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Note:


1  Cfr. le considerazioni sull'assetto saggistico conservatosi nel libro, da parte di C. Milanini, L'utopia discontinua. Saggio su Italo Calvino, Garzanti, Milano 1990 (nello specifico, alle pp. 79-80), e A. Berardinelli, La forma del saggio. Definizione e attualità di un genere letterario, Venezia, Marsilio, 2002, p. 164: per il critico il romanzo appare «già un coacervo autobiografico di riflessioni organizzate intorno a un minimo pretesto narrativo». Si veda inoltre la proposta di un genere vicario, il racconto romanzizzato o pro-romanzo, basato sulla discrezione e sulla «brevità dei nuclei narrativi», teorizzata da Federico Pellizzi, Metafore della distanza in Borges e Calvino, in «Strumenti critici», XII (1997), n. 2, pp. 291-307. Ringrazio l'autore per avere sollevato la questione in margine al mio intervento, e per avere di conseguenza arricchito la coscienza teorica del mio scritto.

2  P. de Meijer, La prosa narrativa moderna, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, vol. III, t. 2, Le forme del testo. La prosa, Einaudi, Torino 1984, ora in P. de Meijer, A. Tartaro, A. Asor Rosa, La narrativa italiana dalle Origini ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 1997, p. 217.

3  Ivi, pp. 212-213.

4  Ivi, p. 219.

5  Si vedano a tal proposito le pagine di fondazione (e di contemporanea critica) epistemologica dello stile in G. Bottiroli, Teoria dello stile, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp. 83-90.

6  Sui modelli di costruzione della realtà nel testo narrativo, si veda la sintesi di D. Corno, Raccontare. Teorie e modelli della narrazione, in G.P. Caprettini, D. Corno, Forme narrative e modelli spaziali, Torino, Giappichelli, 1981, in particolare alle pp. 73-79, oltre al classico lavoro di Ju.M. Lotman, Il problema dello spazio artistico in Gogol' (1968), trad. it. in Ju.M. Lotman, B.A. Uspenskij, Tipologia della cultura, a cura di R. Faccani e M. Marzaduri, Milano, Bompiani, 2001, pp. 193-248.

7  Per rimanere legati all'essenza dello svolgimento narrativo connesso alla coscienza di Amerigo, si può seguire la storia del genere saggio lungo una costante di dispersività, come nell'antologia curata da S. Benassi e P. Pullega, Il saggio nella cultura tedesca del '900, Bologna, Cappelli, 1989, oppure come ancora nelle note di Alfonso Berardinelli, a proposito della forma archetipica del saggio moderno, quale quello che riscontriamo in Montaigne o Kierkegaard, contrassegnato dal «punto di vista rigorosamente soggettivo, l'onesta sincerità, l'occasionalità e la singolarità concreta, il dilettantismo antispecialistico che permette una flessibile aderenza all'oggetto e all'esperienza vissuta, l'acume intellettuale e sistematico che esclude lo spirito sistematico e la costruzione di teorie», A. Berardinelli, La forma del saggio, cit., p. 20.

8  I. Calvino, Natura e storia nel romanzo (conferenza del 1958), in Saggi 1945-1985, vol. I, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, pp. 49-51, corsivo dell'autore, sottolineature mie.

9  Ivi, p. 30.

10  I. Calvino, Il mare dell'oggettività (apparso sul «Menabò» nel 1960, scritto l'anno precedente), in Saggi, cit., vol. I, pp. 52-53.

11  Ivi, pp. 54-55.

12  Le ultime citazioni provengono ancora da I. Calvino, Il Mare dell'oggettività, cit., pp. 59-60.

13  I. Calvino, Natura e storia nel romanzo cit., p. 33: «questo rapporto dell'uomo con la natura e la storia è contraddistinto dal fatto d'essere libero, non ideologico, non come di colui che vede nel mondo un disegno precostituito, trascendente o immanente che sia; insomma dev'essere un rapporto d'interrogazione», corsivo dell'autore.

14  Si ricordino al proposito almeno due fortunate trattazioni critiche: S. Sontag, The Aesthetics of Silence (in Styles of Radical Will, New York, Farrar, Straus and Giroux, 1969, trad. it. Stili di volontà radicale, Milano, Mondadori, 1999) e I. Hassan, The Dismemberment of Orpheus: Toward a Postmodern Literature, New York-Oxford, Oxford University Press, 1971.

15  I. Calvino, Tre correnti del romanzo italiano d'oggi, in Saggi cit., vol. I, pp. 73-74. Gian Carlo Ferretti riferisce inoltre di una pausa narrativa (tra il '59 e il '62) come segnale di una crisi, di una transizione già maturata all'interno della produzione degli anni Cinquanta, in Le capre di Bikini. Calvino giornalista e saggista 1945-1985, Roma, Editori Riuniti, 1989, p. 89.

16  Per quanto concerne la duplice insegna sotto la quale John Barth situa le forme del modernismo e del postmodernismo, si rinvia ai suoi due celebri interventi, The Literature of Exhaustion (1967) e The Literature of Replenishment (scritto nel 1979, pubblicato l'anno successivo), quest'ultimo seguito da una coda del '79, The Self in Fiction, or, «That Ain't No Matter. That Is Nothing»: sono tutti contenuti insieme in The Friday Book. Essays and Other Nonfiction, Baltimore-London, Johns Hopkins University Press, 1997, rispettivamente alle pp. 62-76, 193-214. La citazione proviene, ovviamente, dallo scritto del '67 (ivi, p. 64).

17  Un bilancio critico sulla diversità delle due esperienze, e il contapporsi degli interpreti su due posizioni nette (continuità vs frattura) era già stato descritto da Francesca Bernardini Napoletano in un libro per più di un verso ancora suggestivo, I segni nuovi di Italo Calvino, Roma, Bulzoni, 1977, pp. 9-10. In tempi più recenti, si è puntualizzato il rifiuto di un qualsivoglia iato tra le opere nel loro susseguirsi nel tempo: il Calvino «delle Cosmicomiche è lo stesso che ha dato vita ai personaggi degli antenati, a quelli di Ultimo viene il corvo, allo scrutatore Amerigo Ormea: nessuna cesura, nessun passaggio segna il passaggio tra due esperienze letterarie apparentemente divergenti. Calvino mette subito in atto un'operazione centrifuga rispetto a qualsiasi falsa istanza di coerenza progettuale, depista il suo lettore, lo trascina con sé nel rovello della conoscenza», R. Deidier, Le forme del tempo. Saggio su Italo Calvino, Milano, Guerini e Associati, 1995, p. 7.

18  Il percorso del Calvino narratore viene duplicato da quello del saggista, secondo la ricerca, più viva con gli anni Settanta, di un analogon per il testo letterario nelle strutture antropologiche oltre che linguistico-semiotiche, intrapresa letta nella sua evoluzione da G. Patrizi, Il significato del grigio. Calvino e le forme del saggio, in «Nuova corrente» XXXIV (1987), n. 100, pp. 305 sgg.

19  I. Calvino, Il mare dell'oggettività cit., p. 60.

20  In termini di riconoscibilità del paesaggio testuale, rinvio al concetto di porosità testuale rispetto ai dati esterni, mutuato da Thomas Pavel, e all'idea di un processo «pseudotransitivo, basato cioè su una deroga provvisoria, codificata e contrattuale alla natura irriducibilmente "intransitiva" del testo letterario e del mezzo linguistico», entrambi descritti da F. Bertoni, La verità sospetta. Gadda e l'invenzione della realtà, Torino, Einaudi, 2001, pp. 227-231. Sull'asimmetria strutturale tra la bidimensionalità dello spazio letterario e la tridimensionalità dello spazio reale, cfr. inoltre J. Camarero, Escritura, espacio, arquitectura: una tipología del espacio literario, «Signa» 3 (1994), pp. 89-101.

21  Si vedano a tal proposito le variazioni sulle Tipologie proposte da S. Bernardi, Il paesaggio nel cinema italiano, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 37-97; in particolare, interessa qui la distinzione tra paesaggio narrativo e paesaggio pittorico: «Con il primo intendo il paesaggio integrato e funzionale alla narrazione e alla drammaturgia del film, il tradizionale paesaggio diegetico; con il secondo intendo quello caratterizzato da uno sguardo riflessivo, meta-narrativo in cui, come nella pittura, il senso non è tanto la storia che raccontata quanto l'apertura sulle storie possibili che stanno dietro o accanto a quella», ivi, p. 33. Sul piano dell'intreccio, si veda la ripresa di considerazioni greimasiane sullo spazio narrativo come localizzazione primaria e disgiunzione, operata da Sandra Cavicchioli nell'introduzione a un numero monografico della rivista «Versus» (73/74, 1996) da lei stessa curato e dedicato alla Spazialità: valori, strutture e testi, ora in Ead., I sensi, lo spazio, gli umori e altri saggi, Milano, Bompiani, 2002, pp. 186-188; mentre, per quanto riguarda le diverse funzioni discorsive assolte dal paesaggio nel cinema, rimando all'ottima trattazione di A. Gardies, Le Paysage comme moment narratif, in Les Paysages du cinéma, a cura di A. Mons, Seyssel, Champ Vallon, 1999, pp. 144-149.

22  In tal senso, richiamerei quanto Dino Buzzati operava nelle ultime raccolte narrative, risalenti agli anni Sessanta, ponendo primariamente il soggetto femminile al centro di una volontà sadica di accerchiamento e punizione all'interno di mondi edificati mortali. Per un primo riscontro circa la costruzione di simili strutture spaziali (segnatamente metropolitane), si vedano P. Dalla Rosa, Immagini della città nel linguaggio del Buzzati narratore, in «Narrativa» 6 (1994), pp. 111-124, e U. Musarra-Schrøder, Immagini di città. Dino Buzzati e la tradizione moderna-postmoderna, in «Narrativa» 23 (2002), pp. 59-71.

23  Cfr. U. Musarra-Schrøder, Il labirinto e la rete. Percorsi moderni e postmoderni nell'opera di Italo Calvino, Roma, Bulzoni, 1996, pp. 192-193. Sulla contrapposizione tra Calvino e Gadda a proposito del "flusso dell'oggettività" e delle risposte possibili al caos che ad esso consegue, si vedano le pp. 173-179 del pregevole lavoro di M. Belpoliti, L'occhio di Calvino, Torino, Einaudi, 1996. Sulla Giornata, invece, rimando alla valida presentazione didattica, corredata di materiali critici, da parte di L. De Federicis, Italo Calvino e La giornata d'uno scrutatore, Torino, Loescher, 1989.

24  I. Calvino, Il mondo è un carciofo (per Carlo Emilio Gadda), in Saggi, cit., vol. I, p. 1067.

25  Id., La giornata d'uno scrutatore, Einaudi, Torino 1963, ora in Romanzi e racconti, edizione diretta da C. Milanini, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, vol. II, Milano, Mondadori, 1992, p. 9. D'ora in poi si citerà con la sigla GS, seguita dal numero delle pagine.

26  U. Musarra-Schrøder, Il labirinto e la rete, cit., pp. 193-194.

27  Il passo, improntato a un'amara demistificazione delle illusioni connesse alla progettazione di uno spazio narrativo che ancora pare, in termini autobiografici, fare problema, andrà messo a contatto con la serie di incipit cosmologici e «di individuazione» dei racconti calviniani del periodo, volti a enfatizzare la tensione memoriale presente al loro interno, e in particolare «una saldatura tra venire al mondo ed esistenza del mondo», secondo quanto ha rilevato Massimo Schilirò. Imprescindibile risulta allora il raffronto in negativo con La strada di San Giovanni: «una spiegazione generale del mondo e della storia deve innanzi tutto tener conto di com'era situata casa nostra» (in Romanzi e racconti cit., vol. III, p. 7). La ricerca di Schilirò, che allinea memoria e autobiografia nello scrittore ligure lungo una linea disforica, è confluita in Le memorie difficili. Saggio su Italo Calvino, Messina, C.U.E.C.M., 2002, p. 49. Ringrazio l'autore per avermi messo a disposizione una copia del suo lavoro, ricco di spunti quanto di difficile reperibilità, insieme alla mediazione di Domenico Scarpa.

28  Ma d'altronde Alberto Asor Rosa intuiva, alla sua uscita, l'innervarsi del romanzo su una serie di continue, aperte, contraddizioni, che la narrazione del Calvino «"enciclopedista" e francese» tentava di risolvere per mezzo della sovrapposizione di uno schema dialettico; lo stesso Ormea vi appariva «un nodo di contraddizioni», Il carciofo della dialettica, pubblicato originariamente su «Mondo nuovo», rivista del Psiup, e ora compreso in Stile Calvino. Cinque studi, Torino, Einaudi, 2001, pp. 31-40. L'infrangimento del tentativo di dialettica hegeliana - nella constatazione dell'impossibilità di una sintesi - è ripreso da B. Weiss, Cottolengo: Calvino's Living Hell. The Speculating Intellectual at the Crossroads, «Italian Culture» X (1992), p. 149: nella forma volutamente inconcludente di «novelette», il testo apre di continuo a fertili dispersioni; «each synthesis forms a different thesis for a new cycle».

29  Il dato che ancora preme qui sottolineare è quello di una risposta critica e coerente al gran mare dell'oggettività che interroga lo scrittore, risposta elaborata in forma di lucida e non fugace presa di coscienza: «esiste un fattore di coesione all'interno dell'opera calviniana, ed è dato proprio dalla spinta morale», R. Deidier, Le forme del tempo cit., p. 19, corsivo mio. La teratologia descritta agisce così in forma di memento rivolto al lettore a proposito dell'alterità che preme e incrina il mondo razionale, dando forma alla vena segreta e oscura insita nella coscienza di Calvino, secondo le suggestioni di G.C. Ferretti, Le capre di Bikini cit., pp. 89-94.

30  E. Scarry, On Beauty and Being Just, Princeton, Princeton University Press, 1999, trad. it. Sulla bellezza e sull'essere giusti, Milano, Il Saggiatore, 2001, p. 35.

31  La messa in scena dell'incompletezza, la sua tematizzazione all'interno di opere moderne, esperimenti di avanguardia, nouveau roman e fiction postmodernista, viene discussa da Th.G. Pavel, Fictional Worlds, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1986, trad. it. Mondi di invenzione. Realtà e immaginario narrativo, a cura di A. Carosso, Torino, Einaudi, 1992, pp. 154-166 (in particolare, le pp. 158 sgg.).

32  Sono qui messe in crisi le coordinate di verità referenziale del mondo di invenzione costituito dal testo: probabilisticamente "vero", rispondente in tutti i suoi enunciati alla definizione di un mondo oggettivamente caratterizzato da congruenza, appare ora il Cottolengo. Per un inquadramento teorico, cfr. Th.G. Pavel, Mondi di invenzione, cit., pp. 112-120.

33  A. Asor Rosa, Il carciofo della dialettica, in Stile Calvino, cit., p. 40.

34  Nel romanzo, «soltanto il ricorso alla terza persona e la restrizione estrema dei confini temporali della vicenda arginano un atto di autorispecchiamento. Molti, troppi pensieri di Amerigo appaiono attribuibili direttamente all'autore»: così C. Milanini, L'utopia discontinua, cit., p. 95.

35  Rispettivamente, di visualismo parla M. Belpoliti, L'occhio di Calvino, cit., pp. ix-x e passim, mentre, a proposito del Castello dei destini incrociati, Giorgio Bertone ha segnalato «l'ipervisualismo calviniano come modello d'interpretazione della realtà», G. Bertone, Italo Calvino. Il castello della scrittura, Torino, Einaudi, 1994, p. 122.

36  Preciso solo che nell'edizione alla quale qui si fa riferimento (Romanzi e racconti, cit., vol. II) la nota è anteposta al testo (p. 5).


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Giugno-dicembre 2005, n. 1-2