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BOLLETTINO '900 - Segnalazioni / A, agosto 2003
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- Stefano Cremonini, recensione di:
Daniela Marcheschi, *Destino e sorpresa. Per Giuseppe
Pontiggia, con i suoi primi scritti sul "verri"*,
Pistoia, Editrice C.R.T, 2000, pp. 160, euro 10,33.
- Nicola Bonazzi, recensione di:
Stefania Signorini (a cura di),
*Arturo Graf. Confessioni di un maestro.
Scritti su cultura e insegnamento con lettere inedite*,
Novara, Interlinea Edizioni, 2002, pp. 200, euro 15,00.-------------------------------------
[avevamo commissionato questa recensione prima della
morte di Giuseppe Pontiggia, e vogliamo ora con questa
ricordarlo. F.P.]Stefano Cremonini, recensione di:
Daniela Marcheschi, *Destino e sorpresa. Per Giuseppe
Pontiggia, con i suoi primi scritti sul "verri"*,
Pistoia, Editrice C.R.T, 2000, pp. 160, euro 10,33.Il libro di Daniela Marcheschi vuole essere, a detta della
stessa autrice, un "semplice omaggio" ed un "pensiero" grato
ad uno scrittore, Giuseppe Pontiggia, da lei "scelto" per una
sorta di "affinita' elettiva" all'epoca dell'uscita de
*Il giocatore invisibile* (1978) e continuamente frequentato,
di opera in opera e con lunga fedelta', fino ad oggi.Tutti i contributi di cui si compone il testo, pur
appartenendo ad un arco cronologico piu' che ventennale,
presentano un'evidente continuita', per il fatto che l'opera
stessa di Pontiggia si offre al lettore come un disegno unico
in cui, pur nell'originalita' di ogni singola opera, sono
ravvisabili alcuni elementi costituitivi di fondo. Questi,
come rileva la Marcheschi, sono fondamentalmente tre:
la ricerca di "un linguaggio chiaro e profondo", senza
infingimenti e dissimulazioni, ma diretto e sincero;
il riferimento costante all'etica e ai suoi profondi,
ineludibili interrogativi; il dialogo continuo con i classici.Il lavoro sul linguaggio presuppone una viva attenzione al
recupero di quella profonda adesione delle parole alle cose
che Pontiggia stesso, in un saggio su Rene' Daumal, ha
definito "significazione intenzionalmente complessa". Essa,
come emerge chiaramente nei romanzi *L'arte della fuga* e
*Il giocatore invisibile*, impiega il linguaggio quotidiano
con una precisione tale da andare sempre oltre i luoghi
comuni, attraverso un lavoro costante sui significati delle
parole, spinto fino al recupero della loro etimologia,
per restituirne, intatta, la pregnanza originaria. E' qui
che si colloca anche la polemica di Pontiggia con la
concezione crociana della sperimentazione tecnica limitata
solo ai motivi pratici dell'opera d'arte, laddove invece
proprio la ricerca stilistica apre nuove possibilita' in
campo teoretico ed espressivo.Passando dalla misura distesa del romanzo, con
l'efficacissimo uso del dialogo che rileva plasticamente
l'interiorita' dei personaggi, ai versi di varia misura,
impiegati in alternanza con le sequenze narrative ne
*L'arte della fuga*, per giungere al saggio, spesso
condensato in aforisma, Pontiggia compie un "consapevole
*attraversamento*" delle cose e delle persone, quasi
un'analisi radiologica di esse, per meglio conoscerne
le dinamiche interne, le ragioni profonde.La scrittura diviene quindi strumento non neutro per
prendere posizione nei confronti della realta': fin da
*La morte in banca* (1953), il suo primo romanzo, Pontiggia
denuncia l'ipocrisia, l'involgarimento, la
spersonalizzazione, l'angoscia di una societa' che ha
assunto l'Utile come "unica ragione e criterio di vita".Alcune grandi metafore, evocate da Pontiggia nei titoli
stessi delle sue opere e puntualmente analizzate dalla
Marcheschi, aiutano a comprendere i rapporti fra l'uomo
e il mondo: il tema della fuga, come vano tentativo di
sottrarsi alla "consapevolezza del proprio destino", che
la morte viceversa figge nel suo inevitabile appello alla
meditazione sul senso della vita; il gioco degli scacchi,
che rappresenta l'ardua dialettica fra il nostro desiderio
di programmazione e pianificazione e la mossa a sorpresa
del "giocatore invisibile", cioe' il destino, che ci
obbliga sempre a rinegoziare le nostre scelte, a metterci
ancora in discussione; l'immagine ossimorica del "raggio
d'ombra", a significare l'essenza metamorfica della
verita', in bilico fra vita e morte, permanenza ed
estinzione, rivelazione ed eclissi; infine il topos,
tipico della modernita', della "grande sera", emblema
della crisi di una cultura occidentale che maschera
con l'attivismo una sostanziale inerzia, un vuoto di
valori attorno a cui ruota un fantasmagorico fascio di
vite parallele, salvo poi trovare la sorpresa di un dono
inatteso, di un'affettuosa, solidale tenerezza.L'attenzione all'interiorita' dei personaggi - si ricordi
la grande passione di Pontiggia per Svevo - non si esaurisce
tuttavia in psicologismo: il narratore onnisciente afferma
sempre il suo punto di vista, il suo giudizio netto, e fa
si' che i personaggi stessi si smascherino dinanzi al lettore.Dopo aver sperimentato la satira sulla societa' italiana,
ora parodica e tagliente, come ne *Le sabbie immobili*,
ora ironica, lieve, a tratti commossa, come nelle *Vite di
uomini non illustri*, nell'ultimo romanzo, *Nati due volte*
(2000), attraverso il "sofferto cammino di rinascita
interiore" di un padre che aiuta a crescere il figlio,
gravemente disabile, Pontiggia denuncia la cultura dei
"sani", assillati dal mito del fisico perfetto,
efficiente, sempre al massimo.Bellezza e verita' prendono vigore, in Pontiggia, dal
terzo elemento ricordato dalla Marcheschi quale fondamento
dell'arte dello scrittore: la frequentazione assidua
dei classici. Ad essi Pontiggia ha dedicato alcuni libri
di struttura saggistica, "aperti", cioe' leggibili
scegliendo a piacere un paragrafo o un capitolo, secondo
personali percorsi di lettura: *Il giardino delle Esperidi*,
*L'isola volante* e *I contemporanei del futuro*.
Attraverso un personale "canone", ampliando la scelta di
Harold Bloom - il quale, sostiene Pontiggia, "offre
angolazioni illuminanti, non un criterio adottabile di
scelta" - con poco frequentati autori antichi (Partenio
di Nicea, Aulo Gellio) e della nostra letteratura
(Gaspara Stampa, Torquato Accetto, Tomaso Garzoni),
Pontiggia mostra il perenne valore dei classici, il
fascino che emanano in quanto maestri di una ragione di
cui conoscono i limiti invalicabili, ma che si sforzano
serenamente di applicare al magma della storia, per
tentare di dare un ordine alle cose, di trovare un
principio valido di conoscenza.Corredato da un apparato bio-bibliografico e dai
cinque brevi scritti che Pontiggia pubblico' sul "verri"
tra il febbraio 1959 e l'ottobre 1963 (particolarmente
rilevante, per le decise dichiarazioni di poetica in
favore di una parola che, come afferma la Marcheschi,
sia "eticamente accentata", "perfettamente coesa alla
cosa o all'idea", e non misticamente in fuga verso
un simbolismo trascendente), il volume presenta dunque,
attraverso analisi concise, ma puntuali ed estremamente
chiare nella forma espositiva, l'opera di uno scrittore
che, per usare il motto di alcuni suoi grandi precursori
lombardi, ha fatto del proprio scrivere un mezzo per
comunicare "cose, non parole". Ma, come ci fa capire
Daniela Marcheschi evidenziando continuamente
l'importanza della complementarita' di contenuto ed
espressione, le cose si comunicano appunto tramite
le parole.-------------------------------------
Nicola Bonazzi, recensione di:
Stefania Signorini (a cura di),
*Arturo Graf. Confessioni di un maestro.
Scritti su cultura e insegnamento con lettere inedite*,
Novara, Interlinea Edizioni, 2002, pp. 200, euro 15,00.Nel 1903 veniva stampato a Roma un volume di versi,
*Fra terra ed astri*, nella cui prefazione l'autore
si diceva vittima di un destino avverso e di un amore
infelice. Il volume compariva a firma di uno sconosciuto
Giulio Orsini e se la storia letteraria successiva si
e' completamente disinteressata della sua biografia e
della vicenda sentimentale che aveva originato l'opera,
cio' dipende dall'impossibilita' di certificare
l'esistenza fisica dell'Orsini, in quanto semplice
*nom de plume* dietro cui si cela Domenico Gnoli,
insigne cattedratico ed erudito della Roma umbertina.
Lo Gnoli (non nuovo all'inganno: nel 1896 aveva dato
alle stampe l'altro canzoniere *Eros*, firmandolo
addirittura Gina d'Arco) operava la mistificazione
convinto che la fama di dotto accademico poteva
nuocere a un giudizio equilibrato sui suoi versi:
l'esito, commerciale e critico, di *Fra terra ed
astri* parve dargli ragione e lo Gnoli, forte del
successo, tornava ad apporre il proprio nome sui
volumi successivi.Di la' dalla lepidezza dell'aneddoto, l'episodio puo'
servire da minuscolo ma incisivo corollario al ritratto
che il bel libro curato da Stefania Signorini fornisce
su uno dei molteplici aspetti dell'attivita' e della
figura di Arturo Graf (1848-1913), ordinario di
letteratura italiana all'Universita' di Torino,
seguace del metodo storico, nonche' narratore e poeta
di gusto decadentista. La vicenda, infatti, non solo
chiama in causa un collega del Graf e suo predecessore
presso la cattedra torinese, ma serve a illuminare
quella schizofrenia tra arte e vita, tra passione e
erudizione che probabilmente subi' sulla propria pelle
lo stesso Graf, se dobbiamo dar retta all'intervista
rilasciata alla *Stampa* nel giugno del 1908, dove,
circa il rammarico di aver dato alla scuola quello che
poteva essere dato all'arte, si parla genericamente di
"querele brevi, d'un momento". E la fugacita'
dell'affermazione tradisce forse un rimpianto piu'
profondo. Non a torto quella stessa intervista e'
collocata dalla Signorini in posizione incipitaria,
viatico, quasi, ad una comprensione migliore delle prose
successive, di tempi e toni diversi, ma tutte accomunate
dal tema: la posizione del Graf rispetto alla cultura
del suo tempo e all'insegnamento secondario e
universitario. Graf, appunto, fu professore e poeta,
ma professore aperto a suggestioni antidogmatiche e
poeta libero da impacci accademici, sicuramente piu'
di quanto non fosse stato, a un certo punto del suo
percorso, il piu' famoso, se non il piu' grande, dei
nostri poeti-professori, cioe' Giosue Carducci, non a
caso richiamato diverse volte nelle pagine del libro.
Cosi', chi riemerga dalla lettura di questi scritti, e
conosca un poco l'opera del Graf, non puo' non trarne
rafforzata l'impressione di uno scrittore lacerato da
tensioni diverse, spesso irriducibili tra loro. Il Graf
accademico era in qualche modo costretto a fare
professione di positivismo sfrenato (si legga per
esempio la prosa intitolata *La bancarotta della
scienza*, alle pagine 108-117, o i paragrafi conclusivi
di *Per la nostra cultura*), salvo calare poi la propria
poesia in atmosfere nordiche popolate da elfi e fate,
ed infarcire l'unica opera narrativa (Il riscatto) di
quegli abbandoni spirirualisti tanto cari al piu'
anziano Fogazzaro; gli stessi volumi originati
dall'attivita' accademica, come il famoso *Miti,
leggende e superstizioni del Medio Evo* (se ne puo'
vedere la recentissima riproposizione per i tipi
della Bruno Mondadori), accolgono curiosita' e notizie
di grande interesse, ma spesso inattendibili e aliene
dal rigore di una ricerca scientifica neutra e
impassibile. Una personalita' complessa dunque,
quella di Graf, se e' vero poi che, nella congerie
dei tomi eruditi, si trovano anche ricerche tutt'altro
che scontate e tutt'ora indispensabili, come quella
su *"I Pedanti"* (in *Attraverso il Cinquecento*,
Loescher, 1926), primo studio sistematico
sull'antipedantismo rinascimentale, che rende quasi
ovvio, a parte l'anticipo sui tempi, l'accanimento
con cui Graf liquida l'insegnamento di latino e greco
nelle scuole secondarie (si veda *L'insegnamento
classico nelle scuole secondarie*, qui alle pagine
74-108). Conclude la densa silloge un carteggio inedito
con un altro grande protagonista della cultura italiana
tra Otto e Novecento, Alessandro D'Ancona, non solo
utile per illuminare i rapporti tra i due, ma anche
estremamente gustoso nella possibilita' che offre al
lettore di osservare, quasi "dal buco della serratura",
i maneggi e le pene legati alla carriera universitaria,
a dire il vero non molto diversi da quelli odierni.
Su questo aspetto e su tutti gli altri suscitati dagli
interventi grafiani su cultura e insegnamento, si
sofferma con puntualita' la bella ed esaustiva
introduzione della curatrice.**********************************************************
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Segnalazioni/A, agosto 2003. Anno IX, 4.Direttore: Federico Pellizzi
Redazione: Michela Aveta, Eleonora Conti, Stefania
Filippi, Anna Frabetti, Valentina Gabusi, Saverio Voci.Dipartimento di Italianistica
dell'Universita' di Bologna,
Via Zamboni 32, 40126 Bologna, Italy,
Fax +39 051 2098555; tel. +39 051 2098595/334294.
Reg. Trib. di Bologna n. 6436 del 19 aprile 1995.
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