Grazia Verasani
Take me home

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Un amico regista, sere fa, a un concerto, mi ha presentato Mattia. "Ha appena girato il suo primo cortometraggio. Interessante. Dovresti vederlo". Poi, rivolto a Mattia: "Anna è una sceneggiatrice, potrebbe esserti utile…".
È stato così che mi sono ritrovata seduta su un prato, tra le lattine vuote e le cicche di un dopo-concerto, in compagnia di un ragazzino biondo e del suo entusiasmo. L'esuberanza vulcanica di un artista in erba mi fa sempre un certo effetto; da un lato mi ricorda com'ero a vent'anni, le passioni e gli ideali che avevo; dall'altro mi fa nascere la voglia di prepararlo a un mondo che non sa che farsene di sogni e sognatori: insomma, di disilluderlo.
Ho pronunciato quelle due o tre frasette riassuntive della mia esperienza, citazioni sul cinema e sulla vita, con l'aria di un'abile signora che sa di avere qualcosa da insegnare. Un gioco che solitamente riesce senza intoppi, quando hai a che fare con l'avidità e il rispetto della giovinezza e non con il cinismo di uno della tua età, di uno cioè che non puoi fregare.
Ho congedato Mattia con un sorriso materno, dopo avergli dettato il mio numero di telefono e avergli fatto i miei migliori auguri per il suo futuro.

La sera dopo, mentre lavoravo al computer, ha squillato il telefono.
"Sono Mattia, vorrei vederti."
"Quando?"
"Subito."
Subito. Parola dell'urgenza, della semplicità e del coraggio. Il ragazzo andava premiato. "Okay," ho risposto "dammi il tempo di vestirmi."
Un'ora più tardi parcheggiavo l'auto in un'elegante zona collinare, salivo le scale di una villetta bi-famigliare e mi sedevo sul parquet di una camera composta di un letto a una piazza e mezzo, di una scrivania occupata da computer, stampante, due o tre macchine fotografiche e resti di merendine. Alle pareti, foto incorniciate di lui avvinghiato a coetanee bellissime, quadri astratti e i manifesti de L'attimo fuggente e Le ali della libertà.
"I miei sono fuori a cena," mi ha detto "rientreranno tardi". Dopodichè si è messo a rollare canne con manualità reverenziale, porgendomi alla fine quelle piccole, leggere costruzioni. (È stato come aspirare fumo direttamente da un aereoplanino di carta, di quelli che gli scolari fanno volare tra i banchi. Erano anni che non mi sentivo così…)

Sul monitor del computer è apparso il suo film di quindici minuti, girato no budget, con amici-attori improvvisati; film di cui non ho capito né il senso né la trama, anche se ricordo che mi è piaciuto molto, al punto che gli ho chiesto di rivederlo altre quattro volte. La giovinezza ammira. Mattia registrava le mie frasi ad effetto, le mie massime, e le faceva sue, ripetendole subito dopo. Quando gli ho detto la mia età, ha tartagliato che non ci credeva e che dimostravo a malapena trent'anni.
È una sensazione piacevole sentirsi togliere di colpo un decennio. Ho pensato che era il mio modo di vestire - jeans e maglietta - ad averlo confuso. Comunque, a quel punto mi sono sentita a disagio e, dopo due baci sulle guance, sono uscita da casa sua con la scusa di un impegno.
Mentre guidavo verso casa il pensiero è andato a Luca, il mio ex: cinquantenne, sposato con figli, ora all'altro capo del mondo. (Alcune frasi dell'ultima lettera che gli ho scritto sono finite in bocca a un'attrice emergente, riciclate per un film che ha avuto un discreto successo.)

Io e Mattia ci siamo rivisti sere dopo a un cocktail party e abbiamo parlato del suo regista preferito: Godard.
"Ti ascolterei per ore", mi ha detto. "Hai un modo di descrivere le cose…"
Ho accarezzato i suoi capelli biondi, salutato un po' di amici e sono andata via. (A casa mi aspettava del lavoro da finire.)
All'alba un suo messaggio ha illuminato il display del mio telefonino: "Grazie per la tua dolcezza, buonanotte". Non ricevevo un messaggio così dai tempi delle scuole medie. Ho spento il computer e ho ripensato ai suoi occhi esaltati da un fuoco di progetti. "Cosa vuoi fare da grande?". "Il fotografo, il regista, tutti e due". Allora mi è tornato in mente quel pezzo di Tom Waitts che dice: "Portami a casa, sciocco ragazzino…".

Gli amici dicono di me che sono una donna forte. Io rispondo sempre che una donna sola è forte per forza. Ma la mattina dopo, in macchina, ferma davanti alla pasticceria dove faccio sempre colazione, leggendo il messaggio "Stiamo a letto tutto il giorno a farci le coccole?", mi sono sentita very weak. Ho appoggiato la testa contro il finestrino, mentre la pioggia di un temporale estivo ci batteva sopra; calmandomi mi sono detta "Okay, Anna, è di momenti che bisogna vivere…". Però non gli ho risposto.

L'indomani, in una strada del centro, Mattia era mano nella mano con una brunetta dalla faccia simpatica. Nascosta dietro una cabina telefonica, li ho visti baciarsi, scegliere magliette a una bancarella, scherzare tra coetanei. Mi sono sentita un'idiota, ma ammetto che ho provato anche un certo sollievo.
La sera stessa Mattia mi ha telefonato. "Non faccio altro che pensare a te, mi hai flesciato. Ho una ragazza da tre anni e non so cosa fare ". Un'ora dopo giravamo in macchina a caso, fumando canne, bevendo birre e parlando dell'ultimo Kubrick e dell'ultimo Spielberg. A mezzanotte, sotto casa sua, se n'è uscito con: "Che ne dici di scrivere un e-mail a Bill Gates?"
L'ho guardato, incredula.
"Sì, gli dico che voglio fare un film con te e che ho bisogno di soldi."
Non ho riso. Tutt'altro. Ho risposto: "Certo", come se fosse la cosa più naturale del mondo.
In camera sua, mentre i genitori dormivano nella stanza a fianco, ci siamo seduti al computer a scrivere a Bill Gates. Difficile, dopo, salutare la sua testa bionda piena di idee straordinariamente improbabili, e tornarmene a casa, ai miei film per la tv e alle mie creme per la notte.

Ci siamo rivisti un'ultima volta prima della sua partenza per Lampedusa (una vacanza di un mese, con la sua ragazza). Disarmante, la sua trasparenza, ma non ho ceduto; lungi da me complicargli e complicarmi la vita. Mi ha presentato sua madre, una donna lunga come lui, ex modella, poco più grande di me: mi è venuto spontaneo darle del tu. Poi la madre è uscita e io e Mattia ci siamo chiusi come al solito nella sua stanza. Ha registrato la mia voce con un walkman e mi ha scattato una decina di foto, confessando la sua paura di tradire una dolcissima ventenne insieme alla forte attrazione che provava per me (per le cose che dicevo, e poi sì, anche come donna, avevo un certo fascino).
Ho adottato il silenzio per legittima difesa e non gli ho spiegato la differenza tra l'amore a vent'anni e l'amore a quaranta. Non gli ho detto, cioè, che c'è un'età in cui credi che una storia d'amore durerà per sempre e c'è un'età in cui sai che non ne durerà nessuna. I suoi occhi mi vedevano bella e questo mi bastava. La sola cosa che riuscivo a pensare era "Quando lui avrà la tua età, Anna, tu spegnerai sessanta candeline"…

Mi ha chiamata ieri dall'aeroporto. Pioveva. "Se l'aereo cade, " ha detto "ricordati che penserò a te". Ora lui è a Lampedusa con una brunetta dalla faccia simpatica e io torno alla mia solita vita, a una nuova sceneggiatura da scrivere e a una lettera che finirà in un cassetto o tra le battute di qualche copione: Non uccidere mai i tuoi sogni, e non permettere che qualcuno lo faccia. Difendili come oggetti preziosi e mostrali a chi li può capire. Non farti contagiare dall'amarezza di chi non ha fiato per correre e di chi vede solo il peggio delle cose. Vivi tutto quello che puoi, le rose e le spine di ogni momento che valga la pena di consumare e non avere paura di niente, né di perdere né di vincere, né di essere felice né di soffrire. Ci sono orizzonti che puoi tenere in una mano e ci sono eternità che durano un minuto…

 

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Dicembre 2001, n. 2