Stefania Signorini (a cura di), Arturo Graf. Confessioni di un maestro. Scritti su cultura e insegnamento con lettere inedite, Interlinea Edizioni, Novara, 2002, pp. 200, € 15,00
di Nicola Bonazzi

 

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Nel 1903 veniva stampato a Roma un volume di versi, Fra terra ed astri, nella cui prefazione l'autore si diceva vittima di un destino avverso e di un amore infelice. Il volume compariva a firma di uno sconosciuto Giulio Orsini e se la storia letteraria successiva si è completamente disinteressata della sua biografia e della vicenda sentimentale che aveva originato l'opera, ciò dipende dall'impossibilità di certificare l'esistenza fisica dell'Orsini, in quanto semplice nom de plume dietro cui si cela Domenico Gnoli, insigne cattedratico ed erudito della Roma umbertina. Lo Gnoli (non nuovo all'inganno: nel 1896 aveva dato alle stampe l'altro canzoniere Eros, firmandolo addirittura Gina d'Arco) operava la mistificazione convinto che la fama di dotto accademico poteva nuocere a un giudizio equilibrato sui suoi versi: l'esito, commerciale e critico, di Fra terra ed astri parve dargli ragione e lo Gnoli, forte del successo, tornava ad apporre il proprio nome sui volumi successivi.
Di là dalla lepidezza dell'aneddoto, l'episodio può servire da minuscolo ma incisivo corollario al ritratto che il bel libro curato da Stefania Signorini fornisce su uno dei molteplici aspetti dell'attività e della figura di Arturo Graf (1848-1913), ordinario di letteratura italiana all'Università di Torino, seguace del metodo storico, nonché narratore e poeta di gusto decadentista. La vicenda, infatti, non solo chiama in causa un collega del Graf e suo predecessore presso la cattedra torinese, ma serve a illuminare quella schizofrenia tra arte e vita, tra passione e erudizione che probabilmente subì sulla propria pelle lo stesso Graf, se dobbiamo dar retta all'intervista rilasciata a «La Stampa» nel giugno del 1908, dove, circa il rammarico di aver dato alla scuola quello che poteva essere dato all'arte, si parla genericamente di «querele brevi, d'un momento». E la fugacità dell'affermazione tradisce forse un rimpianto più profondo. Non a torto quella stessa intervista è collocata dalla Signorini in posizione incipitaria, viatico, quasi, ad una comprensione migliore delle prose successive, di tempi e toni diversi, ma tutte accomunate dal tema: la posizione del Graf rispetto alla cultura del suo tempo e all'insegnamento secondario e universitario. Graf, appunto, fu professore e poeta, ma professore aperto a suggestioni antidogmatiche e poeta libero da impacci accademici, sicuramente più di quanto non fosse stato, a un certo punto del suo percorso, il più famoso, se non il più grande, dei nostri poeti-professori, cioè Giosue Carducci, non a caso richiamato diverse volte nelle pagine del libro.
Così, chi riemerga dalla lettura di questi scritti, e conosca un poco l'opera del Graf, non può non trarne rafforzata l'impressione di uno scrittore lacerato da tensioni diverse, spesso irriducibili tra loro. Il Graf accademico era in qualche modo costretto a fare professione di positivismo sfrenato (si legga per esempio la prosa intitolata La bancarotta della scienza, alle pagine 108-117, o i paragrafi conclusivi di Per la nostra cultura), salvo calare poi la propria poesia in atmosfere nordiche popolate da elfi e fate, ed infarcire l'unica opera narrativa (Il riscatto) di quegli abbandoni spiritualisti tanto cari al più anziano Fogazzaro; gli stessi volumi originati dall'attività accademica, come il famoso Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo (se ne può vedere la recentissima riproposizione per i tipi della Bruno Mondadori), accolgono curiosità e notizie di grande interesse, ma spesso inattendibili e aliene dal rigore di una ricerca scientifica neutra e impassibile. Una personalità complessa dunque, quella di Graf, se è vero poi che, nella congerie dei tomi eruditi, si trovano anche ricerche tutt'altro che scontate e tutt'ora indispensabili, come quella su "I Pedanti" (in Attraverso il Cinquecento, Loescher, 1926), primo studio sistematico sull'antipedantismo rinascimentale, che rende quasi ovvio, a parte l'anticipo sui tempi, l'accanimento con cui Graf liquida l'insegnamento di latino e greco nelle scuole secondarie (si veda L'insegnamento classico nelle scuole secondarie, qui alle pagine 74-108).
Conclude la densa silloge un carteggio inedito con un altro grande protagonista della cultura italiana tra Otto e Novecento, Alessandro D'Ancona, non solo utile per illuminare i rapporti tra i due, ma anche estremamente gustoso nella possibilità che offre al lettore di osservare, quasi "dal buco della serratura", i maneggi e le pene legati alla carriera universitaria, a dire il vero non molto diversi da quelli odierni. Su questo aspetto e su tutti gli altri suscitati dagli interventi grafiani su cultura e insegnamento, si sofferma con puntualità la bella ed esaustiva introduzione della curatrice.

 

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Giugno 2003, n. 1