Pierre Lévy
Questioni di carattere

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Nella tradizione mistica dell'ebraismo ogni lettera della Torah porta virtualmente un'infinità di senso.
E se si giustifica questa proposizione col fatto che l'autore della Torah sarebbe Dio, non si dà una vera spiegazione ma ci si accontenta di dire due volte la stessa cosa con parole diverse, in quanto Dio è fonte di senso infinita. Perché allora ogni lettera contiene un'infinità di senso? Il vero infinito, l'infinito creatore, potrebbe essere chiamato fecondità infinita. Ora, ciò che crea il significato delle lettere sono le domande degli uomini, che ad esse vengono poste. Ogni nuovo significato sorge in risposta a una domanda, ed esiste uno spazio infinito di possibili domande. Uno spazio che non finiremo mai di esplorare. Ma questo non vale forse per qualsiasi fenomeno, evento o messaggio? Perché è solo dentro a un testo rivelato o sacro che l'infinito deve essere letto?
Il perché è che in questo testo è contenuta una promessa di fecondità infinita talmente potente, che questa profezia è divenuta autorealizzatrice.
La stampa a caratteri mobili è stata inventata per moltiplicare la Bibbia. Ed è così che nello spazio di qualche secolo la biblioteca universale è fiorita. Grazie alla stampa, quella piccola enciclopedia portatile che era la Bibbia si è dispiegata ed espansa in una immensa biblioteca di milioni di volumi: di diritto, di scienza e di letteratura.
Il carattere manoscritto era sacro perché era in un certo senso semenza seccata, era virtualità di senso infinitamente concentrata, che ha cominciato a dispiegarsi col carattere mobile della stampa. Il carattere sacro ha portato il germe dell'alfabetizzazione e la stampa da cui si irradiano i Lumi, la scienza moderna e i diritti dell'uomo. Ma il destino della lettera alfabetica non si ferma al carattere mobile. L'iperbiblioteca del World Wide Web è stata inventata per moltiplicare la biblioteca. Il carattere virtuale succede al carattere mobile. Tutti i prodotti della cultura formano ormai un solo ed unico ipertesto, un'ecologia delle idee, una sfera del linguaggio vivente che riunirà presto tutti gli umani nella sua vertiginosa espansione.

All'epoca del manoscritto l'intelligenza collettiva si dispiegava nel tempo: gli ermeneuti secernevano il Commento dialogando da un secolo all'altro. A questo punto i piedi della conoscenza si sono messi in moto: l'interrogazione senza fine. All'epoca della stampa la comunità scientifica inventa l'intelligenza collettiva simultanea: tutti i suoi membri tengono conto delle scoperte degli altri, rifiutano gli ipse dixit, non nascondono nulla dei loro procedimenti (riproducibilità degli esperimenti) e hanno il dovere di essere originali senza però perdere l'interesse degli altri. Il tronco e le braccia della conoscenza si sono consolidate: il ciclo infinito di teoria e sperimentazione che a partire dal Sedicesimo secolo ha trasformato il mondo. Nell'epoca del ciberspazio è l'insieme della società umana a partecipare all'intelligenza collettiva. E l'economia dell'informazione. La produzione delle conoscenze è fusione in tempo reale. L'apprendimento permanente mobilita in continuazione gli spiriti e le loro comunità virtuali in una cooperazione competitiva. La testa della conoscenza va a completare interminabilmente il corpo del sapere umano: visione diretta di una realtà infinita. Dalle webcam sparse per ogni dove alle immagini prodotte dai satelliti, dai radiotelescopi, dai microscopi elettronici o dagli scanner, tutto si vede da ogni dove. Più essa pratica l'interconnessione e l'intelligenza collettiva e più l'umanità si conosce essa stessa direttamente, senza passare da teorie sull'altro e senza passare per la mediazione di poteri parziali. Ma questa realtà di cui il ciberspazio permette la visione diretta, ben lontano dall'essere piatta e finita, si approfondisce e si complessifica continuamente al seguito del perfezionamento degli strumenti e dell'invenzione di nuove domande. Crescita della mente umana; la Bibbia, da cui germina la biblioteca, da cui cresce l'iperbiblioteca.

L'economia dell'informazione viene dalla scienza, che discende dalla religione. Ogni nuova tappa contiene la precedente come suo nocciolo segreto.
L'alfabeto, sistema di scrittura astratto che non nota che il suono, fu inventato nella stessa epoca in cui il monoteismo vietava la rappresentazione. In un certo senso il Dio unico è l'alfabeto, è la fecondità infinita dell'alfabeto che si diffonde oggi nell'ipertesto planetario del web. Ma sarebbe giusto aggiungere che il ciberspazio viene anche da un'altra tecnica di scrittura, quella dei numeri, e più precisamente dall'invenzione dello zero. C'è voluto che il Medio Oriente inventasse l'uno con l'alfabeto e che l'India meditando sul Vuoto scoprisse lo zero, perché la mente umana si unisse a se stessa nella noosfera. Zero, Uno. L'Oriente e l'Occidente. La libertà interiore e la libertà esteriore dovevano riunirsi per permettere alla mente umana di prendere il volo.
Poiché gli ebrei sono stati i primi a trasformarsi in comunità virtuale, abitando l'ipertesto talmudico invece di un territorio reale, è possibile che la saggezza del popolo della memoria sia in grado di aiutarci ad affrontare meglio i tempi a venire. Lo studio della Torah, che un ebreo ha il dovere di praticare giorno e notte, non è nient'altro che una meditazione sulla giustizia. Il saggio, nel giudaismo, è chiamato «il giusto». Per formare degli uomini che sappiano giudicare in modo sano, l'insegnamento tradizionale fa navigare gli studenti in un immenso ipertesto, frutto dei rabbini che si interrogano fra di loro ed emettono una moltitudine di opinioni spesso contraddittorie. Qui lo stabilirsi di un legame inatteso è percepito come una buona cosa, e delle nuove domande fanno vedere nuovi aspetti dei problemi.
Per contrasto, la retorica dell'antichità greco-romana non mirava a formare dei giusti, ma degli avvocati, abili tanto ad accusare la parte avversa che a difendere il proprio campo. Gli argomenti logici, le prove fattuali, la manipolazione psicologica e il richiamarsi ai luoghi comuni: tutto mira a spuntarla sull'avversario. Invece di imparare a porre (a porsi) delle domande, ci si esercita a formulare risposte imparabili.
La cibercultura - le sue comunità virtuali, i suoi scambi postali elettronici e i suoi legami ipertestuali - esige persone allenate al dialogo sincero e al mescolamento dei pensieri, piuttosto che degli individui formati sulla manipolazione persuasiva. Abbandoniamo dunque questa cultura ragionatrice fatta di partigiani e di accusatori, per aprire la via a una generazione di giusti.
Il grande ipertesto in espansione del web manifesta l'interdipendenza degli esseri umani. Presto avremo tutti dei siti personali, e questi siti saranno collegati da milioni di legami. Potremo ancora pensare per «categorie» che ci dividono? Non ci abitueremo, invece, ben presto, a cogliere i legami, e cioè a considerare quell'ambito vivente della mente e del linguaggio che ci accomuna? Secondo il pensiero per legami, una persona, invece di essere membro d'una categoria o di esemplificare un tipo, si identifica con tutto ciò che costituisce il suo sito, nonché coi legami innumerevoli che ne irradiano e partono.
Già oggi, ciò che apre la pista, in quell'immensa massa globulare incircoscrivibile che è la cultura e la società umana, sono le domande. Nel ciberspazio, come nella vita, se non poniamo domande ai motori di ricerca o ai nostri partner delle liste di discussione, se non clicchiamo di qua e di là, non andiamo da nessuna parte e non impariamo niente, oppure giriamo sempre sugli stessi cerchi. È la domanda che anima l'ipertesto, essa lo fa risvegliare dal suo nulla e lo fa estendere indefinitamente. Se non ci fossero domande, tutte le risposte resterebbero «lettera morta». Siamo noi a produrre, navigando nell'universo del senso, la realtà che risponde alle nostre domande: la voce fraterna dei nostri simili. Noi siamo le lettere vive, luminose, che dialogano all'infinito nel testo sacro della mente umana.

[Traduzione di Giovanni Anceschi]

 

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Giugno 2001, n. 1