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          BOLLETTINO '900 - Segnalazioni / A, ottobre 2002             Successivo

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SOMMARIO:

- Elena Gurrieri
In memoria di Luigi Baldacci

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Elena Gurrieri
In memoria di Luigi Baldacci

Erano davvero in tanti la mattina di lunedi 29 luglio,
convenuti presso l'antica chiesa di S. Remigio nel cuore
del centro storico fiorentino, per rendere l'ultimo saluto
a Luigi Baldacci, morto il 26 luglio dopo una cena in casa
di persone amiche, la sera prima del suo settantaduesimo
compleanno.

La celebrazione eucaristica e' stata officiata da un
sacerdote giovane che, sebbene non avesse di persona
conosciuto il docente universitario e critico di grande
fama, ha pronunciato parole toccanti e opportunamente
rivolte a porre in rilievo le qualita' rare di un uomo le
cui energie migliori si sono costantemente protese verso
l'esercizio della critica intesa come ricerca profonda
della verita' sottesa al dato artistico. Era presente il
sindaco Leonardo Domenici con il gonfalone del Comune di
Firenze. Tante naturalmente anche le personalita' di spicco
della cultura italiana. Tutti i presenti, anche i piu'
anonimi restituivano, in fondo, un'immagine di societa' e
dignita' civile che era la sua, quella preferita da Luigi
Baldacci. Gli amici piu' vicini hanno poi commemorato lo
studioso, ma piu' commosso e' stato il loro ricordo
dell'amico: Piero Gelli ha osservato come il grande tributo
di affetto immediato e visibile sulla stampa nazionale
alla notizia della sua scomparsa, avrebbe certo gratificato
Luigi, forse anche un tantino sorpreso, dato che ultimamente
si mostrava "orgoglioso" e "dubitoso" dinanzi alla fortuna
e alle sorti del vivere su questa terra. Gelli ha poi
annunciato che saranno presto pubblicati due nuovi studi
di Luigi Baldacci: un volume sull'Ottocento e anche un
Meridiano dedicato al prediletto Palazzeschi.
Marco Marchi ha quindi letto una pagina dal *Tozzi moderno*
ed altri ancora hanno espresso gratitudine e riconoscimento
per l'uomo e per il maestro.

Il vicedirettore del "Corriere della Sera" Paolo Ermini ha
ricordato la "prudenza", con la quale Luigi Baldacci si e'
sempre distinto come collaboratore della pagina culturale
del quotidiano milanese, a cui volentieri inviava, con
continuita', articoli di critica letteraria senza
avventurarsi nella critica d'arte o nell'ambito
dell'antiquariato, come invece per consuetudine
all'esercizio del proprio gusto in tali settori avrebbe
potuto fare in modo senz'altro consapevole: la riscoperta
del Seicento fiorentino, Cecco Bravo in testa, si deve
com'e' noto anche proprio a lui.

Luigi Baldacci lascia una bibliografia critica vasta e di
prim'ordine di cui non e' possibile qui dare conto
riportando tutti i titoli, mi limito percio' a quelli
piu' significativi: *Lirici del Cinquecento* (1957),
*Poeti minori dell'Ottocento* (1958-1963), *Secondo
Ottocento* (1969), *Tutti i libretti di Verdi* (1975),
*Opere* di Papini e di Bontempelli (1977 e 1978),
Introduzioni a Foscolo, Tommaseo, Carducci, De Roberto,
Pascoli; tra gli studi critici, *Il petrarchismo italiano
nel Cinquecento* (1957), *Letteratura e verita'* (1963),
*Le idee correnti* (1968), *I critici italiani del
Novecento* (1969), *Libretti d'opera e altri saggi*
(1974), *Tozzi moderno* (1993). Negli anni piu' recenti
poi e' stato davvero, come ha ricordato Gelli, un
"precipitare" di titoli nella collana "Piccola Biblioteca
- La Scala" di Rizzoli: *La musica in italiano.
Libretti d'opera dell'Ottocento* (1997), *Il male
nell'ordine. Scritti leopardiani* (1998), *Novecento
passato remoto. Pagine di critica militante* (2000) ed
infine l'ultimo, *Trasferte. Narratori stranieri del
Novecento* (2001).

Leggendo stamani per la prima volta quest'ultimo volume
mi meravigliavo, ma poi non troppo, che Luigi Baldacci
avesse speso tanta della sua attenzione critica e della
sua rara curiosita' intellettuale, gia' verso meta'
degli anni Sessanta, a costruire un suo personalissimo,
peraltro esteso e molto variegato, repertorio di
Letterature comparate; addirittura si puo' dire di Arti
comparate: dietro al "sentimento della realta' tragica,
assurda", all'espressionismo iperrealistico e percio'
stesso deformante, a sfondo simbolico, della trilogia
narrativa di Gunther Grass da *Il Tamburo di latta* (1963)
a *Gatto e topo* (1964) fino ad *Anni di cani* (1966),
sta musicalmente Alban Berg e la "grande motivazione"
letteraria al primo e al terzo romanzo va ricercata in
Celine, pensiamo al cospicuo *Viaggio al termine
della notte*.

Il secondo motivo di gradita scoperta, ma poi, a pensarci,
del tutto logica e comprensibile scoperta, e' stato il
ritrovamento, sempre in *Trasferte* dunque, delle grandi
voci femminili della letteratura internazionale
contemporanea: Marguerite Yourcenar con i due racconti
*Colpo di grazia* e *Alexis*, tradotti per Feltrinelli da
Maria Luisa Spaziani (1962); la narratrice inglese Ivy
Compton-Burnett con il romanzo del 1929 *Fratelli e sorelle*,
edito da Garzanti per la prima volta in traduzione italiana
nel 1963, autrice riproposta di nuovo nel 1965 con
*I grandi e la loro rovina*, ma anche con *Madre e figlio*
a cui segue a ruota *Un dio e i suoi doni* (Einaudi, 1966);
Mary McCarthy con i *Ricordi di un'educazione cattolica*
nei mondadoriani Quaderni della Medusa (1964) e soprattutto,
nello stesso anno '64, con il romanzo *Il gruppo* edito
nei "Nuovi scrittori stranieri" scelti da Elio Vittorini
per Mondadori: a proposito di quest'ultimo romanzo Luigi
Baldacci conclude giustamente che "la McCarthy crede nella
critica indipendentemente da qualsiasi ideologia: posizione
difficile che dispiacera' a molti; come pure rischiosa,
in tempi di piccoli esperimenti letterari, e' la sua
capacita' di darci ancora la grande emozione del vero"
(p. 128). La sequenza delle presenze al femminile in
*Trasferte* continua con Nathalie Sarraute per recensirne
*I frutti d'oro* (1964), romanzo-saggio "esplosivo" che
intende contestare il romanzo, secondo quanto suggeriva
Sartre, con il romanzo stesso. La rassegna giunge al
termine con un capolavoro assoluto della letteratura
internazionale, *La campana di vetro* di Sylvia Plath
nei "Nuovi scrittori stranieri" Mondadori (1968), che
il critico fiorentino volle subito salutare presso il
pubblico italiano come "un romanzo defilato e importante"
al contempo, dando immediatamente la misura della
eccezionalita' e profondita' del dramma umano sotteso
alla poetica di questa sensibilissima artista americana.

Ora pero', cercando di fare un po' di ordine nella
biografia scientifica dello studioso fiorentino, occorre
anche delinearne gli aspetti suoi esclusivi, quelli cioe'
che lo hanno portato ad occupare un posto cosi'
significativo nel mondo della cultura italiana: da questo
punto di vista direi che, per quanto riguarda il metodo
scelto nella lettura critica degli autori, Luigi Baldacci
partiva sempre da una base di sicura conoscenza diretta
dell' intera loro opera: da cio' si poteva riconoscere
subito la grande serieta' scientifica del suo lavoro di
analisi, da cui solo in un secondo momento egli tentava
la vera e propria avventura ermeneutica su di un autore,
riuscendo in pratica a raggiungere risultati sempre
originali proprio grazie allo scavo, ancora una volta
profondo, operato sulle biografie degli scrittori.

Ma entrava, non lo si dimentichi, nelle vite degli autori
non tanto per impossessarsene o, ancor peggio, per
restituirne un'immagine deformata, bensi' per comunicarne
al lettore le chiavi interpretative piu' pertinenti a far
piena luce sui loro prodotti letterari, si potrebbe quasi
dire a farne emergere la "polvere d'oro". In tal modo,
sapeva rendere conto e tracciare un profilo davvero
avvincente di un lirico del Cinquecento, ma anche di un
autore di libretti d'opera, di Giuseppe Giusti come di
Leopardi e di Pascoli, come pure di De Roberto, Pirandello,
Tozzi, Palazzeschi, Loria.

Quindi si potrebbe anche dire che l'ampiezza dell'arco
cronologico degli studi di Luigi Baldacci si sposava in lui
ad un punto di vista assai originale d'indagine, in cui
prevaleva la percezione sia visiva che acustica, testimoniata
anche dalla sua viva passione per l'arte figurativa e per
la musica.

Cercando poi tra i miei ricordi di lettura piu' significativi,
non ho potuto fare a meno di tornare a rileggerne la memoria
che lui stesso traccia di un suo maestro d'eccezione:
Giuseppe De Robertis. Nel numero 3 (settembre-dicembre 1988)
del "Vieusseux", la rivista dell'omonimo Istituto che usciva
allora con un numero monografico dal titolo *Giuseppe
De Robertis. Studi e testimonianze*, Luigi Baldacci firma la
testimonianza d'apertura dove scrive: "... imparai presto
ad ammirare in De Robertis un'onesta' prima di tutto nei
confronti di se' medesimo, che in Serra non sono mai riuscito
a rilevare. Ma il suo fascino era anche d'altra natura ... La
critica di De Robertis era, senza secondi fini, una ricerca
della *condizione alla poesia*, dove pero' la poesia restava
protagonista e non diventava pretesto a esercitazioni
commemorative; ne' ci si preoccupava di stabilire se essa
fosse sana o malsana, fautrice di progresso o di
conservazione" (p. 100). Non a caso, subito dopo viene il
cenno a Giacomo Debenedetti per ricordarne la comune distanza,
con De Robertis e per estensione con se stesso, dai metodi
di analisi critica affidati a strumenti di sofisticata
impostazione extra-testuale. Poi cosi' termina: "De Robertis,
che si affidava totalmente alla sua pratica di lettore,
proprio perche' si trattava di una pratica e non di una
metodologia poco si preoccupava di trasmettere i suoi modi
e tanto meno d'imporli. ... Ai primi del '58, ci fu un esame
di libera docenza e fu De Robertis a informarmene e a farmi
partecipare: il concorso era ancora di quelli con la terna
e la graduatoria. Aveva fatto il piu'; ed e' proprio il caso
di dire che io feci il meno. All'universita' ci arrivai solo
molto piu' tardi e quasi per caso, come del resto, si parva
licet, ai suoi tempi ci era arrivato lui, senza studiare da
professore e senza vendere l'anima al diavolo" (p. 102).

Non potrei concludere questo memorandum senza rievocare,
con poche parole soltanto, alcuni momenti dei miei incontri
con lui. Ricordo quando sono stata a trovarlo nella sua casa,
alcune volte, in quella casa dove gli arredi costituivano il
fondale di un ambiente sempre fedele a se stesso: illuminato
da luci calibrate nell'oscurita', regnava al centro, di
fronte all'ospite, il *Baccanale* di Cecco Bravo, a cui il
ricordo associa, tra le costanti, una serie di maschere
africane sparse un po' dovunque. Rammento poi la presenza,
che e' naturalmente variata nel tempo a seconda dei nuovi
acquisti che il fine collezionista periodicamente operava,
di alcuni quadri e sculture: tra di loro mi e' rimasto
impresso un quadro, credo ottocentesco, che ritraeva l'intera
fisionomia di una giovane donna bruna dal carnato chiaro,
nel cui volto radioso brillava, vivace e assai luminoso,
lo sguardo.

Credo, in verita', che quando tornava a casa Luigi Baldacci
si sentisse finalmente a suo agio, in un luogo che gli
apparteneva davvero come rappresentativo di se': era come
rientrare finalmente tra le quinte amate di un palcoscenico,
cioe' il mondo esterno, che ogni giorno tornava a calcare
con lo stile inimitabile e l'arte sapiente del grande
attore di razza, insuperabile regista di se' nel teatro
del mondo.

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Segnalazioni / A, ottobre 2002. Anno VIII, 5.

Direttore: Federico Pellizzi; Redazione: Michela Aveta,
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Reg. Trib. di Bologna n. 6436 del 19 aprile 1995.
ISSN 1124-1578

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