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BOLLETTINO '900 - Segnalazioni / B, agosto 2000
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Dal 9 al 21 luglio l'Universita' di Tel Aviv e' stata lo
scenario del secondo Workshop internazionale organizzato
dal "Center for Mediterranean Civilization Project",
intitolato "Mediating Literatures: Mediterranean Literatures
in the Twentieth-Century". Il proposito del Workshop e' stato
quello di condurre un'indagine comparativa prestando particolare
attenzione alle circostanze storiche, politiche e
socio-culturali della sopravvivenza delle letterature
minoritarie nel bacino del Mediterraneo. L'attenzione dei
partecipanti si e' concentrata sulla situazione socio-culturale
dei Paesi del Mediterraneo, e ha mirato alla creazione di uno
spazio di mediazione per letterature "secondarie" e per le
loro relazioni con il linguaggio letterario predominante.
Si e' inoltre esaminata la trasmissione, la diffusione e la
vitalita' di letterature minoritarie quali ad esempio quelle
in lingua araba, berbera e francese del Nord Africa, quella
sefardita in lingua ebraica e quella sarda, con lo sguardo
rivolto alla loro ricezione presso il pubblico. Leitmotiv degli
interventi e' stata l'idea di Mediterraneo, accompagnata dalla
volonta' di chiarire concetti-chiave come quelli di identita' e
pluralita'. Alle riflessioni ha fatto da contraltare la
presentazione critica e la lettura di testi antichi e
contemporanei da parte degli scrittori di grande rilevanza che
hanno presenziato al Workshop, fra cui Ali Salem, Israel Pinkas,
Naim Arayde, Slimane Benaissa,, Marlene Braester e Bluma
Finkelstein. La possibilita' di prendere parte attiva ai
dibattiti, realizzando un proficuo scambio di idee, ha contribuito
a dare alle varie sessioni un tocco di vivacita' che le ha rese
particolarmente interessanti agli occhi degli studenti.
Figura centrale di queste giornate di studio, il direttore
accademico Nissim Calderon ha magistralmente dato unita' di fondo
ai numerosi argomenti trattati, mirando ad evidenziare
tematiche-cardine e a mettere a fuoco alcune idee. Piu' volte si
e' soffermato a riflettere sul concetto di "cultura" e in
particolare su quello di "cultura mediterranea", e ha affermato
che sono stati gli europei ad inventarlo in quanto "romantici";
la stessa motivazione - a suo giudizio - spiega anche la
nascita dell'idea di pluralita', una sorta di ideale e di
desiderio ardentemente rincorso dagli europei. Secondo Calderon
la pluralita' procede di pari passo con la flessibilita',
necessaria per attuare compromessi come quello realizzato dal
popolo ebraico. Nell'illustrare la situazione degli ebrei
residenti al Cairo e ad Alessandria d'Egitto, Calderon ha
ricordato che la loro vita si e' articolata secondo tre sfere:
famigliare, lavorativa e culturale, a cui sono corrisposte tre
lingue diverse. Leggere un'opera letteraria scritta da un
ebreo del Cairo o di Alessandria, percio', significa tener conto
di tutte e tre le dimensioni e del compromesso avvenuto fra le
radici, gli stimoli e le numerose componenti che costituiscono
il bagaglio socio-culturale di quell'individuo. Per quanto
concerne Israele, il discorso si complica ulteriormente perche'
entra in gioco anche il compromesso geografico, oltre che sociale,
culturale e linguistico. Ed e' proprio riguardo alla situazione
israeliana che il contributo di Calderon si e' rivelato
preziosissimo, nel ricostruire le tappe principali che hanno
segnato la storia del Paese sino all'epoca attuale, sviscerando
le contraddizioni e le divisioni interne che ne minacciano
costantemente l'equilibrio socio-politico. In una realta' cosi'
difficile soltanto i conflitti appaiono un argomento serio di
cui discutere, e alla letteratura spesso si chiede quali
soluzioni sappia offrire a problemi pratici e concreti. Cio'
nonostante, ha osservato Calderon, un popolo avverte sempre il
bisogno di sognare, sia per dimenticare - anche se solo
temporaneamente - le preoccupazioni quotidiane, sia per tentare
di guardare ottimisticamente al futuro. Da qui nasce l'esigenza
di scrivere, sottilmente legata ai problemi della societa' in
cui uno scrittore vive e opera. Una parte molto ampia degli
interventi di Calderon e' stata dedicata allo scrittore israeliano
di origine sefardita A. B. Yehoshua, i cui romanzi - scritti in
ebraico - rimandano al sopraccitato concetto di pluralita':
per comprenderne a fondo il messaggio, infatti, ci si deve
allontanare da tutto cio' che e' tipicamente locale, israeliano,
ed ampliare il piu' possibile l'orizzonte di riferimento. La
chiave del successo di uno scrittore come Yehoshua, secondo
quanto ha sottolineato Calderon, risiede nell'uso di un
linguaggio universale, capace di suscitare l'interesse del
pubblico internazionale e di infrangere le barriere
dell'isolamento culturale.
Tra gli argomenti piu' stimolanti sviluppati nel corso di queste
giornate e' emerso senza dubbio il problematico rapporto tra
lingua, cultura e potere. Il pluralismo culturale nella produzione
letteraria e' stato affrontato con sfumature molto interessanti
dalle poetesse Bluma Finkelstein e Marlene Braester, la cui
triplice identita' linguistica rumena, francese ed ebraica si
manifesta in una produzione poetica in lingua francese, lingua
che le autrici considerano "maternelle" della loro espressione
poetica. E' stata messa in rilievo la peculiarita' della
produzione letteraria in lingua francese in Israele; tale lingua,
in alcuni Paesi maggioritaria, qui risulta essere minoritaria,
poiche' in Israele le nozioni stesse di maggioranza e minoranza
sono viste secondo un'ottica diametralmente opposta e sono
continuamente messe in discussione.
Di altrettanta rilevanza e' stato l'intervento del Prof. Shlomo
Elbaz sul romanziere, poeta e saggista Ami Bouganim, considerato
un valido esponente della letteratura francofona nordafricana.
A lui viene riconosciuto il merito di aver opposto resistenza
all'influenza ebraica e di aver affidato alla lingua francese
tutti i suoi scritti letterari, filosofici e didattici, pur
lasciando liberta' di espressione alla propria identita'
israeliana. La discussione si e' incentrata sull'analisi dei
processi che determinano l'affermazione della lingua dei
colonizzatori come lingua del popolo e della produzione
letteraria.
Il caso di Naim Arayde, sebbene appartenente ad un panorama
culturale diverso, rappresenta la serie di difficolta' che uno
scrittore di fede drusa e cresciuto in un ambiente di tradizione
araba incontra quando scrive in ebraico, la lingua del "nemico".
Dall'analisi di casi simili si desume lo sforzo di alcuni
scrittori di evitare che la pluralita' continui ad implicare
dispersione di idee e di intenti, al fine di valorizzare gli
elementi di diversita' all'interno di un nuovo equilibrio. Da
questo punto di vista va sottolineato anche l'intento degli
intellettuali di intervenire attivamente nella realta' e nel
dibattito politico attraverso la propria opera letteraria.
Lo scrittore magrebino Slimane Benaissa, ad esempio, ha
delineato nitidamente la figura e il ruolo dell'intellettuale
in Algeria, ruolo che non si potrebbe comprendere a fondo
senza conoscere la storia del Paese. Costretto all'esilio nel
1962 dal governo al potere che guardava con timore e sospetto
i suoi scritti, l'autore oggi considera la propria situazione
come la ricostruzione di un equilibrio un tempo infranto:"L'exil
est comme le diable. Il est la' ou' Dieu existe [...] il est le
lieu humain de mon ecriture".
Attraverso la testimonianza degli scrittori Ali Salem e Mustafa
Mirzeler si e' avuto modo di approfondire la conoscenza
rispettivamente delle letterature egiziana e curda. Il
contributo di Ali Salem ha messo in luce il fatto che gli
egiziani siano arabi, mussulmani e mediterranei, e che dalla
commistione di questi elementi nasca la loro identita'; quello
di Mustafa Mirzeler e' stato invece utile per entrare in contatto
con antiche leggende curde rivisitate attraverso le memorie
personali del padre dello scrittore.
Infine gli studiosi Sasson Somekh e Mauro Pala hanno arricchito
il quadro con riflessioni sulla letteratura araba e quella sarda.
Sasson Somekh ha tracciato le coordinate principali della
letteratura araba dalle origini ai giorni nostri, soffermandosi
sui maggiori centri culturali, quali Bagdad e Damasco, e sugli
scrittori Maarrri, Muwaylihi e Husayn. Mauro Pala con una serie
di citazioni tratta dalle opere dei piu' illustri autori sardi -
da Salvatore Satta a Giuseppe Dessi', da Grazia Deledda ad
Antonio Gramsci e Sergio Atzeni - ha fatto emergere i temi e le
problematiche di fondo della storia e della cultura sarda.
Il valore del Workshop telaviviano risiede anzitutto
nell'aver preso in considerazione letterature considerate
minoritarie e da sempre ritenute marginali rispetto al patrimonio
letterario, normalmente concepito come privilegiato oggetto di
studio.
L'altro elemento particolarmente apprezzabile e' stato
l'accostamento di argomentazioni teoriche e libere discussioni
ad esempi concreti di testi letterari letti e commentati dagli
autori in prima persona. La combinazione di questi aspetti ha
reso l'evento culturale una fonte copiosa di spunti, motivi e
tematiche che lo studioso di letteratura comparata puo'
sviluppare percorrendo nuove vie di ricerca.