e si crea così, con il potere politico, un equilibrio, una rete di alleanze e compromessi che intende sviluppare e orientare i generi di una nuova cultura popolare.
D'altro canto gli intellettuali, per quanto apparentemente sopiti e chini alle volontà del potere, sono sempre attenti a recepire ogni stimolo, da qualunque parte venga, sono pronti a costruire un sistema culturale, un immaginario alternativo a quello ufficiale: ogni falla che si produce nel rigido involucro che avviluppa il sistema massmediologico di regime reca come conseguenza una boccata di ossigeno per gli asfittici polmoni di coloro i quali sono desiderosi di punti di vista alternativi.
Anche chi non dispone di eccelsi strumenti culturali può avvertire il divario che separa l'Italia fascista dagli altri stati che godono di libertà democratiche: balza agli occhi in tutta la sua evidenza l'isolamento in cui versa l'Italia così che il popolo può rimanere colpito da usi e costumi diversi da quelli esaltati dal regime e rimanerne affascinato. Il pericolo è chiaramente percepito dai coordinatori della cultura ufficiale tanto che una spinta opposta a tutte le forme di aperture - seppur modeste - viene esercitata dalla reazione fascista nel 1938-'39: un vigoroso giro di vite schiaccia l'editoria in una morsa sempre più stretta e al concetto di autarchia viene attribuita la massima estensione coinvolgendo il cinema e la narrativa.
Il verismo non può avere vita facile in questo clima repressivo: i fascisti denunciano il "realismo" come manifestazione di un atteggiamento disfattista in politica e in arte e come imitazione passiva dei modelli stranieri. Una parte della generazione di scrittori della vecchia guardia si arrocca, anche allo scopo di respingere attacchi personali e professionali, nella turris eburnea dello stile e del punto di vista del fascismo ufficiale.
Superando enormi ostacoli, nuovi fermenti si diffondono nell'orizzonte culturale degli italiani: si avvertono lacerazioni profonde della coscienza collettiva nei saggi americani di Pavese, si avverte tensione negli scritti di Vittorini. Questa duplicità di verso delle forze in gioco scava un profondo solco nella cultura italiana; una vistosa frattura divide, in tal modo, il nuovo immaginario collettivo nazionale dalle forme scritte e urlate della dottrina imposta.
La cultura fascista si isola progressivamente descrivendosi come un soggetto di puro dominio nei confronti delle altre (esterne o inferiori o degenerate) ed eliminando al suo interno ogni memoria, ogni confine, ogni possibilità di traduzione, in un clima di esaltazione autistica.
In questa situazione assai mobile l'editoria di massa riusciva a reggersi, fondandosi sulle traduzioni dei romanzi stranieri e sulla parallela grande stagione del rotocalco.
Il fascismo, con le sue politiche repressive, lascia intorno a sé solo terra bruciata non riuscendo a far seguire alla pars destruens della propria strategia di azione una fattiva ricostruzione letteraria sulla base di un paradigma coerente; finisce solo col tendere alla morte del letterario, fermo alla soglia degli anni '20 con Palazzeschi, Papini e Pirandello. Un'epoca intera brucia, in tal modo, sotto i bombardamenti.
Da questo deserto la nuova generazione di scrittori proverà a dare un senso alla ricostruzione della letteratura.

 

§ III. L'invenzione letteraria ne «La Lettura»: la narrativa breve Torna al sommario dell'articolo

II. «La Lettura»

Abbiamo appena tratteggiato le coordinate, i riferimenti storico-sociologici in cui si trova a operare, negli ultimi anni della sua vita, «La Lettura». Focalizzeremo la nostra attenzione sulla narrativa breve pubblicata tra le sue pagine nel triennio 1938 - 1939 - 1940. La rivista, che fin dall'anno della sua prima uscita - il 1901 - è offerta ai sottoscrittori di un abbonamento al «Corriere della Sera», si avvale dell'esperienza che il direttore del quotidiano milanese, Luigi Albertini, aveva maturato in ambito giornalistico anglosassone e americano; del resto Albertini «aveva già intuito l'utilità che poteva derivare dall'affiancamento al «Corriere» di una serie di riviste illustrate fatte con altro linguaggio e destinate a raggiungere strati sociali che al quotidiano si rivolgevano ancora svogliatamente».2 Quest'idea è alla base della nascita di un sistema combinato di riviste illustrate, disposte come archi rampanti intorno al quotidiano.
In base alle dichiarazioni programmatiche dell'editore, «La Lettura» è destinata a essere una sorella maggiore del «Corriere», pubblicata con lo scopo di divertire e istruire il pubblico; la direzione è affidata a uno dei più grandi scrittori dell'epoca, Giuseppe Giacosa. «La Lettura» non avrà quella gravità tipica di altre riviste esistenti che si rivolgono soltanto a una data classe di persone, al contrario la pubblicazione milanese «aspira di rivolgersi al gran pubblico: agli uomini di studio co' suoi articoli originali, come a tutti coloro che leggono per svago, per ricreazione, per impiegare utilmente qualche ora. Essa si comporrà di due parti distinte, la prima conterrà scritti originali non molto lunghi, di genere vario, scritti in forma piana e facile, la seconda conterrà dei gustosissimi racconti di quanto di più interessante, di più curioso, di più utile vedrà via via la luce nelle principali riviste nostrane e straniere. Saranno altri articoli di lunghezza anche minore, essendochè v'ha molta gente la quale salta addirittura gli scritti lunghi. Oramai i più vogliono leggere presto e molto in breve tempo».3 «La Lettura» si rivolge a un pubblico medio, destinataria tipica è la borghesia soprattutto lombarda, un pubblico «avido di letture e digiuno di lettere»4 che aspira a migliorarsi, ma la rivista può essere «ammessa con dignità nel circolo delle letture dell'uomo colto, dello studioso, del produttore-fruitore di cultura, sia pure con le premesse del consumo, della funzionalità a determinati momenti ed esigenze pratiche».5 «L'unificazione di due fasce sociali ben distinguibili fra le quali la rivista sembra quasi porsi come medio proporzionale, fa parte di un fenomeno culturale»6 caratteristico e rappresentativo del Novecento. «È vero che quella sorta di processo di "democratizzazione" che «La Lettura» viene registrando di pari passo con le trasformazioni economiche e sociali non supera mai i confini della piccola borghesia (e si noti che la rivista cessa le sue pubblicazioni proprio in coincidenza con il profondo riassestamento delle classi sociali determinato dall'ultima guerra mondiale); e tuttavia la sua presenza è significativa proprio per le sue caratteristiche di stazione intermedia verso i generi di massa».7 Pubblicare articoli brevi e di facile lettura rappresenta una costante preoccupazione degli editori e dei direttori de «La Lettura», la pressante richiesta di concisione è un punto di riferimento su cui misurare ogni contributo; è da osservare comunque che con gli anni si verifica una continua riduzione della lunghezza degli articoli: alla scrittura si è aggiunta una nuova dimensione, di fondamentale importanza: la velocità di lettura. Giacosa «insiste sulla necessità di privilegiare i fatti rispetto ai "ragionamenti", sulla chiarezza contrapposta al dogma della "oscurità artistica"»8
Nonostante l'influenza positivistica, la cultura umanistica è ancora la più frequentata: alle tematiche letterarie, storiche e artistiche va ricondotta quasi la metà degli articoli e a questi si possono aggiungere gli articoli di musica, teatro e spettacolo, in genere legati all'attualità e alla cronaca. Fra gli articoli de «La Lettura» è molto rappresentato il genere della biografia: episodi salienti della vita di personaggi illustri, di sovrani, cantanti, attori. Le biografie che sono molto vicine, almeno per il soggetto, alla cronaca rosa, sono considerate educative per lo spirito di emulazione che l'esempio celebre desta nel lettore. Una novità di questo progetto giornalistico «riguarda la "molteplicità degli argomenti", la comparsa di campi del sapere diversi da quelli che costituivano il bagaglio tradizionale dell'uomo colto, meno "separati dalla pratica della vita"; ovvero, fra le altre cose, la necessità di una preparazione scientifica generalizzata, che il metodo positivista aveva auspicato e di cui si sente l'esigenza sempre più pressante in un mondo che il progresso tecnologico sta rapidamente modificando».9 Successivamente nel periodico si rafforza la posizione del giornalista-letterato il quale specializza la propria funzione di mediatore di cultura. Le fasce medio-basse acquistano peso nella variegata composizione del pubblico de «La Lettura» nelle cui pagine inizia a trovare spazio la politica per dar voce soprattutto alle posizioni nazionalistiche degli interventisti. Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, nella rivista non mancano articoli di tono apologetico e trionfalistico tramite i quali i giornalisti, in tono apparentemente obiettivo, trasmettono un'immagine eroica e stereotipata dell'Italia impegnata sui fronti bellici. Strascichi di questa retorica patriottarda permangono anche nel primo dopoguerra seguendo una sottile linea discontinua che condurrà alle nuove esaltazioni nazionalistiche degli anni Trenta.
«La Lettura» riscuote un grande successo nella sua attività protrattasi per quasi mezzo secolo, ma la sua collocazione in una "terra di mezzo", cerniera tra la cultura alta e il genere di consumo, produce come effetto un generale disinteresse della critica nei suoi confronti.
È importante sottolineare come «La Lettura» riesca a sopravvivere destreggiandosi egregiamente fra le alterne vicende della censura fascista; con piccoli ritocchi e aggiustamenti nelle linee editoriali, le pubblicazioni del mensile del «Corriere» superano agevolmente le maglie del controllo di regime raggiungendo quel pubblico che, in definitiva, non si colloca su posizioni molto distanti da quelle del potere dittatoriale. Il fascismo si poggia, infatti, sul consenso della classe media, instaurando, soprattutto con la medio-alta borghesia, una simbiosi in virtù della quale la gerarchia dittatoriale si alimenta di appoggi e di legittimazione, favorendo, al contempo, la classe media con l'attuazione di una efficacissima opera di controllo sociale: l'allontanamento del temuto socialismo. Quando il quadro sociale viene stravolto dalla guerra e dalla successiva ricostruzione, la classe media perde la sua compattezza e di conseguenza «La Lettura», non trovando più il suo interlocutore storico, è costretta a chiudere interrompendo le sue pubblicazioni regolari nel marzo del 1945; in seguito farà la sua ricomparsa solo sporadicamente e per periodi molto brevi.

 

§ IV. Nel territorio medio Torna al sommario dell'articolo

III. L'invenzione letteraria ne «La Lettura»: la narrativa breve

Abbiamo visto che alla variegata composizione de «La Lettura» concorrono tipologie eterogenee di articoli e scritture. Alla richiesta, da parte del pubblico, di "buona letteratura", la rivista risponde con la pubblicazione di poesie, testi teatrali, racconti, novelle e romanzi. Durante i primi decenni della rivista, la poesia riveste un ruolo rilevante, tanto che, negli indici de «La Lettura», troviamo numerosi testi di Ada Negri; collaborano inoltre Pascoli e Panzacchi e, tra i poeti crepuscolari, Gozzano e Moretti. In seguito, quando il gusto del pubblico si orienta sempre più verso la prosa, la presenza poetica si dirada. Anche il teatro figura ne «La Lettura», nella sua forma più facilmente fruibile: la commedia in un atto. Nel triennio oggetto della nostra analisi viene pubblicato, inoltre, un soggetto cinematografico scritto da Cesare Zavattini, Il grande fiume: l'idea, non ancora sceneggiatura, di una pellicola che, ambientata sulle rive del Po, ne descrive gli abitanti e gli arcaici ritmi di vita.10 Nello stesso numero de «La Lettura» - quello di gennaio del 1940 - che ospita le opere citate poco più su, sono pubblicati anche due romanzi. Il primo Terra in vista di Milly Dandolo, il secondo Un ritorno inatteso dello scrittore ungherese Sándor Márai, tradotto in italiano da Filippo Faber.
Eccettuate queste sporadiche presenze, il genere letterario preminente ne «La Lettura» rimane la novella. «Novelle e racconti» è in realtà l'etichetta onnicomprensiva che, negli indici della rivista, cataloga vari tipi di narrativa, da quella di breve misura a quella di più ampio respiro, abbracciando un ampio ventaglio di scritti che si estendono «dal raccontino comico al bozzetto, dall'aneddoto autobiografico alla divagazione brillante, fino ad arrivare alle riflessioni erudite».11
All'interno di questo macrocosmo battezzato dai redattori de «La Lettura» come «Novelle e racconti», acquistano cittadinanza pagine di gradevole letteratura firmata da scrittori di fama e di indiscutibile abilità. Tuttavia, un inderogabile vincolo cui devono sottostare gli autori è, come abbiamo visto, la brevità degli interventi. Per comprendere un altro fattore esterno che influenza la narrativa breve de «La Lettura» occorre premettere una riflessione. Nella società borghese lo scrittore ha come necessario interlocutore il pubblico allargato, deve misurarsi con il lettore di massa: ciò lo preserva dalle forme di scrittura autoreferenziali e solipsistiche e lo spinge alla comunicazione. D'altro canto, però, la medesima società moderna richiede la specializzazione degli operatori in ogni ambito professionale: al letterato è richiesto di seguire, coltivare e custodire la specificità del suo lavoro, il letterato "puro" prende quindi le distanze da una scrittura essenzialmente divulgativa e informativa arroccandosi nella turris eburnea dello "specifico" letterario. Quest'ultimo diventa una merce ambita da tutti coloro i quali sono spinti al consumo di letteratura per snobismo: un pubblico borghese che aspira alla cultura come status symbol e che riconosce la qualità del prodotto che si accinge ad acquistare da certi indicatori i quali, nel caso della letteratura, sono rappresentati dalla distanza che la scrittura ha rispetto alla vita pratica quotidiana, dalle raffinatezze esotiche presenti nella pagina, dagli arcaismi classicheggianti, dalle reminescenze scolastiche che la scrittura esibisce. Inoltre, essendo tesa alla ricerca di un punto di conciliazione di diverse esigenze - dal momento in cui deve soddisfare la richiesta di svago e la fame di "cultura" dei componenti della famiglia borghese - alla rivista è imposto un tono medio di scrittura, un tono privo di eccessi e morigerato. Sono bandite le smodate esaltazioni e i riferimenti a problematiche scabrose. Anche la lingua non può essere esclusivamente frutto di libere scelte dello scrittore: in un'epoca di rigido controllo, un'epoca nella quale la lingua assume quel plusvalore di vessillo dell'orgoglio di una nazione, ogni impurità, ogni contaminazione "barbarica" deve essere eliminata. Nelle intenzioni dei gerarchi fascisti preposti al controllo della cultura, il concetto di "barbarico" includeva anche i dialetti italiani. A un'attenta sorveglianza è sottoposta pure la sintassi: il periodare è sempre ampio e ben articolato.
Queste considerazioni contribuiscono a spiegare la purezza e la patina nobilitante del lessico sfoggiato dagli scrittori che collaborano con «La Lettura» negli anni della più intensa repressione fascista. Giacché il magistero dell'Accademia della Crusca ha perduto oramai ogni influsso sugli odierni modelli di comunicazione, il lettore contemporaneo - del XXI secolo - non può che restare piacevolmente colpito da queste forme di scrittura, in voga nella prima metà del Novecento, tanto forbite quanto distanti dalle attuali.
Tutta la narrativa italiana del Novecento, a partire dagli anni Trenta, è condizionata da una ambivalenza fra le ragioni della comunicatività più ampia e "facile" affidata a strutture narrative consolidate, e le esigenze "sperimentali" implicite nella vocazione avanguardistica della narrativa del secolo; a questa ambivalenza non è immune la narrativa breve pubblicata su «La Lettura». Non possiamo dimenticare che, alla fine degli anni '30, si erano consumate le esperienze corrosive delle avanguardie e la letteratura straniera della "crisi" era penetrata in Italia attraverso gli scritti di Proust, Kafka, Joyce, Mann, Musil, Eliot, Woolf, Valery. Le opere di questi artisti, come pennellate di colore, incupiscono sempre più quella tela in cui l'uomo del Novecento si ritrae ammantato dalla sua angoscia. Il pubblico de «La Lettura» non sarà investito dalle tinte fosche della contemporanea letteratura europea perché, in seno al variegato materiale che confluisce nelle pagine della rivista, tutte le possibili spinte vengono ricondotte a un punto di equilibrio, tutte le asperità smussate e livellate per conseguire quella medietas rassicurante per il pubblico borghese.
Gli scrittori minori - ai quali è riservata un'ampia collocazione all'interno de «La Lettura» - pervengono generalmente a risultati monotoni tanto sul piano stilistico quanto su quello dei contenuti. Tuttavia questi autori introducono gradatamente alcune novità, alcuni fermenti originali. Ciascuno di loro contribuisce a imprimere piccole scosse al sistema statico delle lettere producendovi inevitabilmente dei cambiamenti: anche per merito loro, muta la percezione del pubblico rispetto alle moderne istanze della letteratura novecentesca. L'inconsistenza che talvolta pare affliggere i minori risparmia la scrittura dei migliori narratori de «La Lettura» i quali, continuando a innestare le proprie opere sulla solida base fornita dalla tradizione, esibiscono una scrittura che solo in superficie tende al passato, ma si tratta di un'apparenza. Troppa acqua è ormai passata sotto i ponti della storia dilavando le antiche certezze e corrodendo molte speranze. In effetti non si vuole più rappresentare la realtà così come è (o come appare), o meglio: si esordisce rappresentando il fenomeno reale per poi approdare a qualcos'altro. E nella tensione verso questo quid si riversano quelle inquietudini, quella tristezza, quei dubbi, quelle angosce della modernità sondate dalla grande letteratura straniera: la lezione dei maestri europei non può scivolare via senza lasciare tracce nella nostra novella.
Le tematiche cui attingono gli scrittori presenti ne «La Lettura» sono quelle ereditate dalla tradizione letteraria italiana. Sopravvive a lungo il modello naturalista, anche con le sue varianti di verismo regionalistico, che rappresenta la base di partenza per la narrativa, almeno nei primi anni di vita della rivista. A questo si affianca la vocazione estetizzante tipica del dannunzianesimo.
Le direttrici di sviluppo della narrativa italiana degli anni Trenta e Quaranta sono essenzialmente riconducibili a quattro grandi aree: esiste un filone sentimentale, uno intimista e memoriale, uno fantastico-surrealista e uno mimetico-realista.
La tipologia di novella più ricorrente ne «La Lettura» è quella sentimentale, ma notiamo che molti contributi di narrativa breve sono ascrivibili anche ai filoni intimista-memoriale e fantastico-surrealista. L'indagine della realtà tipica della letteratura mimetico-realista è pressoché assente ne «La Lettura» del triennio 1938-'40 e ciò è comprensibile se si nota che quel tipo di letteratura, nella maggior parte dei casi, assume una decisa connotazione di denuncia sociale e, nella fattispecie, antifascista. Parecchi scrittori accusano gli eccessi del regime e l'arretratezza di quella fetta d'Italia lasciata ai margini dal potere centrale, ma questi coraggiosi autori, fra i quali Ignazio Silone, non possono essere accolti nell'ambito ben circoscritto e specificamente individuato dei novellieri de «La Lettura».
Nell'ambito del filone intimista e memoriale possiamo annoverare quel tipo di narrativa breve che, appropriandosi di coordinate introspettive sperimentate nella narrativa europea sull'onda della Recherche proustiana, sviluppa il tema fondamentale del ricordo autobiografico destituendo d'importanza ogni tipo d'intreccio e puntando fortemente sulla ricostruzione di particolari atmosfere e stati d'animo. Spesso queste narrazioni sono ambientate in provincia, in ambiti geografici ristretti e marginali che si configurano come paesaggi spirituali e come referenti non realistici di avventure esistenziali. A esemplificare la prevalenza degli spazi interiori nella narrativa de «La Lettura» è opportuno il riferimento a un testo di Ugo Dèttore: la novella Dormire12 nella quale l'autore, esordendo con una dettagliata descrizione del mondo tangibile, ben presto intraprende un viaggio verso le regioni insondabili della mente: l'unico vero paesaggio risulta essere quello del cuore e la mappa è solo il contorto filo dei pensieri.
Un'altra esplorazione della mente per la cui narrazione la personalità eclettica dello scrittore e pittore Virgilio Lilli trova una sua peculiare cifra è Uno strano incontro. Troviamo in questa novella la trasfigurazione letteraria di alcuni temi ricorrenti nella biografia dell'artista cosentino: il viaggio, elemento caratterizzante dell'esperienza professionale del giornalista Lilli; la ricerca e l'illustrazione, nel fatto di cronaca, del movente umano; il salto verso il surreale che acquista colore e sostanza in alcune sue tele. Tutti questi elementi sono trasfusi nella coscienza del protagonista della novella: egli - alter ego dello scrittore - è spettatore di una breve serie di eventi che si consumano nell'angusto spazio dello scompartimento di un treno, ma il treno è solo l'ampliamento metaforico dello spazio mentale del protagonista.13 Un viaggio della mente, nella cornice di un viaggio reale: l'intreccio si dipana quasi integralmente nell'anima del protagonista. Un altro autore ospitato ne «La Lettura» è Bruno Cicognani, narratore dall'originaria educazione dannunziana, il quale mostra, nel trasfigurarsi delle intenzioni decadenti, l'intenzione di rappresentare nel modo più fedele e sincero la realtà della vita. In Punzòk il punto di vista assunto nella narrazione è quello di un cane i cui "pensieri" assurgono a metafora della condizione umana.14 Come nell'opera di Marcel Proust À la recherche du temps perdu, è un fattore esterno che accende le intermittenze del cuore nel protagonista, spingendolo alla ricerca di sensazioni nuove, provate in un passato di cui la memoria conserva solo labili tracce. Le intermittenze del cuore possono essere provocate da qualunque oggetto, da qualunque situazione; in Senapa, novella di Mario Buzzichini è un barattolino di senapa (e il ritratto in esso raffigurato) l'elemento scatenante dei ricordi e della nostalgia che contagia tutti i presenti.15 Catalogabile nel sottogenere della narrativa intimista è Vecchia storia di Gianna Manzini. In questa novella è quasi assente l'intreccio: la storia - spezzata solo da un brevissimo scambio di battute - si svolge tutta nella mente della protagonista e offre al lettore gli squarci lirici scaturiti dall'abbandono al filo dei pensieri.16 Un amore solo potenziale, vissuto nel campo delle illusioni è quello raccontato da Pier Maria Rosso di San Secondo nella novella Gli intrusi. All'amore mancato segue il crollo dell'unica illusione che animava il protagonista e una cruda presa di coscienza: il mondo che abbiamo amato può essere rivisitato soltanto nei nostri ricordi.17 Giana Anguissola, nota scrittrice di romanzi per ragazzi e generalmente cronista di frivolezze della moda per i tipi de «La Lettura», cambia il proprio registro nella novella dall'emblematico titolo Antipatia che scandaglia le sottili pieghe psicologiche di una donna lacerata da una sua insanabile ambiguità comportamentale.18 Per concludere questo breve excursus nel sottogenere della narrativa intimista e memoriale, non possiamo tralasciare Avventura notturna di Ercole Patti. Troviamo alcuni dei temi più cari allo scrittore siciliano condensati nelle due pagine di questa novella: la descrizione bucolica del paesaggio della provincia catanese con tutti i suoi violenti colori e gli odori penetranti; il clima mite e dolce che, volubile come il carattere dei siciliani, trasfigura repentinamente il cielo terso di un crepuscolo rubescente in un bizzarro e orrido paesaggio da Sturm und Drang; i casolari di un'ormai estinta borghesia rurale.19 Proustiano è, da un lato, il topos del tuffo nella memoria più lontana provocato dalla visione di oggetti legati a particolari momenti della propria vita: qui è il casolare popolato da una selva di oggetti non più d'uso comune - sepolti da decenni di totale oblio - che sprona l'anima del protagonista alla ricerca di un tempo mitico ormai esiliato dalla maturità. D'altro canto non è difficile scorgere riferimenti agli stilemi cari a Edgar Allan Poe o ad Howard Phillips Lovecraft nel desiderio del protagonista di penetrare un luogo chiuso avvolto da un secolare oblio. Tuttavia questa attrazione verso l'inconsueto, come nelle opere dei due narratori americani, è bilanciata e frenata, nel protagonista di Avventura notturna, da un contrastante sentimento di repulsione.20
A questo punto ci siamo addentrati però in un territorio che esula dal sottogenere della letteratura intimista e memoriale: questa novella di Patti, infatti, pur esordendo dal dato reale che si trasfigura in memoria, si può collocare in una terra di mezzo, fra le suggestioni proustiane e i misteriosi richiami del fantastico che ci accingiamo ora ad analizzare.
È ancora una volta il desiderio di fuga dalla realtà il motivo propulsore dell'altro vasto filone rappresentato nelle pagine de «La Lettura»: quello della narrativa fantastica e surrealista. "Fantastico" e "surreale" sono etichette che possiamo apporre ad alcune novelle pubblicate su «La Lettura», ma solo a costo di una forzatura: non si tratta di narrativa ascrivibile al genere del "fantastico puro",21 né tantomeno si tratta di vero e proprio surrealismo22 dal momento in cui mancano i canoni tipici di questo movimento quali la scrittura automatica e la deformazione onirica, ma surrealista è la rilettura che si fa di alcuni modelli romantico-ottocenteschi quali i racconti di Hoffmann e di Poe. Questi motivi, tipici della letteratura fantastica "pura" sono rinnovati e rivitalizzati dall'innesto di temi kafkiani. Alla tematica di Poe si richiama Il gatto,23 un racconto di Milly Dandolo.24 Tuttavia, fra le tematiche di Poe non vi è solo l'orrore, è il mistero il cardine della narrativa di Poe. Il mistero e il tentativo dell'uomo di scandagliarlo. Secondo lo scrittore americano, tutto ciò che esiste di inquietante, di raccapricciante o semplicemente di inspiegabile, risiede nella mente dell'uomo: l'uomo concepisce e produce il male, ma è l'uomo stesso che, nel mistero, può ritrovare il bandolo della matassa. Al racconto La lettera rubata di Poe - in cui un investigatore brillantemente risolve un caso all'apparenza inspiegabile - si ispira il brano di narrativa che inaugura l'annata 1938 de «La Lettura»: si tratta de Il barile vuoto di Giorgio Smith.25
Oltre alla dimensione noire del fantastico, tramata di incubi e di atmosfere raccapriccianti, la nostra società letteraria accoglie le elaborazioni e i testi del "realismo magico", definizione bontempelliana coniata per descrivere un genere letterario che si rifà alle credenze popolari, una letteratura che concede un ruolo di comprimario al mistero, lo stesso mistero che permea le culture più arcaiche e lascia parecchi spiragli attraverso i quali irrompe il soprannaturale nella vita quotidiana. Non si tratta di letteratura fantastica "pura" perché, nel caso del realismo magico, il soprannaturale è accettato, fa parte dei valori condivisi e la sua comparsa non desta particolare meraviglia, né tantomeno orrore: è solo uno dei tanti elementi del gioco.26 Un esempio di realismo magico nel corpus de «La Lettura» è L'anima del primo marito dello scrittore tarantino Raffaele Carrieri.27 In tanti luoghi dell'Italia meridionale la cultura popolare è intrisa di credenze magiche che convergono verso una sorta di panpsichismo:28 a questi sentimenti antichi, a questa arcaica spiritualità Raffaele Carrieri rende il filiale omaggio dell'uomo le cui radici affondano nel Sud. Questa simpatia per un mondo ormai in via d'estinzione è esplicitata da Carrieri quando lo scrittore, nello scontro frontale inscenato nella novella, tra i valori spirituali della protagonista e l'estremo pragmatismo del marito, parteggia per le istanze irrazionali della donna.
Si muta radicalmente registro analizzando un altro tipo di novella fantastica: quella di Dino Buzzati. Nel mondo narrativo dello scrittore veneto il senso del mistero, accompagnandosi alle tematiche esistenzialiste di Kafka, raggiunge esiti di angosciante pessimismo. Il mondo onirico di Buzzati acquista il proprio soffio vitale da un'amara riflessione sul senso della vita, sulle speranze, sulle aspettative quotidianamente formulate dal genere umano e puntualmente e inflessibilmente deluse. Una speculazione incentrata sul senso di inutilità che avvolge ogni cosa. L'opera di Buzzati è caratterizzata da una fuga verso il mistero, ma non si tratta di un quid oscuro che oggettivamente incute paura: il mistero di Buzzati ha il sentore dell'inanità e il dramma di quella frustrazione che impregna i sogni più inquietanti. Dello scrittore, «La Lettura» può vantare due contributi per anno (nel triennio studiato), uno dei quali è Una cosa che comincia per elle.29 Ancora il motivo della fuga verso l'ignoto avvalorato dall'ansia gnoseologica è al centro di un'altra novella di Buzzati, I sette messaggeri.30 Nella storia di un giovane che, spinto dall'ansia di conoscere l'ignoto, lascia la sua città e la sua famiglia con la speranza di raggiungere presto i confini del regno, ritroviamo la tematica esistenzialista, di evidente impronta kafkiana, dell'invecchiare angoscioso senza l'occasione per conferire un senso alla propria esistenza: lo stesso incubo de Il deserto dei Tartari. Si ripete la grande allegoria della vita che declina malinconicamente senza che l'uomo riesca a trovare le risposte che possano diradare il mistero: l'attesa inutile della prova, la possibilità negata di mettere a esperimento il proprio valore, sono descritte con un'amara ironia, con un'acre determinazione di smontare e corrodere lo slancio e la decisione del vivere e dell'agire nella dichiarazione di una vita umana gettata in una quotidianità angosciosa perché non vi capita mai nulla, in un deserto che non nasconde speranze, lotte, esiti, ma il niente, il fallimento, l'irrisione. Nella novella Eppure battono alla porta si ha un ribaltamento della prospettiva: la tensione verso l'ignoto si tramuta in fobia. Buzzati narra, avvolgendola in un'atmosfera tragicamente metafisica, la vicenda di una famiglia aristocratica che la protagonista vuole difendere a ogni costo, fino al limite dell'irrazionalità, da ogni intromissione della realtà esterna che ne possa compromettere la quiete e il delicato equilibrio interno.31
Più che la cifra fantastica, è quella surreale a coinvolgere l'ispirazione di Alberto Savinio in Figlia d'Imperatore.32 Questa novella ha la sua genesi nel periodo parigino di Savinio, quando, all'inizio degli anni Dieci, egli incominciò a dedicarsi alla letteratura partecipando all'animato mondo dell'avanguardia artistica e letteraria francese e collaborando alle "Soirées de Paris" di Apollinaire. Ritroviamo in Figlia d'Imperatore il carattere tipico della prosa di Savinio, sempre oscillante fra il saggio, il racconto fantastico e surreale, la confessione, la memoria: una lucidità preziosa ed elegante, in cui si fissano le fantasie, i capricci, le invenzioni ora ironiche ora tragiche, l'intellettualismo paradossale, il grottesco, con la nota amara di un'insistente meditazione della morte sempre sullo sfondo e un drammatico colloquio con l'anima. Tutti questi colori, tipici della tavolozza dell'artista "metafisico", mescola la mano di Savinio in infinite cupe gradazioni per tratteggiare la misteriosa protagonista della novella sbozzandone l'incerto profilo e facendolo emergere, in penombra, da una profonda oscurità. Come in una tela dei fratelli De Chirico, qui i vari oggetti sono tolti dal mondo reale, ma, nella mente del protagonista, si contorcono sino a creare una muraglia di sgomento che impedisce a lui - e al lettore - la visione nitida dell'oggetto che si vorrebbe guardare.
Per venire incontro alle aspettative del pubblico borghese, «La Lettura» commissiona agli scrittori un numero elevato di novelle a sfondo sentimentale: il genere prediletto, il meno impegnativo per chi nella lettura cerca un mero svago. Pensione ungherese33 è l'unico contributo di narrativa breve del siciliano Antonio Prestinenza per «La Lettura». Profonda conoscenza dell'animo femminile, complicate vicende sentimentali - che qui si intrecciano nella duplice ambientazione degli interni di una pensione e dei superbi e assolati esterni siciliani - sono alcuni dei topoi della narrativa dell'illustre letterato catanese. In Pensione ungherese si riafferma con decisione l'interesse per il dato psicologico già manifestato in tanti altri luoghi del corpus narrativo dello scrittore. Traspare dal brano pubblicato su «La Lettura», inoltre, la smisurata passione che Prestinenza nutre - per motivazioni biografiche risalenti alla sua giovinezza - verso la terra e la gente d'Ungheria.
Ambientazione arcadica per Una foglia scritta - la storia di un amore giovanile soffocato sul nascere dall'egoismo34-, delicata novella di Mario Sobrero che, fedele alla propria cifra narrativa, ritrae, con una crepuscolare tenerezza, le umili cose che popolano un mondo dominato dal senso doloroso della solitudine umana. La sua narrativa oscilla fra l'introspezione psicologica e l'evocazione di atmosfere liriche. Marise Ferro, attenta pubblicista e scrittrice sensibile che caratterizza le sue narrazioni e la sua prosa letteraria con una notevole eleganza espressiva, dimostra, nella novella La nonna, la sua attenzione per le atmosfere femminili circonfuse di delicatezza.35 La stessa delicatezza e le stesse atmosfere eteree ritroviamo in un'altra novella della narratrice ligure, Lume di Luna,36 ma in questo caso la penetrazione psicologica di cui è capace la scrittrice nel delineare la figura della protagonista, vena la novella di sfumature cupe nelle quali riecheggiano le problematiche relative al trauma del passaggio ineluttabile da un'età adolescenziale - innocente - a una matura -corrotta-.37 La tragedia si consuma allorché l'astratto mondo delle illusioni implode lasciando spazio alla dura presa di contatto con l'ostile realtà. L'ostinazione con cui la protagonista si aggrappa a quel velo di certezze laboriosamente costruito allo scopo di allontanare il "male", richiama le nevrosi che abbiamo visto cucite addosso da Dino Buzzati alla protagonista di Eppure battono alla porta.38
Fedele al canone crepuscolare dell'ambientazione di vicende semplici negli angusti luoghi di un mondo provinciale, un mondo brulicante di un'umanità sperduta e rinunciataria, Marino Moretti riprende, in Va al cuore, i modi di un certo realismo minore del secondo Ottocento ritraendo una figura di donna che, per la sua ossessione bovarista, sottomette i propri sentimenti alla voglia di successo. Ma la protagonista di Va al cuore, come tante altre esili figure crepuscolari, non è un'eroina, è una donna semplice nel cui animo subentra presto il pentimento e il desiderio di tornare a vivere quella piccola vita insignificante, ma autentica. Tuttavia l'ombra del Novecento è ben presente e prende corpo e sostanza proiettandosi in quell'opprimente senso di vuoto e di irrimediabile perdita che permea la seconda parte della novella: al pentimento non segue più la redenzione, ma solo il rimorso e la contemplazione di un passato relegato a una dimensione mitica.39
Orio Vergani è uno dei più prolifici collaboratori de «La Lettura». Nel triennio 1938-'40 il suo unico contributo narrativo 40 è Fortunata.41 Come per altri scrittori che collaborano con «La Lettura», la rivista intercetta la fase della maturità artistica e stilistica di Vergani, la fase in cui le prime prove di prosa narrativa e di descrizione di luoghi e di viaggi 42 - che in Vergani erano sotto il segno di un eccitato lirismo fra il barocco e il futurista, immaginoso e funambolico, colorito e inesauribile - cedono il passo alla nota più autentica e viva del narratore milanese che consiste in delicate e commosse rievocazioni e narrazioni dell'infanzia, svolte con trepida elegia un po' crepuscolare o nella descrizione accorata del lontano e disperato fondo di innocenza che è in anime chiuse e amare.
Un piccolo spazio, nonostante le rigide barriere innalzate dal regime, è riservato, nelle pagine de «La Lettura», ad alcuni autori stranieri. Di questo spiraglio lasciato aperto alla letteratura straniera si può trovare testimonianza nel saggio di Piero Gadda Conti Scrittori americani d'oggi.43 Qui l'autore compie una importante opera di mediazione divulgativa rispetto a quegli autori americani ancora poco conosciuti in Italia, ma delle cui opere si avevano già delle ottime traduzioni. Gadda Conti definisce importante l'opera del "traduttore-artista" Elio Vittorini per la sua capacità di collaborare intimamente - grazie a una sorta di congenialità - con gli scrittori d'oltreoceano. Nel 1938 Elio Vittorini traduce, per la rivista, Che ve ne sembra dell'America? dello scrittore americano William Saroyan;44 a questa seguiranno altre traduzioni di Vittorini, sempre ospitate dalla rivista milanese.

 

Immagini da «La Lettura» Torna al sommario dell'articolo

IV. Nel territorio medio

Dallo studio del periodo a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, analizzato attraverso l'ottica deformante di una rivista ampiamente diffusa, emergono tanti piccoli particolari della storia letteraria di un paese che viveva in una drammatica fase di transizione: piccoli, ma non insignificanti particolari. Innanzitutto è opportuno ricordare che la letteratura del periodo preso in esame non è mai stata beneficiata dall'attenzione della critica, anzi, un cono d'ombra ha da sempre relegato gli scritti di questi anni in una sorta di limbo. Alla pressoché generalizzata indifferenza degli addetti ai lavori, è seguito, come è facile intuire, un altrettanto diffuso disinteresse di coloro i quali si accostano alla fruizione letteraria per diletto. È vero che questa letteratura, per poter avere una circolazione, era costretta, in molti casi, a sottostare all'incontestabile ortodossia imposta da chi manovrava le leve del potere; è vero altresì che tutta quella serie di barriere volte a separare la libertà creativa dell'artista dalla ricezione del destinatario, quell'insieme di norme che costituivano la precettistica di regime, avevano finito per fare terra bruciata intorno al fenomeno letterario nell'Italia fascista. Nonostante questi limiti, nonostante questo pesante pregiudizio arrecato alla libertà d'espressione, la potenza creativa dello scrittore ha trovato, in certi casi, il proprio sbocco, la propria naturale espressione.
La quasi totalità degli autori che pubblicarono novelle e racconti nel triennio 1938 - '40, aveva, come occupazione precipua, quella di giornalista, spesso inviato speciale in varie parti del globo. Erano uomini di grande cultura e di ampie vedute i pubblicisti de «La Lettura» i quali, godendo di un forte ascendente presso l'editore del giornale, riuscivano a veder pubblicate le proprie opere eludendo spesso i severissimi controlli della censura. Giornalisti e scrittori, ma anche, in molti casi, pittori (e critici d'arte). Non è casuale che alcuni dei passi più belli che abbiamo avuto modo di leggere tra le pagine de «La Lettura» contengano degli spunti pittorici, sembrino talvolta le trasposizioni in parole di stilemi tolti dalle tele surrealiste o metafisiche. Non è nemmeno casuale che autori come Buzzati o Savinio (entrambi scrittori, giornalisti e pittori), non propriamente allineati con l'iconografia e con la tematica di regime, riescano a pubblicare su «La Lettura» alcune stupende pagine di letteratura attingendo al proprio bagaglio di immagini cupe e inquietanti. Nelle pagine della rivista anche la letteratura femminile viene valorizzata (in un periodo in cui la società non lasciava molto spazio alle donne) con la pubblicazione delle opere di alcune scrittrici-giornaliste. E non sempre si tratta di pagine delicate e rassicuranti. Anche attraverso la penna di autrici come Milly Dandolo il male di vivere prende corpo e consistenza raggiungendo il vasto pubblico della rivista.
Occorre ricordare che il lettore-tipo de «La Lettura», per specifica scelta dell'editore è un esponente della borghesia, una persona dalla cultura media e dal discreto interesse per la lettura intesa come svago oltre che come esigenza culturale. «La Lettura», collocandosi così in un territorio medio e risolvendo e compendiando in sé le diverse esigenze di un variegato pubblico, accoglie scrittori impegnati e autori dediti a tematiche frivole. In questo punto di incontro offerto dalla rivista convergono anche contributi di vari autori i quali, sebbene abbiano avuto trascorsi avanguardisti ed eversivi, raggiungono ne «La Lettura» quel punto di conciliazione, quella maturità stilistica (intesa come moderazione ed espunzione dei tratti più spigolosi) che li rende fruibili al vasto pubblico. È questo il caso di Giovanni Papini la cui opera si caratterizza per molti anni, nella prima metà del Novecento, come la presenza polemica più clamorosa in un ambito di avventure spirituali sempre rinnovate con l'ansia di partecipare costantemente al dibattito culturale in Italia purché l'intervento valesse a destare clamori, a polarizzare l'attenzione, entro un'atmosfera di scandalo. La partecipazione di Papini al movimento "eversivo" del futurismo cede il passo, dopo la sua clamorosa conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1921, a uno stile assai più pacato e conciliante che si riscontra, ad esempio, in una poesia di argomento religioso, una canzone in endecasillabi pubblicata su «La Lettura» nel 1940.45
Orio Vergani è un altro scrittore che, a vantaggio del pubblico de «La Lettura», sfronda la propria produzione dagli eccessi da cui era caratterizzata fin dagli esordi (la sua prosa narrativa, immaginosa e funambolica, muoveva i primi passi sotto il segno di un eccitato lirismo fra il barocco e il futurista) e pubblica opere come la novella sentimentale Fortunata,46 assai più fruibili e concilianti con l'interesse del pubblico borghese. Molto diverse e dislocate su più versanti sono le esperienze letterarie maturate da Mario Buzzichini, ma per «La Lettura» lo scrittore accorda il suo registro con i toni preferiti dai lettori del periodico e scrive la novella intimista,47 ma a sfondo delicatamente sentimentale, Senapa.48

 

Vai alla fine dell'articolo Torna al sommario dell'articolo

V. Immagini da «La Lettura»

Copertina di Cavalli, 1938 Copertina di Vernizzi, 1938 Copertina di Munari, 1939 Copertina di Vernizzi, 1939 Copertina di Pittino, 1939 Copertina di Vernizzi, 1940 Copertina di Brunetta, 1940 Pubblicità di Dalm, 1938 Pubblicità di Dalm, 1939 Pubblicità di Dalm, 1940

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio dell'articolo Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2005-2006

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2005-i/Gliozzo.html>

Giugno-dicembre 2005, n. 1-2