Yuri Sangalli
Gli ambienti interiorizzati nella Tetralogia di Michelangelo Antonioni

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Sommario

I. Introduzione
II. L'avventura
III. La notte
IV. L'eclisse
V. Deserto rosso
VI. Bibliografia
VII. Filmografia


 

«[...] modern man lives in a world without the moral tools necessary to match his technological skills; he is incapable of authentic relationships with his environment, his fellows, or even the objects which surround him because he carries with him a fossilized value system out of step with the times»1

§ II. L'avventura

I. Introduzione

Seymour Chatman, dopo aver riconosciuto in Story and Discourse il legame sostanziale fra personaggio e ambiente definisce, concludendo, l'ambito degli studi sull'ambientazione «praticamente terra incognita».2 Questo tipo di studio non è stato compiuto per L'avventura (1960), La notte (1961), L'eclisse (1962) e Deserto Rosso (1964), quattro film che collimano nelle idee e nel metodo, e ormai conosciuti come la Tetralogia di Michelangelo Antonioni.3 Suggestivamente, il regista favorisce in essi un modo di espressione astratto e complesso, che tende a porre in relazione lo sviluppo emozionale del personaggio con il suo ambiente. Si pensi al paesaggio desolato di L'avventura, all'architettura funzionale contemporanea e ai labirintici ambienti urbano-industriali di La notte e L'eclisse, all'uso espressivo del colore in Deserto Rosso e all'enfasi posta sulla distanza emozionale fra i personaggi, poeticamente suggerita dalle situazioni, da suoni di telefoni che non ottengono risposta, da ricorrenti inquadrature di ingressi, porte, finestre, steccati, muri e soglie, che costantemente limitano e ostacolano gli isolati protagonisti. L'enfasi sul contesto urbano-industriale, la costruzione atipica della storia, il ruolo minimo del discorso diretto e, in particolare, i movimenti della macchina da presa sono metodi di espressione cinematica. La Tetralogia di Antonioni rappresenta un appropriato corpus di film da esaminare per gli scopi di quegli studi interessati a un serio approccio alla relazione tra personaggio e ambientazione. Il legame in questione, dunque,sarà esaminato in ogni film della Tetralogia, nelle peculiari rappresentazioni in cui si esemplifica: l'isola come luogo in L'avventura, i chiusi spazi urbani in La Notte, la borsa commerciale in L'eclisse e il paesaggio industriale di Deserto Rosso.

In questi quattro film si mostra la maestria e il sicuro controllo che Antonioni esercita su ogni dettaglio della disposizione visiva delle sue immagini: la rappresentazione e insieme la relazione fra interno ed esterno, cioè tra lo stato interiore del protagonista e l'ambiente disumanizzato, è un tema di straordinaria importanza in questo regista. Nell'interiorizzazione del paesaggio contemporaneo e, insieme, nell'esteriorizzazione della vita intima del personaggio, sono svolti i significati essenziali di queste opere. Nello stesso tempo, i film stimolano interrogativi sulla prospetticità, con particolare attenzione al punto di vista dei personaggi che svolgono una funzione di testimoni dell'azione. I limiti del punto di vista del testimone sono ripetutamente stabiliti; spesso emerge una incapacità di trascendere tali limiti, nella ricerca di parole e risposte adeguate agli avvenimenti e alle azioni. Significativamente, i movimenti della macchina da presa cercano una ingannevole, quasi-documentaria registrazione e comprensione dei personaggi e dei loro precari legami con il proprio habitat, o, più esattamente, mostrano la problematicità psicologica della situazione dell'individuo nell'ambiente contemporaneo.
Alla fine, sembrerebbe emergere una sorta di realismo soggettivo, psicologico. Tuttavia, il risultato di questo tipo di analisi è invariabilmente deludente:

«There is hardly a single film of Antonioni's which does not involve, or is not primarily structured around an investigation, but an investigation which inevitably loses its way, becomes diverted, displaced; interest in it dissolves.».4

Seguiamo personaggi disorientati che, senza meta, vagano nei luoghi dell'Italia contemporanea non cercando in definitiva niente di preciso, finché alla fine, a disagio come loro, e quand'anche per pochi istanti, temiamo che forse anche noi non abbiamo trovato nulla. Così si esprime Antonioni:

«Noi sappiamo che sotto l'immagine rivelata ce n'è un'altra più fedele alla realtà, e sotto quest'altra un'altra ancora, e di nuovo un'altra sotto quest'ultima. Fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa, che nessuno vedrà mai. O forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà».5

I film di Antonioni contestano e abbandonano le vie seguite dal neorealismo. In particolare il regista critica, in Cesare Zavattini, il concetto di personaggio come mero prodotto di un contesto sociale; per di più, Antonioni smentisce la fede zavattiniana nella validità dello sguardo dell'osservatore come testimone di una realtà empirica, ponendosi, dunque, anche il problema della percezione visiva della realtà. L'accento è posto sulla vita emozionale dei personaggi, attraverso significanti visivi: il rispecchiamento fra l'esperienza soggettiva interiore e l'ambiente esterno sviluppa una relazione reciproca che contrasta decisamente con l'approccio realistico adottato nel periodo postbellico dai principali esponenti del Neorealismo. Secondo Peter Bondanella, nel cinema di Antonioni «cinematographic technique is his content».6 Destino dell'umanità è essere costretta ad accontentarsi della «superficie del mondo (surface of the world)»,7 mentre la realtà al di là delle situazioni che contengono i personaggi della Tetralogia - come anche l'uomo contemporaneo - sembra destinata a rimanere celata.
Il contesto contemporaneo evocato è, ovviamente, quello del miracolo economico. L'industrializzazione, l'urbanizzazione, il consumo di massa, le prime trasmissioni televisive della Rai portano con sé un più diffuso benessere e nuovi stili di vita, ma anche enormi complessi industriali, schiere di grattacieli moderni e il degrado delle abitazioni popolari. In un baleno, l'Italia rurale e provinciale scompare, scalzata e sostituita da nuove creazioni urbane, ridisegnata da una strana commistione di livelli di marciapiedi, acciaio, calcestruzzo, cemento, attraversata da veloci Lambrette, spericolate Spider e rombanti Alfette e improvvisamente ricoperta da prodotti di serie di ogni genere.

 

§ III. La notte Torna al sommario dell'articolo

II. L'avventura

In L'avventura, tramite i personaggi di Sandro (Gabriele Ferzetti), Anna (Lea Massari) e Claudia (Monica Vitti), Antonioni delinea una fondamentale incapacità dei protagonisti di provare emozioni autentiche di qualunque tipo. Il regista delinea la crisi dei sentimenti attraverso sterili paesaggi utilizzati come ambiente emblematico e allusivo dell'agonia delle tormentate coppie. Con un senso angoscioso lo spettatore scruta il vuoto paesaggio siciliano sul quale svetta lontano il solitario Monte Etna oppure osserva l'enorme, frastagliata Lisca Bianca (Isole Eolie) profilarsi improvvisa al di sopra di uno yacht; il disagio è puntualmente sottolineato dalla colonna sonora, per mezzo dei ricorrenti e insistenti rombi del motore dell'imbarcazione, e dall'osservazione di Patrizia (Esmeralda Ruspoli): «Io le isole non le ho mai capite. Con tutto quel mare attorno, poverine…».
Il mito tradizionale e idillico dell'isola-giardino dalla natura lussureggiante è qui apertamente accantonato, nello spazio privo di vita, quasi un vuoto nulla, di un'isola vulcanica. La sterilità del paesaggio rispecchia il vuoto dei protagonisti, cui le isole stesse rimandano la loro solitudine. Verosimilmente, la sequenza dell'isola può rappresentare una ricerca: i membri dell'infelice gruppo vorrebbero trovare rifugio dalla loro realtà urbana, ma il tentativo di fuggire e di stabilire, per un momento, un contatto con un ambiente più umano sembra fin dall'inizio destinato a fallire.
Emerge, dominante, la sensazione dell'impossibilità di una relazione tra la specie umana e la natura, in un'era caratterizzata dalla tecnologia, dal consumo di massa e dalla disgregazione delle comunità. Scomparsi i miti e le certezze, l'isola stessa rispecchia lo sgretolamnento della collettività, e cioè la psicologia soggettiva e solipsistica dell'individuo. La ristrettezza dell'esperienza possibile dei protagonisti, ovunque vadano, è enfatizzata dal loro comportamento gli uni nei confronti degli altri, e dalla percezione della propria realtà, al punto che il legame tra il loro stato interiore e il contesto desolato diventa il punto focale del film.
La scomparsa di Anna rimarrà, appropriatamente, un mistero: il suo allontanamento rimanda l'indifferenza dei suoi compagni, ma la loro indolente reazione rappresenta anche, emblematicamente, la loro incapacità di continuare una ricerca. Per Antonioni, ciò è dovuto a una «malattia dei sentimenti» o a una dipendenza da una prospettiva arcaica, inadeguata. Così si esprime il regista: «[l'uomo] agisce […] sulla spinta di forze e di miti morali che non dovrebbero oggi, alla vigilia di raggiungere la Luna, essere quelli dei tempi di Omero: eppure lo sono».8 È piuttosto significativo che i vasi e le pentole dispersi per l'isola siano il segno di un antico popolo. Anch'essi del resto, come Anna, appaiono come se sbiadissero misteriosamente nella nullità.
In un tale ambiente, scrutato allegoricamente, i testimoni della scomparsa della giovane donna sono incapaci di reagire in maniera genuina o significativa alla desolazione degli avvenimenti, e la loro ricerca smarrisce la propria via. La crisi che il regista rappresenta riguarda precisamente la posizione dell'uomo moderno. Infatti, i protagonisti sono incapaci di procedere nella loro ricerca, per la mancanza di una ragione o delle stesse coordinate con cui oltrepassare la superficie degli eventi, del mondo intorno a loro; in accordo con ciò, l'isola deserta rispecchia il loro modo di porsi, il loro malessere. Questo gioco di riflessione-riflesso produce una relazione reciproca tra interno ed esterno, che rivela esplicitamente la visione di Antonioni sull'esistenza contemporanea.

 

§ IV. L'eclisse Torna al sommario dell'articolo

III. La notte

In La notte, l'ambientazione non è più il mediterraneo paesaggio naturale e aperto della Sicilia; Antonioni sposta il fuoco della sua cinepresa verso l'oblio dell'esistenza contemporanea come si svolge nel contesto industrializzato di uno spazio urbano e chiuso. Lo scenario naturale è ora sostituito dalla cornice formale del labirintico centro di una città. Già nelle immagini d'apertura è introdotto il tema di uno spazio metropolitano di aspetto anonimo, ripetuto all'infinito: mentre i titoli di testa scorrono, una suggestiva vista della città riflessa è offerta con un'inquadratura, a carrello discendente, ottenuta lungo le finestre di un grattacielo. La colonna sonora di Giorgio Gaslini partecipa a questo umore (come altrove in La notte), e anche le sue composizioni musicali fanno eco alla cacofonia del traffico di una città in piena attività. La macchina da presa è impiegata per mostrare le relazioni tra gli uomini e l'ambiente circostante. Immagine dopo immagine, la prima metà del film illustra le situazioni incresciose in cui si trovano i protagonisti, che le inquadrature spesso colgono, negli interni, con le spalle al muro, o che appaiono, negli esterni, come piccole figure alla base delle moderne costruzioni.
Certamente Antonioni ha voluto centrare la riflessione sull'ambiente urbano moderno, sulla sua espansione, sulla direzione in cui si muoveva l'architettura contemporanea, e senza dubbio i progettisti dei grattacieli e degli edifici di quegli anni lavoravano con nuovi concetti architettonici, e su di essi. Ma questa modernizzazione non avrebbe potuto affermarsi senza delle trasformazioni nella pratica: fin dall'inizio, il moderno spesso mostrava una evidente inclinazione utilitaristica per la funzionalità e la design convenienza (in particolare nei contenuti di spazio e tempo).9 Alcune considerazioni possono essere fatte a proposito, per esempio, del concetto di divisione, o, per meglio dire, di frammentazione dello spazio: una preferenza per l'accessibilità e per il funzionalismo marca chiaramente i progetti dell'architettura utilitaristica coeva e, in La notte, è manifesta negli uffici, nei palazzi, nelle abitazioni e nelle villette mostrate. Tuttavia, la disposizione di muri interni ed esterni, delle stanze e dei volumi, come rappresentati dal regista, anziché essere efficace o agevolare, confonde i personaggi, e l'insensatezza di una pianificazione urbana sistematica e razionalizzata sembra lasciare l'uomo intrappolato nel centro del suo proprio labirinto.
Il film offre un quadro dei nuovi spazi creati dal miracolo economico, e dei cambiamenti nello stile di vita che conseguivano all'urbanizzazione e industrializzazione di Milano e, per estensione, dell'Italia. Durante gli anni cinquanta ci fu una fortissima emigrazione interna: le campagne e le case dei contadini si svuotarono, la condivisione degli spazi di vita delle abitazioni e delle zone rurali furono scalzate dagli appartamenti urbani della società di massa e dalla segmentazione degli spazi interni ed esterni di centri urbani che ingrandirono a dismisura e divennero quasi irriconoscibili.10 La solitudine di Lidia (Jeanne Moreau) rispecchia la frammentazione dello spazio urbano. La sua alienazione e sottomissione all'ambiente cittadino, sembrerebbero indotte dall'anonimato che la circonda: non solo il privato sembra intercambiabile: in effetti tanto il nucleo interno che l'aspetto esterno delle abitazioni a schiera sembrano essersi dissolti in un indistinguibile, impenetrabile, infinito disegno.11

 

§ V. Deserto rosso Torna al sommario dell'articolo

IV. L'eclisse

I personaggi del terzo capitolo della Tetralogia, L'eclisse, sono ritratti come se fossero essi stessi intercambiabili con gli oggetti e le cose che li attorniano. La realtà ritratta dal regista è punteggiata da frammenti di oggetti e di persone. Il livellamento delle persone con gli oggetti è reso assoluto attraverso motivi come cancelli, mattonelle e muri, che racchiudono i protagonisti in immagini tronche di attori e oggetti. Meccanismi di reificazione dei bisogni e dei sentimenti gravano sul comportamento umano, visto come parte integrante di tale frammentazione. Il film si conclude con parecchi minuti consistenti in una miriade di inquadrature nelle quali si legge un evidente rifiuto di continuare la storia con avvenimenti o personaggi, proprio perché né gli uni né gli altri appaiono plausibili nel contesto delineato dal film. Parafrasando Pascal Bonitzer, con L'avventura e La notte Antonioni aveva proposto che l'individuo è incapace di percepire realtà; ora sostiene che il soggetto stesso si è dissolto nel vuoto, o «falsa coscienza» della Verdinglichung.12
Questa volta il regista ci offre una eloquente e attenta descrizione del piano commerciale di una Borsa. A poco a poco sentiamo che questo ambiente è il correlativo della descrizione, svolta dal film, del caos esistenziale dei personaggi. Come tutte le istituzioni, la Borsa ha i propri linguaggi e strutture espressive. A questo proposito il regista osserva: «In Borsa non so come fanno a capirsi, a fare delle operazioni con segni così rapidi, svelti».13 Dal mugghiare delle offerte ai sussurri delle novità, dall'incessante, osceno tempestare di domande e suppliche, al premere e spintonare: tutti i contendenti giocano i loro ruoli freneticamente, mentre cercano di apparire sicuri di sé, a proprio agio. Avendo pienamente abbracciato uno stile di vita, un'occupazione e, dunque, un'ideologia disumanizzate, essi si nascondono agevolmente ogni perplessità o rimorso riguardo agli altri, o ogni presentimento che la loro stessa esistenza possa essere inautentica.
L'ambiente della Borsa deve essere sembrato particolarmente significativo al regista. Per gli antichi, l'imponenza delle colonne dei templi greci deve aver rappresentato ciò che i più alti dei nostri grattacieli simboleggiano per noi: prosperità, realizzazione e potere.14 La presenza di un colonnato che struttura l'edificio fa pensare a questo eclettico tentativo di rendere tanto il trionfo e la realizzazione, da una parte, che lo stile e il temperamento artistico, dall'altra, come se l'arredatore o l'architetto avessero aspirato a mitigare l'aspetto venale e mercantile del luogo dedicato agli scambi, controbilanciando in qualche modo le due disposizioni. Nonostante ciò, nella sequenza che si svolge nell'edificio della Borsa la coppia protagonista del film (Vittoria/Monica Vitti e Piero/Alain Delon) manifesta, con i gesti e i comportamenti, il proprio disagio e smarrimento. I loro sentimenti più profondi sono efficacemente riassunti dal regista in una singola immagine, che coglie la coppia immobile, in silenzio, ai due lati di un grande pilastro, con gli sguardi volti in opposte direzioni.
Come le formiche che Vittoria a lungo osserva, nella scena finale, sul tronco di un albero, i personaggi sembrano essere consci ognuno solo delle funzioni e della presenza fisica degli altri. Rispecchiando il credo della Borsa commerciale, i protagonisti si valutano l'un l'altro in termini di utilità o valore. Cose e persone sono diventate intercambiabili, e la presa delle prime sulle seconde giunge al livello di «realtà assoluta»:15 questo accade, per esempio, nelle eloquenti immagini finali di L'eclisse, in cui i protagonisti sono svaniti, sostituiti da oggetti. Inoltre, il film termina, più che con un'eclisse, con un abbagliante primo piano di una strada illuminata. La luce artificiale può rappresentare il rapporto uomo/progresso tecnologico: la soggettività è negata, cosicché i soggetti sono eclissati.

 

§ VI. Bibliografia Torna al sommario dell'articolo

V. Deserto rosso

In Deserto rosso, il primo film a colori di Antonioni, il regista mostra i macchinari industriali e le condutture costantemente in luminosi colori, mentre i personaggi appaiono opachi: evidentemente, lo spettatore non percepisce tutte le inquadrature secondo il solo punto di vista della protagonista Giuliana (Monica Vitti).16 Durante i titoli di apertura vediamo, sfocate, immagini di fabbriche. Una tinta gialla offusca l'intero paesaggio, conferendo ad esso un aspetto fosco e sgradevole, mentre una sensazione spaventosa di morte viene rafforzata da vibrazioni sonore inquietanti, sinistre, ottenute con strumenti elettronici, verosimilmente impiegati per trasfigurare le sonorità delle fabbriche in una resa percettiva disturbata di esse. Fino a questo punto, non sappiamo che stia così elaborando queste sensazioni, ma si intuisce che si tratta di un'ottica soggettiva. Mentre termina lo scorrere dei titoli, noi continuiamo a percepire la sequenza iniziale dalla prospettiva di Giuliana e, di nuovo, l'immagine degli scioperanti che marciano davanti a lei appare non a fuoco. Subito dopo, udiamo nuovamente gli stessi suoni che ci avevano raggiunto durante l'apertura e, a questo punto, capiamo che questo sguardo ripugnato sull'esterno è di Giuliana, che i suoni raggelanti sono la rappresentazione della sua psicologia soggettiva alienata. Tuttavia, l'intensità dei colori utilizzati per i macchinari industriali sembrerebbe appartenere al punto di vista personale del regista.
Infatti, la prospettiva (di Giuliana) che connota la sequenza d'apertura viene contraddetta dalle macchine, rappresentate con colori sfavillanti. Riferendosi al contrasto fra gli ambienti industriali e la natura vista come cupa e malata, il regista afferma:

«La fabbrica è più varia, più vivace perché, dietro, si avverte la presenza dell'uomo con la sua vita, i suoi drammi, le sue speranze. Io sono a favore del progresso, e pure mi accorgo che per la sua violenza è portatore di crisi. E tuttavia è la vita moderna, il "domani" che già bussa alle porte».17

Parafrasando Chatman, il deserto, di cui parla il titolo del film, rappresenta l'esperienza interiore di Giuliana, dato che Ravenna, una città conosciuta per i suoi mosaici bizantini, non è ritratta esclusivamente come un ambiente squallido.18
Dal momento in cui la cinepresa ci porta spesso altrove, e quindi dall'astratta bellezza dipinta a pieni colori delle forme e del design dei macchinari industriali, sembrerebbe, dunque, che ci siano in realtà tre testimoni dell'azione: Giuliana, il regista e la macchina da presa, dove quest'ultima è, ogni tanto, una sorta di narratore obiettivo. Le prospettive di Antonioni e Giuliana sono chiaramente distinte per mezzo di scelte stilistiche artificiose: inquadrature sfuocate, ma soprattutto filtri, effetti sonori, effetti delle tinte e della manipolazione dei colori in studio sono stati utilizzati per questo scopo. Altrove, invece, le sequenze ci appaiono prive di manipolazioni cromatiche e non udiamo suoni deformati, percepiti soggettivamente. Verosimilmente, questo sguardo neutro ci rammenta che gli oggetti, in definitiva, esistono in una assoluta indifferenza rispetto alle percezioni che noi ne abbiamo:19 se accade che essi esercitino attrazione o repulsione, deve esserci allora, prima di questo, un soggetto, che li percepisca in un modo oppure nell'altro. In questo contesto, il regista ribadisce l'idea espressa nella suddetta intervista del Festival di Cannes del 1960 secondo cui, di per sé, le macchine industriali, i prodotti di consumo e il progresso stesso non sono niente più che l'uso che ne facciamo.20 Come scrive Peter Bondanella, per Antonioni il genere umano deve colmare un vuoto: «outmoded codes of behaviour and romantic view of nature must give way to a fresh morality».21
In ogni caso, non dobbiamo perdere di vista il fatto che, come la citazioni in apertura illustra, la posizione di Antonioni sul rapporto fra tecnologia e progresso da una parte, e fra società e umanità dall'altra, non appartiene al genere della condanna o del rigetto. Certamente, secondo il regista, le difficoltà non risiedono tanto nell'essenza indifferente delle nostre produzioni materiali e del loro impiego, bensì, propriamente, nel nostro uso di esse, e nel significato che ascriviamo loro. Di conseguenza, la società di massa è posta alla ricerca di una prospettiva o di una attitudine capaci di confrontarsi con la pervasività della tecnologia.
In ognuna delle quattro opere il regista resta legato al problema del soggetto e dell'ambiente che lo circonda; da L'avventura a Deserto rosso il tema è costantemente ridefinito, la sua articolazione si precisa offrendo sempre più forti implicazioni. In questo senso si può dire che Antonioni avverte l'esigenza di riesaminare e di rinnovare le sue credenze esistenziali confrontandole con il continuo cambiamento del paesaggio del miracole economico. L'avventura, La notte e L'eclisse si presentano come una trilogia di opere strettamente connesse, che trovano il loro epilogo in Deserto rosso. Con L'avventura Antonioni esplorava il cambiamento di stile di vita in Italia, mostrando uno spazio riservato dalla società contemporanea allo scopo del divertimento/vacanza, una sorta di «spazio di non lavoro (non-work space)», come lo ha chiamato Lefebvre;22 in La notte questo tema si sviluppa esaminando lo spazio dell'architettura urbana coeva; proseguendo lungo questa direzione, potremmo dire che l'ambiente della Borsa del commercio, in L'eclisse, riassumeva in sé il sistema di valori contemporaneo, mentre fabbriche, banchine e bastimenti in Deserto rosso portavano l'analisi verso i paesaggi industriali e la moderna tecnologia.
La Tetralogia di Antonioni lega gli ambienti disumanizzati con la vita interiore dei personaggi tanto quanto i personaggi rappresentano l'interiorizzazione dell'ambiente contemporaneo. Il regista rinuncia all'intreccio e decide di seguire i protagonisti mentre cercano il proprio sé o mentre cercano di fuggire da se stessi. La struttura della città contemporanea, com'è ritratta dal regista italiano, connota il momento storico stesso: un periodo critico, quello dell'industrializzazione e della nascita della società di massa del miracolo economico, determinato da un processo di riduzione del soggetto a oggetto. Nella Tetralogia edifici, architetture, paesaggi e strutture sono più che semplici distribuzioni spaziali di ambienti urbani. Antonioni sembra osservare questi elementi in una maniera duplice: da una parte, come prodotto e sintomo delle relazioni e gerarchie tra individui, e dell'altra, come l'espressione della coscienza reificata, portato dell'esistenza contemporanea.

 

VII. Filmografia Torna al sommario dell'articolo

VI. Bibliografia

  • Amberg, George - L'Avventura: a Film by Michelangelo Antonioni, New York, Grove Press, 1969.

  • Antonioni, Michelangelo - L'Avventura, Bologna, Cappelli editore, 1977.
    - Fare un film è per me vivere, Venezia, Marsilio editore, 1994.
    - La malattia dei sentimenti; colloquio con Michelangelo Antonioni, in «Bianco e Nero» 2-3, 1961, pp. 69-95.

  • Bondanella, Peter - Italian Cinema: from Neorealism to the Present, New York, The Continuum Publishing Company, 1988.

  • Bonitzer, Pascal - Il concetto di scomparsa. Michelangelo Antonioni, identificazione di un autore, Parma, Pratiche editrice, 1985.

  • Chatman, Seymour - Antonioni or, the Surface of the World, Berkeley, University of California Press, 1985.
    - Story and Discourse, Ithaca (NY), Cornell University Press, 1978 (trad. it. Storia e discorso: la scrittura narrativa nel romanzo, Parma, Pratiche, 1998).

  • Lefebvre, Henri - The Production of Space, Oxford, Blackwell, 1991.

  • Paci, Enzo - Dibattito su "L'eclisse", in C. di Carlo (a cura di), Michelangelo Antonioni, Roma, Bianco e Nero, 1964.

  • Rohdie, Sam - Antonioni, London, British Film Institute Publishing, 1990.

 

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VII. Filmografia

L'avventura.
Regia: M. Antonioni. Sceneggiatura di M. Antonioni, E. Bartolini e T. Guerra da un soggetto di M. Antonioni. Fotografia: A. Scavarda. Con: Gabriele Ferzetti (Sandro), Monica Vitti (Claudia) e Lea Massari (Anna). Produzione: A. Penn per Cino del Duca, Produzioni Cinematografiche Europee e Société Cinématographique, 1959.

La notte.
Regia: M. Antonioni. Sceneggiatura di M. Antonioni, E. Flaiano e T. Guerra da un soggetto di M. Antonioni. Fotografia: G. Di Venanzo. Con: Marcello Mastroianni (Giovanni Pontano), Jeanne Moreau (Lidia Pontano) e Monica Vitti (Valentina Gherardini). Produzione: E. Cassuto per Nepi-Film, Silva-Film and Sofitedip, 1960.

L'eclisse.
Regia: M. Antonioni. Sceneggiatura di M. Antonioni, E. Bartolini, T. Guerra e O. Ottieni da un soggetto di M. Antonioni e T. Guerra. Fotografia: G. Di Venanzo. Con: Monica Vitti (Vittoria) e Alain Delon (Piero). Produzione: Robert e Raymond Hakim per Interopa Film, Cineriz and Paris Film Production, 1962.

Deserto rosso.
Regia: M. Antonioni. Soggetto e sceneggiatura di M. Antonioni e T. Guerra. Fotografia: C. Di Palma in Technicolor. Con: Monica Vitti (Giuliana) e Richard Harris (Corrado Zeller). Produzione: A. Cervi per Film Duemila, Cinematografica Federiz and Francoriz, 1964.

 

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Dicembre 2001, n. 2


 
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