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BOLLETTINO '900 - Segnalazioni / A, dicembre 1999
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SOMMARIO
- R. BUGARO, *La buona e brava gente della nazione*, Milano, Baldini &
Castoldi, 1998.
- M. FRANZOSO, *Westwood Dee-Jay*, Milano, Baldini & Castoldi, 1998.
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R. BUGARO, *La buona e brava gente della nazione*, Baldini & Castoldi, Milano, 1998, £.24.000
A Bugaro va riconosciuto un merito, il merito di aver tentato un
espediente su cui, peccato, egli stesso non insiste piu' di tanto; solo
qualche pagina tra le numerose altre che formano il suo romanzo: l'uso del
"tu" accanto a quello ben collaudato dell' "io", preceduto su questa
strada dal fortunato *Le mille luci di New York* di Jay McInernay.
Che cosa vuol dire usare il "tu" nella narrativa contemporanea?
Evidentemente, significa obbligare il lettore a collocarsi, a entrare per
via diretta nella storia, assumendo in toto, quasi indossasse una tuta o
una guaina, la posizione di chi lo chiama in causa, spingendolo a
partecipare e a condividere necessariamente il suo punto di vista, che
certo potra' essere accettabile o meno, ma in ogni caso sara' sperimentato
senza un minimo di distanza rispetto all'autore, alla sua caparbia
convocazione a "fare come me".
Ecco, questo invito il "tu" di Bugaro lo lascia cadere, o almeno lo
attenua leggermente in un "io", l'altro pronome-guaina che noi "ipocriti
lettori" siamo incoraggiati a infilarci come un casco virtuale per provare
direttamente l'angolo di visuale della voce narrante; ma tutto cio' puo'
bastare a stringere un patto di alleanza e collaborazione, anche scomoda,
con il protagonista della storia? In parte, si' purche' quell'"io" (o
"tu") si faccia portatore di una visione del mondo in sintonia con la
postmodernita', purché sia un "io" osmotico, poroso, una "X" aperta ad
ogni forma di esperienza, e soprattutto che rinunci all'inaccettabile
logica del possesso, di se' e degli altri, rifiutando di esercitare
l'arroganza di accumulare, di "avere" in senso materiale, ma anche in
senso psicologico, esistenziale, sessuale.
Venendo ora ai personaggi de *La buona e brava gente della nazione*, ben
difficilmente li si puo' promuovere in quanto ad etica postmoderna:
nessuno di loro ha i requisiti per essere "X"; tutti indistintamente sono
affaristi di prim'ordine, fanno della scaltrezza il loro punto di forza,
scaltrezza professionale appunto nel concludere sempre la trattativa
giusta, scaltrezza nella conquista erotica, da esibire come un trofeo,
tanto nulla nella vita di Giovanni e Luca, i due avvocati protagonisti del
romanzo, viene lasciato al caso, e perfino le loro scorribande tra Jack
Daniel's, Benson, discoteche e festini notturni rispondono a un copione
di esistenza meccanica, quasi behavioristica. Essi sono veramente tutti
d'un pezzo, sono appunto personaggi troppo "integrali", troppo monolitici;
in loro c'e' proprio poco spazio per un'autenticita' pura, Giovanni, Luca
e gli ipocriti amici della compagnia ristagnano mummificati in una vita
"meno di zero" tanto agiata quanto arida e annoiata, annacquata in una
chiacchiera che Bugaro, volutamente, fa oscillare tra superficialita' e
snobismo, e che nasconde un' altra facciata di frustrazioni per matrimoni
falliti, nel caso di Giovanni, o, questa volta per Luca, in via di
esaurimento. Fatto sta che in una sterilita' cosi' dorata la giovane
Sabine giunge come una meteora, lei che rappresenta l'unica "X" del romanz
o, il solo personaggio debole senza istinto del possesso, ma pronto a
lasciarsi trascinare dalle proprie pulsioni, a vivere con Luca il proprio
trasporto sessuale, e non certo, a differenza delle altre ragazze della
compagnia, per trovare una sistemazione economica, fiutando la
disponibilita', la "roba" finanziaria del partner. Luca, dal canto suo,
non solo fa fuori la ragazza all'amico Matteo con furbizia ipocrita, ma
da' anche il colpo di grazia al suo matrimonio con Laura pur di rigenerare
la propria vita, e aprirsi anima e corpo alla fluida, ingenua e sincera
Sabine: Luca, pero' e' fatto di tutt'altra pasta, rimane sempre un
calcolatore che non sa rinunciare all'avere e deve comunque finalizzare le
sue scelte, e quindi, scaricata la moglie, proietta subito il suo diritto
di proprieta' sulla nuova amante, le ipoteca una vita, vuole accalappiarla
con l'arma del matrimonio, e naturalmente l'asfissia con imbarazzanti
scenate di gelosia, volte a tenerla lontana dagli uomini della sua stessa
risma affaristica come Ebelmann, col quale Luca fa a pugni. Sabine non ci
sta, ci tiene troppo alla sua liberta', e decide di interrompere la sua
relazione con Luca, il quale non capisce le ragioni della giovane donna,
avrebbe magari la possibilita' di rendere elastici e comprensivi i propri
comportamenti, come in effetti imporrebbe l'etica del postmoderno, e
invece la sigilla del tutto con un gesto tragico e risolutorio, per niente
gratuito, anzi, mirato a far "sua" la ragazza in modo definitivo: benche'
Luca intuisca e assaggi in Sabine il suo "altrove", alla fine si ritira,
fa marcia indietro, ridiventa l'esecrabile uomo integrale di prima; in lui
non troviamo traccia di cambiamento e con lui noi non riusciamo a
instaurare alcuna affinita', non potendo intravedere il minimo barlume di
vita genuina. A tutto cio' non contribuisce affatto la narrazione forse
troppo avvocatesca di Giovanni, raffinata ma poco corporale, anch'essa
"integrale", con parti che spesso girano a vuoto e appesantiscono il
romanzo, quasi ponendosi al di fuori della trama generale come elementi
aggiunti: Bugaro si muove bene in un registro sostenuto, ma dovrebbe
minarlo con opportuni inserti di un linguaggio "basso", fisiologico, che
qua e la' provochino sbalzi di energia, cortocircuiti, come riesce
magistralmente a un altro smascheratore dell'ipocrisia della "buona e
brava gente della nazione", Aldo Busi.
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M. FRANZOSO, *Westwood Dee-Jay*, Baldini & Castoldi, Milano, 1998, pp.138,
Marco Franzoso, tra la ricca generazione di giovani autori "alla MTV"
immersi fino al collo nel mondo dei mass-media, rispecchia in pieno i miti
e gli stereotipi della contemporaneita' col suo romanzo d'esordio, ma non
nel segno di una ricezione passiva, di un abbandono sterile al
bombardamento dei prodotti dell'oggi: tutto il ben di dio mass-mediale,
trash o/e kitsch che sia, bene o male compete a tutti noi indistintamente,
ce l'abbiamo ogni giorno sotto gli occhi, e magari, consapevoli o no, ne
facciamo anche parte, o almeno ne avvertiamo le emanazioni in modo
evidente, al punto che sentiamo perfino il piacere di misurarci con
l'ondata attraente dell'artificio, anzi, per dirla con Labranca,
dell'"estasi del pecoreccio".
Cio' non vuol dire affatto soccombere a tutto quel "mare di
oggettivita'": su di esso ognuno di noi puo' operare con i piu' svariati
modi di intervento, con i mezzi che ammortizzino al meglio l'affluire
indiscriminato di quei materiali, i quali, ormai, abbozzano per intero il
nostro reticolo di vita, l'atmosfera di sofisticazione che respiriamo, la
cappa d'aria, di immaterialita' e "leggerezza" che, senza scandali,
pregiudizi o esorcismi, faremmo meglio ad accettare come una seconda
natura.
I personaggi di Franzoso partono proprio dall'adesione convinta alla
cultura del trito e ritrito, quella delle discoteche, che, facendo
"tendensa", sono in grado di alimentare flashes di vitalita', di mandare
in rete i circuiti del sesso e del piacere di se', della realizzazione dei
propri desideri. Non sono questi, forse, diritti che appartengono a
tutti, senza distinzioni di classi, di ceti, di reddito? Anche la fauna
del nord-est discotecaro non fa eccezione, e anzi, la tendenza alla
"tendensa" si incarna in uno pseudo dialetto veneto che rende ancor piu'
corporale il "basso" di Westwood, protagonista della storia, un buzzurro
DJ di Mestre che veste clamorosamente trash in omaggio alla
spazzatura-renaissance di oggi, il tipico contadinotto che e' riuscito a
crearsi un nome nella sua professione, e che, soprattutto, persegue la sua
efficace filosofia, "...l'aspirazion personale e colletiva a la
liberta', la bataglia contra tute le predeterminasion dei destini, la
critica radicale contra gerarchie, valori, tradizioni..." (p.40). Per
quanto rozzo e grossolano, quello di Westwood e' un simil-esistenzialismo
democratico diffuso alle masse e promosso dai potenti mass-media della
musica che fa "tendensa", con un'attenzione particolare alla sfera
dell'eros, il Leitmotiv di fondo del romanzo - com'e' giusto che sia -,
accennato in lungo e in largo tra *menage a' trois*, relazioni etero e
omo. Anche Westwood, comunque, prima o poi deve patire il disagio del suo
declino, professionale e sentimentale, visto che la sua carriera di DJ
incomincia ad andare a rotoli, e cosi' dicasi per il suo astruso rapporto
con Katia, la giovane diventata di "tendensa" in seguito a un incidente
che l'ha costretta a un lifting totale (e anche qui si noti l'ammicco
all'artificio). Katia, per l'appunto, sale di rango (di "tendensa "...)
infilando uno dietro l'altro un serie di successi nel mondo della
cinematografia (tra i suoi successi *hard* di cassetta, *A posteriori* e
*Ti voglio*), e non contenta delle inadeguate attenzioni di Westwood lo
tradisce con la sua ex psicologa, l'improbabile Veronica O'Hara, altro
omaggio al kitsch in un nome da colossal hollywoodiano; al povero
Westwood, allora, non rimane che lo sconforto assoluto, il ricordo dei bei
tempi che furono, magari continuando l'apnea totale nel suo personale
universo trash, tra sunti di Nietzsche e biografie di Madonna, tra
motociclette, cellulari e dubbi grottesco-esistenziali: nel suo piccolo e
nelle sua possibilita', anche lui, come il Michele di *Puerto Plata
Market* di Nove (e, perche' no?, come l'indifferente Michele di
Moravia...), e' "X", e' un personaggio multiforme "... in contradizione e
d'accordo con qualsiasi cosa" (p.111), finche' una "alienazion" quanto mai
stramba, provinciale ma a suo modo autentica e veritiera, comincia a farsi
sentire.
Ultimo spassoso tributo agli aspetti basso-corporali alleati mondo dei
mass-media, va notato il geniale inserto, da parte di Franzoso, del "CD in
omaggio", ossia la campionatura a piu' variazioni del peto e della
defecatio di una coppia, amorosamente e timorosamente reiterati tra i
finestrini chiusi di un'automobile al ritmo di "ti g'ha peta'?". Non viene
in mente nient'altro? Non salta agli occhi la flatulente coincidenza con
il protagonista di *L'esoterismo dell'aspirapolvere* (vedi Marco Drago),
anche lui immerso nella particolare privacy dei suoi borborigmi? Oramai
lo sappiamo: le vicende della narrativa contemporanea la "leggerezza" la
fiutano in tutte le sue sconce e molteplici risorse...